21/9/2010
Europa, lo spettro dell'ultradestra
MARCO ZATTERIN
Prima il terrorismo, poi la paura dell’immigrato e infine la crisi economica che ha incrinato la fiducia. Alla fine del primo decennio del nuovo secolo l’Europa è agitata da una deriva nazionalista che cavalca le tensioni e complica i bioritmi della politica. Il primo effetto del continente che piega a destra è la precarizzazione delle coalizioni, il secondo è il diffondersi dell’illusione che alzando la voce si risolvano i problemi in fretta. Leader scaltri hanno capito che nel breve periodo può funzionare. Nel lungo non si sa, non ancora.
Il populismo cresce nell’intolleranza e nella paura, nella liberale Olanda come nel rigoroso Belgio e ora anche in Svezia, patria socialdemocratica di un Welfare per anni invidiato. In Ungheria, Slovacchia e Romania, partiti dall’anima fascista raccolgono consensi insperati aggrappandosi ad antichi ideali ed esacerbando i confronti con l’«altro», in genere le minoranze, gitani o ebrei non pare far differenza. Ci riescono nel nome della «Libertà» a cui dedicano i loro partiti, come fece Jörg Haider, che nel 1999 convinse il 25% dell’Austria a votarlo, e come è riuscita a Geert Wilders, il leader antislamico dei Paesi Bassi che cavalca la «minaccia» dello straniero e la delusione verso partiti tradizionali che tiene in scacco dal voto di giugno.
In Francia, nel momento in cui ha visto cadere i consensi, il presidente Nicolas Sarkozy ha lanciato l’offensiva contro la «gent du voyage», termine con cui ha mascherato l’intenzione di colpire i rom, irregolari da cui una ampia frangia della popolazione si sente minacciata. Per lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, che vive in Francia da anni, l’Eliseo ha «usato le espulsioni per sedurre l’estrema destra, dunque per ragioni di consenso e di conservazione del potere». Nell’attimo della difficoltà, Sarkozy ha riprodotto lo schema delle Destre, ha cercato un nemico e promesso di sconfiggerlo. Capita anche in Germania, dove dalla Cdu di Angela Merkel è in arrivo una componente superconservatrice, animata da Erika Steinbach, presidente dell’Associazione dei tedeschi espulsi dall’Europa centrale dopo l’ultima guerra.
Il Belgio ha dimostrato che alla lunga l’estremismo non paga, lo provano i duri fiamminghi del Vlaams Belang, battuti dal N-Va di Bart De Wever, che è riuscito a persuadere parte degli elettori delle Fiandre di «essere un moderato». Anche negando il parallelo con la Lega: «Loro sono di destra», giura. «Ciò che accomuna diversi partiti di estrema destra, spesso caratterizzati da politiche localistiche, è il forte antieuropeismo», spiega Rosa Balfour, Senior policy analist dell’European Policy Centre. In effetti, Bruxelles è la nemesi del nazionalismo, i suoi valori negano xenofobia, odio razziale e discriminazioni, ma non tolgono che il vecchio continente sia una polveriera di minoranze in cerca di futuro, come gli ungheresi che vivono in Romania e Slovacchia. L’Ue «deve contraddire quanti la accusano di essere agli ordini di un progetto di omologazione delle culture e delle identità su scala mondiale», suggerisce Magali Balent, della Fondazione Robert Schuman. I risultati dicono che, sinora, non è riuscita a farlo in modo concreto.
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