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Autore Discussione: FRANCESCO BEI.  (Letto 70401 volte)
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« Risposta #75 inserito:: Luglio 22, 2013, 08:38:38 am »


   
"Alfano ha combinato un bel guaio ora alziamo la posta per bloccare Epifani"

Berlusconi ai suoi: evitiamo scosse nel governo, sarà utile per i miei processi.

Per salvare il ministro dell'interno, il  Pdl è  stato costretto a minacciare la crisi.

Tutte le mosse sono studiate in vista della sentenza su Mediaset della Cassazione

di FRANCESCO BEI


"Alfano ha combinato un bel guaio ora alziamo la posta per bloccare Epifani" Silvio Berlusconi
"Con questa faccenda del Kazakhstan Angelino mi ha combinato un casino proprio quando ne avevo meno bisogno". È iniziato così, sabato sera, un lungo sfogo telefonico che uno degli esponenti più in vista della maggioranza tripartita ha raccolto dalla viva voce di Berlusconi.

Una confidenza sorprendente per almeno due ragioni. Non solo perché la vulgata ha da subito attribuito proprio al Cavaliere la regia occulta dell'affaire Shalabayeva, per fare un favore al suo "amico" Nazarbayev. Ma stupefacente anche rispetto alla difesa a tutto tondo che da Berlusconi è arrivata pubblicamente nei confronti del ministro dell'Interno. Prima con una intervista e poi con la presenza fisica, nell'aula del Senato, per sostenerlo durante il dibattito sulla mozione di sfiducia presentata da Sel e M5S.

E invece Berlusconi, nel corso della telefonata, è apparso piuttosto irritato con il segretario del Pdl per la grande fibrillazione che lo scandalo Shalabayeva ha portato nella maggioranza. In un momento in cui tutto vuole il Cavaliere tranne che terremotare il quadro politico. Per questo da giorni sembra sparito dai radar, più colomba delle colombe, pronto a ripetere come un disco che anche in caso di condanna "il governo andrà avanti".

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(22 luglio 2013) © Riproduzione riservata
   
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« Risposta #76 inserito:: Agosto 19, 2013, 07:20:01 pm »


Berlusconi e la strategia del rinvio: "In Giunta bisogna allungare i tempi"

"Una volta decaduto - è la paura dell'ex premier - potrei essere arrestato". E le elezioni spaventano: "Renzi è quindici punti avanti a me"

di FRANCESCO BEI


Berlusconi e la strategia del rinvio: "In Giunta bisogna allungare i tempi" Berlusconi al Senato
ROMA - Prendere tempo, guadagnare giorni e settimane pur di non arrivare al voto in Senato. Nella disperazione e nella rabbia di questi giorni, l'unica indicazione che esce da Arcore, dove Berlusconi si è asserragliato in consiglio permanente con i suoi avvocati (tranne Franco Coppi), è quella di evitare l'appuntamento con il destino: il giudizio sull'incandidabilità e la decadenza da senatore. "Dal giorno dopo - ha detto Berlusconi dando corpo alla sua paura - sarei alla mercé di qualunque Woodcock volesse arrestarmi".

La strategia del rinvio, adottata dal Cavaliere in mancanza di meglio e in attesa di una decisione sulla richiesta di grazia, intercetta anche il sentimento delle colombe del Pdl. Terrorizzate dalle possibili conseguenze politiche di un voto del Pd a favore della decadenza di Berlusconi da senatore. Non a caso ieri il ministro Quagliariello, intervistato dall'Ansa, invitava a non precipitare le cose, chiedendo che alla giunta delle immunità di palazzo Madama sia concesso tutto il tempo necessario: "Credo ci siano molte cose da chiarire e approfondire e credo sia interesse di tutti farlo per bene. Non per sottrarsi alla deliberazione, ma perché essa non abbia esiti predeterminati e avvenga con ogni cognizione di causa".

In realtà che l'esito sia "predeterminato", visti i rapporti di forza, lo sanno tutti. E tuttavia la questione potrebbe andare per le lunghe, molto per le lunghe. "Con un po' di impegno anche fino a dicembre", profetizza uno dei consiglieri del Capo. Il relatore pidielle Andrea Augello dovrà infatti formulare delle proposte alla giunta, riunita come una camera di consiglio di un tribunale. Ma se le sue tesi, com'è probabile, dovessero ricevere una bocciatura da parte della maggioranza Pd-Sel-M5S, si potrebbe aprire una trafila lunghissima. Ed è proprio su questa, che in gergo parlamentare viene definita "procedura di contestazione", che contano i berlusconiani. Dovrebbe essere nominato un nuovo relatore, con tempi non brevi per dargli modo di formulare una nuova proposta. Poi il Cavaliere avrebbe diritto a intervenire personalmente nella discussione, i suoi avvocati potrebbero richiedere "approfondimenti", poi ci sarebbe il voto in aula. Insomma, un cinema che andrebbe avanti per settimane se non mesi.

Un temporeggiamento che servirebbe a scavallare l'ultima finestra elettorale del 2013, quella di fine settembre/ottobre. Dopo di che il Parlamento sarebbe impegnato con la legge di Stabilità e la crisi di governo sarebbe impensabile. Perché Berlusconi si sta convincendo che la fretta di una parte del Pd di arrivare al voto a palazzo Madama sulla sua incandidabilità sia legato anche a un piano per far saltare il governo Letta e andare subito al voto. "Anche se la sinistra è sotto di tre punti rispetto alla nostra coalizione - ha fatto notare Berlusconi con realismo all'ennesimo falco che lo ha chiamato ad Arcore prospettandogli le elezioni anticipate come soluzione ai suoi problemi - Renzi è sempre quindici punti avanti a me nei sondaggi. Loro metterebbero subito da parte le divisioni e si ricompatterebbero sul sindaco di Firenze pur di batterci".

È proprio la convinzione di essere diventato il principale azionista e garante della tenuta del governo Letta che spinge il Cavaliere, in queste ore tormentate, a guardare sempre in direzione del Colle nella speranza di un atto risolutivo. "Io sono sempre stato ai patti - ha ripetuto due giorni fa a un senatore Pdl che ha telefonato a villa San Martino - ma Napolitano non si è mai mosso per me. Non lo ha fatto ai tempi del lodo Alfano, del legittimo impedimento. Ma stavolta si deve inventare qualcosa, non so cosa ma la palla è nelle sue mani".

Questo insistere su un impossibile (soprattutto dopo la nota di Napolitano) quarto grado di giudizio del Quirinale fa cadere le braccia alle colombe che raccolgono gli sfoghi del Cavaliere. Ma rende bene la sensazione di impotenza, la rabbia e il vicolo cieco in cui il leader del Pdl sa di essersi cacciato. Un falco come Daniele Capezzone dà voce a questa richiesta di un gesto fuori dall'ordinario, la speranza di una sorta di motu proprio quirinalizio: "Il Pdl - dice il presidente della commissione Finanze - ha dimostrato un assoluto senso di responsabilità, ma ora tocca a tutti gli attori politici e istituzionali, per la parte che compete a ciascuno, evitare ferite irrimediabili. La questione è politica, e serve una soluzione politica". Ma nell'attesa l'importante è restare aggrappato al seggio di senatore. 

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/17/news/berlusconi_strategia_rinvio-64880117/?ref=HRER1-1
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« Risposta #77 inserito:: Agosto 23, 2013, 11:48:42 pm »


Il Cavaliere ora mette sotto tiro Letta

"Fa il duro con me per battere Renzi"

Ma Angelino lo frena: se rompiamo e resta l'Imu gli italiani ci puniranno.

Il Cavaliere sogna il voto anticipato per il 24-25 novembre. Domani nuovo vertice ad Arcore

di FRANCESCO BEI


"Io pretendo un risarcimento politico, non mi interessano questi giochetti sul rinvio del voto in giunta". Berlusconi l'ha ripetuto ieri sera ad Arcore a uno sconfortato Angelino Alfano, entrato in udienza con la speranza di convincere il Cavaliere che qualcosa nel fronte del Pd si sta effettivamente muovendo.

Ma il tempo delle mediazioni scorre troppo lento per chi vede avvicinarsi sul calendario la data della propria uscita definitiva di scena. Il Cavaliere non ci sta. E se la prende ora anche con Enrico Letta: "Mi ha deluso, non è più neutrale".

Nonostante i ministri Lupi e Quagliariello si stiano dannando per convincere "gli amici del Pd" a concedere il sospirato approfondimento costituzionale sulla legge Severino, che eviterebbe il 9 settembre un "drammatico" voto nella giunta di palazzo Madama. Nonostante lo stesso Denis Verdini gli abbia sussurrato in un orecchio che "almeno tre o quattro membri della giunta non sono mozzaorecchi e si possono convincere". Nonostante gli spiragli e le tante mediazioni in corso, Berlusconi sembra sempre più convinto di far saltare il tavolo. E da ultimo, appunto, ha smesso di fidarsi anche del "nipote di Gianni".

Già l'aveva messo nel mirino per i suoi silenzi, come se la questione della condanna di "un signore grazie al quale lui siede a palazzo Chigi" non lo riguardasse. Ma quando ieri sera Alfano gli ha riferito del rifiuto di Letta di farsi carico del "dramma umano e politico" del leader del Pdl, invitando a mantenere separato il destino del governo dalla vicenda "tecnica" del voto sulla decadenza da senatore, il Cavaliere è sbottato. E ha ripetuto quanto lo avevano già sentito dire martedì pomeriggio ad Arcore durante la riunione del vertice del partito. Parole di fuoco e sospetti pesanti sulle intenzioni di Enrico Letta: "Fa il duro perché ha deciso di giocarsi la sua partita contro Renzi per la premiership".

I falchi, trovando un varco aperto, in quell'occasione avevano stillato altre gocce di veleno nel suo orecchio. Insinuando il dubbio sui reali progetti del premier che, secondo la disamina dei vari Capezzone, Verdini e Santanché, potrebbe trarre vantaggio da una crisi del suo governo, comunque arrivato a un impasse, e ricompattare dietro di sé tutte le correnti del partito democratico ostili al sindaco di Firenze. "Con le elezioni anticipate salterebbe il congresso, i bersaniani si terrebbero il partito e Letta potrebbe aspirare a vincere le primarie cucendosi al petto la medaglia di quello che ti ha mandato agli arresti". Veleni che hanno trovato un terreno permeabile in Berlusconi, da settimane sospettoso di tutto e di tutti. Arrivato persino a guardare di traverso chi insiste troppo nel proporgli la strategia del rinvio davanti alla giunta e l'ipotesi di un ricorso incidentale davanti alla Corte costituzionale. Anche perché allungare i tempi dell'esame sulla presunta non retroattività della legge Severino renderebbe ancora più difficile il ricorso al voto anticipato. Che nel suo "cronoprogramma" potrebbe arrivare giusto il 24-25 novembre, con una speranza di vittoria affidata alla risalita del Pdl "in tutti i sondaggi disponibili".

Eppure il Cavaliere, se da una parte preferisce dare ascolto ai falchi e pretende senza mezzi termini che Napolitano gli cancelli la pena trasformandola in una multa, tiene aperto anche uno spiraglio per consentire alle colombe di esperire fino all'ultimo tutte le strade possibili. È la promessa che ha fatto ieri sera ad Alfano. Anche perché il ministro dell'Interno si è presentato ad Arcore con argomenti solidi. Uno su tutti, l'Imu. "Se il governo tra una settimana abolisce per decreto l'imposta noi che facciamo? Con la crisi di governo il decreto non verrebbe convertito e gli italiani dovrebbero pagare la prima e la seconda rata. E darebbero la colpa a noi. Cioè a te".

L'altro punto dirimente della faccenda è quello dell'atteggiamento del capo dello Stato. Dopo averne discusso a lungo con Maurizio Lupi durante una cena al Meeting di Rimini, il segretario Pdl ha ribadito al Cavaliere una convinzione diffusa tra le colombe che tengono aperto il canale di comunicazione con il Colle: Napolitano non scioglierà mai le Camere ad appena sei mesi dal voto. Non senza aver prima fatto l'impossibile per cambiare la legge elettorale e arrivare almeno alla primavera del prossimo anno. E se anche il Pdl dovesse togliere il sostegno all'esecutivo, con le dimissioni dei ministri, il capo dello Stato rimanderebbe Letta di fronte alle Camere per trovare una maggioranza e andare avanti. Con o senza Berlusconi.


(23 agosto 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/08/23/news/il_cavaliere_ora_mette_sotto_tiro_letta_fa_il_duro_con_me_per_battere_renzi-65163312/?ref=HREA-1
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« Risposta #78 inserito:: Settembre 24, 2013, 11:27:02 am »


Il governo pronto a bloccare l'Iva: nessun aumento nel 2013

Patto tra Letta e Saccomanni. Il premier intende presentarsi alle Camere e chiedere una nuova fiducia ai partiti. 

La paura del Pd: una crisi ora aiuterebbe Berlusconi


di FRANCESCO BEI


ROMA - A un passo dalla crisi di governo, con le dimissioni del ministro Saccomanni sul tavolo, Enrico Letta ha deciso: l'aumento dell'Iva dal 21 al 22 per cento sarà bloccato fino al 31 dicembre. Un congelamento che costa un miliardo di euro, ma che serve al premier per tamponare la falla politica che rischiava di mandare a fondo l'intera barca del governo.

La mossa successiva è già stata discussa ieri mattina in una telefonata tra Letta e Saccomanni, durante la quale il capo dell'esecutivo ha fornito "piena copertura politica" al ministro dell'Economia. Soprattutto gli ha fornito "ampie garanzie" sul rientro al 3% nel rapporto defcit/pil.

Per l'Iva, però, il piano prevede un ridisegno complessivo della giungla delle aliquote che diventerà operativo a partire dal primo gennaio 2014 e che servirà a scongiurare definitivamente l'aumento di quella maggiore. Intanto, dopo una riunione segreta venerdì pomeriggio, oggi un'altra riunione ristretta di governo - alla presenza di Saccomanni e con i tecnici della Ragioneria - consentirà di mettere la bollinatura finale sulle coperture per evitare l'aumento del primo ottobre. "Il famoso miliardo lo abbiamo trovato", annuncia trionfante un ministro del Pdl in serata, "ma adesso sarebbe bene che i nostri e quelli del Pd evitassero la gara per attribuirsene il merito".

Certo, l'aver coperto il miliardo per rinviare l'aumento dell'Iva non alleggerisce il peso della legge di Stabilità. "I partiti possono fare tutto quello che vogliono - ripete in queste ore Fabrizio Saccomanni - ma non mi possono chiedere di sforare il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil". Un impegno non da poco visto che per correggere lo scostamento dello 0,1 per cento (attualmente il rapporto è al 3,1%) occorre trovare un altro miliardo e 600 milioni di euro da qui a fine anno.

E tuttavia, benché il clima nella maggioranza, dopo il drammatico ultimatum del ministro dell'Economia, si sia in parte rasserenato, la strada per Letta resta tutta in salita. I problemi stavolta non vengono solo dal Pdl, dove i falchi intravedono la possibilità di dare la spallata finale all'esecutivo, ma anche dal partito democratico. Nel Pd infatti è diffusa la convinzione che il ministro Saccomanni si stia comportando "troppo alla Monti", regalando un vantaggio tattico a Berlusconi. "Se dopo avergli intestato lo stop dell'Imu - si sfogava ieri mattina un autorevole esponente democrat alla lettura dell'intervista del ministro dell'Economia - consentiamo al Cavaliere di addossarci l'aumento dell'Iva, gli stiamo regalando la campagna elettorale. E stavolta rischia anche di vincere".

Per mettere il Pdl con le spalle al muro e costringere ognuno ad assumersi le proprie responsabilità, Letta ha deciso quindi di giocare d'anticipo. Anzi, come ha detto in conferenza stampa, "all'attacco". Cosa abbia in mente lo ha anticipato venerdì a Mario Monti, salito al primo piano di palazzo Chigi per perorare nuovamente quel "patto di coalizione" richiesto invano a luglio. Si tratta in sostanza di procedere a un Letta bis senza crisi di governo. "Anziché morire di agonia - gli ha suggerito Monti - perché non metti nero su bianco un nuovo programma di governo impegnativo per tutti?". "È quanto intendo fare - gli ha risposto Letta - e poi mi presenterò in Parlamento per chiedere ai partiti una nuova fiducia. Perché in questo modo non si può più andare avanti". Una ripartenza insomma, un nuova spinta che lo tolga dalla palude in cui sembra piombato in questi giorni. Un nuovo programma che faccia perno sulla legge di stabilità. Anche perché Letta non intende fare la fine di Monti. Sabato il Professore era a Yalta, invitato a una conferenza internazionale, e incrociando Dominique Strauss-Kahn si è sentito soprannominare "Montroeder". "Il Montroeder, unione di Monti e Schroeder, è quell'animale politico che fa le riforme giuste e poi perde le elezioni".

Dall'altra parte del fiume il Cavaliere attende paziente che il Pd si faccia saltare i nervi e ponga fine all'esperienza Letta. Anche se i pensieri di Berlusconi sono ancora concentrati, più che sull'Iva, sulla questione decadenza. Il leader di Forza Italia vede avvicinarsi la scadenza fatidica della cessazione dello scudo senatoriale e teme che dalla procura di Bari possa arrivare un nuovo tsunami. Per questo, raccontano, il Cavaliere ieri è tornato ad accarezzare l'idea di andare in televisione e raccontare la sua "verità". Su tutto: da Ruby ai diritti Mediaset, da Tarantini alle escort.

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/09/23/news/governo_pronto_a_bloccare_iva-67071147/
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« Risposta #79 inserito:: Novembre 17, 2013, 06:38:16 pm »

Il "Nuovo centrodestra", gruppi in crescita e logo tricolore

Così gli scissionisti guidati da Alfano, pre ora 30 senatori e 26 deputati, vogliono rubare la scena a Berlusconi.
In pole per la carica di capogruppo Costa alla Camera e Bianconi al Senato.
Tutti si chiedono cosa farà Gianni Letta

di FRANCESCO BEI
16 novembre 2013

LA SCISSIONE dei “Clarissi” si consuma nel palazzo di Santa Chiara. Quanti di quei 56 parlamentari alfaniani sanno che in quella stessa sala don Sturzo lanciò l’appello «ai liberi e forti» del Partito popolare? I "Clarissi" di Alfano ieri erano così suddivisi: trenta senatori e ventisei deputati, pronti a dar vita in parlamento alla formazione del "Nuovo Centrodestra". Numeri in crescita, assicurano: Formigoni arriva persino a dichiarare 37 senatori. Anche il logo con il tricolore è pronto, c'ha lavorato da giorni un'agenzia specializzata. Per i gruppi già si fanno i nomi di chi dovrà guidarli. A Montecitorio il capogruppo sarà il giovane maratoneta Enrico Costa, esperto di giustizia, figlio dell'ex ministro della Sanità. Al Senato, dove Renato Schifani ha già dato le dimissioni da capogruppo Pdl, a guidare i rivoltosi arriverà invece una donna, finora appartenente a Gal: la romagnola Laura Bianconi.

Tra i 26 deputati, sei più del numero necessario a formare un gruppo, oltre ad Alfano figurano altri tre ministri: Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin e Maurizio Lupi...

Più incerta la composizione al Senato, dove comunque spiccano nomi pesanti come appunto l'ex capogruppo Renato Schifani, il ministro Quagliariello, Maurizio Sacconi, Andrea Augello e poi Carlo Giovanardi, Roberto Formigoni, Paolo Naccarato, il gruppone calabro-siculo che è il vero zoccolo duro alfaniano.

Nell’ordine arrivano poi Luigi Compagna, Piero Aiello, Laura Bianconi (capogruppo), Giovanni Bilardi, Antonio Stefano Caridi, Federica Chiavaroli, Francesco Colucci, Nico D’Ascola, Antonio Gentile, Marcello Gualdani, Giuseppe Marinello, Bruno Mancuso, Giuseppe Pagano, Luciano Rossi, Francesco Scoma, Salvatore Torrisi, Guido Viceconte, Claudio Fazzone, Franco Cardiello, Antonio D’Alì e Antonio Azzolini.

Gli scissionisti in Parlamento per ora sono questi. È forte la componente democristiana e teocon, quelli che un tempo erano i paladini ratzingeriani e ruiniani come Quagliariello, Sacconi e Roccella. Da fuori li guarda benevolo Cesare Previti, ancora molto ascoltato nel Lazio. Mentre in Calabria è alfaniano il governatore Giuseppe Scopelliti.

Ma soprattutto tutti si chiedono cosa farà ora Gianni Letta. Pur non essendosi mai iscritto al Pdl, potrà restare al fianco del Cavaliere insieme a Santanché e agli altri falchi? La voce clamorosa che circolava ieri sera è che anche lo storico collaboratore di Berlusconi, sconfitto su tutta la linea, potrebbe mollare la spugna.

Ieri sera il premier Enrico Letta ha chiamato Alfano per sapere su quale cifra si sarebbe fermata la conta finale, chiedendo garanzie al vicepremier: "Angelino, cerca di portare a casa numeri certi e forti. Perché dopo l’otto dicembre Renzi ci farà ballare".

Un'altra partita che rischia di aprirsi presto è quella del rimpasto di governo. Quelli di Scelta Civica, anche se spaccati, hanno infatti un solo ministro, Mario Mauro, potendo contare su quasi 70 parlamentari. La sproporzione con i cinque ministri del "Nuovo Centrodestra" è evidente. Anche sul fronte dei sottosegretari andrà rivisto qualcosa, dato che l'unico a lasciare il governo sarà Gianfranco Micciché.

© Riproduzione riservata 16 novembre 2013
Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/11/16/news/composizione_nuovo_centrodestra-71131210/?ref=NRCT-71083837-9
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« Risposta #80 inserito:: Dicembre 24, 2013, 05:50:54 pm »

Legge elettorale, offerta di Renzi alla destra: Mattarellum corretto

La proposta mantiene le vecchie quote: 75% maggioritario, 25% proporzionale.
Premio a chi vince 200 collegi. Ballottaggio tra le prime due coalizioni se nessuno arriva a quella soglia

di FRANCESCO BEI
   
L'Ircocervo non ha ancora un nome. E tuttavia inizia a prendere forma nelle conversazioni riservate tra esponenti del Partito democratico e di Forza Italia sulla legge elettorale. È un modello del tutto nuovo. È un ibrido che prende la struttura del vecchio Mattarellum e ci innesta sopra un doppio turno (eventuale) di coalizione. Il composto alchemico è l'ultimo prodotto della fucina renziana e, secondo chi lo ha potuto leggere, sarebbe "l'uovo di Colombo". Berlusconi vuole il Mattarellum? Il Pd vuole il doppio turno? Che problema c'è, basta mischiarli insieme ed ecco il risultato. Anche i partiti minori, come Ncd, non verrebbe soffocati in culla grazie al fatto che la quota proporzionale rimarrebbe intatta.

La proposta parte infatti dal mantenimento delle vecchie quote del Mattarellum: 75% di maggioritario e 25% di proporzionale. Alla Camera significa 475 seggi maggioritari e 155 seggi proporzionali. Dalla quota maggioritaria sarebbe ritagliato un tesoretto di 75 seggi, un "premio di governabilità" da assegnare a quel partito che abbia superato una certa soglia. L'idea è fissare l'asticella a un'altezza congrua, non semplice da raggiungere: 200 seggi. Chi li dovesse conquistare con i propri voti, collegio per collegio, vincerebbe anche il premio di governabilità di ulteriori 75 seggi (pari a quasi il 12 per cento dell'assemblea). A questi 275 andrebbero poi aggiunti i seggi ottenuti dal partito nella quota proporzionale per arrivare - auspicabilmente - alla maggioranza assoluta di 315 deputati. E se nessuno dovesse superare l'asticella dei 200 collegi vinti? Allora e solo allora scatterebbe un ballottaggio tra le prime due coalizioni per aggiudicarsi il premietto di 75 seggi. Questo è lo schema su cui si sta ragionando. Un cocktail di elementi diversi messo a punto, pare, dal renziano Matteo Richetti...

L'articolo integrale su Repubblica in edicola o su Repubblica+
 Riproduzione riservata 21 dicembre 2013

Da - http://www.repubblica.it/politica/2013/12/21/news/legge_elettorale_offerta_renzi_mattarellum_corretto-74172422/?ref=HREA-1
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« Risposta #81 inserito:: Marzo 24, 2014, 05:04:23 pm »

Renzi gioca la carta delle riforme: "Venerdì il via all'abolizione del Senato"
Cena con Padoan: piena l'intesa su Irpef, coperture e Def. Per il premier il Documento di economia e finanza sarà "lo snodo della nostra svolta".  "Con Squinzi e Camusso niente concertazione"

Di FRANCESCO BEI

ROMA - È la settimana delle riforme costituzionali. Per Renzi è il momento di concentrarsi sul terzo pilastro della sua strategia in vista delle europee di maggio: la riforma del Senato e del regionalismo.
 
Messo in sicurezza l'Italicum, archiviata per il momento la polemica sulle coperture per il taglio delle tasse - "basta, ci sono!", sbotta in privato il premier ogni volta che qualcuno avanza l'argomento - per Renzi si tratta di mantenere la locomotiva alla massima velocità. Per non rischiare di impantanarsi nei "battibecchi" con le parti sociali o nella "palude" della trattativa tra i partiti.

E dunque dopo un fitto scambio di proposte e richieste di modifica, soprattutto con i governatori di centrosinistra e con la minoranza Pd, a palazzo Chigi sono pronti a far uscire il testo definitivo da depositare in parlamento. Venerdì ci sarà il via libera. Con l'obiettivo di pressare la maggioranza (allargata a Forza Italia) per ottenere il primo sì di palazzo Madama entro il 25 maggio.

Il lavoro, impacchettato dal sottosegretario Graziano Delrio e da Maria Elena Boschi, è sostanzialmente finito. E lo dimostra il fatto che la giovane ministra sia fuggita nel week-end a Londra per riprendere un po' il fiato dopo la galoppata di queste settimane. Certo, rispetto al progetto iniziale immaginato da Renzi, qualcosa è cambiato. Saranno restituiti alcuni poteri alla nuova Assemblea delle autonomie, che potrà dare il suo parere sulle leggi europee e su quelle regionali.

E saranno anche ridotti quei 21 senatori di nomina presidenziale che avevano fatto storcere il naso a molti. "Per me l'importante è che i costi restino a zero, sul resto siamo aperti a suggerimenti", è stato il mandato affidato dal premier ai suoi due negoziatori. Il disegno di legge costituzionale sarà al primo punto all'ordine del giorno della direzione del Pd di venerdì prossimo, proprio per testare l'accordo con la minoranza interna. Poi sarà incardinato rapidamente a palazzo Madama, con la precedenza sull'Italicum.

Ma certo, se la riforma costituzionale è ora in cima alla lista delle priorità di Renzi, il premier non può rischiare di trovarsi scoperto sulle cose già messe in cantiere. Così, per registrare i bulloni della squadra e iniziare a impostare il Documento di economia e finanza, il capo del governo ha invitato a cena venerdì sera Pier Carlo Padoan.

Quel paio d'ore trascorse a palazzo Chigi sono servite anche a fare il punto sugli incontri avuti a Bruxelles con Merkel e i vertici Ue, ma soprattutto hanno confermato che tra i due (per ora) le sintonie superano le differenze. Tanto che ieri, notano con piacere i collaboratori del premier, al forum di Cernobbio Padoan ha pronunciato una frase conciliante rispetto al suo ruolo nell'esecutivo: "Il ministro dell'Economia viene indicato tradizionalmente come il signor no. Sto imparando il mestiere, ma ritengo che il vocabolario di un ministro debba essere più ampio di questa singola parola".

Dal vertice serale Padoan ne è uscito confortato sul fatto che Renzi consideri il Def "l'appuntamento cruciale, lo snodo della nostra svolta in politica economica". E il premier ha apprezzato il fatto che anche l'economista Padoan, come ha confermato ieri in pubblico, ritenga le riforme del sistema istituzionale "parte essenziale e fondante delle riforme economiche".

A turbare la marcia del Pendolino-Renzi ci sono tuttavia due interlocutori non secondari nel sistema Italia. Squinzi e Camusso, Confindustria e Cgil, sempre più critici verso l'operato del governo. Renzi, dal suo rifugio a Pontassieve, fa filtrare di non avercela con il numero uno di viale dell'Astronomia. "La mia linea non è concertativa, quindi non mi interessa entrare in questi battibecchi. Liberi loro di criticare, liberi noi di agire". Quello che il premier fa notare nelle conversazioni con i suoi ministri, alcuni dei quali preoccupati per l'ostilità crescente delle parti sociali, è che "curiosamente Cgil e Confindustria sono uniti nell'attaccarci proprio nel momento in cui il governo dà i soldi alla gente". Nel fine settimana in famiglia Renzi ha comunque altre gatte da pelare più pressanti. La più grande si chiama Expo2015. La settimana in arrivo sarà decisiva per capire quanto siano fondati i timori di ritardi nella preparazione dell'Expo di Milano, dopo lo scandalo nella società Infrastrutture Lombarde. Ieri il premier ne ha parlato a lungo con il ministro Maurizio Martina (Agricoltura) e con il commissario unico Giuseppe Sala.

© Riproduzione riservata 23 marzo 2014

DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/03/23/news/renzi_gioca_la_carta_delle_riforme_venerd_il_via_all_abolizione_del_senato-81659484/?ref=HREA-1
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« Risposta #82 inserito:: Giugno 21, 2014, 10:32:03 am »

Riforme, ecco l’accordo, addio al bicameralismo. Senato di regioni, meno sindaci
Renzi: “Ora tutti mangino questa minestra o si salta dalla finestra” Ok ai membri di nomina presidenziale.
Il “nuovo” Italicum

Di FRANCESCO BEI
19 giugno 2014

Addio al Senato, "la svolta" finalmente è arrivata. "Ognuno di noi dovrà rinunciare a qualcosa", ha chiarito Matteo Renzi a tutti gli interlocutori sondati anche attraverso il ministro Boschi. E, alla fine, anche sul punto più complicato, ovvero sulla composizione della nuova assemblea, la quadra è stata trovata.

Tutti i tasselli stanno andando al loro posto e persino sull'Italicum il lavoro è ormai avanzatissimo, tanto da far ipotizzare a Renzi di vederlo approvato a palazzo Madama entro la pausa estiva.

Ma intanto la riforma costituzionale. "L'accordo è vicino", conferma Giovanni Toti a denti stretti. Il nuovo Senato della Repubblica, disegnato dagli emendamenti messi a punto dai relatori Finocchiaro e Calderoli, recupera molte funzioni, pur perdendo quella fondamentale di poter dare o togliere la fiducia al governo. Insomma, non è più un "dopolavoro per sindaci", per dirla con Berlusconi. Ha competenza sulla legislazione regionale e su quella europea, co-elegge il presidente della Repubblica, il Csm e i giudici costituzionali, ma soprattutto recupera voce sulle leggi elettorali e su quelle costituzionali. Crescendo le funzioni, cambia anche la composizione. Renzi ha dovuto rinunciare al suo Senato dei sindaci.

I primi cittadini saranno invece pochi, circondati da una stragrande maggioranza di consiglieri regionali-senatori. Il premier ha trattato partendo da 1/3 di sindaci e 2/3 di consiglieri regionali, ma alla fine Forza Italia è riuscita a strappare la quota simbolica di un sindaco per ogni regione (non sarà automaticamente il primo cittadino del capoluogo di regione, a Roma andrà invece un sindaco eletto dai suoi colleghi). Il cocktail finale è dunque più vicino a 1/4 di sindaci - una ventina - e 3/4 di rappresentanti regionali, un mix che rassicura il centrodestra, preoccupato di un'eccessiva rappresentanza del Pd nella Camera alta.

Comunque nella notte si tratta ancora. Sono tornati ad esempio i senatori di nomina presidenziale scelti nella società civile, anche se non quanti ne avrebbe voluti il capo del governo. "Siamo all'ultimo, delicatissimo, miglio", si lascia sfuggire a tarda sera Debora Serracchiani. Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli, e dopo averci lavorato così a lungo anche a palazzo Chigi qualche timore resta. "Sono abbastanza ottimista - ha detto Renzi ai suoi - ma con quelli là è sempre un'incognita".

Certo, la conferenza stampa di Berlusconi ha confermato il premier nella sensazione di avercela fatta davvero. Che il leader di Forza Italia abbia presentato le sue proposte sul presidenzialismo non è stato considerato un ostacolo. A colpire di più è stata l'affermazione, ripetuta da Berlusconi, che l'accettazione del presidenzialismo non era "assolutamente" una conditio sine qua non per chiudere l'accordo sul Senato e sul Titolo V.

Quanto al merito della proposta forzista, Renzi per il momento non ritiene di poterla accogliere: "Ora bisogna completare il percorso su cui c'è accordo. Per cui aprire la questione del presidenzialismo è inopportuno e intempestivo. Siamo a un passo dalla chiusura, inutile infilarci in un dibattito sul presidenzialismo". Più avanti si vedrà, non ci sono pregiudiziali.

Se l'intesa c'è perché dunque non annunciarla subito? In realtà l'incontro di oggi tra Paolo Romani e Maria Elena Boschi - oltre ai ripetuti contatti di Denis Verdini con palazzo Chigi - servirà a stabilire con precisione come dovranno essere scelti i futuri senatori. Il problema su cui si stanno scervellando gli sherpa in sostanza è questo: visto che ogni regione ha una legge elettorale con un premio di maggioranza che schiaccia le minoranze, come garantire che le opposizioni siano rappresentate adeguatamente nel futuro Senato? La soluzione, suggerita da Roberto Calderoli, sta nel "voto limitato". Ovvero i consiglieri regionali avranno una scheda con un numero di opzioni inferiore al numero dei senatori da mandare a Roma. In questo modo, giocoforza, anche le opposizioni potranno avere i loro rappresentanti ponderati sul voto reale preso in regione.

Al di là dei tecnicismi, quello che conta è che Renzi è convinto di aver strappato l'intesa solo dopo aver mostrato i muscoli. Non solo il sorprendente risultato elettorale, ma anche "la determinazione che abbiamo avuto con i casi Mauro e Mineo" hanno fatto la differenza. Da ultimo, per blindare l'accordo, Renzi ha voluto chiamare a sé tutto il Pd. È successo la sera di martedì, quando a palazzo Chigi il premier ha siglato quello che, scherzando, definisce "un patto di sangue dentro il partito". Assicurate le retrovie, è potuto andare avanti. Tenendo per sé la regia della trattativa finale.

"Con Calderoli abbiamo fatto un gran lavoro - racconta la presidente Anna Finocchiaro - e siamo pronti a presentare i nostri emendamenti. Abbiamo registrato l'apprezzamento di tutti. Ora aspettiamo che Renzi sciolga gli ultimi nodi politici e poi li depositiamo in commissione". L'intenzione del premier è arrivare all'approvazione del pacchetto più presto che mai. "A questo punto prendere o lasciare, o mangiano questa minestra o si buttano dalla finestra...". Per palazzo Chigi il nuovo traguardo è arrivare al voto finale in commissione entro il 2 luglio, ovvero prima che Renzi si presenti a Bruxelles avviare il semestre italiano di presidenza. "Andare lì con la riforma approvata - ha spiegato il premier durante il vertice con i dem - per me cambia molto. Quando vado in Europa a dire che abbiamo cancellato le province e che supereremo il bicameralismo, rimangono tutti a bocca aperta. Questa partita in casa ci consentirà di vincere anche la partita in Europa".

Del pacchetto fa parte anche l'Italicum, che il capo del governo vorrebbe vedere approvato dal Senato "entro la pausa estiva". L'intesa anche su questo sarebbe molto avanti, con alcune significative correzioni: soglie di sbarramento portate al 4% sia per chi si coalizza che per chi resta fuori; soglia alzata al 40% per aggiudicarsi il premio di maggioranza. Ma la vera novità sarebbe il superamento delle liste bloccate con l'introduzione delle preferenze o dei collegi. Su questo però si tratta ancora.
 

© Riproduzione riservata 19 giugno 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/06/19/news/riforme_ecco_laccordo_addio_al_bicameralismo_senato_di_regioni_meno_sindaci-89385754/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_19-06-2014
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« Risposta #83 inserito:: Agosto 09, 2014, 05:59:47 pm »

Pil, Renzi accusa il colpo ma reagisce: "Dobbiamo accelerare le riforme". E pensa ad un pressing sull'Europa
Il premier scrive alla maggioranza: "Possiamo farcela, dipende solo da noi". Il sottosegretario al Tesoro, Baretta: "Plausibile allentare i vincoli della Ue"

di FRANCESCO BEI e VALENTINA CONTE
   
ROMA - Consolidare quanto messo in campo. Portare a casa le riforme avviate. Difendere e sostenere un'agenda che non cambia. Ma accelerare i tempi. Nel giorno in cui l'Italia ripiomba nella terza recessione in cinque anni, il governo incassa il colpo e tira dritto. "Me lo aspettavo e quindi non sono sorpreso", fa sapere Renzi a chi gli chiede conto di quel segno meno davanti al Pil. "Si tratta di un dato negativo, lo so. Ma se si legge la curva trimestrale si vede che a giugno crescono sia i consumi che la produzione industriale. Anche il dato diffuso ieri da Confcommercio fa capire che i consumi salgono di oltre un punto e mezzo rispetto al dato precedente. Poi certo, so che così comunque non va bene".

Per parare il colpo, anche dal punto di vista della comunicazione, il premier pubblica la lettera ai parlamentari della maggioranza, un documento programmatico (concordato due giorni fa con Padoan) per ricordare le dieci priorità dei "Millegiorni". E per dire che si va "avanti con maggiore decisione", ora che il Pil è di nuovo sotto zero. Non si drammatizza neanche in via Venti Settembre. Ma l'aria che tira nel ministero dell'Economia è di alzare d'ora in avanti la soglia di attenzione e vigilanza su tutti "quei rivoli di spesa fuori controllo" che potrebbero compromettere un rapporto tra deficit e Pil già proiettato verso il tetto invalicabile del 3%. Tutti però - da Palazzo Chigi ai tecnici del Tesoro - escludono con certezza una manovrina extra per aggiustare i conti e soprattutto confermano il bonus.

"La ricetta sono le riforme: istituzionali, lavoro, giustizia. Non serve una manovra, ma le riforme. Dobbiamo smentire il Financial Times". Il quotidiano britannico - che ieri ha messo subito in homepage la notizia del ritorno italiano in recessione - insiste nel citare le critiche secondo cui Renzi avrebbe scelto la via di alcune facili riforme "da mettere in vetrina, come quella del Senato, non riuscendo a realizzare cambiamenti fondamentali nel mercato del lavoro e nella burocrazia". Renzi e Padoan, al contrario, ritengono essenziale partire dalle "radici" per cambiare il Paese. E le radici sono proprio "le riforme di sistema", quelle che "i mercati si attendono". Dunque riforma costituzionale ed elettorale. Alle quali sommare gli impegni in politica estera, la sfida educativa (riforma di scuola, cultura e Rai), la spending review. E ancora: riforma del lavoro, della pubblica amministrazione, del fisco, della giustizia. E lo Sblocca-Italia per far ripartire i cantieri. Queste le dieci priorità dei Millegiorni. Questi gli obiettivi del governo Renzi da qui al 2017, messi ieri nero su bianco nella lettera ai parlamentari.

Dunque istituzioni ed economia in parallelo. Anche se Palazzo Chigi nega un patto del Nazareno "economico" siglato con Berlusconi. La disponibilità dell'ex Cavaliere si limiterà alle riforme istituzionali, con la maggioranza autonoma su fisco e conti pubblici. "Non abbiamo più alibi, ora si corre", ripetono i consiglieri economici del premier. "D'altro canto, gli effetti delle riforme non si possono vedere subito. Germania e Spagna hanno atteso due anni". Certo, di politiche espansive per tirare su la crescita nessuno parla. Fare spesa in deficit è impossibile, in questo contesto. Ma dietro le quinte trapela l'ultima battaglia, l'unica davvero utile per assicurare risorse extra e rilanciare gli investimenti: quella europea.

Se l'alleato di maggioranza, il Nuovo centrodestra di Alfano, tira fuori dal cilindro l'abolizione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come risposta al Pil negativo, Renzi e Padoan puntano invece a chiedere a Bruxelles lo scorporo del cofinanziamento dei fondi europei dal Patto di stabilità. Soldi freschi che non graverebbero sul deficit già gonfio e che potrebbero essere messi sui progetti in cantiere. Se ne parlerà da settembre in poi, quando l'Italia - tra Ecofin e altri appuntamenti - avrà il pallino di presidente di turno del semestre. "Continueremo la battaglia europea, senz'altro è prioritaria, confidando nel fatto che il momento è difficile per tutti e un allentamento dei vincoli pare plausibile", conferma il sottosegretario all'Economia Pierpaolo Baretta.

Fare in fretta. Superare il blocco di sfiducia che corre nel Paese. Questo nel frattempo l'obiettivo dell'esecutivo. Senza drammatizzare, ma accelerando. Perché Renzi è convinto che "l'Italia ha tutto per farcela e per uscire dalla crisi". Se non cambia però "sarà sempre negativa". E non solo nel Pil.

© Riproduzione riservata 07 agosto 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/08/07/news/renzi_pil_riforme-93293061/?ref=HREA-1
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« Risposta #84 inserito:: Agosto 23, 2014, 05:48:59 pm »

Delrio: "Pensioni, nessun prelievo e gli 80 euro resteranno. La Ue torni a investire"
Il sottosegretario di Palazzo Chigi smentisce anche l'ipotesi di una patrimoniale: "Qualcuno ha preso un colpo di sole". La manovra? "Si parte dai 16 miliardi della spending review"

di FRANCESCO BEI
22 agosto 2014
   
"l'Italia ce la farà". Graziano Delrio, braccio destro di Renzi, non ha dubbi. E intanto smentisce i tre incubi dell'estate: patrimoniale, contributo sulle pensioni e blocco dei contratti. "Ma l'Europa deve abbandonare la paura e tornare a essere un luogo di speranza e di investimenti". Nessuno screzio con Renzi. "L'unico nostro problema è che lavoriamo troppo". E Forza Italia resterà fuori dal governo, perché "le responsabilità devono essere chiare". (...)

Difficile essere ottimisti se nel governo è ripartito il carosello di dichiarazioni intorno al prelievo sulle pensioni. Ci sarà si o no?
"A palazzo Chigi non abbiamo nessuna proposta in questo senso. E siccome decide palazzo Chigi, cioè Renzi, escludo in maniera categorica che ci saranno interventi sulle pensioni".

L'altra ipotesi che fa capolino, per trovare i soldi necessari a rilanciare gli investimenti, è quella di una patrimoniale. Esclude anche questa?
"Benché quest'estate il sole non si sia fatto vedere troppo, qualcuno deve aver comunque preso un colpo di calore. La filosofia di questo governo non è mettere nuove tasse, semmai rimettere qualcosa nelle tasche degli italiani. In sei mesi abbiamo dato 80 euro a 11 milioni di italiani, abbiamo ridotto l'Irap del 10 per cento, la bolletta energetica per le imprese e i contributi Inail per oltre un miliardo. Noi siamo quelli che levano le tasse, non quelli che le mettono".

(...) Intanto sarebbe bello sapere se il governo darà seguito alla promessa di Renzi di estendere il bonus di 80 euro...
"Noi siamo il governo dei fatti, quelli che mantengono le promesse. Avevamo detto che l'avremmo esteso non appena fosse stato possibile. Ora purtroppo siamo in presenza di una congiuntura negativa che nessuno - Ocse, Ue, Bce - aveva previsto".

LEGGI L'INTERVISTA INTEGRALE SU REPUBBLICA IN EDICOLA O REPUBBLICA+

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/08/22/news/delrio_pensioni_nessun_prelievo_e_gli_80_euro_resteranno_la_ue_torni_a_investire-94245469/?ref=HRER3-1
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« Risposta #85 inserito:: Ottobre 16, 2014, 11:23:21 pm »

Unioni civili, il piano di Renzi: riconosciute solo le coppie gay, adozioni per i genitori biologici
Ecco il disegno di legge del governo. Intesa nella maggioranza. Il premier: "Faremo le civil partnership come in Germania".
I diritti degli omosessuali parificati a quelli del matrimonio classico ad eccezione dell'adozione

Di FRANCESCO BEI
15 ottobre 2014
   
ROMA -  Unioni civili. Si chiameranno così i nuovi "matrimoni gay" che il governo si appresta a presentare tra pochi giorni. Un disegno di legge copiato nei suoi aspetti essenziali dal modello in vigore in Germania fin dal 2001 - "Eingetragene Lebensgemeinschaft" - molto simile al matrimonio tranne che per due aspetti essenziali: non si chiama matrimonio e non si possono adottare bambini esterni alla coppia.

Tutto è pronto. Matteo Renzi ha chiesto ad Antonella Manzione, capo dell'ufficio legislativo di palazzo Chigi, di preparare un testo da portare al Consiglio dei ministri entro la fine del mese. Dopo anni di tira-e-molla su Pacs, Dico e DiDoRe, stavolta sembra quella buona. "Ai vescovi - ha confidato il premier nei giorni scorsi - già l'ho detto. Si mettano l'anima in pace". Ai primi di settembre, all'ambasciata italiana presso la Santa sede, ai piedi dei Parioli, Renzi incontrò il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, il segretario del Sinodo Lorenzo Baldisseri e il presidente della Conferenza episcopale italiana Angelo Bagnasco. E durante il pranzo annunciò la novità in arrivo, senza incontrare opposizioni. Del resto Papa Bergoglio stava già preparando la rivoluzione del Sinodo, dove l'apertura ai gay è risultata il piatto forte dell'assemblea. L'ultimo ostacolo, quello interno alla maggioranza rappresentato dai teocon del Nuovo centrodestra, è stato superato nel week-end. Lavorando alla legge di Stabilità Renzi e il braccio destro Yoram Gutgeld hanno infatti "trovato" mezzo miliardo da destinare agli sgravi fiscali per aiutare le famiglie numerose. Una sorta di quoziente famigliare, da sempre cavallo di battaglia dell'Ncd. Così si è consumato questa sorta di patto tra Matteo e Angelino. Una pace siglata dopo le polemiche che hanno coinvolto Alfano per lo stop imposto ai sindaci che stavano avanzando per conto proprio trascrivendo i matrimoni gay nei registri comunali. "Serve una legge", è stato il refrain comune. In cambio dell'assenso alle unioni civili, Alfano potrà sbandierare i soldi alle famiglie tradizionali con molti figli. E così ognuno avrà ottenuto qualcosa.

Dietro questa svolta in realtà c'è una preparazione che va avanti almeno da due anni. "Stiamo lavorando a questo schema fin dalla Leopolda del 2012 - spiega il sottosegretario alle riforme Ivan Scalfarotto - e ormai i tempi sono maturi. Persino il sinodo dei vescovi riconosce la validità del rapporto omosessuale, lo Stato italiano è l'ultimo in Europa a non aver normato le unioni tra persone dello stesso sesso". Anche la Corte costituzionale del resto, fin dal 2010, aveva messo in mora il Parlamento chiedendo di chiudere questo buco dell'ordinamento. La filosofia del governo è chiara: "Stiamo modernizzando l'Italia - insiste Scalfarotto - e questo processo di estende al lavoro, all'economia, ma anche ai diritti civili. Capisco che per l'Ncd può essere doloroso, ma anche noi nel Pd stiamo subendo un forte travaglio identitario per l'articolo 18. Dobbiamo tutti rinunciare a qualcosa per andare avanti".



L'aspetto più delicato, sul quale anche i vescovi hanno chiesto a Renzi cautela, è quello che riguarda i figli. Il punto di mediazione è che l'adozione del bambino sarà possibile solo se uno dei due genitori è quello biologico. Un partner potrà adottare il figlio naturale dell'altro. Nessun affidamento insomma di bambini esterni alla coppia. Per il resto, i diritti (e doveri) saranno quelli del matrimonio tradizionale, reversibilità della pensione, diritto alla successione in caso di morte e possibilità di assistenza negli ospedali e nelle carceri, partecipazione ai bandi per le case popolari, sussidi fiscali. In Senato dunque si fermerà il cammino del disegno di legge Cirinnà, che già riunisce proposte molto simili, e arriverà il nuovo matrimonio alla tedesca. Il cammino parlamentare a questo punto si annuncia spedito. Se la resistenza del Nuovo centrodestra si limiterà al no di alcuni irriducibili come Giovanardi e Roccella, il governo potrà sicuramente contare sul voto favorevole di molti parlamentari dell'opposizione. "Io sono per il matrimonio tout-court - dice l'ex vendoliano Alessandro Zan - ma non c'è altro tempo da perdere. Iniziamo dalle unioni civili alla tedesca, purché si facciano subito". Sel è sulle stesse posizioni, anche dai cinque stelle ci si aspettano aperture. Ma è da Forza Italia, dopo la clamorosa apertura di Berlusconi (grazie a Francesca Pascale), che dovrebbero arrivare i consensi più larghi. "E pensare che noi eravamo il partito - scherza Gabriella Giammanco alla buvette - che con la Gardini impedì al deputato Luxuria di andare nella toilette delle donne!". Acqua passata, adesso la svolta "omo" del Cavaliere rimescola tutte le carte. Tanto che Renato Brunetta, il capogruppo, attacca Renzi da sinistra: "I miei DiDoRe sono del 2008. Non siamo noi che ci accodiamo, casomai è il governo che ci copia". 

© Riproduzione riservata 15 ottobre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/10/15/news/unioni_civili_il_piano_di_renzi_riconosciute_solo_le_coppie_gay_adozioni_per_i_genitori_biologici-98134199/?ref=HRER1-1
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« Risposta #86 inserito:: Novembre 16, 2014, 06:03:48 pm »

G20, Renzi in Australia per spingere sulla crescita
Il premier per la prima volta al summit dei Grandi.
L'uscita dalla recessione e la creazione di posti di lavoro al centro dell'incontro

Dal nostro inviato FRANCESCO BEI
14 novembre 2014

BRISBANE - Chiuso l'accordo con la minoranza Pd sul Jobs Act, incassata la promessa di un'approvazione ultraveloce della delega lavoro, Renzi è atterrato in Australia per giocarsi la mano più importante sul grande tavolo internazionale: il vertice G20 di Brisbane. Un forum dove la maggioranza dei leader -  per una volta è la Merkel a stare sulla scomoda poltrona degli accusati - spinge decisamente per interventi pro-crescita che possano far centrare l'obiettivo di un 2% di sviluppo. Lo stesso primo ministro Tony Abbot, ospite e presidente di turno di questo incontro "informale" dei venti grandi che assommano il 90 per cento del Pil mondiale, ha voluto mettere la creazione di posti di lavoro e la crescita al centro della discussione, relegando tutto il resto a margine.

Persino il clima, da sempre nel menu di questi summit spesso ricchi di dichiarazioni e avari di fatti, stavolta è finito in fondo alla lista. Anzi, quando i giornali australiani hanno chiesto ad Abbot di commentare l'accordo "storico" tra Usa e Cina sul cambiamento climatico, il primo ministro ha risposto in maniera quasi sprezzante: "Non siamo qui per parlare di cose che forse accadranno tra 16 anni (il 2030 è la data concordata tra cinesi e americani per la riduzione delle emissioni ndr), ma per concentrarsi sui posti di lavoro e la crescita". Non a caso lo sherpa italiano Armando Varricchio, nei giorni scorsi spiegava che "l'agenda italiana e quella australiana coincidono perfettamente".  E' proprio l'enfasi sulla crescita la chiave per capire quante aspettative Renzi nutra sui risultati del vertice australiano.

Al suo debutto in un G20, il premier italiano ha l'occasione dimostrare che le sue priorità in Europa -  occupazione e investimenti -  coincidono di fatto con le ricette che tutti i grandi considerano prioritarie rispetto al mero conseguimento del pareggio di bilancio. L'Europa, ammonisce infatti il segretario americano al Tesoro, Jack Lew nel discorso preparato per il G20 "deve fare di più per evitare un decennio perduto". Una pressione, quella dei Grandi per la crescita, che può essere utile al premier italiano anche per rintuzzare le voci di una nuova richiesta di correzione della legge di Stabilità da parte della Commissione Ue.

Ritratto su un giornale locale con muta da sub e una tavola da surf pronto a sfidare le onde, Renzi potrà cavalcare dunque un sentimento comune a quasi tutta la comunità economica, tranne appunto la Germania. E certamente aiuta il rapporto appena pubblicato dal Fondo monetario internazionale, alla vigilia del summit di Brisbane, in cui si ingiunge esplicitamente ai paesi con surplus di bilancio -  in Europa non c'è nemmeno da chiedersi a chi si riferisca - di darsi da fare con investimenti pubblici e privati per smuovere la domanda.

Poi, ovviamente, per influenzare la crescita conta molto altro. La situazione di grande caos geopolitico da est a ovest, dalla Libia alla Siria fino all'Ucraina non aiuta di certo. Oggi Renzi ne discuterà in un faccia a faccia a pranzo con Putin in una suite dell'hotel Hilton. C'è poi la questione della corruzione (altro freno alla crescita), un tema nell'agenda del G20 e proprio l'Italia in questi mesi ha co-presieduto il gruppo di lavoro anticorruzione.

Infine gli investimenti. Alla sua prima apparizione internazionale dopo la nomina, il presidente della commissione Ue Junker sarà chiamato a esporre il suo programma per i famosi 300 miliardi di investimenti europei sui quali si è impegnato. Renzi lo starà ad ascoltare attentamente. Roma ha evitato di mettere Junker in imbarazzo sull'affare Luxleaks, lo scandalo che lo ha lambito in quanto ex primo ministro lussemburghese. E il G20 rischia di essere per Junker un palcoscenico ancora più scivoloso visto che tra i punti principali in discussione c'è proprio la lotta ai paradisi fiscali (un pallino di Abbot) e il contrasto all'elusione delle grandi multinazionali. Ma il sostegno di Renzi e degli altri leader Pse ha una contropartita, quella degli investimenti europei. E su questo che il presidente della Commissione sarà giudicato. La visita australiana, oltre al bilaterale già fissato con Putin, prevede un altro faccia a faccia importante. Quello con il primo ministro indiano Narendra Modi. Tra poche settimane è previsto infatti il rientro in India di uno di due fucilieri del San Marco, Massimiliano Latorre (in Italia per curarsi) e il governo italiano spera di sbloccare la trattativa con la nuova leadership di Delhi. Per Renzi sarebbe la notizia più bella da riportare a casa. Si comincia subito, mentre in Italia è notte. Oltre all'incontro con Putin ne è previsto un altro con la presidente brasiliana rieletta Dilma Rousseff e con il segretario generale dell'Ocse, il messicano Angel Gurria.

© Riproduzione riservata 14 novembre 2014

DA - http://www.repubblica.it/politica/2014/11/14/news/renzi_australia-100593681/?ref=HREC1-
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« Risposta #87 inserito:: Gennaio 01, 2015, 11:36:49 am »

L’identikit di Palazzo Chigi per l’accordo sul Colle: "È un ruolo tutto politico, serve un nuovo Pertini"

Meno chance per i tecnici, frecciate a D’Alema e Fitto: "Ostruzionismo sull’Italicum? Siamo esperti di canguri"

di FRANCESCO BEI
30 dicembre 2014
   
ROMA - Non è dato sapere se l'ottimismo gli derivi dai segnali riservati in arrivo dai Cinque Stelle o dal dialogo mai interrotto con Berlusconi. Fatto sta che Renzi è convinto di poter portare a casa un capo dello Stato con una maggioranza larghissima, che metta insieme potenzialmente "Grillo e Berlusconi". O comunque che renda molto difficile a entrambi sottrarsi all'investitura comune. Nei pochi indizi disseminati ieri nella conferenza stampa di fine anno, il premier in fondo ha lasciato trasparire quale sia il suo "sogno", il risultato che lo legittimerebbe come king maker di un presidente della Repubblica "attorno al quale si coaguli la maggioranza prevista dalla Costituzione e l'affetto di tutti gli italiani". Nemmeno nelle conversazioni con i suoi Renzi si lascia mai sfuggire un nome, semmai un identikit di una figura altamente condivisa. "Servirebbe, in questo momento di crisi, un nuovo Pertini", l'hanno sentito dire.

Un profilo ambizioso, che porterebbe a escludere figure tecniche e pure politici di primo piano del presente o del recente passato. "E' evidente -  ha ribadito ieri nell'auletta dei gruppi davanti a un centinaio di giornalisti -  che il Presidente della Repubblica deve assolvere a funzioni tipicamente politiche con la "P" maiuscola". Un passaggio che, riferiscono i suoi, sarebbe sbagliato interpretare come una stroncatura preventiva di un Padoan o di un altro tecnico. E tuttavia una prima scrematura sembra sia stata compiuta. Nessun problema di franchi tiratori, al momento opportuno, cioè dal quarto scrutinio, Renzi è certo che non mancherà la maggioranza assoluta. "Ci sono i numeri per eleggere il Presidente della Repubblica se e quando avverrà il passaggio necessario". E sbaglia quindi il dem Ugo Sposetti che aveva paventato un raddoppio di franchi tiratori, fino a 200, rispetto ai 101 che impallinarono Prodi. "Non la penso come lui", taglia corto il premier.

Poi, nella conferenza stampa, si chiude a riccio, non vuole partecipare "al giochino dell'Indovina Chi?". Eppure un paio di sassolini non rinuncia a toglierseli. Uno contro la minoranza interna che lo critica per il rapporto preferenziale con Berlusconi. Facendo la storia delle varie elezioni al Colle, Renzi perfidamente ricorda che proprio Massimo D'Alema "era stato candidato dal direttore del Foglio, direttore di un giornale di proprietà della famiglia Berlusconi. Quella proposta non passò e alla fine il centrosinistra scelse Napolitano". Vale a dire nessuno è vergine rispetto al rapporto con il Caimano. E' quindi "del tutto fisiologico che Fi possa stare (senza diritto di veto che non ha nessuno, neanche il Pd) al tavolo per l'elezione del Presidente della Repubblica con il suo capo Berlusconi, che non voto io ma qualche milione di italiani".

L'altra frecciatina la scaglia contro Raffaele Fitto e i vari ribelli di Forza Italia ostili al patto del Nazareno. A tutti loro il premier ricorda un'ovvietà, ovvero che "se qualcuno pensa che possa esistere Forza Italia senza Berlusconi, auguri. E' una valutazione che nemmeno ai teorici del girotondismo più puro può venire in mente". Il gancio gli consente di passare al tema dell'Italicum e anche qui si registrano un paio di novità. Prima di tutto la chiusura netta a qualsiasi ipotesi di rimettere in discussione i 100 capilista bloccati, come gli chiede la minoranza dem. L'Italicum di fatto è "un Mattarellum con preferenze". Mostrando un fac-simile di come potrà essere la scheda una volta approvata la nuova legge elettorale, il premier ha negato che ci possa essere problemi di costituzionalità della legge. Chiudendo quindi all'altra richiesta della minoranza di sottoporre l'Italicum in via preventiva al giudizio della Corte: "Il candidato di quel collegio lì è chiaramente riconoscibile in più c'è lo spazio per mettere due preferenze, un uomo e una donna. Io lo trovo un meccanismo di una semplicità impressionante". Nessun timore per le migliaia di emendamenti annunciati dal leghista Roberto Calderoli: "Siamo grandi esperti di canguri", dice ricordando la tecnica di saltare a piè pari emendamenti simili. Nessuna contrarietà "alla clausola di salvaguardia sui tempi di entrata in vigore" della nuova legge elettorale, "però arriva alla fine".

© Riproduzione riservata 30 dicembre 2014

Da - http://www.repubblica.it/politica/2014/12/30/news/lidentikit_di_palazzo_chigi_per_laccordo_sul_colle_un_ruolo_tutto_politico_serve_un_nuovo_pertini-103983517/?ref=HRER2-1
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« Risposta #88 inserito:: Gennaio 10, 2015, 04:01:26 pm »

Renzi frena il toto-Colle e bacchetta la minoranza dem: "Serve un presidente per le riforme"
L'area dei fedelissimi di Renzi considera una "provocazione" la proposta dell'ex leader.
"Due identikit si possono di sicuro scartare, quello dello 'scendiletto' e quello del 'giustiziere'"


di FRANCESCO BEI
09 gennaio 2015

ROMA - "Uno come Napolitano", un capo dello Stato autorevole in Italia e all'estero, che spiani le montagne di fronte al governo. "Un presidente per le riforme", è l'identikit che Renzi ha iniziato a far uscire nei suoi colloqui. Che si ponga in continuità con il mandato del predecessore e aiuti la maggioranza a completare il percorso riformatore appena iniziato. Una pista che può portare a diversi nomi con cui il premier intende comporre la sua rosa. Da ieri tuttavia uno dei petali, quello di Romano Prodi, agli occhi dei renziani appare un po' più appassito.

Dopo l'uscita di Pierluigi Bersani le quotazioni del fondatore dell'Ulivo appaiono infatti in drammatica discesa. Scandagliando gli umori dei democratici più vicini al capo del governo non è difficile veder affiorare un grumo di risentimento e di sospetto per una candidatura subita come una "provocazione". Dai Civati a Vendola, da Bindi a Bersani, tutti i principali sponsor del Professore in Parlamento appaiono oggi sul fronte degli oppositori del segretario Pd. Per questo un renziano della prima ora si spinge a definire l'endorsement di Bersani a Prodi come "il bacio della morte", l'affossamento definitivo di un nome gettato nella mischia in palese contrapposizione al patto del Nazareno. "Due identikit - spiega infatti uno degli esponenti del giglio magico - al momento si possono tranquillamente scartare. Uno è quello di un presidente-scendiletto, perché non passerebbe mai. E l'altro è quello di un presidente-giustiziere, che abbia come prima missione quella di opporsi a Renzi". E di certo non aiuta il fatto che, nel novero dei sostenitori occulti di Prodi, figurino a torto o a ragione anche tutti i nemici del Nazareno annidati in Forza Italia, da Minzolini a Fitto. A questo punto poco importa capire la ragione vera per cui Bersani, di certo non uno sprovveduto, abbia rilanciato con tanto candore il nome di Prodi sul proscenio. L'ex segretario del Pd, in Transatlantico ieri giurava che non ci fossero secondi fini: "Io sulla storia di Prodi sono andato a casa, cosa volete che dica se mi chiedono un parere? È ovvio che per me bisogna ripartire da lì". Ma in questa fase anche le intenzioni più genuine rischiano di ingenerare dubbi, retropensieri e fuochi preventivi di sbarramento.

In ogni caso, più che quello che rivela sul grado di apprezzamento di Prodi, l'uscita di Bersani è importante come segnale dello stato dei rapporti interni al Pd. Tornati al grado zero nonostante i tentativi di distensione delle scorse settimane. A sentire la minoranza bersaniana allo stato infatti manca qualunque presupposto per un accordo che tenga unito il Partito democratico. A pochi giorni dalle dimissioni di Napolitano, i gruppi dem sono infatti percorsi da una tensione sempre più forte. Emblematico il caso di Massimo Mucchetti, arrivato ieri a pretendere che il premier riferisca in aula sull'incidente del "salva-Silvio", tra gli applausi dei grillini e l'imbarazzo dei colleghi dem come Giorgio Tonini. Per non parlare del muro contro muro sulle riforme. Dall'assemblea dei deputati di due giorni fa non è emersa infatti alcuna disponibilità di Renzi a inserire nella riforma costituzionale le proposte di modifica della minoranza. A partire dal controllo preventivo di costituzionalità sulla legge elettorale. Anche sull'Italicum i margini per rimettere in discussione i capilista bloccati e le pluricandidature sono prossimi allo zero. "Non è accettabile, dopo anni di Porcellum, che oltre il 60 per cento degli eletti sia composto da nominati", insiste il senatore dem Vannino Chiti.

Il cammino della legge elettorale, così intrecciato al calendario del Quirinale, ieri ha subito una battuta d'arresto: si ricomincerà a discutere in aula da martedì, sperando che il fine settimana possa portare a un'intesa. Appare chiaro comunque che la sponda su cui conta il capo del governo resta quella di Forza Italia. E proprio per rassicurare Berlusconi e i forzisti sul rispetto degli accordi sulla clausola di garanzia, quella che dovrebbe rinviare al 2016 l'entrata in vigore della legge elettorale, nella serata di ieri si è fatta strada una soluzione a prova di bomba. Si sta trattando su un emendamento congiunto, firmato dai capigruppo della maggioranza "allargata", per mettere nero su bianco la clausola di garanzia. Un emendamento che avrebbe la benedizione ufficiale del governo. Contro questa ipotesi si sono scagliati ieri i ribelli forzisti ostili al patto con Renzi. E sono volate parole grosse tra il capogruppo Paolo Romani e alcuni dei firmatari degli emendamenti azzurri. "Voi  -  ha ingiunto Romani  -  dovete ritirare tutti gli emendamenti all'Italicum. Così il governo darà via libera alla clausola di garanzia". "Niente affatto", gli hanno risposto i ribelli, "prima si vota la clausola di garanzia e poi, forse, ci pensiamo ". Si parla di 1600 emendamenti solo di parte forzista, firmati da Minzolini e dall'area fittiana. Mentre si avvicinano il 15 gennaio e le dimissioni di Napolitano, la battaglia continua.

© Riproduzione riservata 09 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/politica/2015/01/09/news/renzi_frena_il_toto-colle_e_bacchetta_la_minoranza_dem_serve_un_presidente_per_le_riforme-104572859/?ref=nl-Ultimo-minuto-ore-13_09-01-2015
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« Risposta #89 inserito:: Gennaio 30, 2015, 04:38:38 pm »

Quirinale, Renzi telefona a Berlusconi: "Urne se no a Mattarella, riforme anche da soli"

Pressione del premier sull'ex Cavaliere per cercare di convincere Forza Italia a votare il giudice costituzionale.
Il leader Fi: "Ci avevi promesso Amato e non hai rispettato il patto"

Di FRANCESCO BEI
30 gennaio 2015

ROMA -Stavolta nessun incontro. Per sancire lo strappo basta una telefonata. A mezzogiorno Renzi consulta Berlusconi per l'ultima volta. Il leader di Forza Italia parte in quarta chiedendo al premier di fare marcia indietro. "Vi abbiamo concesso il ballottaggio sulla legge elettorale e anche il premio di lista. Ora ci aspettiamo un uguale ascolto da parte vostra sul Quirinale". Ma per Renzi il piano del Nazareno, quello delle riforme, deve restare separato dal Colle.

Inoltre, ricorda Renzi, "nella legge elettorale ci sono cose che piacciono anche a voi: proprio il premio di maggioranza alla lista sei stato tu il primo a suggerirlo. Tutta la filosofia dell'Italicum è in linea con quello che hai sempre detto". Berlusconi, da buon venditore, cambia argomento e riattacca sul Quirinale: "Ci avevi promesso Amato e non hai rispettato il patto". "Non è vero  -  replica il segretario Pd  -  tu pensavi di impormi il vostro candidato, ma io non ti ho mai promesso niente".

Il colloquio, riferiscono i presenti, si fa sempre più teso. I toni si accendono. È Berlusconi, amareggiato per essere finito con le spalle al muro, ad alzare il tiro. "Se voi andate avanti su Mattarella, per quanto mi riguarda tutti gli accordi sono definitivamente messi in discussione". È la minaccia più grave, quella di far saltare il patto del Nazareno e sfilarsi dal sostegno alla riforma elettorale e quella costituzionale. Sulla carta la maggioranza ci sarebbe ancora, ma il segretario sarebbe esposto a qualsiasi ricatto della minoranza interna al Pd. È un'arma finale e Renzi risponde rilanciando a modo suo. Con una minaccia altrettanto forte: "Va bene, fai pure. Per me non è un problema, io vado avanti anche senza di te". Che sia un bluff, uno sfogo o una mossa calcolata, di certo sortisce qualche effetto. Perché l'ex Cavaliere torna alla fine colomba e si lascia uno spiraglio d'uscita: "Non c'è bisogno di rompere, aspetta. rivediamoci appena torno a Roma la prossima settimana. Noi voteremo bianca anche al quarto scrutinio".

Un segnale, quello della scheda bianca su Mattarella, che serve a lanciare un ponte verso l'altra sponda. Senza contare che offre (a differenza dell'uscita dall'aula) la possibilità di far giungere sottobanco alcuni voti forzisti al nuovo presidente se dovessero eventualmente mancare. Che il clima possa cambiare lo fa capire anche Matteo Orfini. A sera, in Transatlantico, confida infatti che il Pd "chiederà al centrodestra un supplemento di riflessione " su Mattarella. Francesco Bonifazi, renziano di ferro e tesorie- re Pd, conferma: "Possiamo tendere loro una mano per farli rientrare con dignità".

Alla fine di una giornata in cui il Pd sembra finalmente pacificato, è quasi di tempo di bilanci. Anche se, a palazzo Chigi, Renzi si mantiene prudente. Forse per scaramanzia, pur dichiarandosi "ottimista", con i suoi ammette che "l'elezione non è ancora in cassaforte". Certo, il Pd stavolta sembra "serio e convinto", ma che qualcuno ne approfitti per consumare le proprie vendette lo dà per scontato: "I franchi tiratori ci saranno, ma in una quota fisiologica. Non più di 40-45 e, anche senza Ncd, dovremo stare sui 530-550 voti al quarto scrutinio". Grazie forse a qualche apporto grillino e dall'Ncd. Per Renzi resterebbe un obiettivo ragguardevole quello di aver "dimezzato i franchi tiratori del 2013".

Qualcosa, sotto la superficie piatta dell'unanimità, per la verità già emerge. Tra i bersaniani si raccolgono sospetti contro i turchi che "non voteranno Mattarella perché speravano in Amato ". I turchi replicano che saranno semmai i seguaci di Bersani a smarcarsi da Mattarella "perché scontenti rispetto alla decisione del loro stesso leader di non aver fatto a Renzi il nome della Finocchiaro".

Insomma, Renzi per primo sa bene che il fuoco cova ancora sotto la cenere. Anche per questo ci tiene a far circolare un monito preciso. "Dio non voglia, se non passasse Mattarella sarebbe un bruttissimo segnale per il governo... e anche per la legislatura". Anche per questo ieri mattina ha voluto incontrare il magistrato anticorruzione Raffaele Cantone, per far capire a tutti che un Presidente della Repubblica sarebbe comunque eletto. Magari con i voti dei cinque stelle. Ma a quel punto senza garanzie per nessuno. Un pratico Davide Zoggia, bersaniano di ferro, ieri alla buvette spiegava ad alcuni giovani deputati un dato di fatto elementare: "Mattarella non scioglie le Camere, Cantone sì. Regolatevi".

Resta il problema del rapporto nel governo con Angelino Alfano. Il leader Ncd ha iniziato a piantare un seme dentro Forza Italia in vista delle prossime elezioni, in mancanza di qualsiasi segnale di apertura da Renzi. Ma il premier, con i suoi, ribalta il ragionamento: "Possiamo anche ragionare insieme sulla prospettiva politica da qui al 20018, ma che senso ha rompere sul presidente della Repubblica? Alfano mi ha fatto due nomi, era un prendere o lasciare, non potevamo accettare ". Convinto che "Angelino " si chiami fuori "in un passaggio storico" e solo per "mettersi in scia di Berlusconi", Renzi pone un'altra domanda: "Non voteranno Mattarella per un fatto di principio. Bene. Ma se Mattarella non passa, Angelino che fa?".
 
© Riproduzione riservata 30 gennaio 2015

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2015/2015/01/30/news/matteo_telefona_a_silvio_le_urne_se_salta_lui_riforme_anche_da_soli-106107683/?ref=HREA-1
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