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Autore Discussione: GIANFRANCO FINI.  (Letto 20976 volte)
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« inserito:: Agosto 30, 2007, 11:54:18 pm »

Il colloquio con il leader di An Fini: «Vedrete che si vota in primavera» «La linea di Montezemolo sul fisco? E' quella di tutte le aziende» 

 DAL NOSTRO INVIATO


CORTINA D'AMPEZZO — «Scommettiamo che in primavera si vota?». È riemerso dai fondali della Corsica rilassato e abbronzato, determinato a unire il centrodestra per far cadere Prodi. E quando arriva a Cortina per il duello con Piero Fassino, Gianfranco Fini mostra di aver mandato a memoria la «lezione» di Luca Cordero di Montezemolo: la vera emergenza è il fisco e le reazioni con cui la sinistra ha accolto la riflessione del leader degli industriali, mettono in luce le contraddizioni del governo. «È l'ennesima dimostrazione di quanto l'atteggiamento della sinistra sia paradossale — parte all'attacco il leader di An — Montezemolo ha detto ciò per cui, tra virgolette, è pagato. Che fa l'Italia mentre la Germania taglia di sette punti il carico fiscale alle imprese? Nulla. E se il presidente di Confindustria lo denuncia ecco che la sinistra insorge, neanche avesse commesso un reato di lesa maestà. Tanto scandalo per aver detto quel che tutti gli imprenditori italiani pensano». Sul fucile di Bossi non si sofferma («qualche volta Umberto smarrona»), mentre trova emblematiche le polemiche che giorni fa accolsero la provocazione del presidente di Federmeccanica. «Calearo aveva addirittura detto che "forse Bossi non ha tutti i torti a parlare di rivolta fiscale", figuriamoci se Montezemolo, che ha il polso dei suoi associati, non dice una cosa molto giusta e cioè che non siamo disposti a pagare un solo euro in più». E la «tregua» fiscale? Il presidente di Alleanza nazionale, in poltrona nel salone del Grand Hotel Miramonti prima di salire sul palco di CortinaIncontra, beve un sorso di caffè e ride di gusto. «Questa della tregua è una gaffe lessicale di Padoa-Schioppa. La tregua si fa dopo una guerra e con quella espressione il ministro dell'Economia conferma che, per oltre un anno, Visco ha fatto la guerra ai cittadini ». E quando da Telese arriva il commento di Clemente Mastella, che ha letto l'intervento di Montezemolo come una discesa in campo, Fini spalanca le braccia con un lampo di sfida negli occhi. «Le porte sono aperte per tutti. È pieno di soggetti che ogni tanto decidono di entrare in politica, sono tutti benvenuti. Ma alla fine quel che conta è il consenso di cui si dispone ».

Il consenso personale a Fini non manca, ogni volta che spunta un sondaggio sul gradimento dei leader lui si piazza sul podio. Ma questo non basta per strappare a Berlusconi la guida del centrodestra e nessuno lo sa meglio di lui. Ha aspettato a lungo, la nomina a successore designato non è arrivata e così l'ex ministro degli Esteri ha cambiato strategia. Diventare «il centro del centrodestra», non come traguardo di geografica politica ma in quanto motore della coalizione. Il via libera di Fini al Cavaliere come candidato premier è netto e in apparenza senza ombre e lui, in attesa del suo turno, ritaglierà per sé il ruolo di leader politico dell'alleanza, ispiratore di una nuova strategia innovatrice. «Come sono i miei rapporti con Berlusconi? Come sempre». Non buoni dunque, presidente... «Sono quelli di due mesi fa, di sei mesi fa, di un anno fa, anche se ogni tanto voi giornalisti vi divertite a dipingere scenari che non esistono». A proposito di scenari, condivide le preoccupazioni dei suoi alleati per le mosse di Maria Vittoria Brambilla? «Si candidi e vedremo se ha il consenso. Tutte quelle polemiche sul Partito delle libertà sono sciocchezze. Se Berlusconi intende rilanciarlo ne parleremo, noi siamo pronti. Ma bisognerà parlarne in modo approfondito». Il Cavaliere ha già approfondito per suo conto, nel chiuso di Villa Certosa. «Guardi, nessuno fa niente da solo. Ma il problema del centrodestra non è un deficit di leadership, è un deficit di strategia. Se vogliamo incidere e far cadere Prodi serve unità, unità, unità. I questi giorni tutto quello che mi sono sentito dire dalla gente era quando li mandate a casa? Il ruolo di An è quello che abbiamo indicato a luglio nell'assemblea nazionale, cioè occupare il cuore del dibattito imponendo la nostra agenda. Fisco, sicurezza, legge elettorale... ». E così, mentre lavora per rilanciare la confederazione delle forze del centrodestra, Fini va avanti per la sua strada, anche a costo di dare qualche dispiacere al capo. «Il 13 ottobre abbiamo convocato una manifestazione importante contro le tasse e contro il governo», conferma la chiamata in piazza per nulla gradita a Berlusconi. Lasciata alle spalle la tentazione di candidarsi alla guida del Campidoglio, il leader di An riparte da qui. Dal tallone d'Achille di Prodi, dal tentativo di spezzare sul nascere l'asse tra Veltroni e Rutelli e mostrare agli elettori che i due gemelli del riformismo di centrosinistra nulla potranno alla prova dei fatti, quando si tratterà di fare i conti con i «niet» di Giordano e Diliberto. «Diventa interessante vedere se l'asse tra Fassino e Rutelli verrà declinato davvero, perché un conto è dire politica riformatrice e un altro fare i conti con la sinistra». Ha letto l'intervista a Veltroni sul Corriere? «Troppo lunga, come ha detto la bravissima Rosy Bindi». Prima della pausa estiva andavate d'amore e d'accordo, col sindaco di Roma...

«Il dialogo non si è interrotto. Comunque sì, l'intervista di Veltroni l'ho letta e non mi è sfuggita la stoccata a D'Alema sul ribaltone del '98, quando giura che a differenza di lui andrà a Palazzo Chigi solo passando per le urne. Lo dice per tranquillizzare Prodi, ma il sospetto che crea in Parisi dà da pensare». E di Pier Ferdinando Casini non dice nulla? «Ho visto che è dimagrito. Ma non credo possa competere con me...».

Monica Guerzoni
30 agosto 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 16, 2007, 12:08:57 pm »

Fini al Cavaliere: «Cambiare rotta» Berlusconi: no


«Riflettere», «voltare pagina», «cambiare strategia». È ben chiaro lo strattonamento di Gianfranco Fini a Silvio Berlusconi all'indomani del voto di approvazione della Finanziaria in Senato: la prova di esistenza in vita del governo Prodi con due sole scivolate su emendamenti minori.

Fini consegna alle pagine del Corriere della Sera un messaggio che rivolge, a dire il vero, a tutto il centrodestra, a questo punto Udc compresa (che ieri ha cercato in tutti i modi di tirare per la giacchetta i centristi di lanfranco Dini senza riuscire a spostarli gracnché ndr) ma che è il centrodestra guidato da Berlusconi verso una spallata che non c'è stata e che però ora continua con i gazebo e la raccolta di firme per le elezioni. «Al centrodestra - detta Fini - serve una strategia semplice e chiara che parta da un dato politico tanto ovvio quanto fin qui pervicacemente negato da Berlusconi. Il governo cadrà un secondo dopo che si avrà la certezza che dopo Prodi non si torna subito alle urne con l'attuale legge elettorale».

«L'attesa dell'implosione della maggioranza rischia di essere l'attesa di Godot - è la citazione dotta del leader di An - se il centrodestra non contribuisce alla sollecita rimozione del macigno che sbarra la strada alle nuove elezioni: l'attuale legge elettorale». Dopo aver realizzato, nel 2008, «poche ma indispensabili riforme», «saranno gli italiani a scegliere il premier e la coalizione di governo». Fini assicura l'impegno di An, «anche per non assumersi la responsabilità di sacrificare, sull'altare di una sterile unità di coalizione, la sua stessa ragione fondativa. Contribuire al varo di una nuova Repubblica».

Il leader di An non ha dubbi: «È difficile pensare che siano sufficienti le timide parole di Dini sulla necessità di una nuova fase politica per far sì che Prodi stacchi la spina». E il tutto mentre «l'opposizione in Parlamento è sostanzialmente impotente».

Ma Silvio Berlusconi ha evidentemente troppo timore di essere lui a cadere per la spallata andata a vuoto e così risponde in tempo reale a Fini: «Nel centrodestra non cambia nulla, serve unità. Se ci sono delle nuove idee che finora non ci sono state io sono aperto ad interpretare la volontà degli italiani. Finora mi sono impegnato per cercare di far implodere questa maggioranza, penso che ci sia riuscito. L'unico che si sia dato da fare nella direzione indicata dagli italiani sono stato io». Berlusconi, usa la trasmissione "Panorama del giorno" sul suo Canale 5 per rispondere per le rime a Fini sul futuro del centrodestra. La lettera di Fini sul Corriere? «C'è un percorso alternativo alla sinistra, gli italiani hanno chiaro che questa sinistra non può governare», spiega l'ex presidente del Consiglio.

Così anche la posizione di Fi sul tema della legge elettorale non cambia. «La nostra è una posizione che manteniamo ferma - ribadisce Berlusconi -: questa legge elettorale deve essere cambiata soltanto per quanto riguarda l'attribuzione del premio di maggioranza da regionale a nazionale. Questa legge elettorale ha funzionato bene alla Camera».

Del resto Berlusconi non si considera uno sconfitto. Per lui «Ieri l'implosione c'è stata perché due formazioni politiche hanno annunciato di non fare più parte della maggioranza», cioè i senatori vicini a Dini e Manzione che si sono uniti in un unico raggruppamento dichiarando poi di votare la manovra del governo solo per senso di responsabilità.

 

Pubblicato il: 16.11.07
Modificato il: 16.11.07 alle ore 9.56   
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 22, 2007, 11:10:18 pm »

In una riunione dell'Esecutivo del partito

Fini: «Restiamo a destra, mai con Casini»

Il leader di An smentisce di voler confluire nel nuovo progetto centrista ma si dice pronto al dialogo

 
ROMA - «Dialogare con Casini è una cosa, ma noi restiamo a destra, alleanza nazionale non confluirà mai nella Cosa bianca». Così un perentorio Gianfranco Fini ai suoi durante l'esecutivo del partito, che si è concluso nel primo pomeriggio. Lo hanno riferito alcuni dei partecipanti all'incontro. Il leader di An ha così smentito quanto riferito da un articolo di giornale secondo il quale il suo partito sarebbe pronto a confluire nel nuovo progetto centrista di Casini e Pezzotta.

«RESTIAMO DI DESTRA» - «Alleanza Nazionale è un partito che si definisce, ed è, per valori, principi, programmi, un partito di destra. Una destra europea, moderna, riformatrice, con una logica di coalizione e maggioritaria» ha spiegato Fini. Ma la destra italiana, ha aggiunto, «è pronta confrontarsi con tutti: soggetti politici, nuovi, vecchi e che verranno, sulla base di comuni progetti, valori e idee e per costruire un governo alternativo alle sinistre». Tutto ciò partendo dal presupposto che «Berlusconi ha archiviato la Cdl, ma se non c'è più il centrodestra continua ad esserci il popolo di centrodestra, ed è a questo che An intende parlare».

«NO ALLA GRANDE COALIZIONE» - Un messaggio indiretto ma chiaro agli elettori: chi vota An non rischierà mai di ritrovarsi al governo insieme alla sinistra, come potrebbe capitare agli elettori di Berlusconi se fosse vero che il Cavaliere pensa alla «grande coalizione». Una precisazione che Fini ribadisce anche in vista dell'importante faccia a faccia di lunedì con Walter Veltroni sulla legge elettorale. Perché se il segretario del Pd ha visto come «un passo avanti» le aperture di Fini su una legge proporzionale bipolare e sul dialogo per le essenziali riforme istituzionali, a via della Scrofa si è gradito che Veltroni abbia messo in agenda l'appuntamento con Fini prima di quello con Berlusconi.


22 novembre 2007

da corriere.it

« Ultima modifica: Marzo 06, 2009, 05:41:31 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 14, 2007, 05:02:06 pm »

POLITICA

Il leader di An: "Difficile che regga in Parlamento, senza infrangersi contro la realtà dei numeri"

Mastella: "No al testo base, Prodi intervenga o il 10 gennaio al vertice io non ci sarò"

Fini contro il "patto della frittata" i "piccoli" boicottano la bozza Bianco

 
ROMA - "Siamo passati dal patto della crostata a quello della frittata". Gianfranco Fini descrive in questi termini il dialogo sulla legge elettorale tra Silvio Berlusconi e Walter Veltroni. La bozza Bianco continua a dividere, sia all'interno della maggioranza che dell'opposizione. Parte l'ostruzionismo dei partiti minori della maggioranza: in mattinata i membri dei gruppi di Verdi-Pdci, Sd e della Rosa nel Pugno si sono iscritti a parlare in massa in commissione Affari costituzionali del Senato, dove si sta esaminando la proposta di riforma della legge elettorale che ha avuto il beneplacito di Pd e Ppl. Intanto Clemente Mastella intima a Romano Prodi di "intervenire personalmente per fare chiarezza sulla riforma", altrimenti "a gennaio quest'alleanza finisce".

Fini: "Dalla crostata alla frittata". Per il leader di An, "ha ragione Berlusconi" quando dice che l'accordo con Veltroni "non è segreto, è evidente", ma "sarebbe più onesto, se si vuole lavorare per il bipolarismo, accettare alleanze dichiarate prima del voto, a meno che non si voglia prescindere da trattative con gli alleati, lasciarli in una posizione subalterna e obbligarli a tornare a canossa con il capo cosparso di cenere". E conclude: "In Parlamento sarà molto difficile che il patto della frittata regga e non si infranga con la realtà dei numeri".

Mastella: "Prodi intervenga o è finita". La maggioranza, martedì prossimo in Senato, eviti di adottare il testo base della proposta di riforma di Enzo Bianco e discuta dell'argomento, prima, con tutti gli alleati. Così il ministro della Giustizia Clemente Mastella che, a margine di un convegno, sottolinea che, in caso contrario, "non parteciperò al vertice del 10 gennaio perché vuol dire che si va avanti comunque, facendo finta di niente". Il Guardasigilli lamenta che "finora il confronto si è avuto più con l'opposizione che non nella maggioranza" e insiste: "Prodi deve intervenire perché lui è il leader dell'intera alleanza scelto dalle primarie. Io nel Pd non ci vado, quindi Veltroni è un mio competitor e io a lui non devo chiedere nulla".

"Piccoli" della maggioranza, ostruzionismo al via. Contro la bozza Bianco parte l'ostruzionismo dei partiti minori della maggioranza. I membri dei gruppi di Verdi-Pdci, Sd e della Rosa nel Pugno si sono iscritti a parlare in massa, questa mattina al Senato, in commissione Affari costituzionali. "Alla fine il provvedimento si voterà ma rischia di non avere la maggioranza", osserva la capogruppo rossoverde Manuela Palermi. Le probabilità che ciò accada sono elevate, visto l'atteggiamento fortemente critico assunto anche dall'Udeur e dall'Udc che si aggiunge, anche se per motivazioni diverse, al dissenso di An.

(13 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #4 inserito:: Dicembre 16, 2007, 04:33:13 pm »

POLITICA

Da Cesa apertura condizionata: "Ma bisogna convergere sul sistema tedesco"

Scajola e Storace ironizzano sulla proposta: "Molto interessante, ma per Prodi"

Fini: "Centrodestra può stare senza Silvio"

Nella ex Cdl è scontro sul leader di An

 
ROMA - Gianfranco Fini infrange un tabù e come era comprensibile le prime reazioni non sono positive. In un'intervista su Libero il leader di An parla della possibilità di creare una forza unitaria di centrodestra a prescindere da Silvio Berlusconi, ma al momento in pochi sembrano credere nella fattibilità del progetto.

"Non penso sia possibile e non voglio neppure che sia tentato", dice l'ex ministro Claudio Scajola. "Dobbiamo cercare invece ogni motivo di unità e di coesione - aggiunge -. Voliamo alto, le regole sono tutte da scrivere insieme". "Non si può pensare - insiste l'esponente di Forza Italia - che Berlusconi voglia rompere con An, Udc e Lega. Per essere sinceri Berlusconi ha preso atto per ultimo e non per primo che l'esperienza della Cdl era finita. Per mesi non ha potuto convocare vertici perché Casini dichiarava che non avrebbe partecipato. Sono stati gli alleati per primi a definire la Cdl finita, non Berlusconi".

Nell'intervista Fini affermava esattamente il contrario: "La Cdl è stata demolita da Silvio. Ma un sistema di alleanze alternative al Pd o all'Unione è possibile con o senza il demolitore. Il monopolio della politica non è previsto". L'ex vicepremier chiariva quindi con chi pensava di realizzare la sua proposta: "Semplice, con tutti quelli che ci stanno. Con chi ha idee e principi da condividere con noi".

Francesco Storace, ormai in polemica con Fini su qualsiasi cosa, si chiama subito fuori e dispensa sarcasmo. "E' interessante - commenta - la proposta di Fini di costruire un'alternativa alla sinistra senza Berlusconi: è interessante soprattutto per Prodi, che rischiamo di ritrovarci ancora per altri 50 anni".

Ma da chi il leader di An si aspettava forse un po' di entusiasmo in più è l'Udc, che si è limitato invece a un'apertura condizionata. "Agli amici di An - spiega il segretario Lorenzo Cesa - voglio dire con chiarezza che se convergiamo sul sistema tedesco (in realtà fortemente avversato da An, ndr), noi siamo pronti ad un accordo sull'indicazione preventiva delle alleanze e del premier".

(16 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #5 inserito:: Dicembre 16, 2007, 04:52:09 pm »

Il simbolo più odiato dall'Islam

E Fini sfoggia la croce dei Templari

La spilla regalata da un collega di partito: ne è rimasto subito attratto.

Il leader di An: «Non ho il dono della fede»


MILANO — L'ha sfoggiata a Porta a Porta e a Ballarò, ma difficilmente potrebbe appuntarsela al bavero in qualche vertice internazionale o in un paese islamico. La spilletta che Gianfranco Fini porta sulla sua giacca da domenica è il simbolo dei Templari, cavalieri di Cristo in Terra Santa contro i musulmani. Lo stesso simbolo che, dopo la protesta dei turchi alla Uefa, da ieri il Barça ha dovuto togliere dalle maglie e che è stato contestato anche all'Inter, per quanto in questo caso si tratti del simbolo di Milano e non della croce dei Templari. Quella spilla sulla giacca di Fini — una croce rossa come il sangue di Cristo, che termina con quattro punte a coda di rondine su uno sfondo bianco — l'ha notata Marcello Veneziani. Che, collegandola alla recente dichiarazione del leader di An — «Non ho il dono della fede» —, si è interrogato su Libero sul «mistero di quel segno distintivo in un laico e non credente confesso: sarà una nuova specie di ateo devoto». Specie cara a Giuliano Ferrara ma non a Veneziani: «Tra tanti leader di sinistra che scoprono ascendenze o discendenze cristiane, tra Veltroni e D'Alema, Bertinotti e Fassino», la destra non può «finire in una loggia o in un lions club, con tutto il rispetto». Veneziani ricorda a Fini «che il maggior intellettuale vivente della destra è oggi un tale Ratzinger e di mestiere fa il papa».

Memento forse non indispensabile per Fini che da anni è uno dei più strenui difensori dei valori religiosi e tradizionali. Non è un mistero, per esempio, la sua netta contrarietà all'aborto. A difendere la spiritualità di Fini c'è anche la testimonianza di Bartolo Sammartino, ex vicesindaco di Palermo ed ex deputato regionale siciliano: «Quella spilla — spiega — era mia. Me la vedeva addosso da dieci anni e domenica mi ha chiesto di regalargliela. Evidentemente da tempo subiva l'attrazione di questo simbolo. E dunque non è certo un caso che ora abbia deciso di indossarla: è una precisa scelta di comunicazione di valori». Non che Fini sia diventato improvvisamente un templare, né che lo sia il giovane Sammartino, presidente dell'Accademia nazionale della politica, associazione nata dalle esperienze di «Alleanza etica », come racconta il presidente di Trapani Giuseppe Fragapani: «La croce è una sfida al materialismo e al nichilismo, un richiamo ai valori cristiani e cattolici». «Si è perso ogni orizzonte metafisico — aggiunge Sammartino — si è perso il senso del sacro. I templari, monaci e guerrieri, univano virtù civili e religiosi». Niente a che vedere «con quelle fesserie alla Dan Brown», spiega. Né con la massoneria: «È antitetica». E nessuna offesa all'Islam: «Anzi: i templari erano accusati di intelligenza con il nemico. Un famoso quadro ritrae un templare che gioca a scacchi con un musulmano».


Alessandro Trocino
16 dicembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #6 inserito:: Dicembre 16, 2007, 04:53:12 pm »

L’Osservatorio di Renato Mannheimer

Elettori cdl incerti. E avanza Gianfranco

In palio c’è la conquista della maggioranza dell’elettorato: secondo le ultime stime, grossomodo il 53-54%


Le ultime dichiarazioni di Berlusconi si collocano pienamente nel quadro del conflitto in corso nel centrodestra. Che si protrae, spesso con toni furibondi, sia sul piano della polemica tra i leader, sia, specialmente, su quello dell’acquisizione di consensi popolari. In palio c’è la conquista della maggioranza dell’elettorato: secondo le ultime stime, grossomodo il 53-54%. Ove Forza Italia rappresenta oggi la forza politica di gran lunga più ampia. Ma ove, sul piano dell’elettorato potenziale (vale a dire di chi prende in considerazione un partito pur senza avere ancora deciso di votarlo) le altre componenti — specie An, il cui potenziale eguaglia quello di FI — minacciano il primato del Cavaliere.

In un quadro di grande frammentazione — e, al tempo stesso, di disorientamento — dell’elettorato del centrodestra. Infatti, solo una parte minoritaria e, ciò che più conta, in decremento (oggi è il 40%) dei votanti per l’ex Cdl dichiara di prendere in considerazione uno solo tra i partiti che costituivano l’alleanza. La maggioranza, il 60%, non è sicura della propria scelta: quasi il 10% dell’elettorato del centrodestra si dichiara addirittura indeciso tra tutti e quattro i partiti e un altro 20% afferma di prenderne in considerazione almeno tre.

È anche questa forte sovrapposizione tra le aree elettorali di riferimento e di potenzialità delle diverse forze a condurre all’accesa conflittualità di questi giorni. La supremazia dell’una o dell’altra componente dipende in buona misura dalla leadership che i vari esponenti saranno capaci di esercitare. Anche da questo punto di vista, An rappresenta un avversario temibile per il Cavaliere, che pure ha dimostrato, se ce n’era bisogno, anche in questi giorni grandi capacità di innovazione e di comunicazione. Fini ha infatti tuttora la palma del massimo livello di popolarità (assai più di Prodi e Berlusconi), gode di larghi consensi anche al di fuori dell’elettorato del suo partito e del suo stesso schieramento e, specialmente, viene considerato, tra i leader del centrodestra, il meno responsabile dell’attuale stato di crisi della coalizione.

I dati dei sondaggi suggeriscono che vincerà probabilmente la competizione chi saprà dare all’elettorato l’immagine—e il messaggio—di maggiore impegno per la unificazione (o la riunificazione) delle forze di centrodestra. Di qui anche lo «spirito unitario» espresso ieri da Berlusconi: il Cavaliere ha non a caso evocato ciò che —assieme alla semplificazione del quadro politico— gli elettori dichiarano di auspicare sopra ogni cosa.

Renato Mannheimer
16 dicembre 2007

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« Risposta #7 inserito:: Dicembre 21, 2007, 06:58:37 pm »

Incidenti Voleva placare una colica.

E il Cav si ustiona con l'acqua calda

Ai suoi: su Dini minacce di arresto alla moglie


ROMA — Visto che Letta l'ha già candidato un centinaio di volte a Palazzo Chigi, perché «io non ho alcuna voglia di tornarci e lui sarebbe perfetto». Visto che ha già detto nei giorni scorsi che il «Popolo della Libertà è aperto a tutti e credo che con gli ex alleati alla fine torneremo insieme». Forse l'unica notizia nuova che riguarda il Cavaliere è che ieri mattina si è ustionato con una borsa di acqua calda.

Avete letto bene, ustionato e addirittura in modo non lieve, ustioni di secondo grado. Tutto nasce dalla cena di due sere fa, ospite di Mara Carfagna, la bella deputata di Forza Italia che ha festeggiato il suo compleanno nel ristorante all'ultimo piano del Palazzo delle Esposizioni.

Qualcosa della cena ha fatto male allo stomaco del Cavaliere.

Una colica mattutina ha reso necessario l'intervento del medico. Una borsa applicata sulla pancia avrebbe dovuto alleviare i dolori. Il vecchio sistema ha avuto però dei risvolti inattesi. Dell'acqua, molto calda, è fuoriuscita dalla borsa e l'ex premier si è scottato serio alla pancia e al petto. Anche per questo motivo Berlusconi ieri ha lasciato anzitempo i funerali della mamma del centrista Francesco D'Onofrio. L'indisposizione non ha comunque cambiato l'umore del Cavaliere, ieri sera presente alla cena di Natale con i deputati.

Due sere fa, Mara Carfagna in braccio, Berlusconi ha cantato con Apicella, ha espresso giudizi estetici («Mara ha le gambe un po' pelose»); è tornato sull'argomento senatori: «Mi continuano a dire che il governo cadrà a gennaio; fra l'altro a Dini hanno minacciato di mandare la moglie in galera»; si è schermito: «Io comunque ho registrato tutti i colloqui che ho avuto»; ha commentato le ultime uscite di Veltroni: «Anche noi andremo da soli, meglio che gli alleati che conoscete ».

Uno scenario che ha un corollario previsto da Beppe Pisanu, che ne ha parlato a cena anche con Giuliano Amato: «Una fase di transizione nell'interesse del Paese, Pd e Pdl insieme al governo».

Marco Galluzzo
20 dicembre 2007(ultima modifica: 21 dicembre 2007)


da corriere.it


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POLITICA

Al compleanno di Mara Carfagna il Cavaliere ha parlato del Pdl e di Letta

"E' perfetto per quel ruolo". E ai pm: "Minacce di galera alle mogli dei senatori"

Berlusconi pensa a Letta premier e accusa ancora i magistrati


ROMA - "Per il futuro io non penso a me a Palazzo Chigi, ma a Gianni Letta. Lui sarebbe perfetto per quel ruolo", ha stupito i presenti con la sua schiettezza Berlusconi. Girando tra i tavoli del ristorante dove l'altra sera si è festeggiato il compleanno di Mara Carfagna, la deputata di Fi, il Cavaliere si è mostrato sempre più entusiasta della sua 'creatura' politica, ma anche pronto a riavvicinarsi agli alleati della defunta Cdl. E non sono mancati gli attacchi alla magistratura "che ha intimorito i senatori minacciando di mandare in galera le mogli".

"Non sono stato io a seppellire la Cdl - ha ripetuto ancora una volta il Cavaliere - Lo ha voluto Casini, rendendo impossibile il progetto della federazione e creandomi problemi con Fini". Poi anche il leader di An ci ha messo del suo, con le accuse dalle colonne del Corriere della Sera e di Repubblica, nei giorni della mancata 'spallata' al governo.

Berlusconi sa bene - anche perché Fini non manca di ripeterglielo ogni giorno - che l'asse con Veltroni sulla legge elettorale potrebbe causare la definitiva rottura. Resta perciò in attesa di scoprire le mosse del leader del Pd, dopo il vertice della maggioranza sulle riforme del 10 gennaio. E intanto manda segnali di distensione agli alleati di un tempo.

E' da leggersi anche così la sua garbata presenza ai funerali della mamma di Francesco D'Onofrio, presidente dei senatori dell'Udc, dove ha incontrato Pier Ferdinando Casini dopo molto tempo. Ed è così che si spiega il suo discreto sondare gli ambasciatori di Alleanza Nazionale, gli uomini vicini a Fini che dopo giorni di freddo silenzio tornano a parlare con il Cavaliere per tentare la via della ricucitura. Ma se i centristi restano diffidenti, in via della Scrofa c'è chi vede Fini più disponibile a riannodare il dialogo, sempre a partire dalla chiarezza che il leader di An esige su legge elettorale e Pdl.

Berlusconi comunque anche stasera, in una diretta telefonica con una manifestazione del nuovo partito, ha invitato gli alleati a restare insieme "fondendosi nel Pdl con pari dignità e senza che uno sia davanti e l'altro dietro". Altrimenti si può "restare alleati come lo siamo stati per tanti anni". "Ma credo sia ineludibile la possibilità di andare insieme - ha detto - e sono estremamente ottimista sul fatto che ci troveremo di nuovo uniti dentro questo movimento di libertà".

In particolare, il rapporto sciupato con Fini resta una spina nel fianco per il Cavaliere, che anche ieri sera non lo ha nascosto. Duettando con Mariano Apicella, al termine della serata, ha ricordato di quando scrissero a due mani la canzone dell'ultimo cd "Andiamo via". "Lui aveva litigato con la moglie, io avevo avuto una telefonataccia con Fini. Stavamo in cucina a farci un piatto di spaghetti e il brano è nato così...". "Andiamo via, da tutti, dai partiti, dalle tv, dai giornali e lasciamoli così con la loro aria afflitta e andiamo in un'isola lontana...", dice la canzone. E mesi fa, a Trieste, Berlusconi aveva raccontato che un intervento di Letta aveva indotto lui ed Apicella ad ammorbidire il testo. Gianni Letta, appunto, perfetto per tenere insieme le cose.

Ma intanto non accenna a placarsi la polemica innescata dall'inchiesta di Napoli su una presunta compravendita di senatori e poi rilanciata da Silvio Berlusconi secondo il quale i pm hanno "intimorito" esponenti della maggioranza di Palazzo Madama affinché non facessero cadere il governo. L'ex premier questa sera ha dato dei "contorni" alle accuse fatte qualche giorno fa in un comizio a Bologna, quando aveva parlato genericamente di senatori 'intimoriti'.

"Se qualcuno di voi viene minacciato addirittura da mandare in galera la propria moglie, qualcuno di voi potrebbe anche essere contento, non io di sicuro....", ha scherzato Berlusconi. Per poi aggiungere: "A qualcuno è stato minacciato di mandare in galera la propria moglie ed è legittimo che qualcuno si sia spaventato e allora non abbia fatto quello che magari avrebbe voluto fare". L'ex premier non ha fatto apertamente il nome del leader dei liberaldemocratici Lamberto Dini per poi invece fare riferimento in modo inequivocabile sulle aspettative per il futuro: "I gruppi che sono nati dall'implosione della maggioranza mi hanno assicurato che questo governo non può andare avanti. Ora staremo a vedere se avranno il coraggio di staccare la spina" a questo esecutivo, ha concluso Berlusconi.

(20 dicembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #8 inserito:: Aprile 16, 2008, 06:14:53 pm »

Il caso

Gianfranco e la «maledizione» della Terza Carica

Le «vittime» del ruolo «super partes»
 

Gianfranco Fini sarà presidente della Camera, probabilmente. A vederlo in tv, non sembra entusiasta. Forse avrebbe voluto continuare a fare politica attiva, cosa che un presidente super partes dovrebbe evitare. Forse ci sono altri motivi. Fini sarebbe il primo ex missino a diventare la terza carica dello Stato; un definitivo sdoganamento ma anche un distacco dal governo, stavolta. Sarebbe la seconda Terza Carica dello Stato a convivere e fare figli fuori dal matrimonio (con Elisabetta Tulliani, da poco mamma di Carolina); un successo delle famiglie di fatto, che a lui magari non importa più di tanto.

Sarebbe anche — e forse è questo che lo preoccupa — il quarto presidente della Camera a rischiare la maledizione della seconda repubblica.

Colpisce chi viene eletto a ricoprire altissimi ruoli istituzionali, Senato incluso. Che fa il suo lavoro più o meno bene; poi, in qualche modo, viene messo da parte. O messa. Il caso più noto è quello di Irene Pivetti. Terza carica a trentun anni, nel 1994, in quota Lega, con curriculum da intellettuale cattolica. Negli anni, dopo varie vicissitudini politiche, incluso un passaggio al centrosinistra, ha adottato un look sadomaso ed è diventata conduttrice tv; di programmi come «Bisturi», «Giallo 1» , «Liberitutti », «Tempi moderni». Ultimamente è stata concorrente di «Ballando con le stelle». Son traguardi, anche questi, volendo. E' andata meglio a Luciano Violante, suo successore Ds. Dopo una presidenza 1996-2001, nella legislatura successiva non ha fatto il ballerino ma il capogruppo. Quest'anno si è ritirato. Come l'ultima terza carica, Fausto Bertinotti; solo, Bertinotti non voleva. Al momento, la terza carica meglio messa è Pierferdinando Casini. Affrancatosi da Berlusconi dopo molti anni, ha preso il quorum da solo (al Senato, da solo con l'ex governatore siciliano Totò Cuffaro; non si può avere tutto) e si sente ancora politicamente prestante. Il suo collega seconda carica dello Stato due legislature fa, il presidente dei senatori Marcello Pera, è stato rieletto nel Pdl; ma dopo gli exploit di palazzo Mada ma ha tenuto un profilo basso.

Prima di lui c'era stato Nicola Mancino dei Popolari, che ha continuato la sua carriera di alta carica e ora è vicepresidente del Csm. Meno bene, peggio che agli altri (politicamente, per il resto è molto benestante) è andata a Carlo Scognamiglio, prima seconda carica di Forza Italia. Non rieletto nel 2001 con Democrazia europea, non eletto alle europee 2004 col Patto Segni, dal 2007 è nella direzione del Partito liberale italiano. L'ultimo dei suoi successori, Franco Marini, è rieletto e importante nel Pd ma non è di buon umore. Insomma, le alte cariche non diventano leader, se già non lo erano, e non diventano premier. E non c'è una spiegazione. Qualcuno era troppo super partes, qualcuno troppo poco, qualcuno giovane, qualcuno vecchio, qualcuno aveva un seguito politico vero, qualcuno no (Fini, cinquantaseienne serio e tonico, spera di reggere il peso dell'alta carica senza poi finire a Ballando con le stelle, si presume, ma vai a sapere).

Maria Laura Rodotà
16 aprile 2008

da corriere.it
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« Risposta #9 inserito:: Novembre 26, 2008, 12:03:28 am »

ALLARME DEL PRESIDENTE DELLA CAMERA

Fini: «Nel Pdl rischi di cesarismo»

Sulla fusione An-Fi: «Serve una forte democrazia interna»
 
 
ROMA - Il presidenzialismo non deve sfociare in «cesarismo» e per questo è necessario un contrappeso alla forza dell'esecutivo. Così come serve una discussione nel Pdl che sta nascendo perché questo si organizzi con metodo democratico. Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenendo a Montecitorio alla presentazione del libro di Pino Pisicchio, «Tra declino e cambiamento. Aspetti del partito politico italiano». Fini, parlando della forma partito e della sua evoluzione, ha sottolineato che «oggi in una società liquida e post-ideologica il modello di partito non può più essere una sorta di chiesa ideologicamente strutturata». Anzi, ha aggiunto, «un partito leggero, più un cartello elettorale è in maggiore sintonia con la società». Tuttavia, ha aggiunto Fini, «il partito, per quanto flessibile, ci deve essere, e deve porsi il problema di selezionare la classe dirigente e di guidare la pubblica opinione». Senza questo filtro, ha continuato il presidente della Camera, la leadership può manifestarsi in maniera «cesaristica».


CESARISMO - «Lo dico da presidenzialista convinto - ha proseguito Fini - la differenza che c'è tra cesarismo e presidenzialismo sta nel fatto che tanto più il baricentro è il rafforzamento dell'esecutivo tanto più forte deve essere il contrappeso a quel potere: il vero discrimine è il check and balances».
Inoltre, ha continuato, «per non sfociare nel cesarismo serve che la vita dei partiti si svolga con un metodo democratico». «Ecco perché - ha concluso - sia nel Pd che nel Pdl che sta nascendo, la discussione su come questi partiti si strutturano è fondamentale.

È vero che non c'è democrazia senza i partiti ma anche i partiti al loro interno devono essere democratici, è per questo che è fondamentale che questi nuovi soggetti discutano di se stessi».

25 novembre 2008
da corriere.it
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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 19, 2009, 12:10:55 pm »

LA LETTERA

L'Italia, la Chiesa e una laicità positiva


di GIANFRANCO FINI


Caro direttore,

una singolare casualità della storia ha voluto che la ricorrenza degli ottant'anni del Concordato cada proprio a venticinque anni dalla stipula della revisione del Concordato stesso. Ma, soprattutto, tali ricorrenze cadono in una fase in cui più viva che mai è la questione del rapporto fra il pensiero della Chiesa cattolica e l'azione politica, ed in cui riemergono periodici conflitti tra laici e cattolici impegnati in politica.

Per tentare di fare il punto su tale questione, mi sia consentito trarre ispirazione da un concetto pronunciato dal Santo Padre, Giovanni Paolo II, in un momento di alto valore storico e simbolico quale il discorso tenuto nell'Aula di Montecitorio il 14 novembre di sette anni fa.

In quel discorso colpirono, soprattutto, la sottolineatura del rispetto dovuto dalla politica alla centralità della persona umana, accompagnata dall'invito rivolto al nostro Paese ad "incrementare la sua solidarietà e coesione interna per poter meglio esprimere le sue doti caratteristiche e valorizzare la sua ineguagliabile ricchezza e varietà di culture".
Si tratta di una bussola, fatta di entrambi i concetti, che ci deve guidare proprio in questa fase in cui fenomeni epocali quali la globalizzazione, accoppiati al mutamento della struttura stessa delle nostre società, possono mettere in dubbio quelli che debbono essere i valori fondamentali di riferimento per una società. Una società che richiede una nuova e forte "dimensione etica", oggi offuscata dalla labilità con cui spesso vengono percepiti i valori fondamentali.

In questo quadro si colloca anche il forte incremento della presenza nella società italiana di nuovi movimenti religiosi di diversa origine culturale e geografica, resa più complessa dal fatto che manca a tutt'oggi una legge di carattere generale che garantisca la libertà religiosa, pur nel quadro del multiculturalismo e del pluralismo religioso indubbiamente in atto. Una tendenza destinata inevitabilmente a crescere, e rispetto alla quale la società italiana, per fortuna, non ha vissuto tensioni interetniche, avendo manifestato una accoglienza nei fatti positiva per le minoranze religiose, ben più di quanto abbiano saputo fare altri grandi paesi europei.

Un fenomeno al quale la stipulazione di Intese con culti non cattolici potrebbe recare un utile contributo, sempre ovviamente nel rispetto fondamentale delle garanzie dei diritti umani di libertà e di uguaglianza.
Mi ha colpito molto che il Presidente della laicissima Francia, Nicolas Sarkozy, nel suo discorso pronunciato a San Giovanni in Laterano nel 2007, abbia introdotto il concetto di "laicità positiva", volendo così evidenziare la fine della sostanziale indifferenza dello Stato francese nei confronti del fenomeno religioso, vissuto, oltralpe, nell'ambito di una dimensione tutta personale e privata, completamente separata da quella pubblica.

Ebbene, quel concetto di "laicità positiva" era già ben presente nell'Accordo Craxi-Casaroli del 1984 di modifica del Concordato, con conseguente abbandono di quell'atteggiamento di "difesa" nei confronti dello Stato tipico dei Concordati tradizionali.

Un nuovo "Concordato-quadro" a maglie larghe, che rimandava la disciplina concreta dei singoli settori a successivi accordi, o a intese attuative tra il Governo e la Conferenza episcopale italiana, sulla base della "reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo e per il bene del Paese" (articolo 1 dell'Accordo).

Un concetto del resto ripreso dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, quando in occasione della visita di Papa Benedetto XVI al Quirinale, ha sottolineato, tra l'altro, "conosciamo e apprezziamo la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso".

È in questo quadro che si colloca quel riconoscimento dell'importanza delle radici ebraico-cristiane dell'identità culturale europea, in cui si sono riconosciuti sia il governo precedente che quello attualmente in carica, indipendentemente dalle concezioni religiose ed ideali di ognuno, così come si riconoscono nell'importanza dell'azione di coesione e di sostegno svolta dalla Chiesa nella società italiana.

Tutto questo non stride con il progressivo disvelamento di quel principio di "laicità dello Stato", sostanzialmente racchiuso, anche se non formulato con queste parole, nella Carta costituzionale.

Una laicità non certo aggressiva nei confronti della religione, aliena da degenerazioni laiciste ed anticlericali, aperta al riconoscimento del ruolo attivo e positivo della Chiesa nella società italiana. Una laicità dello Stato che deve però tenere conto che viviamo in un Paese la cui storia è inestricabilmente intrecciata alla vicenda del Cristianesimo e della Chiesa romana, perché si possa minimamente immaginare un reciproco disinteresse.

(19 febbraio 2009)
da repubblica.it
« Ultima modifica: Marzo 06, 2009, 05:40:24 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #11 inserito:: Marzo 04, 2009, 10:09:53 am »

SPETTACOLI & CULTURA     

Da Salò, alla strategia della tensione: 65 anni di gruppi eversivi

Quando Fini disse: "I repubblichini stavano da quella sbagliata"

Quando i neri restano neri storia della destra radicale

di MATTEO TONELLI


 ROMA - Un filo nero lungo che si snoda per sessantacinque anni. Tenuto insieme da date che ne segnano il cammino: 8 settembre, 25 aprile, 25 luglio. Una storia, quella della destra radicale, eversiva, terrorista, racchiusa nelle più di 600 pagine di "Neri" (Newton Compton editori. euro 16.90). Mario Caprara e Gianluca Semprini tornano sull'argomento. Lo avevano già fatto con "Destra estrema e criminale". e continuano a seguire quel solco. Raccontando di quei neri che hanno lottato "contro il comunismo", rievocando le bombe nei treni e nelle piazze. I servizi deviati e le collusioni con l'estremismo nero. Tratteggiano quella guerra civile a bassa intensità che sono stati gli anni di piombo. Parlano della destra che rifiuta la democrazia, quella di Ordine Nuovo, Avanguardia nazionale, i Nar di Fioravanti, Terza Posizione. Arrivano fino alla nuova destra, quei fascisti del terzo millennio che occupano case e invitano un ex Br ai loro dibattiti.

Duecento storie che iniziano con il 25 luglio '43 e con la caduta del fascismo e finiscono con gli scontri di piazza Navona tra militanti del Blocco Studentesco e studenti di sinistra. Una storia che parte da Salò e passa per i raggruppamenti clandestini di esuli della RSI. Tocca le lotte per Trieste italiana e le voglie di golpe. Tratteggia lo spontaneismo armato dei Nar e le stragi. Dentro, insomma c'è di tutto. Compresi i tanti interrogativi su mandanti ed esecutori ancora senza risposta.

Insomma è la parte "sbagliata" dell'essere di destra, quella raccontata dal libro. Quella lontana da una Gianfranco Fini che parla di "valore antifascista". Quella che non ci stava e non ci sta a mettere nel cassetto la camicia nera. Che non ha abiurato e non abiura. Quella che trova cittadinanza anche nelle parole di un ministro di An come Ignazio La Russa quando si lancia in una manovra di riabilitazione dei repubblichini. Insomma quella destra che c'è stata e c'è ancora in un Paese che continua a dividersi sulle date.

(Giovedì 12 marzo il libro verrà presentato alla libreria Arion in via Cavour 255 a Roma alla presenza del capo della Dda di Roma Giancarlo Capaldo).


(2 marzo 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #12 inserito:: Marzo 29, 2009, 11:22:35 am »

Seconda giornata dei lavori alla Nuova Fiera di Roma, parla il leader di An

Al centro dell'intervento le riforme, l'immigrazione, la laicità delle istituzioni

Congresso Pdl, il giorno di Fini "Serve una stagione costituente"

Attacco alla legge sul biotestamento: "E' da Stato etico"

di MASSIMO RAZZI

 
ROMA - Gianfranco Fini scalda decisamente la seconda giornata del congresso Pdl e il primo a capirlo è Silvio Berlusconi. Il presidente della Camera ha appena finito un discorso alto e non facile in cui ha riproposto i temi duri della società multietnica e ha attaccato esplicitamente il testo sul testamento biologico approvato dal Senato, la sala esplode in un lungo applauso con sventolio di bandiere e Silvio (mai lasciare la scena a un altro) si materializza sul palco accanto a Gianfranco: lo abbraccia, lo bacia e urla nel microfono: "Anche per spazzare le malignità e le malizie sul fatto che io e Gianfranco non ci si voglia bene...".

Gianfranco, in realtà, si era già placato ieri cogliendo i segnali di pace contenuti nel lungo e noioso discorso del leader: il riferimento alle intuizioni unitarie di Pinuccio Tatarella, il "no" al pensiero unico, l'idea che non si tratta di uno scioglimento di An in Fi, ma della fusione di due storie dignitose con un lungo cammino (15 anni) già in comune. Le cose, insomma, che Fini voleva sentirsi dire e che gli hanno permesso un intervento tutto sui temi che il presidente della Camera ha fatto decisamente suoi: qualità della democrazia e riforme istituzionali (da fare insieme all'opposizione), assetto economico (con i tre patti: generazionale, capitale-lavoro e Nord-Sud) e disegno dell'Italia del futuro multietnica, multireligiosa con i quali deve fare i conti (e non scontrarsi) chiunque voglia governarla.

Ma già prima di Fini, gli interventi della mattinata avevano mostrato un congresso più vivo rispetto all'orrendo torpore di ieri fasciato nel culto della personalità berlusconiana. Almeno si sono sentite voci qua e là diverse, qua e là in grado di porre qualche problema all'assise congressuale e al partito che sta nascendo.

Schematizzando, intanto, si può dire che (nonostante Fini) la differenza tra quelli di An (finiani in particolare) e gli ex di Forza Italia si sente e come. Gli interventi si potrebbero assegnare all'una o all'altra schiera anche senza ascoltare i nomi. In genere, gli ex di An puntano l'attenzione sul "no" al pensiero unico, sulla necessità del dibattito interno, sulla pari dignità politica e culturale, sulla necessità del dibattito interno. Gli ex forzisti, invece (con debite eccezioni) tendono più a rimarcare i successi e il ruolo di un partito "che non è di destra, non è di sinistra" ma è "popolo" e, in quanto tale, si sovrappone esattamente al Paese con buona pace di quelli che non la pensano come loro.

Tre interventi, comunque, hanno segnato la mattinata prima di Fini. Quello di Maria Stella Gelmini che ha chiarito (semmai qualcuno non lo avesse ancora capito) che lei ce l'ha con chi pensa (insegnanti? genitori? studenti?) che "la scuola appartenga alla sinistra". A scanso di equivoci il ministro conferma che "un'epoca è finita". Quale? Quella di chi ha sempre considerato la scuola come un luogo dove "alimentare ideologie vecchie e bocciate dalla storia". Insomma, via la sinistra (ma anche i sindacati di sinistra) dalla scuola, altrimenti ci pensa il ministro.

Anche Brunetta pensa a tutti, a cominciare dai guasti del Paese che "vanno affrontati a muso duro". Anche lui ce l'ha con i sindacati e le burocrazie parassitarie contro le quali annuncia addirittura "la lotta di classe". Brunetta, comunque, ammette che "siamo sfigati, perché ogni volta che andiamo al governo c'è la crisi" e che "non siamo perfetti. Anzi, siamo pieni di difetti, ma siamo rivoluzionari".

Un altro che pone qualche problema al congresso (come si fa ai congressi veri) è Fabrizio Cicchitto. Lui, dovendosi occupare di organizzazione e della formazione delle liste per le prossime elezioni europee e amministrative, sa benissimo che problemi ce ne sono e ce ne saranno. E lo dice con una certa chiarezza. Poi, difendendo le battute di Berlusconi sulle modifiche dei regolamenti parlamentari, afferma: "Non è un attacco al Parlamento, ma un modo per rispondere all'antipolitica".

Di riforme, si diceva, ha parlato moltissimo Fini. Il presidente della Camera, sgomberato il terreno dal problema dei rapporti col premier, è partito sul suo terreno. Quello di una "qualità della democrazia" che chiama importanti cambiamenti anche costituzionali (soprattutto sulla seconda parte della Carta fondamentale) che andranno fatti con l'opposizione. "Una frande stagione costituente", l'ha definita il presidente della Camera. Qui Fini invita a "stanare" l'avversario "dormiente e incapace di scegliere", ma si capisce che in lui c'è anche l'ansia di evitare che certe cose siano fatte a colpi di mano. Chiaro, comunque, il suo disegno di cambiamento: Parlamento con la Camera federalista e più spazio per il potere esecutivo. Questa volta, però, visto che Berlusconi ha rinfoderato le armi, Fini non solleva la questione del controllo parlamentare sull'esecutivo.

Poi, Fini ha lanciato i tre patti sull'assetto economico. Quello generazionale e quello tra Nord e Sud sono patrimonio ormai comune di tutte le forze sociali; quello tra capitale e lavoro (insieme all'economia sociale) viene dal pantheon ideologico della destra, ma va detto che Fini cerca di coniugarlo con tocchi di modernità e riconoscendo la necessità di cambiare profondamente il capitalismo per uscire dalla crisi mondiale.

Poi, come domenica scorsa, la parte più avanzata del suo discorso. Quella che disegna un'Italia con tanti "cittadini di colore e di religione diversi dai nostri", quella che invita a non aver paura del diverso e a capire bene che "prima di tutto una persona è un bambino e un malato e solo dopo un extracomunitario", quella che parla esplicitamente di "laicità dello Stato".

In fondo (Fini dice proprio "in cauda venenum") una freccia avvelenata: "Siamo sicuri che il testo approvato al Senato sia laico? Quando si impone un precetto per legge, siamo più vicini allo Stato etico che allo Stato laico". La battuta è pesantissima per le recenti scelte del Pdl a Palazzo Madama e pone qualche problema visto che c'è ancora il passaggio alla Camera dove Fini presiede e dove ci sono molti deputati finiani. Ma il congresso, ormai, applaude qualsiasi cosa e Fini è travolto dall'ovazione.

Nel tardo pomeriggio, due interventi attesi: quello del presidente del Senato Renato Schifani e quello del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Schifani ha difeso il testo sul testamento biologico ("Abbiamo riempito un vuoto normativo") e ha sostenuto (d'accordo con il presidente della Camera) la necessità di riformare la seconda parte della Costituzione.

Tremonti, ovviamente, ha parlato della crisi economica: "Il mondo nuovo che si aprirà
potrà essere migliore del mondo vecchio e il meglio dipenderà da noi. E noi - assicura il ministro - sapremo costruirlo, proprio perchè siamo dal lato giusto della storia". Qui Tremonti, secondo il suo pensiero più recente, si mostra molto più statalista di una volta: "Il lato giusto della storia è quello dello Stato di diritto classico, basato sull'equilibrio tra società, politica e mercato". Un tipo di Stato che, sostiene il ministro, "contiene insieme tanto il privato quanto il pubblico. Non il privato sopra il pubblico. Non il pubblico sopra il privato. Ma privato e pubblico insieme e fusi nell'idea equilibrata dell"economia sociale di mercato". Poi, conclude accusando l'opposizione di "soffiare sul fuoco della crisi sperando di trarre dal male il suo bene" e abbraccia Berlusconi affermando che il Cavaliere "è già nella Storia".

E l'uomo della Storia torna a parlare domani, in tarda mattinata. Poi, tutti a casa a verificare come nasce davvero il Pdl.

(28 marzo 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #13 inserito:: Marzo 30, 2009, 05:35:03 pm »

30/3/2009 (14:14) - SUL TAVOLO IL TEMA DEL PREMIERATO FORTE E DELLA POLITICA

Fini: credo alla legislatura costituente

Calderoli: pronta la bozza di riforme
 
Il presidente della Camera a Bagheria «La lotta alla mafia non si fermerà»

Non replica al discorso di Berlusconi: dentro il Pdl ci sono opinioni diverse

ROMA

«C’è ancora da fare». La lotta alla mafia non si deve fermare, e il presidente della Camera, giunto a Bagheria per parlare agli studenti promotori del «Parlamento della legalità», lo ribadisce. «Se non vogliamo che ci siano legami con la mafia, chi rappresenta il popolo, la politica, deve garantire trasparenza e la forza dell’esempio e del comportamento» dice Fini. Rivolgendosi agli studenti, Fini ha invitato a «non votare chi vi dice "dammi il voto e poi io ti do un posto di lavoro". È questo - ha sottolineato - il comportamento che ha portato capi mandamento e boss a dire "ci pensiamo noi"».

Ma l’uscita pubblica di Gianfranco Fini non poteva fare a meno di toccare anche i temi della politica e, soprattutto, del congresso che ha dato il via al partito unico del centrodestra. Il presidente della Camera ha risposto a quanti sostengono che Berlusconi non abbia risposto alle sue prese di posizione su referendum e testamento biologico, rileva: «Non sempre si danno le risposte il giorno dopo. Le risposte su questi temi così importanti e soprattutto destinati a durare nel tempo si forniscono nel corso del tempo, dopo aver approfondito e dibattuto. So perfettamente che su alcune questioni che ho sollevato ci sono opinioni dissimili o comunque sfumature di valutazione diverse all’interno del Pdl».

Intanto il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli osserva: « La Lega Nord è cosa diversa dal Pdl, non vi entrerà mai, perchè si tratta di un movimento legato al territorio, ma ora che è nato il Pdl è tutto più chiaro e abbiamo un solo interlocutore». Il ministro ha poi spiegato come il governo «abbia già predisposto una bozza di riforma che la settimana prossima verrà presentata ai capigruppo di maggioranza e poi di opposizione». Sulle riforme il ministro per l’Attuazione del programma di governo, Gianfranco Rotondi, dice: «Dal Pdl c’è la massima disponibilità. È una volontà chiara che l’opposizione deve cogliere da subito, senza pregiudizi e senza incappare nell’errore di chiudersi a riccio». Per Nicola Latorre, vicepresidente del gruppo del Pd al Senato: «Ancora una volta non è venuta un’idea su come affrontare, nei fatti e non in modo propagandistico, il tema delle grandi riforme. Non c’è dubbio che vadano accresciuti i poteri del premier, a cui facciano da contraltare contropoteri che garantiscano l’equilibrio democratico della società italiana. Vanno costruite larghe maggioranze, come è accaduto sul federalismo».

La vicepresidente del Senato, Emma Bonino, afferma: «Fini torna con forza sul bipartitismo e se in qualche modo di presidenzialismo si può parlare va però accompagnato, come in America, da grandissimi equilibri e paletti. Di presidenzialismi ce n’è di vario tipo, quello americano, ma anche quello venezuelano. Bisogna vedere il sistema di pesi e contrappesi». Un no netto al dialogo sulla riforma della Costituzione viene dall’Italia dei valori e Antonio Di Pietro spiega: «Non ci fidiamo di Berlusconi, che non rispetta la Carta e vuole stravolgerla per i suoi interessi: affidare la riforma a Berlusconi è come affidare a Dracula i pronto soccorso. Una riforma costituzionale, in presenza del conflitto di interessi in cui opera Berlusconi, non farebbe altro che far diventare sacro quello che di più illegale esiste, sarebbe la consacrazione del cesarismo».

da lastampa.it
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« Risposta #14 inserito:: Aprile 02, 2009, 07:38:08 pm »

Il presidente della Camera in una nota



Fini: «Procreazione? La Consulta rende giustizia alle donne italiane»

E aggiunge: «Specie in relazione alla legislazione di tanti paesi europei»



ROMA - «La sentenza della Consulta che dichiara illegittime alcune norme della legge 40 sulla fecondazione assistita rende giustizia alle donne italiane, specie in relazione alla legislazione di tanti paesi europei».

Lo dice il presidente della Camera Gianfranco Fini in una nota.

da corriere.it



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