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Autore Discussione: FRANCESCO BEI.  (Letto 65856 volte)
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« Risposta #60 inserito:: Ottobre 26, 2012, 09:22:51 am »

Il retroscena

Il pressing su Berlusconi "Lascia o saltano le aziende"

La giornata più amara del Cavaliere: annuncia che non si ripresenterà come candidato premier nel 2013.

Ma adesso nel Pdl è caos.

Ressa di candidati-successori. L'ex premier convinto anche dai sondaggi che danno il partito sotto il 15%

di FRANCESCO BEI


ROMA - "Vedremo se qualcuno riuscirà a fare meglio di me, io me lo auguro sinceramente". Amareggiato, forse già pentito per quel passo indietro a cui lo hanno costretto senza che ne fosse fino in fondo convinto, ieri sera Berlusconi si è chiuso dentro palazzo Grazioli rendendosi irreperibile a chiunque. Una lunga lista di esponenti Pdl (molte inconsolabili deputate) ha provato a salire al primo piano ma è stata respinta da segretari e segretarie sull'orlo di una crisi di nervi: "Ma non capite il momento? Rendetevi conto del momento!". Insomma, un lutto più che un "passo indietro compiuto per ragioni d'amore".

Fino a domenica infatti il Cavaliere era determinato a resistere, a sparigliare il gioco con una divisione in più liste del suo campo, lasciando Alfano a presidiare la "bad company" del Pdl insieme agli ex An. Ma nelle ultime quarantotto ore tutto è precipitato. A fare da detonatore è stato l'approssimarsi delle elezioni siciliane, con il rischio concreto di una disintegrazione del Pdl a causa della sconfitta di Musumeci. Alfano non avrebbe retto l'ennesima débâcle e ieri ha trovato il coraggio di affrontare il fondatore in una riunione lunghissima (cinque ore) a via del Plebiscito: "Io non ci sto più a questo stillicidio, devi dire una parola chiara adesso".

Lunedì sarebbe stato troppo tardi per qualsiasi annuncio, il passo indietro sarebbe sembrato la "fuga di Pescara". E, in fondo, già
due sere fa, incontrando Monti, il Cavaliere era stato vago: "Molto probabilmente non mi ricandiderò". Ma a pesare davvero è stato il pressing incalzante della famiglia, dell'azienda e dei collaboratori di una vita. Fedele Confalonieri ed Ennio Doris soprattutto, preoccupati perché "ormai ci può venire solo un danno se resti in prima linea come un bersaglio".

E poi Gianni Letta e Giuliano Ferrara. C'è molto dello stile del direttore del Foglio nella prosa con cui Berlusconi dà l'addio alla politica. Che sia stato o meno Ferrara il ghost writer, di certo il Cavaliere ha compiuto quello "strappo" che l'Elefantino si augurava sabato nell'intervista a Repubblica. L'ex premier considera anche la sua posizione giudiziaria, teme che un nuovo impegno diretto possa dare benzina non solo al processo Ruby ma anche al filone Finmeccanica che s'avanza da Napoli e al processo per i diritti tv.

Da ultimo i sondaggi impietosi di Alessandra Ghisleri, che fotografano una situazione disastrosa. È vero che il Pdl starebbe tra il 15 e il 17 per cento. Ma la somma delle eventuali liste nate dallo spacchettamento che aveva in mente Berlusconi - dalle "amazzoni" all'Italia che lavora - avrebbe dato un risultato ancora più basso. E l'Istituto Piepoli quota la fiducia in Berlusconi all'11 per cento, contro il 14 di Alfano. 

E tuttavia se il segretario del Pdl ieri si è preso la sua rivincita, l'eredità del Cavaliere rischia di trasformarsi per Angelino in un frutto avvelenato. Liberato dal Capo indiscusso per quasi vent'anni, il partito carismatico, ubriacato dall'entusiasmo della novità, ondeggia infatti paurosamente. Come se fosse saltato un tappo. E le primarie tanto attese rischiano di trasformarsi in un tana libera tutti.

Un forzista della prima ora come Roberto Tortoli ieri gelava così i pidiellini in festa: "Siete contenti perché se ne va? Non capite che adesso sarà una guerra di tutti contro tutti?". Le avvisaglie ci sono tutte, anche perché diffusa è la consapevolezza che ormai non c'è più nulla da perdere, per molti si tratta comunque dell'ultimo giro. Roberto Formigoni, bruciato in Lombardia, medita il gran passo. Giancarlo Galan lo ha già annunciato, Alessandro Cattaneo dei "formattatori" si prepara. E così Gianni Alemanno, il sindaco di Roma in fuga dallo squagliamento del Pdl nel Lazio e ormai proiettato verso una lista civica.

Anche Daniela Santanché ci sarà, in una posizione di attacco frontale ad Alfano e a tutta la vecchia guardia, "che deve essere rottamata dal primo all'ultimo". Guido Crosetto e Giorgia Meloni non hanno ancora deciso. Sono tentati dal correre ma potrebbero anche accordarsi con il segretario. "Guido parliamoci - ha proposto ieri la Meloni a Crosetto in Transatlantico - e soprattutto evitiamo di farci male". Meloni potrebbe anche essere candidata in ticket con Alfano in rappresentanza degli ex An. In un mondo abituato a rispondere a un solo grande capo trovarsene improvvisamente dieci piccoli è stato un brusco risveglio.     
 

(25 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/25/news/berlusconi_lascia_aziende-45258334/?ref=HRER1-1
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« Risposta #61 inserito:: Ottobre 30, 2012, 11:04:07 pm »

RETROSCENA

E ora Monti teme lo showdown

"Evitare la paralisi del governo"

Berlusconi, che ha minacciato di togliere la fiducia all'esecutivo, tentato di nuovo dal colpo di scena.

La nascita cioè di una lista nuova di zecca, "Forza Italia". Allarme del Quirinale. Convocato il Cavaliere


di FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO


ROMA - "È fondamentale mantenere il cammino delle riforme strutturali altrimenti saranno stati vani i sacrifici sopportati dagli italiani". Mario Monti lancia l'allarme. Al di là delle dichiarazioni pubbliche, è preoccupato dagli ultimi attacchi di Berlusconi. Il Professore non solo teme gli effetti degli show del cavaliere sui mercati finanziari, ma anche che il caos scoppiato nel Pdl possa di fatto bloccare l'intera attività del governo. Da qui alle elezioni.

"Ma almeno la legge di stabilità - avverte - non può essere messa in discussione". La crisi virtuale, innescata dalla minaccia di Berlusconi di far saltare il governo, finisce anche sul tavolo del presidente della Repubblica. Troppo alto il rischio di un finale di legislatura di nuovo dominato dal caos, con la speculazione che ha immediatamente riportato lo spread a 356 punti. Ce n'è abbastanza per chiedere conto al diretto interessato cosa abbia in mente, se davvero il progetto preveda di sfiduciare l'esecutivo e tentare un impossibile ritorno di fiamma in alleanza con il Carroccio.

Rendendo di fatto impossibile l'approvazione di una nuova legge elettorale. Con questi pesanti quesiti sul tavolo, il capo dello Stato ha deciso di convocare in udienza il Cavaliere (il faccia a faccia si potrebbe tenere oggi stesso, l'agenda di Berlusconi lo segnava per questa mattina), sperando di trovare una smentita alle roboanti dichiarazioni rilasciate sabato a villa Gernetto.

Sul Colle, si respira aria di preoccupazione anche per la grande frantumazione del voto siciliano. Un timore in particolare serpeggia sul Colle: il risultato potrebbe bloccare del tutto la spinta per la riforma elettorale, spegnere le residue speranze di cambiare il Porcellum. Potrebbe andar bene così al Pd, che celebra la vittoria di Crocetta e immagina un largo bis a livello nazionale. E servire al Pdl per chiamare a raccolta le forze che, divise, hanno perduto il granaio siciliano. Ma al Quirinale fanno tutt'altro ragionamento, che porta proprio alla necessità di rimettere mano al Porcellum. Il maxipremio di maggioranza della legge Calderoli potrebbe infatti garantire una maggioranza blindata alla Camera ma al Senato, dove il premio si assegna a livello regionale, l'affermazione in Sicilia dei grillini come primo partito segnala la possibilità e il rischio di equilibri appesi ad un filo. Napolitano aspetta perciò le prossime tappe dell'accidentato cammino della bozza, e lascia l'arma del messaggio alle Camere sul tavolo.

La realtà è che il terremoto delle elezioni siciliane ha rimesso tutto in movimento. E il buon successo della lista Grillo ha confermato Berlusconi nella sua convinzione: "Siamo noi gli unici a rimetterci nel sostegno a Monti". Chi lo frequenta racconta che il Cavaliere è nuovamente tentato dal colpo di scena. La nascita cioè di una lista nuova di zecca, che si chiamerà semplicemente "Forza Italia", da lanciare dopo le primarie del Pdl. Un'operazione che le colombe gli sconsigliano ma che il leader ha già avviato in segreto. "Lo spazio elettorale per un nuovo partitino non c'è, Berlusconi queste cose le capisce bene", osserva Giuliano Ferrara. Eppure il progetto va avanti e postula chiaramente un acuirsi della conflittualità con il governo, anche senza arrivare alla sfiducia vera e propria. Di questo Monti è consapevole.

Nelle due ore di volo che lo portano a Madrid per il vertice con Rajoy, il premier chiede informazioni di prima mano a Franco Frattini e Enrico Letta, i due "montiani" di Pdl e Pd. Il Professore è in ansia, guarda ai numeri del Senato dove l'ala dura berlusconiana, insieme alla Lega, è ancora forte. L'ex ministro degli Esteri in realtà lo rassicura. E gli conferma che, seppure Berlusconi pensasse a uno strappo, stavolta la maggioranza del Pdl non gli andrebbe dietro. Una valutazione che sembra confermata dalla successiva conferenza stampa di Alfano, quando il segretario esclude che il sostegno al governo sia in discussione. Anche per questo Monti, incontrando la stampa alla Moncloa, si mostra quasi spavaldo, sfidando di fatto il Cavaliere a farsi sotto. "La minaccia di Berlusconi è risibile", riassume un ministro al seguito del premier. In ogni caso Monti non solo sceglie di ignorarla, ma condisce tutti i suoi discorsi pubblici a Madrid con frequenti ironie sul leader del Pdl. Come durante l'apertura del convegno organizzato dall'Arel a "Casa America", quando afferma che "l'Italia non dimentica che è stata tra i fondatori della Ue. A volte qualche italiano sì".

L'altro elemento di preoccupazione del premier è legato all'affermazione della lista grillina e al forte astensionismo in Sicilia. Un preludio di quanto potrebbe accadere ad aprile? Il successo di "populismi e forze antieuropee".

(30 ottobre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/10/30/news/monti_showdown-45552663/
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« Risposta #62 inserito:: Novembre 07, 2012, 04:24:04 pm »

Il retroscena

Legge elettorale, Bersani si sente sotto assedio "Casini ha fatto partire il treno del Monti-bis"

Il capo centrista: sarò determinante.
Ipotesi soglia al 40% e premio al 10. D'Alema ha insistito con Casini sulla premiership di Bersani: tu puoi tornare alla Camera.

L'accelerazione dopo che il segretario Pd ha candidato il Professore al Colle

di FRANCESCO BEI


ROMA - Dopo la rottura di ieri 1 un nuovo accordo è in vista tra centristi e Pd. Si tratta di far scendere al 40% la soglia oltre la quale scatta il premio di maggioranza, garantendo comunque un "premiolino" del 10 per cento al primo partito in caso la coalizione non vinca il "premione". Tradotto, l'alleanza fra il Pd (30%) e Sel (5%) non potrebbe governare da sola, non raggiungerebbe il premio e avrebbe comunque bisogno dell'apporto della "Lista per l'Italia" di Casini e Fini per formare una maggioranza. Spalancando così le porte a un Monti-bis. Grazie al "premiolino" la coalizione dei progressisti potrebbe però consolarsi alla Camera con il 45% dei seggi (35%+10% regalati ope legis).

Se questo è il compromesso che si profila, per capire cosa è successo ieri a palazzo Madama - la prima vera frattura strategica fra Casini e Bersani - bisogna tuttavia fare un passo indietro. Illuminando il patto segreto che Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani avrebbero proposto nei giorni scorsi in alcuni colloqui riservati con i principali leader politici. Un patto per garantire i numeri della maggioranza futura e gli assetti di vertice della Repubblica. Anche il capo dello Stato ne sarebbe stato informato, così come il premier.

La sostanza dell'accordo, naufragato ieri, ruotava su due cardini: mantenere il premio
di maggioranza così com'è congegnato nell'attuale legge elettorale e, in cambio, assicurare il sostegno del Pd all'elezione di Mario Monti al Quirinale. Mentre la presidenza della Camera sarebbe andata a Pier Ferdinando Casini e quella del Senato ad Anna Finocchiaro. "Al posto di un pastrocchio che ci farebbe perdere l'unica cosa positiva dell'attuale legge, ovvero la garanzia della governabilità, forse - è stata la sostanza del ragionamento fatto a Casini e agli altri dal leader Pd - tanto varrebbe tenere in piedi l'attuale impianto".

C'è questo dietro la baraonda di ieri in commissione affari costituzionali al Senato. Perché la possibilità di mantenere in vita il Porcellum - con l'autosufficienza della futura maggioranza Pd-Sel - ha allarmato non poco tutti gli altri protagonisti. Provocando una reazione immediata di rigetto. Senza contare che Mario Monti, che nel disegno del Pd dovrebbe traslocare al Quirinale per lasciare il posto a Bersani, non è affatto entusiasta della prospettiva. "Non so se quello è il posto dove posso essere utile - aveva spiegato il premier nei giorni scorsi - non so se sono adatto".

Insomma, il corto circuito è stato totale e i sospetti reciproci hanno provocato l'isolamento in cui si è trovato ieri il Pd. La rottura infatti è stata vera e inaspettata. Dario Franceschini, che ha partecipato alla riunione mattutina con Bersani, Zanda e Violante per definire le ultime mosse, racconta così la doccia fredda: "Avevamo fatto sapere a Udc e Pdl che eravamo disposti a trattare su una soglia minima oltre la quale far scattare il premio di maggioranza, ma loro sono andati avanti lo stesso imponendo il 42,5%. Quella soglia è impossibile da raggiungere per chiunque, significa semplicemente che il premio non esiste e la legge è un proporzionale puro". Una legge fatta apposta per arrivare al Monti-bis. E dunque inaccettabile. "Pier ha fatto partire il treno del Monti-bis", si è sfogato il leader democratico.

Nella maggioranza di Bersani ieri la freddezza verso il capo dello Stato era palese. Proprio il capo dello Stato, al di là degli omaggi formali, è visto come il principale regista dell'operazione per riportare Monti a palazzo Chigi d'intesa con Casini e con la complicità di una parte del Pd. I veleni sono sul punto di tracimare, l'irritazione verso il Quirinale per il pressing sulla legge elettorale sta montando sempre più forte.

Come rivela un dirigente del Nazareno "sono mesi che i rapporti tra Napolitano e Bersani sono ridotti al minimo sindacale". Così, quando la scorsa settimana il segretario del Pd, richiesto di un commento sull'ultima uscita del capo dello Stato, ha dettato un laconico "noi siamo sempre d'accordo con il presidente della Repubblica", a molti è sembrata nient'altro che la conferma del muro di incomprensione che si è alzato tra i due.
 

(07 novembre 2012) © Riproduzione riservata

http://www.repubblica.it/politica/2012/11/07/news/legge_elettorale_bersani_si_sente_sotto_assedio_casini_ha_fatto_partire_il_treno_del_monti-bis-46059075/?ref=HRER2-1
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« Risposta #63 inserito:: Dicembre 16, 2012, 11:48:00 am »

L'altolà di Monti a Berlusconi: "Non sarò mai alleato con lui"

Il premier: "Prima lui e Alfano mi sfiduciano e poi mi candidano. Grazie, ma serve un po' di coerenza".

Decisione entro Natale, il Colle consiglia ancora di evitare la candidatura.

L'irritazione verso D'Alema, ipotesi endorsement per i centristi

di FRANCESCO BEI


ROMA - "Non voglio che diventi un tormentone, prima di Natale si saprà cosa ho deciso". Mario Monti ha rassicurato quanti sperano in un suo impegno diretto in campagna elettorale: almeno non dovranno stare a lungo sulle spine.

Al momento le opzioni sul tavolo del premier sono due: quella di una candidatura diretta o quella di una benedizione alle liste che si richiamano al suo nome e al suo programma di riforme. Magari con la partecipazione a una manifestazione unitaria di tutti i partiti e movimenti che lo sostengono nella riconferma.

Quello che il premier ha comunque escluso, specie dopo la giornata passata a Bruxelles al vertice del Ppe, è di poter accettare il sostegno del Cavaliere. Un appoggio che, visto da palazzo Chigi, contiene solo insidie. E anche la manifestazione di 'Italia popolare' fissata per domenica rischia di diventare un appuntamento già sterilizzato. Al quale infatti il Professore non intende consegnare alcun "affidavit". "Berlusconi e Alfano - ha osservato ieri Professore in alcune conversazioni private - prima mi sfiduciano e poi improvvisamente mi vogliono candidare? Li ringrazio, ma serve coerenza".

Certo Berlusconi è stato 'abile' a sfilarsi dal processo già allestito dal Ppe, con tanto di sentenza di condanna già scritta. Dichiarandosi più montiano di Monti ha impedito che la trappola gli si chiudesse addosso. "Ma alla fine - racconta uno dei presenti - non ha potuto fare a meno di spararne qualcuna delle sue, tanto
che tutti uscendo commentavano: 'È il solito Silvio'".

E tuttavia Monti ha accolto con piacere i nuovi accenti filo-europei che si sono sentiti in queste ore da numerosi esponenti del Pdl. Ha preso atto della svolta e segue con attenzione i movimenti e le iniziative, a partire da quella di domenica a Roma, per tenere il Pdl ancorato al Ppe. Senza dunque escludere che, se si dovesse impegnare in campagna elettorale, una lista di colombe del Pdl potrebbe aggiungersi a quelle che già fanno parte della federazione centrista in costruzione. Ma non il Pdl in quanto tale, dove è ancora Berlusconi a farla da padrone.

Così, visto che Monti mantiene questa pregiudiziale contro il Cavaliere (come dice Casini, una lista Monti-Berlusconi "è come un ufo") per i moderati del Pdl torna in campo l'ipotesi di prendere il largo il prima possibile. Dunque l'attenzione si concentra su domenica. In vista della manifestazione del teatro Olimpico, organizzata dalle fondazioni del Pdl con un documento tutto filo-Ppe, la tentazione dello strappo si stava facendo molto forte.

Tanto che il Cavaliere è passato al contrattacco. Non solo metterà egli stesso il cappello sull'iniziativa, inviando una lettera che sarà letta dal palco. Ieri poi, uno ad uno, da Quagliariello a Cicchitto, da Sacconi ad Augello, Berlusconi ha convocato a palazzo Grazioli tutti i promotori della manifestazione. Che sono stati costretti al giuramento di fedeltà con bacio della pantofola. "Dovete capire - era il ragionamento dell'ex presidente del consiglio - che anche io sono per Monti. Possiamo stare tutti insieme a suo favore. È inutile dividersi".

La minaccia di una scissione montiana del Pdl sembra dunque scongiurata, anche perché a restare con il Cavaliere non sarebbero stati soltanto Santanché, Biancofiore o Brunetta. Dall'operazione "Monti premier" si erano già sfilati Raffaele Fitto (che domenica non andrà all'Olimpico) e Maurizio Lupi, Gianfranco Rotondi, Andrea Ronchi e Altero Matteoli. Mentre il segretario Angelino Alfano ha incontrato il cardinal Ruini per sincerarsi se davvero la Chiesa fosse diventata così ostile al Pdl, come faceva pensare un'intervista al Corriere del presidente della Cei Bagnasco.

Cosa resta dunque del tentativo di spostare il Pdl sotto l'ombra del premier? Al momento poca cosa. Forse l'unico che se ne andrà davvero sarà il capogruppo del Pdl al parlamento europeo, Mario Mauro (insieme a Pisanu, Cazzola e ai pochi che hanno votato la fiducia disobbedendo alle indicazioni del partito), sul quale il Cavaliere privatamente ha speso parole molto dure: "Non riesco proprio a capire, è andato a dire ai leader europei che io sono un populista e un antieuropeista: ma se non ho mai pronunciato una parola contro l'Europa". Secondo l'Adnkronos Mauro avrebbe i giorni contati.

E tuttavia se da una parte Monti intende mantenere alto il muro contro il Cavaliere, ieri per il premier è stata la prima occasione di scontro con il Pd. Uno scontro per ora unilaterale, con l'affondo di D'Alema contro una possibile candidatura del premier. Al quale Monti ha deciso di non reagire in pubblico, almeno per il momento. Ma certo chi ci ha parlato riferisce di averlo trovato molto irritato. Soprattutto per quell'aggettivo scelto dal presidente del Copasir: "Immorale? Ma come si permette?". Anzi, l'inquilino di Palazzo Chigi considera "morale" proprio una sua eventuale candidatura e un impegno a sostenere quelle forze politiche che si impegna a portare avanti la sua agenda. È convinto che una sua discesa in campo risponderebbe proprio all'esigenza "morale" di offrire un contributo al Paese.

Anche se non c'è dubbio che una scelta in questo senso lo possa esporre concretamente al rischio di uno scontro quotidiano con il campo dei progressisti, in contrapposizione a Bersani. Un pericolo ormai chiaro a tutti. Anche al presidente della Repubblica che da giorni non sta apprezzando le mosse di Palazzo Chigi. Per Napolitano, infatti, il Professore non dovrebbe candidarsi. In alcun modo. E negli ultimi giorni gliel'ha ripetuto con una certa nettezza.

(15 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/15/news/l_altol_di_monti_a_berlusconi_non_sar_mai_alleato_con_lui-48781988/?ref=HRER1-1
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« Risposta #64 inserito:: Dicembre 22, 2012, 06:37:37 pm »

I dubbi di Monti, tentato dal no.

"Non so se è giusto candidarmi"

Anche nell'incontro con il capo dello Stato ha ribadito: "Non ho ancora deciso".

E i leader del Nuovo centro si sentono abbandonati: "Così salta tutto"

di FRANCESCO BEI

ALLA VIGILIA della decisione più importante della sua vita politica, il premier s'arresta sulla soglia. È preda di dubbi, "è tormentato", riferiscono. I leader del centro - da Casini a Montezemolo - hanno provato ieri a sondarlo ma non ne hanno tratto altro che una frase ancora vaga, troppo vaga: "Mi prendo Natale per riflettere". A Giorgio Napolitano, congedandosi, ha soltanto detto: "Missione compiuta presidente!".
E ha rassegnato le dimissioni. Ma sul suo futuro nemmeno al capo dello Stato ha detto qualcosa di più, limitandosi a un "non ho ancora deciso". Un'incertezza che al Quirinale ha lasciato un po' interdetti.

Sembra che almeno ai collaboratori più stretti, in realtà, la decisione finale oggi sarà comunicata. Ma potrebbe restare deluso chi spera di capirci di più dalla conferenza stampa di fine anno (domenica mattina). Perché se mercoledì - a quella famosa riunione a palazzo Chigi con Casini, Riccardi e Montezemolo - Monti sembrava molto convinto, addirittura lanciatissimo, e soppesava tutti i dettagli di un impegno diretto, comprese varie simulazioni elettorali, compresa la decisione di dar vita a un "gruppo operativo" per la formazione delle liste, ebbene, appena due giorni dopo, questa spinta sembra in parte evaporata.

Perciò domenica mattina Monti dovrebbe limitarsi all'enunciazione della sua agenda di riforme. Punto. Come se, dopo aver soppesato tutti i vantaggi e le opportunità di una discesa in campo, il premier si sia fatto travolgere dal peso degli svantaggi e dalle possibili conseguenze negative. Non ultima la paura di essere fatto oggetto di una violenta campagna mediatica da parte del Cavaliere. "È come quando uno si deve sposare - riassume un ministro - e improvvisamente si fa prendere dall'ansia. Vorrebbe rinunciare ma non sa come dirlo alla promessa sposa". Oltretutto, in questo caso, la "sposa" - ovvero i centristi - ha compreso benissimo l'incertezza del momento. Ieri tra le file dei montiani si è diffuso un senso di scoramento, una sgradevole sensazione di rompete le righe. Raccontano ad esempio che Luca Cordero di Montezemolo abbia fatto sapere che la sua candidatura ci sarebbe soltanto nel caso di un parallelo impegno di Monti. I più pessimisti sono sicuri che la lista "Verso la Terza Repubblica", se Monti darà forfait, non nascerà affatto. Al massimo Andrea Olivero, ex presidente delle Acli, e qualcun altro potrebbero trovare ospitalità nella lista dell'Udc.

Casini, che ieri ha avuto un colloquio con il premier, si tiene pronto al peggio. "Rispetteremo le scelte di Monti, qualsiasi esse siano.
Ma noi saremo comunque in campo", ha messo in chiaro parlando nelle Marche. Angelino Sansa, capo dell'Udc in Puglia, ieri pomeriggio, alla buvette di Montecitorio, confidava all'orecchio un collega di partito: "Cesa mi ha detto di cominciare a preparare la nostra lista in Puglia". La liquefazione del centro è a un passo e sarebbe la diretta conseguenza del disimpegno di Monti. Una possibilità che sta allarmando al massimo anche i vertici della Cei. Visti i numeri dei sondaggi, nel caso di default della lista Montezemolo-Riccardi, i centristi sarebbero infatti spazzati via da palazzo Madama senza poter superare la soglia regionale dell'otto per cento. Senza gruppo al Senato, irrilevanti alla Camera.
In un divanetto del Transatlantico ormai deserto due montezemoliani della prima ora, Giustina Destro e Fabio Gava, confabulavano preoccupati: "Senza Monti la campagna elettorale diventerà un derby tra Berlusconi e Bersani. Per noi sarebbe la fine". Nell'Udc e dentro Fli, oltre al terrore di essere lasciati a piedi nel bel mezzo di una campagna elettorale difficilissima, ieri montava anche del risentimento contro Monti. Come se il disimpegno fosse già cosa fatta.

"Se pensa così di conquistarsi il Quirinale - si sentiva dire in un capannello di deputati Udc - si sbaglia di grosso. Bersani non è babbo Natale, al Colle manderanno Prodi". Nell'altro campo, quello del Pdl, già si fregano le mani. "Senza Monti - osserva Raffaele Fitto - la partita è apertissima. Al Senato l'alleanza fra noi e la Lega può vincere in Lombardia e in Veneto. Anche in Campania e Sicilia, grazie ai voti che prenderà la lista di Ingroia-De Magistris, il Pd mancherà il premio regionale. A quel punto è fatta: a Berlusconi per vincere gli basta non perdere".

(22 dicembre 2012) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2012/12/22/news/dubbi_monti-49258766/?ref=HREA-1
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« Risposta #65 inserito:: Gennaio 30, 2013, 05:23:50 pm »

Scandalo Mps, l'allarme del Pd: "C'è chi non vuol farci vincere"

La preoccupazione dei vertici del Pd. I timori che ritorni l'accerchiamento del 2005 quando si consumò la vicenda Unipol.

E c'è chi ricorda che Monti ha candidato Alfredo Monaci, presidente di Mps immobiliare

di FRANCESCO BEI


ROMA - Ora Bersani inizia davvero a temere per il risultato finale. L'attacco concentrico di Monti, di Ingroia, di Grillo e del Pdl, la rapidità con cui è stata decisa l'audizione del ministro Grilli a Camere sciolte, i rumors di altri clamorosi colpi di scena in arrivo, i sospetti su una maxitangente rilanciati dal Giornale e da Mentana, tutto ciò sta rendendo la vicenda del Monte dei Paschi di Siena ad altissimo rischio. "Si respira di nuovo l'aria avvelenata del 2005", sospira un dirigente del Nazareno. Il 2005: l'Opa dell'Unipol di Consorte su Bnl, quando l'allora presidente della Margherita, Arturo Parisi, arrivò a rinfacciare al Pds il ritorno della "questione morale".

Per Bersani il sospetto, confidato ieri a un amico, è che il bersaglio grosso sia proprio il Pd e il risultato elettorale: "Ci sono ambienti di questo paese che stanno facendo di tutto per farci perdere le elezioni". Il rischio c'è e ne sono consapevoli i maggiori esponenti del partito. "Stare sulla difensiva per un mese su questo tema potrebbe portare danni immensi - riflette preoccupato un pd di provenienza democristiana - e l'idea che 150 finanzieri abbiano setacciato per giorni la sede della banca e le abitazioni di Mussari e Vigni (ex presidente ed ex direttore generale di Mps, ndr) non tranquillizza nessuno. Sulla banca si è giocata una faida interna ai Ds". La paura insomma è che la saga Mps-Antonveneta sia soltanto alla prima puntata.

Nel quartier generale del Pd la tensione è alle stelle e ogni dichiarazione viene soppesata con il bilancino. Per questo ha fatto scalpore ieri a Largo del Nazareno l'attacco durissimo sferrato da Mario Monti. Non solo perché arrivato da una persona che formalmente sarebbe ancora il premier sostenuto dal Pd e probabile alleato di governo nel futuro.
Bersani e i suoi hanno infatti letto in quell'affondo di Monti un disegno preciso per affossare il centrosinistra. E si sono attrezzati con le prime contromisure. "Monti - ha sussurrato ieri Bersani a un vecchio "compagno" della Cgil all'Eur - prova a fare il furbo sul Monte dei Paschi ma non mi sembra nella posizione di poter dar lezioni". Nel Pd ora si fa notare la partecipazione di Francesco Gaetano Caltagirone, suocero del leader Udc, al vertice del Monte dei Paschi, di cui è stato fino a un anno fa vicepresidente e secondo azionista. O la candidatura al Senato per Scelta Civica di Alfredo Monaci che, come ricorda Francesco Boccia, "è stato membro del consiglio di amministrazione di Mps dal 2009 al 2012 con Mussari, ex presidente di Biver Banca e tuttora è presidente di MPS immobiliare". Insomma, non proprio un passante rispetto alle vicende che tengono banco.

Ma sono tante le "strane coincidenze" che ai piani alti del Pd fanno pensare a un intervento orchestrato per procurare più danni possibili. Anche l'audizione lampo del ministro dell'Economia Grilli, che parlerà dello scandalo Mps martedì prossimo a Montecitorio, rientra tra queste. Un'audizione concordata dal presidente della Camera con Monti su richiesta di un deputato ex Idv, Francesco Barbato, "che normalmente - dicono al Pd - viene considerato da Fini un cavallo pazzo e tenuto in nessuna considerazione".

Come mai stavolta la domanda di Barbato, uno che ha chiesto l'iscrizione al partito dei Pirati e se l'è vista negare, salvo poi fondare giorni fa un suo movimento personale ("Democrazia liquida"), è stata accolta con tanta solerzia? Questa è una delle domande che si fanno in queste ore al Nazareno. Anche il ruolo di Anna Maria Tarantola, montiana di ferro e nominata dal premier al vertice della Rai, è passato al microscopio visto che era lei il capo della vigilanza della Banca d'Italia all'epoca dei fatti. Quella stessa Bankitalia che fin dalla scorsa primavera aveva aperto il dossier Mps, chiedendo a Rocca Salimbeni la rimozione del direttore Vigni e del presidente Mussari.

Ma al di là dei sospetti per le presunte manovre in corso, quello che conta per il vertice del Pd è togliersi dal mirino nelle ultime settimane prima del voto, smettere di stare sulla difensiva e uscirne con una proposta forte. Bruno Tabacci - che sulla battaglia intorno ad Antonveneta si alzò quasi da solo in Parlamento per denunciarne le storture - avrebbe un consiglio per i suoi nuovi alleati del Pd: "A questo punto ci vuole una soluzione forte, traumatica. Dovrebbero invitare il governo a commissariare la "loro" banca".

(26 gennaio 2013) © Riproduzione riservata

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« Risposta #66 inserito:: Febbraio 24, 2013, 04:08:52 pm »



di FRANCESCO BEI

Il Cavaliere strappa la regola del silenzio


"Non ho violato alcuna regola", afferma candidamente Berlusconi davanti al fatto compiuto. Puntualmente, come ogni altra elezione, anche stavolta il Cavaliere ha stracciato il fair play e violato la legge che impone a tutti i candidati il silenzio. Oltretutto monopolizzando l'attenzione con un'affermazione apodittica contro la magistratura, che sarebbe "una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa". Protesta il Pd con Anna Finocchiaro per la violazione della legge, mentre Antonio Ingroia invoca l'intervento di Napolitano "anche a tutela della credibilità della magistratura di cui il Capo dello Stato è supremo garante". Il fallo da rigore di Berlusconi non è l'unico argomento di polemica in questa vigilia elettorale. Perché anche Mario Monti, che accoglie i marò italiani e si presta alla stretta di mano a favore di telecamere, scatena la protesta del centrodestra. "Monti si vergogni", grida Ignazio La Russa nel coro di Lega e Pdl. Da stamattina, sotto un cielo carico di neve e di pioggia, 50 milioni di italiani sceglieranno il governo del paese. Con addosso gli occhi dell'Europa e degli investitori internazionali.

DA - http://www.repubblica.it/politica/
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« Risposta #67 inserito:: Febbraio 28, 2013, 11:28:52 am »

Bersani non vuole mollare: "Sì a 5Stelle o ci spazzano via"

L'idea del mandato esplorativo e le alternative al leader Pd.

A largo del Nazareno non escludono che dopo Bersani entrino in gioco Letta e Barca.

Romano Prodi avrebbe aperto un dialogo con i grillini eletti in Emilia-Romagna, parlando con Casaleggio.



di FRANCESCO BEI


ROMA - Bersani nei suoi colloqui di queste ore lo definisce un "governo di responsabilità nazionale". E la partita è giocata su due tavoli: l'offerta al Movimento 5 Stelle e il dialogo (ripreso dopo le asprezze della campagna elettorale) con Mario Monti. "Non ci sono subordinate - ha spiegato il segretario del Pd - andiamo avanti con questa disponibilità. Anche perché Grillo già si frega le mani al pensiero di un governissimo tra noi e il Cavaliere, per poi tornare a votare tra un anno e ammazzarci: non gli faremo questo regalo".

L'offerta sarà sostanziata mercoledì alla direzione del partito. Gli uomini di Bersani stanno dettagliando le singole proposte che dovrebbero allettare i grillini e tenere alla larga Berlusconi, a partire dal conflitto d'interessi e da una vera legge anticorruzione. "Dobbiamo stanare Grillo", è l'input del leader del Pd. In parallelo ha concordato con Vendola che sia proprio il leader di Sel il "pontiere" con il M5S.

C'è poi la rete degli eletti Pd in Emilia-Romagna già al lavoro per ricucire, ma soprattutto sarebbe entrato in campo Romano Prodi. Con una telefonata a Gianroberto Casaleggio. Mediazione smentita dall'ex leader dell'Unione, ma non è un mistero che i voti grillini, oltre che per palazzo Chigi, farebbero comodo anche per il Quirinale.

La novità è che il segretario Pd, come detto più volte in campagna elettorale, non ha affatto abbandonato l'idea di imbarcare Mario Monti. Tra Bersani e il premier c'è già stato due giorni fa un lungo colloquio telefonico. Il fatto è che il leader democratico ha un assoluto bisogno del sostegno del Professore. In primo luogo perché a palazzo Madama, senza i 19 montiani, un eventuale governo Bersani non avrebbe i numeri per la fiducia.

Inoltre l'ombrello internazionale offerto dalla credibilità del premier può mitigare gli effetti sui mercati dell'instabilità italiana. "Per la maggioranza puntiamo a un'entente cordiale tra Scelta-Civica, Italia Bene Comune e Grillo", conferma il segretario socialista, Riccardo Nencini, dopo un consulto con Bersani.
L'offerta di Berlusconi, resa pubblica ieri via Facebook, invece non viene presa in considerazione, anche se Bersani è consapevole che dentro il Pd sta crescendo un'area non piccola che preferisce guardare in quella direzione. "Dai tempi della Bicamerale del '96 ne abbiamo prese fin troppe di fregature dal Cavaliere", avverte un fedelissimo di Bersani come Stefano Fassina.

Anche al Colle al momento nessuna strada viene esclusa. Compresa quella di un mandato esplorativo che potrebbe essere affidato a Bersani, ma anche ad Amato o allo stesso Monti. Altri due nomi che circolano in area Pd sono quelli di Fabrizio Barca ed Enrico Letta. Il timore di Napolitano è infatti legato all'incertezza del quadro: nel caso affidasse a Bersani un incarico pieno e il segretario del Pd non riuscisse a trovare una maggioranza, a quel punto l'unica alternativa sarebbero le elezioni a giugno.

La chiusura di Bersani al leader del Pdl lo espone tuttavia al rischio di consegnarsi mani e piedi ai diktat di Grillo. Da qui la necessità di bilanciare l'apertura al M5S con Monti. Due tavoli dunque, per costruire un programma da portare in Parlamento e "vedere chi ci sta". E intanto provare a trovare un'intesa sui presidenti delle Camere.

Bersani la definisce "la tattica del carciofo", una foglia alla volta per non essere travolto: prima i presidenti delle Camere (dal 15 marzo, l'anticipo della convocazione è troppo complicato), poi le consultazioni per il governo, infine la partita del Quirinale. Ed è l'opposto di quanto vorrebbe Berlusconi. Il Cavaliere infatti, tramite un ambasciatore, ha fatto pervenire al leader del Pd un'offerta di alleanza preventiva "onnicomprensiva". Un pacchetto unico, che comprende il governo di larghe intese (senza Grillo), le presidente delle Camere e il Quirinale. Dove il Cavaliere vedrebbe bene ancora l'attuale inquilino del Colle. "Diglielo a Bersani: in questo caos l'unica - ha confidato ieri Berlusconi al mediatore del Pd - è sperare in una proroga di Napolitano".

(28 febbraio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2013/2013/02/28/news/bersani_non_vuole_mollare_s_a_5stelle_o_ci_spazzano_via-53558299/?ref=HREC1-3
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« Risposta #68 inserito:: Marzo 05, 2013, 05:00:00 pm »

La mossa di Monti all'ombra del Colle.

La paura del Pd: "Prove di governo tecnico"

Il premier: non inseguo nessuno. Il totonomi per palazzo Chigi, spuntano Rodotà e Passera

di FRANCESCO BEI


MARIO Monti considera un suo preciso "dovere" rivolgersi, in questa fase delicata, ai leader delle forze presenti in Parlamento. Senza che a questo vada data particolare enfasi: "Io non inseguo nessuno -  ha confidato il premier a chi lo ha sentito dopo la lettera spedita a Bersani, Berlusconi e Grillo - chiedo soltanto se vogliono esprimere un'opinione".

Eppure non è difficile leggere questa mossa in controluce. E la coincidenza dell'incontro di ieri mattina tra il premier e il capo dello Stato ha avvalorato i timori di quanti, nel Pd, hanno voluto vedere una precisa regia del Quirinale dietro l'iniziativa di apertura di Monti ai tre capi partito.

Anche se il leader del M5S dovesse rifiutare l'invito a palazzo Chigi, è chiaro che accomunare in un gesto di responsabilità i tre leader, a ridosso di un'importante scadenza europea, equivale a far vedere a tutti quale potrebbe essere il perimetro allargato di un eventuale governo del Presidente. Insomma, alla maggioranza "ABC" che ha sorretto Monti si potrebbe sostituire l'ultima consonante: con la "G" di Grillo. Oltretutto invitare il leader antisistema a palazzo Chigi serve anche a normalizzare il fenomeno Grillo, a togliergli il cappuccio da moscone, riportandolo nell'alveo della dialettica politica. Inoltre far "rivedere" sulla scena Monti, eclissatosi dopo il risultato deludente di Scelta Civica, per il capo dello Stato è utile per mandare un segnale all'estero, per dimostrare (come ha detto in Germania) che in Italia "un governo c'è". È ancora in carica oggi, e magari lo sarà anche domani.

Nelle sue conversazioni - ieri in questa sorta di consultazioni informali è finito anche con Romano Prodi, ufficialmente per parlare del "Mali" - il capo dello Stato ha infatti iniziato anche a gettare sul tavolo alcuni nomi. Nulla di deciso, ma soltanto delle possibilità nel caso Bersani non dovesse farcela nel tentativo di agganciare il M5S. In prima linea c'è Monti, appunto. Oppure il governatore Ignazio Visco. O entrambi, con Visco premier tecnico e Monti all'Economia. A un governo tecnico i grillini potrebbero persino dare la fiducia.

L'altro nome che inizia a circolare per palazzo Chigi è più connotato politicamente, quello di Stefano Rodotà. Ovviamente il giurista potrebbe essere votato solo da una maggioranza Pd-M5S, avendo fra l'altro firmato l'appello per l'ineleggibilità di Berlusconi. A La zanzara il blogger Claudio Messora, vicino al M5S, ha definito Rodotà "una persona stimata", aggiungendo che "Grillo potrebbe appoggiare un governo fatto da persone neutre che non hanno fatto danni in passato". In corsa ci sarebbe anche Corrado Passera, che ieri ha opposto un sibillino no comment alle voci su una sua candidatura.

Al momento comunque qualunque ipotesi per palazzo Chigi dovrà essere verificata alla luce del clima che si creerà in Parlamento per l'elezione dei due presidenti. È quella la prima partita e già in settimana potrebbe riunirsi il Consiglio dei ministri per anticipare la prima riunione delle Camere al 12 marzo. Nichi Vendola, in un corridoio del Transatlantico, aspetta i grillini al varco e spera: "Hanno detto che vogliono le presidenze delle commissioni di garanzia. Benissimo, si stanno già predisponendo a una dialettica parlamentare".

E se il Pd ha da solo i numeri per eleggere Dario Franceschini a Montecitorio, anche a palazzo Madama si potrebbe arrivare a un ballottaggio tra il candidato democratico (Anna Finocchiaro) e quello Pdl (Renato Schifani) "A quel punto - ragiona ad alta voce Fabrizio Cicchitto - i grillini a scrutinio segreto potrebbero anche far eleggere un presidente del Pd". Sarebbe un cappotto. Ma potrebbe spuntare anche la candidatura di Pierferdinando Casini, frutto di un'intesa tra Pd e Scelta Civica. Insomma i giochi veri ancora non si sono neppure aperti. E Berlusconi è convinto di non essere aggirabile in alcun modo. "Se non vogliono restare ostaggio di Grillo - osserva Maurizio Gasparri - quelli del Pd devono parlare con noi. Come diceva Totò: questa è la piazza e da qui devono passare".

(05 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/05/news/monti_colle-53890934/
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« Risposta #69 inserito:: Marzo 13, 2013, 11:34:49 am »

Spunta il piano B del governo istituzionale e il Cavaliere vuole rientrare in partita

L'incarico a un presidente del Senato targato Pd se Bersani fallisce.

L'intesa consentirebbe al centrodestra di evitare l'ascesa di Prodi al Colle.

Nel Pd si fa strada la convinzione che al Pdl convenga un esecutivo del presidente



di FRANCESCO BEI


ROMA - C'è di nuovo l'ombra di un governo del Presidente a oscurare il pallido tentativo di Bersani di formare una maggioranza con i Cinquestelle. "Strada in salita", ha ammesso lo stesso segretario del Pd, preso a pesci in faccia ogni giorno da Beppe Grillo. Così rimbalza tra i palazzi romani una possibile via d'uscita, che sarebbe stata esaminata in recenti conversazioni anche al Colle. Se l'incarico esplorativo a Bersani dovesse sgretolarsi di fronte al muro di incomunicabilità eretto dai grillini, il "piano B" potrebbe essere gestito dallo stesso Napolitano, inizialmente rassegnato a lasciare al suo successore il compito di individuare un nuovo presidente del Consiglio. L'incarico sarebbe invece essere affidato al presidente di uno dei due rami del Parlamento, possibilmente il Senato, per dar vita a un "governo istituzionale".
Già, ma con i voti di chi? Nel Pd - nonostante la sceneggiata sudamericana dei berlusconiani al palazzo di Giustizia di Milano - si sta facendo strada la consapevolezza che una qualche forma di collaborazione vada trovata con il Cavaliere. Senza intavolare trattative segrete, ma chiedendo il voto in Parlamento "a tutti, senza preclusioni". Nella convinzione che convenga anche al Pdl assicurare la partenza di un "governo istituzionale" uscendo dall'isolamento politico in cui si è avvitato il centrodestra.
(L'articolo integrale su Repubblica in edicola e su Repubblica+)

(13 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/13/news/governo_istituzionale-54438062/?ref=HREA-1
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« Risposta #70 inserito:: Marzo 16, 2013, 05:40:27 pm »

L'ultimo duello fra Napolitano e Monti "Mi spiace, non puoi presiedere il Senato"

Il presidente della Repubblica frena l'elezione di Monti a numero 1 di Palazzo Madama.

"Le sue dimissioni dal governo sarebbero un colpo per il Paese".

Il premier pronto a nominare un vice

di FRANCESCO BEI e UMBERTO ROSSO


SI SONO infrante contro l'argine del Quirinale le ambizioni di Monti di diventare oggi il presidente del Senato. Niente da fare. Quello tra il capo del governo e Napolitano è un confronto teso, un botta e risposta che si prolunga per quasi un'ora. Il pomo della discordia sono le dimissioni di Monti da palazzo Chigi, necessarie per essere eletto come successore di Schifani.

"Se lei proprio adesso si dimette da presidente del Consiglio - obietta a Monti il capo dello Stato - rischiamo di dare un colpo drammatico all'immagine dell'Italia. In questo momento, il nostro paese è legato al suo governo, quindi lei è insostituibile". Il presidente del Consiglio tiene il punto e replica: "Dopo l'ultimo Consiglio europeo ho concluso la mia missione, non devo per forza restare a Palazzo Chigi a fare il parafulmine per gli altri". Ma anche Napolitano è un osso duro. Il presidente della Repubblica esprime senza diplomazia tutti i sui dubbi, le riserve di natura giuridica e istituzionale sul cambio di maglietta in corsa del premier. Monti non si dà per vinto, anzi prospetta, con accanto il sottosegretario Antonio Catricalà la soluzione per uscire dall'impasse. "Sono pronto a convocare già questa sera un consiglio dei ministri straordinario, nominare un vicepresidente vicario e lasciare nelle sue mani l'interim della presidenza". Il nome che circola è quello del ministro Cancellieri, ma è un dettaglio. Anche perché Napolitano giudica subito un'ipotesi di questo tipo "senza precedenti",
obietta che l'interim può scattare solo in caso di gravi impedimenti del premier, e in ogni caso non per un mese, perché almeno tanto ci vorrebbe per arrivare ad un nuovo governo.

Monti tira fuori dal dossier giuridico che si è portato dietro un precedente che è andato a ripescare: D'Alema vice presidente del Consiglio del governo Prodi, che con il premier di allora all'estero firma alcuni decreti, "e lei che era al Quirinale se lo dovrebbe ricordare - aggiunge poi rivolto a Napolitano - perché non trovò la scelta scorretta". Ma, accanto al confronto procedurale, c'è la questione politica. Chiede Napolitano a Monti: "Ma potrebbe garantirmi che le forze politiche che appoggiano questa sua operazione per il Senato, poi faranno lo stesso per la maggioranza di governo?". È un'obiezione gigantesca, perché Monti questa garanzia al momento non può darla. "Questo sarebbe lo schema D'Alema", replica amareggiato. Insomma, non riesce a convincere il capo dello Stato, che lo congeda così: "Io stesso sarei anche disposto a votarla come presidente della Repubblica, ma le sue chance così si stanno esaurendo".

Dunque è di nuovo tutto azzerato. E così anche i rapporti tra Pd e Scelta Civica si raffreddano, nonostante un redivivo Casini faccia di tutto per tenere i fili. L'operazione Monti al Senato parte in gran segreto già giovedì sera, quando viene comunicata al vertice del Pd. "Per noi va bene", risponde Bersani, "ma con Napolitano ci deve parlare Monti". Nella testa del premier quello a palazzo Madama è soltanto un passaggio. A rivelare quale dovrebbe essere lo step successivo è Andrea Olivero, che alza il velo sul progetto parlando ieri mattina all'assemblea dei parlamentari di Scelta Civica: "L'elezione di Monti al Senato è il passaggio verso il Quirinale". Per i montiani tutto si tiene: il Professore che trasloca al Quirinale, Franceschini che diventa presidente della Camera e, a palazzo Madama, tra un mese arriva Renato Schifani. Monti, raccontano, è motivatissimo. Già si vede come successore di Napolitano.

Ma tutto s'incaglia sull'obiezione costituzionale del Quirinale. Ora tutto torna il alto mare. Nel Pd sono pronti a prendersi entrambe le Camere, mentre Bersani andrebbe a palazzo Chigi con un governo di minoranza. E la maggioranza a palazzo Madama? Un aiuto potrebbe arrivare dai 17 senatori del Carroccio. Un sospetto sul dialogo Pd-Lega è venuto a Umberto Bossi, che ieri non a caso ha attaccato duramente Bobo Maroni. Anche Augusto Minzolini, neo senatore del Pdl, da animale parlamentare ha fiutato qualcosa e in serata ha twittato un altolà preventivo: "La Lega l'ultimo anno ne ha sbagliate molte. Se pensa di governare con Pd-Monti contando su maggioranza di 2 voti a Senato è da ricovero".

(16 marzo 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/03/16/news/stop_monti-54660540/?ref=HREA-1
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« Risposta #71 inserito:: Marzo 24, 2013, 05:05:18 pm »

Bersani pronto a una svolta "Non è una missione impossibile"

Apertura alla Lega e un cattolico al Colle. L'incontro con Saviano.

Per il Quirinale spunta Mattarella E una "superbicamerale per le riforme"

di FRANCESCO BEI

Si parte con i rappresentanti dei Comuni e il Forum del terzo Settore, si chiude con Roberto Saviano per discutere "un immediato programma di interventi sui temi della lotta alle mafie". Il primo giorno di consultazioni Bersani ci tiene a presentarsi con un'attenzione tutta concentrata "sui problemi reali del paese". Come se davvero giovedì potesse salire al Colle e sciogliere la riserva, pronto a consegnare subito la lista dei ministri. "Partiamo dalle fatiche del paese - spiega nei suoi incontri a porte chiuse - e non da una trattativa tutta in politichese".

A dispetto di chi lo descrive cupo e rassegnato, il segretario del Pd mostra ai giornalisti tutto l'ottimismo della volontà: "Non c'è niente di impossibile, non si dica che sono pessimista". La conferenza stampa nella sala Aldo Moro di Montecitorio serve anche a rispondere a Silvio Berlusconi, che quasi in contemporanea, arringando la piazza del Pdl, l'aveva definito un premier precario. "Berlusconi mi dica se ci sono ipotesi meno precarie di un necessario governo del cambiamento".

A chi si rivolge Bersani? "Chiederemo a tutti di consentire la nascita del governo, se poi il Pdl o gli altri si asterranno o non entreranno in aula - argomenta il leader democratico con i suoi interlocutori - è una questione secondaria". Quanto ai grillini, Bersani rilancia la sfida con il metodo Grasso: "Abbiamo dimostrato che noi non siamo in coda ma in testa al cambiamento... invece di insultarmi si assumano le responsabilità". I democratici con i cinquestelle le stanno provando tutte. Daniele Marantelli, il deputato che si occupa della Nazionale dei parlamentari, ha persino provato ad agganciarli con la scusa di una partita "tra di noi". E Bersani ieri ha promesso "norme stringenti su conflitto di interessi, candidabilità e ineleggibilità". Ma parlare di un ddl che valga a partire dalla prossima legislatura è cosa molto diversa dal votare l'ineleggibilità di Berlusconi alla giunta del Senato, come vorrebbero fare i grillini.

L'articolo integrale su Repubblica oggi in edicola

(24 marzo 2013) © Riproduzione riservata
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« Risposta #72 inserito:: Maggio 03, 2013, 05:52:30 pm »

   
Convenzione, Renzi stoppa Berlusconi: "Gravissimo farne un padre costituente"

Il sindaco di Firenze: non esageriamo, presidenza fuori dai patti di governo.

Il ministro Quagliariello tenta di rasserenare gli animi: "Chi guiderà? Non se n'è parlato"

di FRANCESCO BEI


ROMA - Della Convenzione per le riforme, messa in frigo per l'urgenza di scegliere i sottosegretari, si ricomincerà a parlare seriamente solo la prossima settimana. Ma intanto Matteo Renzi è pronto a lanciare in pubblico il suo altolà per bruciare sul nascere l'ipotesi che la presidenza venga affidata al Cavaliere. Ai suoi parlamentari il sindaco di Firenze lo ha già anticipato: "Ora non esageriamo, un conto è fare un governo con il Pdl perché non ci sono alternative, altro è dare la Convenzione a Berlusconi". Per Renzi è un problema serio, visto l'aura di padre della patria che ne ricaverebbe il leader del Pdl. "Se serve lo dirò: non è che possiamo arrivare a trasformarlo in un padre costituente". Dunque "sarebbe un errore gravissimo accettare che faccia il presidente della Convenzione". Una clausola, quella dell'elezione di Berlusconi alla guida della nuova "commissione dei 75" che per il sindaco "non può rientrare negli accordi di governo", anche se qualcuno - Bersani o Letta - può aver fatto balenare questa possibilità nei giorni della trattativa sulle larghe intese.

Mentre si moltiplicano le voci che indicano nel leghista Calderoli, come anticipato da Repubblica, il nome su cui potrebbero convergere Pd e Pdl, il ministro delle riforme Gaetano Quagliariello prudentemente assicura che "non è stata ancora affrontata la questione della presidenza". Quello che si capisce è che il governo intende restarne fuori per non rimanerci sotto. Schiacciato dalle polemiche. "Cercheremo di seguire questa vicenda senza entrarci - confermano da palazzo Chigi - la spinta del governo, se ci sarà, arriverà quando la scelta sarà maturata". Letta insomma lascia che la Convenzione svolga il suo ruolo e faccia da sfogatoio per i partiti, sperando che il governo possa uscirne indenne. Il premier è infatti consapevole delle controspinte che arrivano dal suo stesso partito per sabotare l'organismo ed evitare che si trasformi in un palcoscenico per Berlusconi. Ieri, dopo gli attacchi del costituzionalista Stefano Rodotà, Pippo Civati (presente alla manifestazione di Left) ha lasciato intendere che la partita è ancora tutta aperta: "Per me siamo in un governo che non deve durare troppo. Un esecutivo che deve fare la legge elettorale prima di fare convenzioni o circonvenzioni". Una priorità condivisa dai "Comitati Dossetti per la Costituzione", che hanno lanciato ieri un appello, sottoscritto da decine di giuristi, contro l'ipotesi di "Convenzioni paracostituenti".

Di fronte a questa opposizione montante, i fautori della Convenzione cercano di serrare le file e accelerare. Francesco Sanna, deputato vicino a Enrico Letta, spiega il piano d'attacco: "L'idea è quella di approvare simultaneamente delle mozioni parlamentari incrociate tra Camera e Senato, con lo stesso testo. Sarebbe un invito ai presidenti del Parlamento per convocare questo organismo misto, aperto agli esterni". Quanto alla composizione, il Pd farebbe il beau geste di rinunciare al premio di maggioranza, a favore di una rappresentanza puramente proporzionale che rispecchia i veri rapporti di forza del paese: un terzo Pd, un terzo Pdl, un terzo M5S.

Se l'escamotage degli ordini del giorno consentirebbe di far partire immediatamente la Convenzione, resta tuttavia aperto il problemi dei poteri. Dovrà infatti essere approvata, in parallelo, una legge costituzionale che stabilisca il carattere "redigente" della Convenzione. Il che significa che il testo uscito dall'organismo non potrà più essere toccato da deputati e senatori. "Il significato profondo della convenzione, ratificata con legge costituzionale, è proprio quello di dargli potere redigente - ha confermato il democratico Gianclaudio Bressa a Radio24 - in modo tale che al testo che ne esce Camera e Senato possano dire di sì o di no. Così potremmo passare da un bicameralismo isterico come abbiamo noi al monocameralismo". Il problema, tra gli altri, è quello di impedire ai senatori di manomettere la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, costringendoli ad accettare l'intero pacchetto.

Quagliariello ha intanto in forno un'altra novità importante. Insieme a Dario Franceschini sta studiando una riforma dei regolamenti parlamentari per garantire una corsia preferenziale ai provvedimenti del governo. Un modo per evitare l'eccesso di decretazione d'urgenza e i voti di fiducia, biasimato di volta in volta dall'opposizione di turno.

(03 maggio 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/politica/2013/05/03/news/convenzione_renzi_blocca_berlusconi-57946680/?ref=HREC1-3
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« Risposta #73 inserito:: Giugno 18, 2013, 05:48:37 pm »

G8, disastro logistico per la stampa: ossessione sicurezza e costi record

L'appuntamento nordirlandese rimarrà nella memoria dei giornalisti al seguito dei leader mondiali per le numerose falle organizzative.

Trasporti inaffidabili, prezzi impossibili e controlli o troppo rigidi o inesistenti

di FRANCESCO BEI


LOUGH EINE (Irlanda del Nord)  -  Questo G8 sotto la presidenza britannica sarà ricordato dai giornalisti, oltre che per le divisioni laceranti sulla Siria, anche per l'assoluto disastro organizzativo. Una débâcle che non viene percepita dal pubblico ma che rende molto difficile il lavoro dei 600 giornalisti accreditati da tutto il mondo. L'elenco delle magagne è lungo e a farne le spese è stato persino Vladimir Putin, che non è riuscito ad atterrare domenica sera a Belfast ed è stato costretto a dormire a Londra. Se lo zar russo ha le sue alternative, così purtroppo non è per gli inviati.     

Capitolo controlli. D'accordo in Irlanda del nord fino a 15 anni fa l'Ira metteva le bombe e fidarsi è bene ma... la sensazione è che ci siano un particolare accanimento sui giornalisti, obbligati a sfilarsi cinture, orologi e svuotarsi le tasche anche al rientro notturno in albergo, quando potrebbero essere una minaccia al massimo per se stessi. "Lo sappiamo, è assurdo  -  sospirano i gentilissimi poliziotti ai metal detector  -  ma sono le disposizioni dall'alto: vi dobbiamo controllare anche quando ve ne andate". Tanta ossessiva solerzia viene poi clamorosamente contraddetta dalla sciatteria con la quale sono stati distribuiti i preziosi "pass" per accedere all'area rossa: chi è arrivato in ritardo domenica notte si è trovato da solo il proprio lasciapassare in una scatola di cartone, senza alcun riscontro o identificazione con la carta d'identità. Dal troppo al troppo poco.

Capitoli trasferimenti. Il caos britannico su questo fronte è totale. Domenica sera decine di giornalisti sono stati lasciati più di un'ora, a mezzanotte, sotto la pioggia, in attesa delle navette che li portassero in albergo. Impossibile rientrare in sala stampa, almeno per ripararsi: "Problemi di sicurezza". Stesso film nei giorni seguenti, con la tabella delle partenze delle navette completamente ignorata. E pazienza per chi deve andare in diretta, oppure ha prenotato un costosissimo slot satellitare per trasferire le immagini. Martedì mattina, ultimo giorno, la navetta è dispersa, l'autista introvabile. Due ore di ritardo sul programma. Ne restano vittime gli stessi giornalisti britannici, il cui autista si perde nella campagna e chiede un navigatore satellitare ai suoi passeggeri.

Capitoli costi. Va bene la crisi e la sobrietà, ma al G8 si paga tutto. Anche l'acqua minerale, all'astronomico prezzo di 12 euro al litro. Come una buona bottiglia di Chardonnay. Due caffè in sala stampa vanno via per 4 sterline e mezza: 5 euro e 30 centesimi. Tutto si paga doppio, a partire dalle stanze degli alberghi convenzionati con il G8, che fiutato l'affare hanno duplicato le rette. Alberghi peraltro lontanissimi, a volte cento chilometri, dall'area del summit. Il G8 britannico si chiude oggi con la spiacevole sensazione di essere stati munti come le numerose mucche che pascolano indifferenti oltre il perimetro della sala stampa. 

(18 giugno 2013) © Riproduzione riservata

da - http://www.repubblica.it/esteri/2013/06/18/news/g8_disastro_logistico_per_la_stampa_ossessione_sicurezza_e_costi_record-61342859/?ref=HREA-1
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« Risposta #74 inserito:: Luglio 13, 2013, 11:10:58 pm »


L'ira del premier sul Viminale "Chi ha sbagliato ora deve pagare"

"Strutture" del ministero sotto accusa. Angelino: "Mi hanno tenuto all'oscuro.

Pensate che io sono stato avvisato solo dal ministero degli Esteri.

Il capo del governo: la mia linea e di "total disclosure"

di FRANCESCO BEI


ROMA - "Da questa vicenda ne possiamo uscire soltanto adottando una politica di... total disclosure, di trasparenza assoluta".
Enrico Letta detta la linea ai ministri, chiusi nel suo studio a palazzo Chigi da mezzogiorno fino alle cinque della sera. Una prima parte riservata soltanto a Letta, Bonino, Alfano e Cancellieri, poi alla riunione fiume vengono ammessi il capo della Polizia, Alessandro Pansa, e il sottosegretario alla presidenza Filippo Patroni Griffi.

La tensione è altissima. Il caso Shalabayeva, come confida un ministro, "rischia di far deragliare il governo". Se infatti venissero accertate responsabilità del ministro dell'Interno e Alfano (già colpito da mozione di sfiducia di Sel e M5S) fosse costretto a dimettersi, è chiaro che il Pdl non potrebbe restare più in maggioranza. Per questo Letta e i ministri leggono e rileggono ad alta voce i risultati dell'inchiesta interna del Viminale, tutte le carte prodotte dalla difesa della signora Ablyazov e provano a ricostruire i vari passaggi nei dettagli, illuminando le responsabilità. Sembra che Alfano ne sia fuori. "Mi hanno tenuto all'oscuro, solo la Farnesina, ossia Emma, mi ha avvertito", si difende. Il premier gli crede. "Sono stato io a informarlo - conferma Bonino a Letta - Angelino nemmeno sapeva chi fosse".

Ma se la consegna a un dittatore della moglie di un perseguitato politico è avvenuta alle spalle del titolare del Viminale, per il premier questo non può affatto costituire una giustificazione. Letta alza lo sguardo verso il capo della Polizia (nominato dal Consiglio dei ministri a cose fatte e quindi innocente) e per la prima volta da quando è a Palazzo Chgi scandisce le parole senza nascondere la sua rabbia: "Ora qualcuno deve pagare. Se è vero che Angelino non sapeva, qualcuno della struttura ne risponderà". Qualche testa salterà, insomma, fosse quella del capo dell'Immigrazione o del prefetto di Roma o del Questore o del capo della Digos. Chiunque si sia reso responsabile consapevolmente di esporre il paese a una figuraccia internazionale.

"Non saranno tollerati ombre e dubbi", aveva promesso il premier tre giorni fa in Parlamento. E la decisione presa ieri di revocare l'espulsione della Shalabayeva per Letta è soltanto il primo passo. Presto arriverà il momento delle responsabilità. "È importante che si faccia chiarezza", insiste Emma Bonino, la prima ad essersi occupata della vicenda a livello di governo. Quando ancora la collega Cancellieri il 5 giugno affermava alle agenzie che "le procedure sono state perfette e tutto si è svolto secondo le regole". Il ministro degli Esteri la pensava diversamente. Tanto che già dal 3 giugno aveva mobilitato la Farnesina per garantire alla deportata kazaka i diritti di difesa, con il console italiano spedito ad Almaty a raccogliere la firma autentica della Shalabayeva per la richiesta di estradizione.

Quello che è accaduto in quella maledetta notte intorno alla villetta di Casalpalocco e poi ancora nei locali del Cie di Ponte Galeria presenta numerosi aspetti oscuri. Le procedure formali sembrano rispettate, così è scritto nelle carte portate da Pansa, ma qualcuno ha avuto troppa fretta, qualcun altro ha fatto finta di non vedere. "Sembra trasparire un evidente stacco - aveva detto Letta al question time - tra la correttezza formale dei vari passaggi e crescenti interrogativi sostanziali". Intanto chi era quell'uomo con l'auricolare in un orecchio trovato dalla Digos intorno alla villa e presentatosi con un tesserino della presidenza del Consiglio? Il premier vuole sapere. Dall'inchiesta interna viene fuori che effettivamente "l'investigatore" è un ex 007 italiano in pensione, dipendente di un'agenzia privata di sicurezza incaricata di vigilare sulla residenza. Ma incaricata da chi e per quali motivi? L'interrogativo resta sebbene nel vertice di governo i servizi siano stati tenuti fuori dal "processo" perché non avrebbero avuto alcun ruolo.

Durante il vertice si discute anche di quali mosse mettere in campo per alleviare la posizione delicata della Shalabayeva, mamma di una bambina di 6 anni che ora è costretta ai domiciliari. Tenuta di fatto come ostaggio dal dittatore kazako. Letta e Bonino decidono di mandare oggi stesso l'ambasciatore italiano ad Astana a informare le autorità del Kazakistan della revoca del provvedimento di espulsione. È un segnale che Roma ha acceso un faro. Gli avvocati della donna hanno libero accesso alla Farnesina, la collaborazione è massima. "Ma al momento non abbiamo molte armi in mano", ammettono dal ministero degli Esteri e da palazzo Chigi. Quella che è iniziata ieri è una difficile partita a scacchi, giocata nella consapevolezza che la donna difficilmente sarà rilasciata e rispedita a Roma. "Dobbiamo esercitare al massimo la nostra moral suasion", dicono dal governo. L'obiettivo al momento è evitare alla Shalabayeva il carcere e una pesante condanna penale. Con il rischio che la bambina possa essere mandata in un orfanotrofio nell'attesa che la madre venga rilasciata. Sarebbe un'onta per l'Italia. "Chi si è reso responsabile di tutto questo - ripete il premier ai ministri - non la può passare liscia". 

DA - http://www.repubblica.it/politica/2013/07/13/news/l_ira_del_premier_sul_viminale_chi_ha_sbagliato_ora_deve_pagare-62890339/?ref=HRER3-1
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