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Autore Discussione: GIANFRANCO FINI.  (Letto 20961 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Aprile 08, 2009, 12:32:48 pm »

Il presidente della Camera dichiara inammissibile l'emendamento del governo

La soddisfazione dell'Anm: "Conferma delle nostre perplessità"

Sedi disagiate, stop di Fini

No al trasferimento dei magistrati

 

ROMA - Il presidente della Camera Gianfranco Fini in apertura della seduto sul decreto legge sulla Sicurezza, ha dichiarato inammissibile l'emendamento del Governo, sul trasferimento d'ufficio dei magistrati nelle sedi disagiate.

La norma avrebbe dovuto colmare i "buchi" in posti come Palermo dove mancano 12 pm, Catania e Caltanisetta (sette), Trapani (sei), Gela e Ragusa (quattro), ma anche Brescia (nove). I concorsi del Csm per queste sedi vanno deserti nonostante gli incentivi economici (2.500 euro per quattro anni) promessi, sempre per decreto, dal ministro della Giustizia.

La bocciatura, ha spiegato Fini, è stata decretata sulla base del criterio di estraneità di materia della proposta rispetto al contenuto proprio del decreto. Avrebbero potuto essere spostati i magistrati che avessero conseguito la prima valutazione di professionalità da non più di quattro anni, quanti avessero svolto da oltre 10 anni le stesse funzioni o quanti non avessero presentato domanda di trasferimento alla scadenza del periodo massimo di permanenza in un ufficio.

Prevista anche una deroga, per i trasferimenti, al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa all'interno di altri distretti della stessa regione.

Immediata la soddisfazione dell'Associazione nazionale magistrati. Che vede nella decisione di Fini la conferma "della fondatezza delle perplessità immediatamente espresse dall'Anm e respinte dal governo con fastidio".

Certo, prosegue l'Anm, la decisione di Fini "riguarda esclusivamente l'estraneità dell'ordinamento giudiziario rispetto alla materia del decreto". Non il merito, quindi. Per questo l'associazione annuncia di volre continuare a segnalare e denucniare "per evitare che all'emergenza della scopertura degli uffici di procura, soprattutto nelle sedi più disagiate, si risponda con misure inadeguate, incoerenti rispetto al divieto di attribuire le funzioni di pubblico ministero e di giudice monocratico ai giovani magistrati, e altresì incostituzionali per la violazione del principio di inamovibilità del magistrato".

(7 aprile 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #16 inserito:: Maggio 19, 2009, 12:31:35 am »

Il presidente della Camera: «no a scontri elettorali»

Fini: «Non siano tolti diritti ai migranti»

Ma è scontro tra La Russa e l'Onu

L'Alto commissariato per i rifugiati reagisce al ministro: «Fiducia nella Boldrini». Finocchiaro (Pd): «Ottusità»


ROMA - «Il clandestino deve essere accompagnato nel Paese da cui proviene, ma non bisogna privarlo dei diritti fondamentali dell'uomo». Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, a Matera, nel corso di un incontro sull'integrazione. «Bisogna aiutare queste persone - ha aggiunto - nei loro Paesi. Paesi che hanno problemi seri, come la totale assenza dei diritti umani. Bisogna agire in una logica internazionale. Dobbiamo spenderci per garantire a queste persone il diritto alla vita e ricordare che nessun migrante è felice di lasciare il suo Paese d'origine». Non solo: per evitare la xenofobia, secondo Fini, «bisogna promuovere l’integrazione». «E uno dei primi aspetti che l'Italia deve affrontare - ha proseguito - è l'integrazione della 'generazione Balotelli. Parla la nostra lingua e forse anche il dialetto di Brescia. Quello che dobbiamo affrontare è come integrare persone italiane a tutti gli effetti, ma con credo religiosi e culture diversi».

IL MONITO - Il presidente della Camera ha lanciato poi un monito: «Dovremmo sforzarci tutti di affrontare una questione così impegnativa e complessa per la società italiana senza cadere nella tentazione di dare vita a un confronto tutto finalizzato unicamente al voto per il Parlamento europeo che viene rinnovato tra qualche settimana». Per Fini quello dell’immigrazione e dell'integrazione è un problema «di rapporto fra Unione europea e Paesi di provenienza degli immigrati, tocca il futuro della nostra società e andrà oltre il 7 di giugno».

LO SCONTRO GOVERNO-UNHCR - Nel frattempo non si placano le polemiche tra il governo italiano e l'Onu sulla linea del respingimento dei migranti adottata dal nostro Paese. Dopo le dure parole del ministro Ignazio La Russa nei confronti di Laura Boldrini dell'Unhcr, l'Onu replica con l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Antonio Guterres: «Gli attacchi immotivati e personali sono inaccettabili, non mutano e non muteranno l'impegno dell'Unhcr nel perseguire il suo mandato e la sua missione umanitaria», ha dichiarato Guterres. «Il mio rappresentante in Italia, Laurens Jolles, e la mia portavoce in Italia, Laura Boldrini, godono della mia piena fiducia nel portare avanti questo importante compito. Continueremo a lavorare con i governi e con tutti gli altri partner per affrontare queste sfide in modo da garantire il pieno rispetto dei diritti dei rifugiati e di quanti hanno bisogno di protezione internazionale».

«MA LORO NON RISPONDONO» - «Non conta un fico secco», aveva detto La Russa riferendosi all'Alto commissariato per i rifugiati. E sulla portavoce Laura Boldrini, aveva aggiunto con un paradosso - «o disumana o criminale». Anche se poi, aveva smorzato i toni: «Non ho niente contro la signora Boldrini, se si è sentita offesa me ne dispiace», affermava il ministro ribadendo di considerare «umana l'azione dei nostri marinai nel riaccompagnare, come vuole la legge del mare, nel porto più vicino i migranti intercettati». Prima dell'intervento ufficiale di Guterres, La Russa ai microfoni di Radio 3 aveva dichiarato che il governo è «compatto», ministro degli Esteri compreso, nel ritenere che l'Unhcr sbaglia nel criticare l'Italia sui riaccompagnamenti in Libia degli immigrati. «Mi spiace che ci siano stati problemi di tipo personale dei quali voglio assolutamente chiedere ammenda». «Ma sto ancora aspettando dalla Boldrini la spiegazione del perché considera più umano accompagnare i migranti in Italia, rinchiuderli nei Cie e poi espellerli». In serata lo stesso La Russa ha precisato che sui respingimenti al largo delle coste libiche «non c’è nessuna marcia indietro».

«POLEMICA INCOMPRENSIBILE» - Sulla questione è tornato ad intervenire anche il ministro dell'Interno, Roberto Maroni: «La polemica sull'Unhcr è incomprensibile - ha dichiarato il responsabile del Viminale - innalzare i toni potrebbe pregiudicare il buon lavoro che abbiamo fatto in questi dieci mesi». Anche perché, ha proseguito, il ruolo dell'Unhcr potrebbe essere «fondamentale».

«GOVERNO OTTUSO» - Alle dichiarazioni del ministro La Russa, ha risposto anche con una nota Anna Finocchiaro, presidente del gruppo Pd a Palazzo Madama. «La posizione del governo - sostiene Anna Finocchiaro - sta rasentando l'ottusità costringendo il nostro Paese in una situazione di isolamento internazionale sempre più preoccupante. Siamo a una sorta di delirio di onnipotenza che dovrebbe preoccupare tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell'Italia: su crisi e immigrazione, in nome della propaganda elettorale, questo governo - conclude - ci sta spingendo in un tunnel davvero pericoloso».


18 maggio 2009

da corriere.it
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« Risposta #17 inserito:: Maggio 19, 2009, 10:32:30 am »

19/5/2009
 
Conversione laica

 
FABIO MARTINI
 
Di Giorgio Almirante, il maestro della giovinezza, Gianfranco Fini ha conservato la virtù semantica, quel parlar chiaro senza girarci attorno.

Anche l’ultimo strappo, quello da Santa Romana Chiesa, il presidente della Camera lo ha consumato senza perifrasi: «Il Parlamento - ha detto Fini - non deve fare leggi orientate da precetti di tipo religioso». Concetto della tradizione laica e anche di grandi leader cattolici come Alcide De Gasperi, ma che non aveva mai fatto breccia, così esplicitamente, nella destra e nel centrodestra della Seconda Repubblica. E’ l’ultima «conversione» di Gianfranco Fini, il personaggio della politica italiana che più è cambiato nel corso degli ultimi mesi. E’ come se a cinquantasei anni, dopo una giovinezza e una maturità vissuti in un milieu post-fascista, Fini avesse deciso di «rifarsi una vita» politica.

La sequenza delle sue esternazioni spiazzanti è troppo lunga oramai per lasciar pensare ad un rosario di casualità. Sui medici-spia ha fatto sapere che non era d’accordo. E dal governo gli hanno dato ragione. I presidi autorizzati a chiedere il permesso di soggiorno ai padri? Il Presidente non gradiva e i signori del governo hanno cancellato. Il sindaco di Roma voleva intitolare una strada a Giorgio Almirante? Ecco Fini ricordare la stagione repubblichina del leader missino. Qualcuno torna a dire che il fascismo ha fatto anche qualcosa di buono? Ecco Fini sciogliersi nell’apologia dell’antifascismo. Tra i suoi ex camerati si fanno ancora battute da bar sulle checche? Ecco il Presidente della Camera ricevere le associazioni gay nel Palazzo. E tutte le sue esternazioni, anche quelle di minor impatto mediatico, oramai sono venate di femminismo, multiculturalismo, anti-razzismo, spirito laico, energica difesa delle ragioni di Israele. Nella tradizione della destra italiana c’era quel «Dio, Patria e Famiglia» che fece convergere l’Msi (di Almirante) con la Dc (di Fanfani e Paolo VI) nella battaglia rovinosamente perduta per cancellare il divorzio in Italia. Un istituto che era diventato legge grazie ad un Parlamento che, come dice il Fini di oggi, non si era lasciato orientare da precetti di ordine religioso.

Una conversione duratura? Chi lo frequenta nei giorni di festa, racconta che una delle radici del «nuovo» Fini stia in una rinnovata dimensione psicologica: la nuova compagna, la nuova figlia, «persino il frequentare coppie più giovani, con problemi e mentalità diverse», come racconta uno dei pochi amici anche nel tempo libero, Italo Bocchino. Una scossa interiore. Ma c’è anche qualcosa d’altro. «Sdoganato» da Berlusconi nel 1993, per 15 anni Fini non ha mai trovato una dimensione stabile. Aveva accarezzato la suggestione dell’indipendenza, ma l’elefantino con Mario Segni si era sgonfiato alla prima curva. Aveva cercato la via della successione come delfino prediletto del Cavaliere, ma gli era andata male. Anche il partito non era più quello di una volta, anche per via delle maldicenze propalate in un caffè romano dagli incauti colonnelli, che lo davano per finito. Paradossalmente, ma fino ad un certo punto, Fini si è sentito più libero, proprio quando si è liberato del suo partito. Dal 13 aprile 2008, col trionfo del Pdl berlusconiano, Fini si è affrancato, ha iniziato a produrre quella raffica di esternazioni a tutto campo che ancora non si sa dove finiranno. Ma lui stesso, quando parla riservatamente con i suoi, ha indicato un traguardo. Una meta che non può esprimere ancora esplicitamente, ma che riassume così: «Una destra moderna, laica, non populista, non ideologica». Una destra che, sostiene il «nuovo» Fini, in Italia finora non c’è mai stata.
 
da lastampa.it
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« Risposta #18 inserito:: Giugno 11, 2009, 05:43:02 pm »

Alla Camera il convegno per i 25 anni dalla morte del leader comunista

Il presidente della Camera: "Questione morale resti valore condiviso"

Fini ricorda Enrico Berlinguer "Quanta ammirazione per lui"


ROMA - Certo erano "altri tempi e altri uomini". E per questo il rimpianto, oggi, sarebbe un sentimento fuori posto. Ma "l'ammirazione" per quegli uomini, invece, deve trovare spazio anche ai giorni nostri. Gianfranco Fini, un passato nell'Msi fino allo scranno più alto di Montecitorio, ricorda così Enrico Berlinguer a 25 anni dalla sua morte improvvisa. "Capì il rischio di una degenerazione del sistema politico e ponendo la questione morale pose in realtà il problema della democrazia e delle sue basi di consenso e di legittimazione che si sgretolano se viene meno il nesso tra etica e politica" dice Fini ricordando il leader comunista.

Questione morale e "diversità comunista". Un binomio che Berlinguer tenne sempre vivo. Anche se oggi Fini crede che, quel rigoroso rivendicare il rispetto delle regole, in quella sobrietà come metodo di lotta politica e di comportamento, andasse oltre la tradizione della sinistra italiana. Fosse insomma patrimonio condiviso. "Nel richiamo al nesso tra etica e politica si esprime un più generale spirito repubblicano - continua Fini - E' quello stesso spirito che anche oggi deve rimanere come valore condiviso tra i diversi schieramenti politici".

Ricorda lo 'strappo' da Mosca, Fini, chiedendosi però perché Berlinguer non ruppe definitivamente con il comunismo, "non impresse una svolta ancora più profonda e radicale alla linea del suo partito, come un'altra generazione di dirigenti comunisti avrebbe fatto all'inizio degli anni Novanta".

Poi il presidente della Camera scende nel privato. E ricorda quando l'allora segretario dell'Msi Giorgio Almirante si recò alla camera ardente di Berlinguer. Solo, circondato da milioni di persone, di comunisti e non solo, che in quei giorni si strinsero attorno alla bare del segretario. "Fu riconosciuto - ricorda Fini - e furono avvertiti i dirigenti del partito. Scese Giancarlo Pajetta e gli disse di accomodarsi. Quando nel pomeriggio chiesi ad Almirante perché fosse andato da solo, mi rispose: 'Da solo, perché non dovevo temere nulla, perché oltre il rogo non v'è ira nemica...' e poi mi confidò di essere rimasto colpito dal fatto che Berlinguer avesse voluto portare fino in fondo il suo comizio a Padova, fino all'estremo sacrificio". Quelle immagini di un uomo che, colpito dal malore, tenacemente continua a parlare. Mentre la piazza lo implora di smettere. Qualche tempo dopo toccò a Pajetta rendere omaggio davanti alla bara di Almirante. Altri uomini di altri tempi. Che lasciano, però, insegnamenti ancora attuali.

(10 giugno 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #19 inserito:: Giugno 13, 2009, 09:55:49 pm »

2009-06-12 19:14

Gheddafi: discorso Fini, no a Usa come terroristi


ROMA - "Le democrazie, a partire da quella americana, possono sbagliare, ma certo non possono essere paragonate ai terroristi". E' questo uno dei passaggi del discorso che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avrebbe dovuto pronunciare durante la cerimonia a Montecitorio con il leader libico Muhammar Gheddafi.

"Gli italiani, cattolici ed ebrei che hanno lasciato la Libia costituiscono una preziosa risorsa per il futuro delle relazioni bilaterali" anche perché "hanno contribuito con il loro lavoro alla prosperità del paese e hanno sofferto pagando responsabilità non loro". E' un altro passaggio del discorso che il presidente della Camera, Gianfranco Fini, avrebbe dovuto tenere durante il convegno a Montecitorio.

"Auspico - si legge ancora nel discorso -  che una delegazione dei deputati italiani possa recarsi presto in visita a campi libici di raccolta degli immigrati, per verificare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo, sanciti dalle Nazioni Unite e dal Trattato di Bengasi, con particolare riguardo ai richiedenti asilo e ai perseguitati politici". 

da ansa.it
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« Risposta #20 inserito:: Agosto 03, 2009, 03:29:41 pm »

3/8/2009 (10:35) - LA POLEMICA

Decreti legge e fiduce, l'altolà di Fini: il governo non esautori il Parlamento
 
Il presidente della Camera frena: ma non riguarda solo questa legislatura


ROMA
Il problema di come garantire l’equilibrio tra ricorso ai decreti da parte del governo e possibilità di intervento da parte del Parlamento, preclusa in caso di maxiemendamenti coperti dalla fiducia, non nasce oggi, osserva Gianfranco Fini, ma ciò non toglie che «nessuno da parte del governo può pensare di non doversi confrontare con il Parlamento» nè di poter «esautorare il Parlamento dal diritto-dovere di controllare». Il presidente della Camera lo ribadisce intervistato dal capo ufficio stampa di Montecitorio, Beppe Leone, nel consuntivo di un anno di legislatura per il canale satellitare della Camera.

Fini rileva che il tema, sul quale nei giorni scorsi ha auspicato un’approfondita riflessione alla ripresa, «è una questione che riguarda governo e gruppi parlamentari, perchè tengo a ribadire che non è nata in questa legislatura ma è nel dibattito politico da almeno due o tre legislature». «Ricordo che in quella passata, il Capo dello Stato, che era anche all’epoca il Presidente Napolitano, si rivolse espressamente al governo dell’epoca - annota - per sottoporre all’attenzione il problema del meccanismo che si determina nel momento stesso in cui il governo, legittimamente, presenta un maxiemendamento ad un decreto sul quale, altrettanto legittimamente, pone la questione di fiducia».

«La conseguenza che si determina - rileva Fini - è che l’Assemblea, specialmente se non è rispettato e tenuto nel dovuto conto il lavoro delle commissioni, si vede di fatto esautorata del diritto-dovere di discutere e di intervenire e, se vuole, di emendare. Quindi è una questione che dovrà essere affrontata nella giunta del Regolamento. Devo dire che tutti i gruppi parlamentari si sono dichiarati disponibili ad affrontare questa questione e, al momento, non sono in grado di dire cosa si possa proporre in Giunta perchè sia poi inserito nel Regolamento della Camera». «È certo - osserva però il presidente della Camera - che il governo deve essere consapevole che nel Parlamento nessuno vuole limitare il diritto-dovere di governare che una maggioranza ha, nel momento stesso in cui dal responso delle urne risulta tale. Al tempo stesso, nessuno da parte del governo può pensare di non doversi confrontare con il Parlamento, perchè questo prevede la nostra Costituzione, e quindi nessuno può pensare di esautorare il Parlamento dal diritto-dovere che ha di controllare, di emendare se lo ritiene, di approvare o respingere un provvedimento del governo».

«In altri termini - prosegue - è una questione che, anche da un punto di vista concettuale e, se vogliamo, culturale e di dottrina costituzionale, chiama in causa i grandi principi della democrazia. Deve essere rappresentativa, e quindi il Parlamento rimane un organismo costituzionale centrale nel procedimento legislativo, e al tempo stesso - ricorda - deve essere governante e quindi al ruolo dell’esecutivo deve essere riconosciuta la possibilità, in tempi prestabiliti, di vedere approvate o respinte le leggi che presenta al Parlamento».

da lastampa.it
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« Risposta #21 inserito:: Agosto 27, 2009, 04:09:48 pm »

«Biotestamento, farò il possibile per correggere il testo»

Monito di Fini sull'immigrazione: «L'approccio emotivo è miope»

Il presidente della Camera interviene alla Festa del Pd: «No a politiche vagamente razziste»


ROMA - Il tema dell'immigrazione non deve essere piegato alla «propaganda quotidiana». Gianfranco Fini interviene alla Festa del Pd di Genova e lancia quello che appare come un monito dopo le polemiche degli ultimi giorni (non ultima lo scontro tra Lega e Vaticano). «Affrontare un tema così grande, con un'ottica riduttiva, che qualche esponente politico sembra avere - afferma il presidente della Camera - rischia di non portarci da nessun parte. L'approccio emotivo e fondato soltanto sulla questione della sicurezza dei cittadini italiani è miope e sbagliato». Non solo. Secondo Fini, i diritti fondamentali dell'uomo sono «universali e non possono essere negati. Di fronte a ciò, e alla portata biblica delle migrazioni, le risposte devono essere quanto più globali possibile, innanzitutto dalla parte ricca del pianeta nei confronti del Sud del mondo. Il problema delle migrazioni non lo risolvi quando il migrante è sul tuo uscio di casa».

NO A POLITICHE RAZZISTE - «Spogliandosi dei panni del presidente della Camera», e tornando a vestire quelli di «uno dei fondatori del Pdl», Fini rimarca le differenze rispetto all'approccio leghista proprio sul tema dell'immigrazione: «Ho l'impressione che il Carroccio continui a guardare con lo specchietto retrovisore, o se volete guarda al quotidiano. Mi auguro che il Pdl comprenda che se si limita a produrre una fotocopia della politica dell'originale, dove per originale si intende la Lega Nord, è naturale che l'originale sia sempre più gradito. Per questo è necessario che il Pdl affini l'approccio alla materia». «Chi arriva in Italia è una persona - ribadisce poi. - La distinzione tra regolare e clandestino non può essere la cartina al tornasole per orientare una politica». Fini sintetizza il suo pensiero con una formula: «Estremo rigore nel rispetto delle regole fondamentali per l'ingresso e la permanenza sul territorio nazionale, ma censura nei confronti di qualsiasi politica che sia vagamente discriminatoria, xenofoba, razzista». E poi aggiunge: «Alcune politiche fatte in Italia non dovevano essere inserite in un provvedimento normativo e sono lieto che il Parlamento abbia detto di no». Il presidente della Camera fa un esempio: «La norma che prevedeva che se un clandestino si presenta in ospedale non ha diritto di essere curato». Fini lancia però un avvertimento. «Attenzione a non cadere nell'eccesso contrario, nel pensare cioè che tutti coloro che arrivano in Italia abbiano la possibilità di farlo».

LEGA E CHIESA - Il presidente della Camera accoglie comunque positivamente il chiarimento del Carroccio dopo l'articolo della "Padania" che parlava di una possibile revisione del Concordato. «È positivo che la Lega nord abbia detto 'non se ne discute, il Concordato non c'entra nulla'. E ci mancherebbe». «La Chiesa - aggiunge - lancia un messaggio di carattere universale: come si può pensare che abbia un'ottica nazionale? Non si può piegare la Chiesa alla propaganda quotidiana, come se fosse un perenne comizio di periferia quello che viene da una fonte così autorevole».

BIOTESTAMENTO - Fini affronta anche la questione "biotestamento" e promette che farà «il possibile per correggere il testo alla Camera». «Non credo che si tratti di favorire la morte - spiega - ma di prendere atto della impossibilità di impedirla, affidando all'affetto dei familiari e alla scienza dei medici la decisione». «Non voglio fare nessuna crociata contro i cattolici, per i quali ho il massimo rispetto - afferma - ma chi dice che su queste questioni decide la Chiesa e non il Parlamento per me è un clericale. Io dico di no, spetta al Parlamento decidere». «Ogni cittadino e ogni parlamentare - ribadisce - deve rispondere alla sua personale coscienza. Su questioni relative alla vita e alla morte non ci può essere un vincolo di maggioranza o di partito». Ma per l'Udc Fini sbaglia perché «un presidente della Camera non è chiamato a correggere, ma ad agire nel rispetto del suo ruolo istituzionale e a farsi garante della volontà del Parlamento». Luisa Capitanio Santolini aggiunge anche che «ci aspettiamo che la Camera possa lavorare tranquillamente e senza alcuna interferenza sul testo uscito dal Senato, nel quale stata trovata la giusta mediazione tra le posizioni per fare una buona legge sul fine vita».

GABBIE SALARIALI- «Un modo antinazionale», così Fini descrive le gabbia salariali. Un problema che c'è perchè bisogna «cominciare a collegare la produttività alla consistenza dello stipendio». Fini ha ripetuto «di non trovare nulla di disdicevole se c’è una differenza tra il salario di un metalmeccanico a Lamezia e a Savona», ma poi anche per il metalmeccanico di Lamezia «si deve collegare salario a produttività».

CAMERE- « Non dall’inizio di questa legislatura ma da tempo c’è un rischio di cortocircuito tra il diritto dell’esecutivo di governare e il diritto del Parlamento che deve controllare, indirizzare, discutere», spiega il presidente della Camera che aggiunge: « serve una approfondita discussione su come rendere la democrazia governante, è una discussione che andrà fatta».

G8 DI GENOVA- «Come italiano sono stato felice che la Corte Europea abbia detto in modo inequivocabile che Placanica abbia agito per legittima difesa. Mi fa piacere che applaudiate perchè ci ricordiamo quante polemiche ci furono». È il commento di Fini sulla sentenza che ha assolto il carabiniere che uccise Carlo Giuliani durante il G8 nel 2001.


26 agosto 2009(ultima modifica: 27 agosto 2009)
da corriere.it
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« Risposta #22 inserito:: Novembre 03, 2009, 06:35:26 pm »

Fini irritato anche per le insinuazioni su Napolitano. "Con il capo dello Stato non romperò mai"

Lo stop del finiano Ronchi complica i piani di Ghedini sulla prescrizione breve

Il gelo del presidente della Camera "Con Feltri ci vedremo in tribunale"


di LIANA MILELLA


ROMA - "Tanto con quello ci vedremo in tribunale". È un Fini arrabbiatissimo quello che butta via dal tavolo la copia del Giornale (un fondo del vicedirettore Sallusti intitolato "C'è un tentativo di fermare l'azione del governo" con, in fondo, una velata minaccia: "E' possibile che nei prossimi giorni ne vedremo delle bele") e archivia con quella battuta l'ennesimo attacco che lo accomuna a Napolitano e dietro il quale, ovviamente, vede la mano di Berlusconi. Sul Colle la reazione non è molto differente. Il presidente legge, s'indigna, ma la sua reazione, dopo una giornata in cui gli arrivano continui messaggi di piena solidarietà, è volutamente e soltanto un "gelido no comment".

Ma nei due palazzi, la Camera e il Quirinale, la lettura dell'articolo è univoca: il Cavaliere, mal consigliato da chi gli sta più vicino, ormai scambia una linea politica, la tutela e la piena difesa di alcuni valori, come quello della legalità, come un atto di infedeltà, come un infido attacco alla sua persona e, soprattutto, come il tentativo di abbandonarlo nel momento più difficile della sua vita politica. Per questo arma la mano del direttore Feltri. Lui, ormai privo dello scudo processuale, deve affrontare il tribunale di Milano. E nei "no" del presidente della Camera e di Napolitano, l'ultimo sulla prescrizione breve e sui processi lampo da infilare con un blitz nel decreto comunitario oggi in aula al Senato, vede solo l'insistente volontà di disarcionarlo. Non sopporta l'asse Fini-Napolitano e interpreta un'affermazione di Fini, che i suoi gli riportano, come la conferma del sospetto che l'ex leader di An lavori contro di lui. Ripete sempre Fini a proposito del capo dello Stato: "Con lui io non romperò mai". E ne seguono attestati di stima e l'irritazione per i continui attacchi al presidente veicolati dal Giornale.

La partita sulla giustizia cammina verso giornate decisive. Il Cavaliere attende nervoso quella "soluzione finale" che, come gli continua a promettere il suo avvocato Niccolò Ghedini, deve salvarlo dalle sentenze Mills e Mediaset. Ma stavolta vuole dietro di sé tutta la maggioranza, non è ammessa alcuna defezione. Quindi impone un'assunzione di alta responsabilità politica. E per questo, ragionano nell'entourage di Fini, scatena le minacce veicolate dal Giornale. Mercoledì o giovedì, salute del premier permettendo, saranno i giorni clou, si vedranno lui con Bossi e Fini per chiudere assieme l'accordo sulle regionali e quello sulla giustizia, compresa "la" o "le" leggine che gli servono per anestetizzare quegli "odiosi dibattimenti".

Fini e i leghisti sono presi d'assalto dai berluscones. "Il Cavaliere deve essere salvato a ogni costo. Non sono ammessi distinguo" dicono e premono. Ma Fini i paletti continua a metterli, e pure ben piazzati. Ripete con i suoi il ragionamento che ha fatto tante volte in questi mesi. Che ruota intorno al nodo politica e giustizia e, all'interno di questo, al peso che assumono i processi di Berlusconi. Il presidente della Camera non pronuncia dei "no" pregiudiziali contro il capo del governo, riconosce che, in generale, la questione esiste e va affrontata. Ma ci sono modi e maniere. C'è un metodo. Ci sono dei valori, la legalità prima di tutto, storico cavallo di battaglia di An. C'è la possibilità di realizzare davvero riforme condivise con l'opposizione, ma a patto che ci sia davvero la voglia di ottenere un risultato comune.

Qui s'incrina il rapporto con Berlusconi che vorrebbe invece un'adesione cieca a ogni suo allarme giudiziario e l'appoggio a qualunque progetto, anche a costo di mandare al macero migliaia di processi.

Ma lo stop di Fini, per il passato e per il futuro, è netto. Lo ha pronunciato per lui Giulia Bongiorno quando, l'anno scorso, ha fermato prima la norma blocca-processi e poi le intercettazioni. Un no appena ripetuto per la prescrizione breve, perché per far "morire" un paio di processi non se ne possono mandare al macero altre migliaia. Per questo il finiano Andrea Ronchi ha ferma il blitz sulla prescrizione al Senato. Che ha scatenato la reprimenda del Giornale.

Ma il braccio di ferro continua in queste ore. Ghedini preannuncia che inonderà il Senato di progetti di legge sulla prescrizione e sui processi da contenere in sei anni. Tra questi uno "deve" salvare il suo premier.

Ma, anche a costo di sfidare l'ira di Berlusconi, i finiani non mollano. Non passerà nulla che possa distruggere la giustizia. Niente leggi ad personam, se l'impatto è devastante. E niente blitz contro Napolitano.

© Riproduzione riservata (3 novembre 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #23 inserito:: Novembre 03, 2009, 06:38:13 pm »

E sul dopo-premier chiosa: «Se ne parlerà quando arriverà»

«Talvolta accade che Berlusconi confonda la leadership con la monarchia assoluta»

Fini a Vespa: «Riconosco la leadership del leader della Pdl, ma la talvolta la confonde con la monarchia»


ROMA - «Talvolta accade che Berlusconi confonda la leadership con la monarchia assoluta»: risponde così il presidente della Camera Gianfranco Fini, nel libro di Bruno Vespa "Donne di Cuori", alla domanda dell'autore se riconosca la leadership di Berlusconi.

LEADERSHIP - «Certo che la riconosco - sottolinea Fini - non è stato Berlusconi l'artefice della lunga transizione italiana? Ma bisogna mettersi d'accordo su che cosa s'intenda per leadership.
Se la intendiamo come la intendono quasi tutti i vocabolari politici, non c'è nessuna discussione. Se la si intende, invece, come monarchia assoluta, allora no. E talvolta - conclude - accade che Berlusconi confonda la leadership con la monarchia assoluta». Nel trasmettere l'anticipazione, si legge nel lancio, Vespa ricorda che questa parte del colloquio con Fini è avvenuta prima del chiarimento di fine ottobre con Berlusconi sull'attivazione operativa degli organi di partito, che nello stesso libro di Vespa, in un secondo colloquio, il presidente della Camera ha definito positiva.

IL DOPO-BERLUSCONI - Successivamente Fini affronta il tema del dopo-Berlusconi che liquida con un «Se ne parlerà quando arriverà». A Vespa poi che gli chiede se sia a rischio il bipolarismo italiano il presidente di Montecitorio risponde: No, e sono andato a dirlo alla convention dell'Udc (tenutasi a Chianciano dall'11 al 13 settembre 2009). Non credo affatto alla necessità di tornare all'epoca in cui le maggioranze nascevano in Parlamento e non dal voto degli elettori.Il grande merito storico di Berlusconi è proprio questo«. Infine parlando del suo futuro l'ex leader di An aggiunge: » Che cosa voglio fare da grande? Invecchiare...».

CORRENTE FINIANA NEL PDL - Fini sottolinea che non è geloso se i suoi "colonnelli" sono ormai più vicini a Berlusconi che a lui ed esclude la nascita di una corrente "finiana" nel Pdl. Al di là del suo ruolo istituzionale, Gianfranco Fini può considerarsi un militante del Pdl?, chiede Vespa. «Certo, ho contribuito a fondare questo partito e ci mancherebbe che non mi considerassi un militante. Oggi, però, la passione politica della militanza non sta soltanto nel ribadire gli elementi identitari, ma nel definire con uguale passione qualche prima, sommaria, risposta a problemi globali che non si possono archiviare come se non esistessero solo perchè sono complessi o non ancora manifestatisi in tutta la loro dimensione. Eppure, da mesi viene segnalato un distacco emotivo nei confronti di Fini da parte della base del Pdl e della stessa frazione originaria di An, interviene ancora Vespa. »Se consulta l'applausometro - risponde Fini - ha ragione. Ma è uno strumento di rilevazione inesatto. Se cerchi di strappare l'applauso con un ragionamento, trovi un terreno molto più impervio rispetto a chi ha una parola d'ordine netta e gratificante«. Talvolta si ha l'impressione che alcuni ministri, un tempo «colonnelli» di Fini, lo siano diventati di Berlusconi, dice Vespa «E meno male - sorride Fini - che c'è stata una certa scomposizione del rapporto 70-30 tra Forza Italia e Alleanza nazionale, altrimenti avremmo fatto una confederazione, non un partito. Il Pdl non avrebbe senso se non fosse un mare vasto in cui elementi di aggregazione e di dissenso vanno oltre le vecchie appartenenze di partito. Questo aspetto, francamente, è quello che mi dà minori motivi di riflessione». «Nel Pdl esiste una corrente finiana?» chiede Vespa «Se ragionassi con questa logica, mi sarei tenuta stretta Alleanza nazionale. Le correnti avevano senso quando servivano a gestire fette di potere, o comunque in partiti di carattere ideologico. Come si fa oggi a portare una logica di corrente dentro un partito «liquido», per usare un termine caro a Zygmunt Bauman?».


03 novembre 2009
da corriere.it
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« Risposta #24 inserito:: Febbraio 19, 2010, 04:27:59 pm »

Il presidente della Camera all'Aquila: "Opere in tempi rapidi, ma nel rispetto assoluto della legge"

La magistratura saprà fare piena luce sulle vicende di corruzione di cui si parla"

Inchiesta G8, Fini contro la logica dell'emergenza "Le procedure non sono inutili orpelli"


L'AQUILA -  Il luogo scelto è altamente simbolico. L'Aquila devastata dal terremoto. D qui il presidente della Camera, nei giorni dello scandalo che travolge la Protezione civile lancia un monito alla "trasparenza" nell'assegnazione degli appalti pubblici. "E' e sarà compito degli uffici centrali del governo, dell'autorità regionale e provinciale, dei comuni interessati dalla ricostruzione e dagli organi tecnici competenti vigilare affinchè questo sforzo di rinascita si svolga nel pieno rispetto delle leggi e delle norme poste a tutela della correttezza e della trasparenza degli operatori pubblici e privati".

"Nell'assegnazione degli appalti - insiste Fini - deve essere infatti assicurata l'imparzialità delle procedure e la celerità delle stesse. La capacità di un paese di dimostrarsi realmente avanzato si misura anche con la capacità di realizzare le opere in tempi rapidi, nel supremo rispetto della legge".

Insomma, per il presidente della Camera "in uno stato di diritto le procedure non possono essere considerate come degli inutili orpelli da derogare fin troppo facilmente in qualsiasi momento e chi gestisce risorse pubbliche deve sempre ricordarsi che agisce in nome e per conto della comunità".

Poi una battuta con cui si smarca nettamente dall'atteggiamento tenuto dal presidente del Consiglio sulla vicenda Bertolaso.
La magistratura, dice Fini, saprà fare piena luce sulle vicende di corruzione che stanno caratterizzando la gestione del G8 della Maddalena. Poi comunque aggiunge: "E' moralmente doveroso ricordare, l'impegno e all'abnegazione con cui le autorità provinciali e comunali unitamente ai vertici e ai volontari della Protezione civile, dei vigili del fuoco, delle forze dell'ordine e della Croce rossa hanno affrontato con grande prontezza e straordinaria efficacia la gravissima emergenza del terremoto dell'Aquila e hanno posto le basi per una pronta ricostruzione".

(19 febbraio 2010)
da repubblica.it
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« Risposta #25 inserito:: Marzo 07, 2010, 10:14:28 am »

Il presidente della Camera a Napoli: basta con l'alibi del Mezzogiorno

"Le classi politiche locali hanno il dovere di dimostrare che il Sud può farcela"

Fini: "Servono candidati sopra ogni sospetto La legalità non è solo avere un processo breve"


NAPOLI - "C'è assoluta necessità di candidature al di sopra di ogni sospetto, come si diceva un tempo per la moglie di Cesare". A dirlo, a Napoli, nell'intervento conclusivo del convegno congiunto delle fondazioni "Mezzogiorno Europa" e "Farefuturo" sul tema "Per la buona politica. Per un nuovo Mezzogiorno", è il presidente della Camera Gianfranco Fini, che sottolinea come invece si dia vita "a un dibattito tra schieramenti" nel quale questa necessità "diventa argomento da rinfacciarsi da uno schieramento all'altro".

La terza carica dello Stato aggiunge: "Non si può dire 'legalita' come pre-condizione e poi limitarla alla brevità dei processi e alla presenza di forze dell'ordine e magistratura sul territorio. La legalità è una serie di politiche che presuppone inevitabilmente una qualità della classe dirigente". Poi, il concetto centrale del suo intervento: lo slogan del Mezzogiorno come "questione nazionale" non deve diventare un alibi per le classi politiche meridionali, che al contrario hanno il dovere di dimostrare che il Mezzogiorno può farcela. "Basta con gli alibi, occorre una piena consapevolezza delle classi politiche meridionali, ovviamente nell'ambito di politiche nazionali".

Poi, Fini ha concluso con un monito a fare attenzione "perché il tempo sta per scadere e non credo che gli italiani consentiranno altri cinque, dieci anni di convegni e di riflessioni sul Mezzogiorno". Al convegno sono intervenuti fra gli altri il viceministro Adolfo Urso, il responsabile per il Mezzogiorno del Pd Umberto Ranieri e la presidente di Confindustria Campania, Cristiana Coppola.

(05 marzo 2010)
da repubblica.it
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« Risposta #26 inserito:: Marzo 15, 2010, 04:31:08 pm »

Bocchino: nel Pdl serve un nuovo movimentismo

Via a Generazione Italia

Associazione «benedetta» da Fini

Non è il primo passo verso un addio, su questo l'ex leader di An è chiarissimo: «Il Pdl non lo lascio agli altri»



ROMA - La sorpresa l’ha rovinata Vittorio Feltri. Che, in piena campagna elettorale, ha svelato l’iniziativa che i promotori avrebbero voluto tenere coperta fino all’ultimo: nascerà il primo aprile «Generazione Italia», creatura politica fondata da Italo Bocchino con la benedizione di Gianfranco Fini. Che è un giornale online ma non solo, un’associazione ma non solo, un gruppo di pressione che tende a calamitare consensi interni ed esterni al Pdl ma non solo, ma che sicuramente non è un partito a se stante, non è insomma la tanto temuta o evocata «scissione» dei finiani doc dalla casa madre. Con i suoi, Fini ha infatti commentato con una battuta tra l’ironico e il sarcastico il titolo del Giornale («Pesce d’aprile di Fini per mangiarsi il Pdl»): «Quando l’ho letto, mi sono chiesto: ma esiste uno sciamano che possa guarire Feltri dall’ossessione del mio tradimento?».

Ma non c’è dubbio che Generazione Italia - che si consoliderà in area politica strutturata l’8 e 9 maggio in un convegno a Perugia con 1200 delegati, che avrà un suo logo, la partecipazione di tutto il vertice del Pdl, un messaggio del premier e le conclusioni affidate del presidente della Camera - non è solo una corrente, o una fondazione tra le tante. E tantomeno è il primo passo verso un addio, visto che su questo Fini è sempre stato chiarissimo: «Il Pdl l’ho co-fondato, non lo lascio certo agli altri». Italo Bocchino (in partenza per Parigi per siglare il gemellaggio con l’analoga associazione di circoli che fa riferimento all’Ump di Sarkozy) precisa allora che l’iniziativa non è affatto contro il Pdl, anzi «vogliamo muoverci proprio per dare una scossa al partito, per attrarre nuovi consensi: se FareFuturo guarda fuori dai confini, se il Secolo fa il corsaro, noi vogliamo costruire una nuova classe dirigente partendo dal territorio, e discutendo di politica vera. Insomma, vogliamo essere uno strumento nel e per il partito». E però, le cose devono essere chiare: un finiano storico e della prima ora dice chiaramente che «è arrivato il momento di dare vita a un nuovo movimentismo nel partito, perché così com’è il Pdl non va da nessuna parte, la baracca non funziona. Avanti chi è bravo, chi è competente, basta con le quote 70-30, e basta con l’approccio tutto rivolto al "popolo" del centrodestra senza mediazioni».

Basta insomma, è il grido che si leva dai promotori di Generazione Italia e dunque dallo stesso Fini, con iniziative come quella dei «promotori della libertà» della Brambilla che tanto malumore stanno creando non solo nell’ex An, ma anche nell’ex Fi: «Al Pdl non servono predellini o predelline - continua l’alto esponente finiano - ma prendere atto che bisogna cambiare registro». E su questa base, sono convinti i finiani, l’iniziativa potrebbe raccogliere consensi anche fuori dall’area tradizionale dell’ex An, se è vero che negli ultimi tempi si sono rafforzati i rapporti tra lo stesso presidente della Camera e ministri come Tremonti o Fitto. Insomma, quello che potrà essere davvero Generazione futura lo si capirà «dopo le Regionali, è tutto da scoprire», sussurra Fabrizio Cicchitto, che come tutti gli uomini vicini a Berlusconi non sottovaluta affatto la mossa di Fini. Perché una cosa è chiara nel Pdl: la corsa alla successione del premier è ormai partita, e tutto si può pensare tranne che l’ex leader di An se ne resti in disparte a guardare gli altri che si posizionano ai blocchi.

Movimenti che ovviamente insospettiscono il Cavaliere, che ai suoi ripete da tempo lo stesso commento: Fini faccia quel che vuole, se lo vuole è libero di andarsene. Ma Fini, appunto, ad andarsene non pensa affatto. A lottare per un partito diverso sì. E se sarà guerra totale o piuttosto una redistribuzione dei poteri nel partito, lo si vedrà solo dopo le elezioni: adesso «sarebbe meglio - consiglia freddamente il coordinatore del Pdl Ignazio La Russa - che tutti ci concentrassimo sul voto, facendo campagna elettorale. Il resto - che si tratti di un semplice convegno o di qualcos’altro -, non mi pare attuale...». Parole sottoscritte dai berlusconiani doc, mentre Umberto Bossi sembra far spallucce: «Generazione Italia? Vadano pure avanti, purché si faccia il federalismo».

Paola Di Caro
15 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #27 inserito:: Marzo 22, 2010, 03:30:34 pm »

Al presidente della Camera non è piaciuto il giuramento dei candidati in piazza San Giovanni

E neppure lo "spot" del Cavaliere per la Lega: "Nessuna nuova forza, ma non mi faccio espellere"

Il day after di Fini dopo l'adunata "Sono al lavoro per cambiare il Pdl"

di FRANCESCO BEI


ROMA - Non gli è piaciuto il giuramento dei governatori con la mano sul cuore che, come tanti scolaretti, recitavano la promessa del "governo del fare". Né i toni da "tifoseria" di alcuni. E si può immaginare cosa abbia pensato vedendo sul palco di piazza San Giovanni il cantastorie Apicella e Demo Morselli, le majorettes e i cori "un presidente, c'è solo un presidente". Si può solo immaginare appunto, perché Gianfranco Fini sceglie volutamente di non dire una parola sull'appuntamento clou del suo partito, per non esporsi ulteriormente alle critiche del fronte interno. Come quelle del Giornale, che anche ieri non ha mancato di far notare come i predecessori di Fini alla presidenza della Camera - Irene Pivetti, Fausto Bertinotti e Pier Ferdinando Casini - non si siano mai fatti problemi a partecipare ad eventi organizzati dai loro partiti.

Quello che pensa Fini lo dirà oggi a Verona, ma ai suoi ha già affidato un ragionamento su quello che sarà lo scenario dopo le regionali: "Io lavoro per cambiare il Pdl, ma non sto facendo un altro partito. E non ho intenzione di farmi espellere". Il presidente della Camera scommette che sarà il tempo a dargli ragione. Soprattutto se le elezioni dovessero andare come prevede che vadano, cioè con uno sfondamento della Lega in tutto il Nord. "Anche sul palco di San Giovanni - osserva un esponente finiano - Berlusconi ha offerto uno spot pazzesco alla Lega e a Bossi. Non si capisce, è come se volesse farlo decollare sempre di più". Ma quando si usano toni da crociata sul problema della clandestinità, quando si imputa a un "complotto" della sinistra l'idea di concedere il voto amministrativo agli immigrati, quando sul palco Bossi e Berlusconi sembrano parlare la stessa lingua, "è chiaro che tra la copia e l'originale - commenta Fini - gli elettori scelgono l'originale".

Il presidente della Camera, per immaginare il futuro suo e quello del Pdl, aspetta quindi i risultati elettorali. Se le regionali dovessero rivelarsi un trionfo personale per il premier, la sua agibilità politica all'interno sarà ancora più ridotta. È quello che prevedono e sperano anche alcuni osservatori interessati, come Francesco Rutelli: "Fini è molto a disagio nel Pdl e si vedrà dopo le elezioni come questo disagio si tradurrà in fatti politici". Al contrario, se il Pdl dovesse scendere sotto il risultato delle Europee, magari con un magro 34%, se Berlusconi dovesse perdere il "tocco elettorale", la situazione cambierebbe.

Ma dall'entourage di Fini sono molto netti nell'escludere che possa esserci un'accelerazione a breve. Anche Generazione Italia, la creatura messa in piedi da Italo Bocchino per dotare Fini di una solida "constituency", al momento resterà all'interno del Pdl. Nessuno strappo. "Siamo molto impegnati in campagna elettorale - assicura Adolfo Urso - e tutti gli strumenti, tanto il progetto di "Generazione Italia" cosi come lo è il progetto dei "Promotori della Libertà", annunciato da Berlusconi qualche settimana prima, possono contribuire al dibattito interno". Del resto "non avrebbe senso - spiega uno degli animatori del progetto G. I. - fare una corrente di An dentro il Pdl. Con il rischio di scoprirsi minoranza". Tanto più che persino alcuni esponenti un tempo vicini alle posizioni del presidente della Camera, come si è visto alla manifestazione, ormai sembrano propendere per il premier.

Dunque l'idea è quella di aspettare per vedere se Berlusconi accetterà la proposta che Giuliano Ferrara - tra gli applausi dei finiani doc - ha illustrato tre giorni fa: un patto politico tra i due leader, un accordo che consenta alla maggioranza di fare le riforme, a Fini di immaginarsi come candidato premier nel 2013, concedendo in cambio il suo sostegno per l'ascesa del Cavaliere al Quirinale. È chiaro che, al momento, si tratta solo di scenari. E non c'è il minimo sentore che il premier voglia accettare un'intesa del genere. Carmelo Briguglio ammette che, finora, il Cavaliere è andato in una direzione opposta: "Prima ha proposto Angelino Alfano come candidato premier, un po' scherzando e un po' no. Poi ha lanciato l'elezione diretta del capo dello Stato. Si capisce che, come successore, ha in mente una figura alla François Fillon, un premier che resta in secondo piano rispetto a Sarkozy". Ma se le regionali dovessero tramutarsi in un bagno elettorale, proprio come in Francia, allora la stella di Fini tornerà a brillare.
 

© Riproduzione riservata (22 marzo 2010)
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« Risposta #28 inserito:: Aprile 08, 2010, 11:23:50 pm »

Il convegno di "farefuturo" sulle riforme

Fini: «Serve un migliore equilibrio tra ruolo del Parlamento ed esecutivo»

Il presidente della Camera: «Il modello francese? Non può prescindere dalla legge elettorale»


MILANO - «In Italia si avverte l'esigenza di trovare un migliore equilibrio istituzionale tra il ruolo del Parlamento e quello dell'esecutivo». Gianfranco Fini sceglie il convegno di FareFuturo, «La Quinta Repubblica: un modello per l'Italia?», per il suo primo intervento pubblico dopo le elezioni del 28-29 marzo. Un incontro dedicato al tema del riforme, a proposito delle quali il presidente della Camera evidenzia come nel nostro Paese «l'urgenza» di affrontarle «continua a scontrarsi con una discussione pubblica viziata da una stanchezza culturale e da non pochi pregiudizi di carattere politico».

ESEMPIO FRANCESE - «Quello che dovremmo cercare di importare in Italia dal modello francese - auspica Fini - è la garanzia della vitalità, della lunga durata di un sistema che tenendo conto delle tradizioni e delle mutevoli esigenze della Francia ha saputo sempre riconciliare, con modalità ed effetti differenti, da un lato la rappresentanza con l'efficienza, dall'altro il parlamentarismo con la leadership». Fini sottolinea però le differenze tra la situazione italiana attuale e quella francese ai tempi della nascita della Quinta Repubblica: «Per quanto il dibattito sulla forma di governo possa ricalcare quello francese, in quello italiano mancano per fortuna quegli elementi di rottura e di minaccia dalle quali derivarono le decisioni del '58: il rapporto con l'Algeria, la fase di turbolenza che attraversava Parigi in quel momento...». Inoltre, ricorda il presidente della Camera, lo stesso «contesto in cui si inserisce una eventuale revisione della forma di governo è profondamente diverso da quello degli anni '50'-'60, quando il processo di unificazione europea era ancora agli inizi».

LEGGE ELETTORALE - In ogni caso, ci tiene a sottolineare Fini, la discussione italiana sul modello francese non può prescindere dalla riforma della «legge elettorale». «La Quinta repubblica e il semi-presidenzialismo - conclude - possono essere un modello per il nostro Paese» a patto che la discussione non sfoci in «un'adozione amputata nei suoi meccanismi di equilibrio e garanzie»

Redazione online
08 aprile 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
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« Risposta #29 inserito:: Aprile 29, 2010, 10:26:05 am »

 Saviano: Fini, "Berlusconi non dovrebbe fare quelle affermazioni"

28 Aprile 2010 18:16 POLITICA

ROMA - ''Quando il presidente del Consiglio dice che Saviano sbaglia, io dico quel che penso: e' meglio che queste affermazioni non le faccia - dice Gianfranco Fini - perche' e' come dire che Albert Camus con 'La peste' era un untore''. Il presidente della Camera ha parlato nel corso della registrazione di 'Porta a Porta'. (RCD)

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