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Autore Discussione: FRANCESCO BEI.  (Letto 66211 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Aprile 02, 2011, 06:14:40 pm »

IL RETROSCENA

L'ira del Cavaliere sul Colle "Non mi butteranno giù"

Il premier sospetta di Napolitano e sfida Luca Cordero: "Qualcuno spera a nuove idi di marzo anche se siamo già ad aprile"

di FRANCESCO BEI


SI ADDENSANO nuvole nere sopra Palazzo Grazioli. Non ci fossero a sufficienza problemi, dalla guerra in Libia allo «tsunami umano» dalla Tunisia, è dal fronte interno che il Cavaliere vede arrivare i nemici più insidiosi per il suo governo. L´ultimo è Luca Cordero di Montezemolo, che ai suoi confida di aver rotto gli indugi e di essere pronto «a scendere in campo non appena il campo ci sarà: alle prossime elezioni politiche». Insomma, Silvio Berlusconi si sente di nuovo accerchiato.

"Sono i soliti rumori di fondo - minimizza il sottosegretario Andrea Augello, che ieri lo è andato a trovare - ma, se evitiamo di farci male da soli, andrà tutto bene".  E tuttavia al premier non è affatto piaciuta l'iniziativa di Napolitano di convocare per chiarimenti al Quirinale tutti i capigruppo di Camera e Senato, "dando così l'impressione che fossimo vicini a una crisi di governo". Rivelatrice la battuta pronunciata dal Cavaliere nel corso di uno dei numerosi incontri di ieri a via del Plebiscito: "Anche se siamo già ad aprile questi sperano di nuovo nelle idi di marzo". Poi, come a esorcizzare il pericolo mortale, buttandola a ridere: "Si illudono se sperano di farmi fuori. Più insistono e più vado avanti con il bunga bunga".

Eppure il ghiaccio su cui il Cavaliere sta pattinando si fa sempre più sottile. Lo dimostra proprio la procedura eccezionale messa in atto dal capo dello Stato appena sbarcato da New York. Delle consultazioni informali durante le quali tutti i "convocati" hanno confermato al Presidente le incognite e i dubbi che serpeggiano sulla durata della legislatura. Non c'è solo Montezemolo infatti. Anche Pier Ferdinando Casini è tornato a parlare di elezioni anticipate e di "un governo diverso, per cui è necessario uno sforzo di unità nazionale". E anche se al momento non si vedono i segnali di una crisi imminente, il caos che regna in Parlamento costituisce il brodo di coltura perfetto per ogni tipo di soluzione. Non a caso a uno dei capigruppo ricevuti al Quirinale, Napolitano ha consegnato una frase sibillina, che suona come un ammonimento: vediamo cosa combinano la prossima settimana.

Per questo il Cavaliere ha iniziato a studiare le contromisure. Anzitutto "l'imperativo categorico" è pacificare il partito di maggioranza, dilaniato dalla guerra tra ex forzisti ed ex-aenne. Come dice Gaetano Quagliariello, "dobbiamo imporre una "no-FLI-zone" e non imitare dinamiche rivelatesi fallimentari". Un rimprovero rivolto anzitutto a Claudio Scajola, tentato da una scissione in chiave azzurra. Ma è sulle amministrative di maggio che Berlusconi cerca la sua rivincita e prova a costruire quel pilastro su cui poggiare i prossimi 24 mesi di legislatura. "Ci basta strappare alla sinistra qualche città - ha spiegato il premier - per poter dire che abbiamo vinto. Così vanificheremo qualsiasi tentativo di ribaltone. In giro per il mondo, dal Canada alla Francia, per non parlare del disastro della Merkel, chi sta al governo perde le elezioni. Noi invece le vinceremo". A quel punto, prosegue il ragionamento, "nessuno potrà più aprire bocca, dovranno tutti rassegnarsi al fatto che il governo andrà avanti fino alla fine". Per Berlusconi infatti scavallare maggio significa già proiettarsi nel 2012 e, a quel punto, non ci saranno più ostacoli fino alla scadenza naturale della legislatura. "Ma - è il suo timore - se invece le amministrative vanno male, allora proveranno ancora a farmi fuori".

Intanto, già dalla prossima settimana, i reclutatori del Pdl prevedono altri 2 o 3 arrivi in maggioranza. "Se arriviamo a 330 voti alla Camera - ragiona una delle teste d'uovo di palazzo Grazioli - voglio proprio vedere Napolitano come farà a sciogliere le Camere, ammesso che lo voglia". Ma dal Quirinale in questi giorni filtra un certo scetticismo su questi numeri, visto che finora, nelle votazioni calde, la maggioranza si è sempre fermata intorno a 304-305.

In ogni caso, a Berlusconi in questa fase conviene fare buon viso a cattivo gioco. E dare l'impressione di condividere l'inquietudine del Colle per l'eccesso di rissosità in Parlamento. "Noi siamo una forza di governo - spiega il ministro Gelmini - e dunque siamo i primi ad essere svantaggiati dalla lite continua. Quello è il terreno di gioco ideale dell'opposizione".

(02 aprile 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #31 inserito:: Aprile 09, 2011, 12:23:14 pm »

IL RETROSCENA

Maroni minaccia le dimissioni

Bossi lo rincuora: "La Lega è con te"

Lo sfogo dopo i malumori della base del Carroccio: "Il partito mi deve difendere".

Il ministro rivendica l'intesa con Parigi: "Non può fermare i profughi". Vertice nella sede di via Bellerio, presente anche Calderoli.

La tregua dopo due ore. "La reazione dei tedeschi dimostra che i francesi hanno accolto le nostre tesi"

di FRANCESCO BEI


ROMA - Bobo Maroni non ci sta. Stanco di essere preso a bersaglio dell'ira e della delusione dei militanti della Lega, sbeffeggiato persino sulle frequenze di Radio Padania, il ministro dell'Interno l'ha messa giù dura. "Per fare questo lavoro - è stato il suo sfogo - devo sentire il mio partito dietro di me. Altrimenti, se pensano che un altro possa fare meglio, io ci metto un minuto a fare le valigie".
La prospettiva delle dimissioni fa scattare l'allarme rosso nel Carroccio. Il ministro dell'Interno pretende il sostegno esplicito e visibile della Lega, senza più distinguo. Non vuole essere lasciato solo a rappresentare la faccia istituzionale e di governo del movimento, mentre tutti gli altri - a partire dal capo - gridano "fora di ball".

Umberto Bossi capisce che la situazione è al limite. E convoca direttamente Maroni per un chiarimento a via Bellerio, alla presenza dell'altro colonnello leghista, l'eterno rivale Roberto Calderoli. Dopo oltre due ore di vertice, durante il quale il titolare del Viminale spiega nel dettaglio l'intesa raggiunta con la Francia sui permessi temporanei di soggiorno, alla fine viene siglata una tregua interna. "Piena intesa sull'immigrazione", dicono i leghisti all'Ansa dopo il vertice. E la minaccia di dimissioni di Maroni rientra.

Il ministro è infatti soddisfatto per quanto ritiene di aver strappato al collega francese Gueant. A quelli che gli fanno notare che la Francia ha evitato di impegnarsi sull'accoglimento dei tunisini in possesso
di un permesso di soggiorno italiano, Maroni risponde invitando a guardare la Germania. "La reazione rabbiosa dei tedeschi - confida ai suoi - è la migliore dimostrazione che la Francia ha accolto le nostre tesi. Per questo la Germania si fa sentire, è tutta tattica".
Il ministro dell'Interno telefona poi a Berlusconi (impegnato in quel momento con Gianfranco Rotondi a palazzo Grazioli) e gli racconta il succo del vertice con i francesi alla prefettura di Milano: "La Francia - dice - conferma che il nostro provvedimento rispetta il trattato di Schengen. Se poi quelli che entrano in Francia non rispondono ai requisiti, loro non possono bloccarli alla frontiera come hanno fatto finora.

Devono chiedere a noi la riammissione". È un punto cruciale quello dei requisiti necessari a passare la frontiera di Ventimiglia. Fino a ieri l'ordine di Sarkozy ai prefetti era stato quello di non accontentarsi del "papier" concesso dall'Italia ai clandestini, ma di pretendere documenti e risorse finanziarie per sostenere il soggiorno in Francia. Secondo Maroni tutto questo è alle spalle. "Se un tunisino dichiara di voler andare a trovare il fratello a Parigi e dimostra di avere i documenti, il permesso elettronico e i soldi per il biglietto, nessuno lo può fermare. Se ha il permesso elettronico può girare nell'area Schengen liberamente". Altrimenti - e questa è la previsione ma anche la minaccia italiana in vista del prossimo consiglio europeo - "se si ricomincia a mettere su le frontiere e questo vale solo per gli essere umani e non per le speculazioni finanziarie o le scalate societarie, allora è chiaro che salta tutto".

Anche gli uomini di Berlusconi condividono l'approccio di Maroni. E persino il capo dello Stato, da Budapest, ieri ha offerto una copertura alle richieste politiche del governo italiano all'Europa. "Da questa situazione - spiega Gaetano Quagliariello - o se ne esce con una linea che porta l'Europa a partecipare pienamente oppure salta Schengen. Non è una sconfitta dell'Italia, è il fallimento dell'idea stessa di Europa unita".

Berlusconi intanto si sta preparando al vertice del 26 aprile con il capo dello Stato francese. E mostra una certa comprensione per il collega transalpino: "Sarkozy, poveretto, alle presidenziali deve vedersela con la figlia di Le Pen. È costretto a fare la voce grossa, ma vedrete che si risolverà tutto". L'ordine insomma è stato quello di smetterla con gli attacchi a Parigi. Piuttosto ora l'Italia punta a giocare di sponda con Sarkozy per ottenere dall'Ue quel sostegno che finora è mancato. E soprattutto l'attivazione della clausola di solidarietà che consentirebbe di spalmare i migranti su tutti i 27 membri dell'Unione.

(09 aprile 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #32 inserito:: Aprile 11, 2011, 08:41:46 pm »

IL RETROSCENA

Cene di corrente e pugnalate il Pdl sull'orlo dell'abisso

Berlusconi da Arcore: "Basta liti, io sono ancora qui. Non è il mio funerale".

Ma è già partita la corsa alla successione e l'unico vero rivale appare Tremonti.

E otto ministri al Majestic mettono nel mirino il ministro dell'Economia

di FRANCESCO BEI


Il Pdl è un barcone alla deriva. Gianfranco Micciché lo ha compreso prima di altri. E oggi Micciché si prende il lusso della rivincita su chi sghignazzava sulla "scialuppa senza futuro" di Forza del Sud: "Le scialuppe si mettono a mare quando la nave sta per affondare".
I segnali di crisi si moltiplicano. Basta un niente, una cena segreta di ministri forzisti in hotel romano, come quella di giovedì scorso, per provocare reazioni a catena sempre più forti. Ieri da Arcore, riecheggiando un editoriale molto esplicito di Giuliano Ferrara sul Giornale, Silvio Berlusconi ha mandato a tutti un chiaro segnale di insofferenza: "Basta con queste liti. Io sono ancora qua, a battermi come un leone, e c'è chi pensa già al mio funerale. Ma si illudono". Perché è chiaro che, al di là delle baruffe chiozzotte tra ex forzisti ed ex colonnelli di An, al fondo della questione c'è la grande corsa per posizionarsi nel dopo-Berlusconi. È questo il male oscuro che sta corrodendo il Pdl dall'interno.

I quotidiani d'area hanno già fiutato il problema. "Berlusconi è bollito?", si è chiesto Libero. E Feltri, pur proclamandone l'insostituibilità, ha impietosamente definito ieri il caro leader come "stanco", "provato", "rintronato". Un battitore libero come Giancarlo Lehner, prestato dal Pdl ai responsabili, evoca addirittura "un 25 luglio, fissato a mercoledì prossimo, ad opera, questa volta, di imbecilli organizzati dentro il Popolo della libertà". È vero che proprio per mercoledì, giornata in cui alla Camera è atteso il voto finale sul processo breve, un irrequieto Claudio Scajola ha fissato una cena romana con tutti i suoi seguaci (una quarantina). Ma difficilmente la pugnalata finale arriverà dal politico ligure. Amareggiato per essere tenuto ancora fuori dalla porta, Scajola ieri ha confidato a un amico la sua delusione: "Contro di me si è scatenata la P4". Aggiungendo comunque di non voler "creare problemi a Berlusconi" e smentendo le voci di un suo imminente passaggio al terzo polo.

Il movimento più clamoroso in corso è quello dei ministri di area forzista. Nella saletta dell'hotel Majestic c'erano quasi tutti, su invito di Paolo Romani, da Alfano a Frattini, da Prestigiacomo alla Gelmini, e poi Fazio, Carfagna, Fitto. Da un antipasto contro gli ex An, soprattutto contro La Russa, gli otto sono passati rapidamente al vero scopo della serata, l'attacco studiato a tavolino contro Giulio Tremonti. Raccontano che a spronarli di nascosto sia stato lo stesso Cavaliere, sempre più impaziente di ottenere dal ministro dell'Economia quella riforma fiscale che sembra perduta nei cassetti di via XX Settembre. Berlusconi sente che la benzina del governo è agli sgoccioli, ha bisogno come l'aria di un provvedimento che ridia al Parlamento qualcosa su cui discutere per i prossimi due anni. Al di là delle leggi sulla giustizia. "Alfano - spiega uno dei ministri non invitati alla cena - non muove un passo senza averne prima informato il premier.
È ridicolo pensare che abbia partecipato a un'iniziativa di corrente senza prima averne ricevuto l'assenso da Berlusconi". Insomma, il Cavaliere starebbe organizzando i suoi come massa di manovra contro l'unico vero rivale in campo per la successione: Giulio Tremonti. Berlusconi in privato ha promesso che, prima delle amministrative, la legge delega sulla riforma del fisco dovrà arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri. E su questo non transige. L'irritazione dei confronti di Tremonti è cresciuta anche per le recenti nomine nelle aziende pubbliche. "La Lega e il ministro dell'Economia - osserva uno degli uomini del premier - hanno preso tutto, hanno vinto a manbassa. A Berlusconi hanno lasciato la nomina di Maria Grazia Siliquini nel Cda delle Poste". L'ira del premier contro titolare dell'Economia è condivisa da molti dei suoi ministri. "Ormai - si è lamentato Alfano alla cena del Majestic - a me Tremonti nemmeno mi saluta più".

Che non siano stati gli ex An l'oggetto della cena dei ministri forzisti lo spiega con un certa ruvidezza la stessa presunta vittima del complotto, Ignazio La Russa. "Posso solo dirle - confida - che so per certo che non ce l'hanno con noi. Nei manuali di tattica militare si chiama "falso scopo", è quando vuoi attaccare un obiettivo e fai credere al nemico di puntare qualcos'altro. Sbaglia chi se la prende con noi, anche perché non siamo in gara per il dopo-Berlusconi, che oltretutto ci sarà fra vent'anni. Anzi, dico di più: siamo proprio noi ex An il collante di questo partito". La Russa non ci sta a fare il capro espiatorio delle divisioni altrui. Ma l'era del triumvirato a via dell'Umiltà ormai è alla fine.

(11 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/11/news
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« Risposta #33 inserito:: Aprile 22, 2011, 05:33:03 pm »

IL RETROSCENA

Berlusconi ordina battaglia "Napolitano fa finta di nulla"

Il premier con i suoi critica la Moratti sui manifesti anti pm: "E' stata ingenuna".

A vuoto gli inviti alla moderazione di Letta. "In guerra si risponde colpo su colpo"

di FRANCESCO BEI


ROMA - Tenere Giorgio Napolitano sotto pressione. Puntare il dito contro il Quirinale, accusarlo di partigianeria, per rendergli politicamente molto oneroso l'eventuale rigetto della legge sul processo breve. C'è questo nella strategia di Silvio Berlusconi, nonostante ieri, con i suoi, abbia scherzato sulla provocazione del deputato marchigiano (cambiare l'articolo 1 della Carta) chiedendo chi ne fosse l'autore: "Ceroni chi? Il famoso costituzionalista?". Ma la vicenda di Roberto Lassini, l'aspirante consigliere comunale di Milano inchiodato per i manifesti anti-pm, ha confermato nel Cavaliere tutti i pregiudizi coltivati nei confronti del capo dello Stato.

E non a caso, nel lungo vertice di palazzo Grazioli con coordinatori e capigruppo, è stata ieri di nuovo Letizia Moratti a scatenare la rabbia del premier. Colpevole il sindaco di essersi fatta portavoce della denuncia di Napolitano contro "uno dei nostri", "ingenua" per essersi irrigidita fino a minacciare le dimissioni, "irresponsabile" per aver fatto segnare un gol agli avversari. Sull'altro piatto c'era invece la soddisfazione per la puntata di Radio Londra di Ferrara, lodato dal premier per aver detto al presidente della Repubblica "con pacatezza ma senza sconti quello che andava detto". E non c'è soltanto Ferrara: tutti i media berlusconiani hanno infatti spostato immediatamente le batterie contro il Quirinale. Napolitano, scriveva ieri il Giornale, "avrebbe dovuto pretendere le dimissioni del segretario dell'Anm".

Così, nonostante il solito Gianni Letta abbia predicato invano moderazione, arrivando a suggerire un incontro tra Berlusconi e Napolitano la prossima settimana (il pretesto sarebbe il rimpastino dei sottosegretari), la richiesta per ora non è partita. "Il capo dello Stato fa finta di niente - si lamenta il Cavaliere - ma io non riesco più a governare. Continuano a processarmi per cose ridicole, vorrebbero che mi occupassi solo di questo. È una guerra e l'unico modo per farla finire è approvare la riforma della giustizia". Il calendario immaginato da Angelino Alfano prevede un primo esame della riforma costituzionale entro l'estate, anche se ieri si è preso atto che difficilmente questo "timing" potrà essere rispettato. A Montecitorio il centrodestra vuole infatti spingere subito sul biotestamento, usando strumentalmente la legge per spaccare il Terzo polo isolando il "laicista" Fini.

Ma è sempre la giustizia la priorità per il Cavaliere. Ieri è filtrata la notizia che il governo solleverà conflitto d'attribuzione davanti la Corte costituzionale contro la decisione dei giudici di Milano del processo Mediaset che non riconobbero il legittimo impedimento chiesto da Ghedini e Longo. Una mossa apparentemente a lunga gittata, studiata invece a tavolino per bloccare immediatamente il processo milanese. A palazzo Madama i capigruppo della maggioranza aspettano infatti solo il voto delle amministrative per inserire nel calendario d'aula la legge sul processo-lungo. È quello il veicolo che inoculerà nel palazzo di giustizia di Milano l'ultima "poison pill" immaginata da Ghedini: la sospensione dei procedimenti in ogni caso in cui venga sollevato un conflitto davanti alla Corte costituzionale. Con le regole attuali i giudici possono infatti proseguire nel dibattimento, fermandosi solo sulla soglia del giudizio. Se a giugno sarà approvata la nuova legge, benché solo in un ramo del Parlamento, il Pdl inizierà a reclamare dai magistrati il rispetto della volontà del legislatore, pretendendo che si fermi all'istante il processo Mediaset. Fino alla decisione, inevitabilmente lunga, della Consulta. A questo serve dunque il conflitto d'attribuzione che palazzo Chigi ha sollevato ieri: piantare il chiodo al quale appendere domani la richiesta di congelare il processo a Berlusconi.

Questo conflitto aspro con la magistratura non convince tuttavia i capi del Pdl - e non solo Letta e il Carroccio - alcuni dei quali iniziano ora a temere un effetto boomerang sulle amministrative. Una freddezza che il Cavaliere, al netto della posizione della Moratti, deve aver avvertito se è vero che ha concluso la riunione di palazzo Grazioli con una frase sibillina: "La verità è che sono in guerra perenne con i magistrati e non tutti l'hanno capito. O facciamo la riforma o sarà un fallimento".

(21 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/21/news
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« Risposta #34 inserito:: Aprile 26, 2011, 05:34:06 pm »

LIBIA

Berlusconi e il pressing di Obama "A Bossi glielo spiego io"

Il Cavaliere dopo il colloquio telefonico con il capo della Casa Bianca. "Dirò a Umberto che non potevamo più tirarci indietro".

Il premier avrebbe voluto schierare gli aerei senza pilota, ma sono schierati in Afghanistan.

La decisione italiana potrebbe aiutare il governo nella trattativa con la Francia

di FRANCESCO BEI


"A BOSSI spiegherò che non potevamo più tirarci indietro. Ma non cambia nulla nella nostra missione, attaccheremo solo carri armati e postazioni di artiglieria". Grande è l'imbarazzo del premier. Il presidente del Consiglio è alle prese con un cambiamento di linea reso ancor più clamoroso dallo strappo del Carroccio. Eppure anche stavolta il Cavaliere è convinto di poter ricondurre a più miti consigli l'alleato: "Mi hanno spiegato - ha riferito il Cavaliere a chi lo ha cercato ieri in Sardegna - che non occorre un nuovo voto del Parlamento, dunque non ci sarà nessuna spaccatura tra noi e la Lega come spera l'opposizione".

Eppure il premier resta molto preoccupato per una escalation che, fino all'ultimo, ha tentato di evitare. Del resto era stato lui stesso, non più tardi di dieci giorni fa, a far presente che "considerata la nostra posizione geografica ed il nostro passato coloniale non sarebbe comprensibile un maggior impegno militare". Quando invece ha compreso che sarebbe stato impossibile resistere alle pressioni congiunte della Nato, degli americani, degli inglesi e dei francesi, Berlusconi ha provato a chiedere che fossero impiegati per i bombardamenti italiani solo droni senza equipaggio, per evitare almeno un altro caso Cocciolone. "Pensate - ha detto- cosa potrebbe accadere se un pilota italiano finisse in mano ai libici?". Purtroppo dalla Difesa gli hanno fatto presente che i sei Predator acquistati dall'Italia servono adesso in Afghanistan e non possono essere schierati in breve tempo in un altro teatro operativo.

Se c'è un lato positivo della vicenda è che a palazzo Chigi ora sono convinti di aver calato una carta importante nella trattativa in corso con i francesi, potendo discutere da pari a pari. Il futuro della guerra in Libia è infatti, insieme all'immigrazione, il piatto più importante al vertice bilaterale che vedrà impegnati questa mattina a villa Madama il presidente francese Sarkozy, Berlusconi e i ministri degli Esteri, dell'Interno e dell'Economia dei due paesi. E, non a caso, il documento congiunto che tratta del nord-africa è quello su cui si sono registrati meno disaccordi. Italia e Francia rilanceranno il "partenariato globale" con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, chiederanno che la Banca europea degli investimenti aumenti le linee di credito (si parla di nuovi impegni per dieci miliardi di euro), invocheranno dall'Ue un incremento degli investimenti bilaterali nei singoli paesi, punteranno sullo sviluppo delle piccole e medie imprese nel Maghreb. "Il nostro obiettivo - spiega il ministro Frattini - è rafforzare un interesse comune italo-francese ad avere più Europa e non meno Europa, in tutte le direzioni. Questo sarà lo spirito della lettera che Berlusconi e Sarkozy firmeranno insieme e invieranno al Van Rompuy e Barroso".

Poi, ma questo non avrà spazio nel comunicato ufficiale, è chiaro che si parlerà soprattutto dell'andamento della guerra e di come risolvere il problema di Gheddafi, del congelamento degli asset della Libia e della vendita del petrolio nei giacimenti finiti sotto il controllo del Cnt. Il 5 maggio alla Farnesina si troveranno infatti le trenta delegazioni estere del gruppo di contatto sulla Libia, dai membri del consiglio di sicurezza dell'Onu alla Lega Araba, l'Unione Africana, la Nato. Un foro per discutere l'uscita di scena del Raiss e l'eventuale salvacondotto che gli apra le porte per l'esilio.

L'altro grande problema da affrontare oggi a villa Madama è quello dell'immigrazione dalla Tunisia, che ha visto fino a ieri Francia e Italia divise e su fronti opposti. Palazzo Chigi parla di una "schiarita" nei rapporti e si spera molto nel sì di Sarkozy a un "tavolo tecnico bilaterale" per studiare il problema di Schengen. Insomma, Roma e Parigi potrebbero preparare una proposta congiunta sulla revisione della governance di Schengen, da portare alla riunione del 4 maggio della commissione europea. Per poi farla approvare dal Consiglio europeo che si terrà a fine giugno. La Francia l'ha spuntata e nel documento si parlerà esplicitamente di un "ripristino temporaneo dei controlli alle frontiere in casi eccezionali", ma gli italiani avrebbero fatto aggiungere la postilla "secondo le modalità che dovranno essere studiate". Insomma, il braccio di ferro è solo rimandato.

(26 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/esteri/2011/04/26/news
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« Risposta #35 inserito:: Aprile 27, 2011, 02:50:32 pm »

IL RETROSCENA

La rabbia del Carroccio dopo il vertice "Silvio la smetta di prenderci in giro"

Telefonata agitata tra il Cavaliere e il Senatùr. Il premier rassicura: "Umberto fa così per prendere voti".

Ma sui raid contro Gheddafi è in subbuglio anche l'ala cattolica del Pdl.

E in serata anche l'amarezza di Tremonti

di FRANCESCO BEI e ANDREA MONTANARI


ROMA - Berlusconi e Bossi si sono già parlati ieri mattina, prima che iniziasse il vertice italo-francese. Una telefonata non proprio amichevole, con al centro le nuove regole d'ingaggio dei piloti italiani in Libia, che non ha portato ad alcuna schiarita. Tanto che ai ministri presenti a villa Madama il premier si è sentito in obbligo di fornire una rassicurazione: "Tranquilli, tra stasera e domani ci riparlo, cercherò di spiegargli bene la cosa. Umberto fa così per prendere voti, ma capirà".

Il fatto è che stavolta Bossi ha capito benissimo e non sta al gioco del "tutto a posto" con cui il Cavaliere ha provato a disinnescare la polemica interna alla maggioranza. In via Bellerio tutto lo stato maggiore della Lega è in fibrillazione e non c'è solo la questione della Libia, visto che viene criticata la linea di "totale sudditanza" di Berlusconi a Sarkozy anche sul dossier Lactalis-Parmalat, sull'energia, sull'immigrazione. Quando nel pomeriggio di ieri le agenzie hanno battuto le dichiarazioni rassicuranti del premier, al Senatùr è andato di traverso il Garibaldi che stava fumando nel suo ufficio. Con Bossi c'era il ministro Calderoli, che lunedì sera aveva appreso solo dal comunicato del presidente del Consiglio la novità dei bombardamenti in Libia. Decisamente troppo. Così nella Lega ora ricordano che, durante l'ultimo consiglio dei ministri, era stato proprio Calderoli a chiedere di intervenire dopo che La Russa aveva annunciato
che i nostri aerei avrebbero dovuto non solo "accecare i radar", ma anche "prepararsi a bombardare i siti militari di Gheddafi".
Ma era stato proprio Berlusconi a prendere la parola per smentire tutto.

La Lega ora si aspetta un chiarimento dal premier. Anche perché tra quindici giorni si vota per le amministrative e la questione "pacifista", molto sentita anche dall'elettorato del premier, è un terreno ideale per la "competition" interna all'alleanza. Non a caso dissensi sono emersi anche nel Pdl, dall'ala cattolica di Giovanardi, Mantovano e Baccini. "Da qui al voto - ha spiegato Bossi ai suoi - dobbiamo distinguerci su tutto dal Pdl". Per questa stessa ragione il premier è convinto che, alla fine, Bossi farà un po' la voce grossa ma senza strappare. Nell'entourage del Cavaliere si minimizza: "Non ci sarà una spaccatura tra noi e la Lega". Anche perché, ne sono convinti a palazzo Chigi, non si arriverà a un nuovo voto del Parlamento. Frattini ha fatto presente al premier che le mozioni approvate un mese fa dal Senato e dalla Camera già contemplavano l'uso di "tutti i mezzi necessari" per adempiere alla risoluzione dell'Onu. Quindi, al massimo, i leghisti potranno alzare la voce nel Consiglio dei ministri.

Il fatto è che, come spesso accade, dietro la Lega anche in questa occasione si staglia l'ombra di Giulio Tremonti. Raccontano che ieri, al vertice di villa Madama, il ministro dell'Economia se ne sia stato in disparte per tutto il tempo. Non deve avergli fatto piacere vedere la sua strategia anti-scalate fatta a pezzi in meno di mezz'ora dal Cavaliere, pronto a riconoscere le ragioni del "libero mercato", accettando di buon grado la teoria francese dei grandi gruppi franco-italiani. Una strategia opposta a quella di via XX Settembre, dove si stavano mettendo a punto gli argini giuridici e finanziari per evitare che Parigi si prendesse quel poco che è rimasto dei gioielli italiani. Il decreto che fissa le regole per individuare le società di interesse nazionale, oggetto di possibile partecipazione da parte della Cassa depositi e prestiti, deve essere ancora approvato dalla Camera ma rischia ormai di arrivare troppo tardi. Quando Lactalis si sarà già "bevuta" Parmalat con la benedizione del Cavaliere. Così ora Tremonti medita la sua vendetta, in accordo con la Lega. Il decreto sul rifinanziamento delle missioni all'estero scade infatti a giugno e bisognerà trovare le risorse per coprire i costi aggiuntivi della guerra in Libia. Come? "Berlusconi - ha minacciato ieri Calderoli - sarà costretto ad aumentare le tasse sulla benzina".
 

(27 aprile 2011) © Riproduzione riservata
da - repubblica.it/politica/2011/04/27/news/
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« Risposta #36 inserito:: Maggio 07, 2011, 06:23:46 pm »


IL RETROSCENA

Berlusconi pronto allo scontro con il Colle "Se vuole attaccarci, sapremo rispondere"

Il Quirinale: non viene chiesto un nuovo voto ma correttezza. Il Cavaliere avverte: "Vuole un voto di fiducia? Dimostrerò che possiamo allargarci ancora".

Nel loro ultimo incontro Napolitano aveva chiesto chiarimenti, senza avere una risposta

di FRANCESCO BEI

ROMA - "Se vuole un nuovo voto di fiducia benissimo, accetto la sfida: gli dimostreremo che possiamo allargarci ancora di più". Silvio Berlusconi reagisce con stupore e irritazione a quella che considera "un'indebita intromissione" del capo dello Stato, per di più giunta in piena campagna elettorale. E ci vuole stavolta tutta l'arte diplomatica di Gianni Letta per evitare che la rabbia del premier tracimi dalle stanze di palazzo Grazioli e si trasformi in un duro scontro istituzionale con il Quirinale.
Il sottosegretario, dopo aver condiviso per telefono la replica dei capigruppo del Pdl, si mette subito in contatto con Napolitano, cerca di capire, riferisce al Cavaliere che il capo dello Stato non pretende un altro voto di fiducia. Ma ormai è tardi, le considerazioni del Colle non fanno che aumentare l'ira del Cavaliere, che non sente ragioni: "Se ci attacca sapremo rispondere. Quando siamo andati da lui l'ultima volta non ci disse nulla e adesso arriva, a freddo, questo colpo alle spalle".
Una versione che non trova riscontro sul colle più alto. Anzi, nel loro ultimo incontro alla Vetrata Napolitano chiese al capo del governo come si sarebbero configurati il governo e la maggioranza con i nuovi ingressi dei responsabili. E non ne ebbe risposta. Il problema, insomma, non sono la fiducia, i numeri del centrodestra alla Camera, non è questo che il Quirinale sta chiedendo al Pdl. La richiesta investe al contrario un punto molto delicato, la presa d'atto ufficiale del cambiamento avvenuto
nella maggioranza, tramite una comunicazione formale del governo alle Camere. "Una questione di correttezza e rispetto del Parlamento", affidata tuttavia alla autonoma valutazione dei presidenti di Camera e Senato e allo stesso capo del governo. Insomma, non è importante il modo, è indispensabile però che la comunicazione avvenga. E Berlusconi può anche accusare Napolitano, come riferiscono abbia fatto, di "cavillosità" e "formalismi assurdi", ma è questo che richiede la stessa legge di riforma della presidenza del Consiglio. Che, al primo comma dell'articolo 5, impone al presidente del Consiglio di "comunicare alle Camere la composizione del Governo e ogni mutamento in essa intervenuto". Ma questa è l'ultima dimostrazione che ormai il presidente della Repubblica non vuole più usare l'arma preventiva della moral suasion affidandosi solo agli atti ufficiali.
Nel Pdl la rabbia e lo stupore del premier sono condivisi da tutti ai piani alti. I due capigruppo e i loro vice - Gasparri, Cicchitto, Corsaro e Quagliariello - impegnati da Napoli a Varese per la campagna elettorale, si consultano al telefono per vergare una risposta la più netta possibile al Colle. Ma per Berlusconi è ancora poco, vorrebbe di più, faticano a trattenerlo. "Dal 29 settembre - spiega uno dei quattro capigruppo - abbiamo avuto sette voti di fiducia. Sembra che Napolitano non ne tenga conto e non si riesce a capire il perché. A meno che sotto non ci sia dell'altro, ma non ci si può credere". Parole che restano in sospeso, ma che danno corpo al timore che si è affacciato in queste ore a palazzo Grazioli. La paura cioè che Napolitano sia a conoscenza di qualcosa che ancora il premier neppure sospetta. Come se i malumori dei tanti scontenti per le nomine dei 9 sottosegretari, oppure l'umore nero di un capo messo ai margini, come ad esempio Claudio Scajola, potessero coagularsi in qualcosa di più, una manovra capace persino di mettere a repentaglio l'esecutivo in caso di un voto di fiducia. Paure che Berlusconi stesso scaccia con la mano appena evocate: "Vinceremo sia a Napoli che a Milano. A quel punto andremo oltre i 324 voti che abbiamo, anche chi finora è rimasto alla finestra sceglierà di passare con noi. E potremo arrivare a 335 deputati". Insomma, la convinzione è che un eventuale nuovo voto di fiducia, considerato oltretutto che le Camere riapriranno dopo le amministrative, si risolverà in un ulteriore rafforzamento della maggioranza. Preso in contropiede dalla nota del Quirinale, dopo aver ascoltato la spiegazione che arrivava dal Colle, Berlusconi ha quindi rilanciato sullo stesso terreno: "A questo punto il voto di fiducia lo chiederemo noi. E vedremo chi ci rimetterà la faccia".

(07 maggio 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #37 inserito:: Giugno 07, 2011, 02:10:20 pm »

Il retroscena

Fisco, Berlusconi striglia Tremonti ma il ministro respinge l'assedio

Il vertice di Arcore tra il cavaliere, Alfano e i leader della Lega.

L'ira del Senatur, che voleva un'accelerazione sulle tasse.

Si rompe l'asse con il ministro dell'economia.

I vertici della Lega ventilano l'ipotesi di voto nel 2012

di FRANCESCO BEI


MILANO - È durato  molto più del previsto e, alla fine, il vertice di Arcore, dopo un confronto fuori dai denti tra Berlusconi e Tremonti, sulla riforma del fisco ha prodotto soltanto l'ennesimo rinvio. Non è andata in porto l'operazione "rilancio".

Un'operazione immaginata da Silvio Berlusconi per uscire dall'angolo e liberarsi dall'ipoteca della sconfitta elettorale.
Il Cavaliere avrebbe voluto sentire dal ministro dell'Economia una sola frase: "Si può fare". Ma si è dovuto accontentare di un generico "vedremo a settembre".

Il faccia a faccia tra il premier e Tremonti, che ha preceduto la riunione allargata ad altre dieci persone ("troppe - osserva uno dei presenti - perché si decidesse davvero qualcosa"), è stato per Berlusconi una vera doccia fredda. "Giulio, mi rendo conto dei tuoi vincoli, ma dobbiamo fare qualcosa, dare un segnale subito agli elettori". "Mi dispiace, non ci possiamo permettere ora un taglio delle aliquote, non ci sono margini", gli ha spiegato il ministro dell'Economia senza alzare la voce. "E poi i vincoli non li ho stabiliti io, è tua la firma sul piano nazionale di riforme che abbiamo portato a Bruxelles". Continuando poi a smontare mattone dopo mattone il castello di illusioni del Cavaliere, convinto di poter "trattare" con l'Unione europea un piano di rientro meno drastico grazie alla solidità patrimoniale delle famiglie italiane: "I mercati - ha replicato il ministro - non ci perdonerebbero alcun passo falso. Il giudizio sui nostri conti non lo dà Bruxelles, lo danno tutti i giorni le agenzie di rating. Che leggono i giornali molto attentamente".

Insomma, quello di Tremonti è un no su tutta linea. Tant'è che sia i "bossiani" che i "berlusconiani" accusano il ministro di essere l'unico "vincitore" del summit.

La novità politica, semmai, è che stavolta, quando il vertice si allarga anche ad Alfano e ai leghisti, Umberto Bossi si sposta sulle posizioni del Cavaliere. Isolando di fatto il ministro dell'Economia, rimasto l'unica sentinella del rigore. Anche la Lega è infatti sotto shock per lo "sberlone" ricevuto nelle urne, il tradizionale asse con Tremonti sta scricchiolando sotto il peso delle esigenze elettorali. Il Carroccio ha capito che il federalismo non paga, servono misure concrete a favore dei piccoli imprenditori, degli artigiani, delle partite Iva. Insomma, la riunione di Arcore si trasforma in una sorta di processo a Tremonti, ma senza arrivare a una sentenza.

Berlusconi chiede che venga presentata già a fine giugno, insieme alla manovra di correzione dei conti, la legge delega sulla riforma fiscale. Due operazioni che andranno approvate contestualmente: "Sono mesi che si riuniscono questi tavoli di studio al tuo ministero, ora ci serve un taglio delle tasse, non l'ennesimo libro bianco". Il ministro dell'Economia gli spiega che a giugno è troppo presto.

L'intenzione sarebbe quella di presentare la riforma del fisco a settembre, insieme alla legge di stabilità. Berlusconi spera di renderla poi esecutiva nel 2012 e quindi "tangibile" nelle dichiarazioni dei redditi che verranno presentate nella primavera del 2013. Guarda caso alla vigilia del voto. Nel frattempo chiede almeno "la fine delle vessazioni fiscali", un freno ad Equitalia, alle ganasce fiscali, al sequestro dell'automobile, ai blitz dei finanzieri "che si presentano in divisa e ad armi spianate nei capannoni, come se fossimo in uno stato di polizia". E su questo, solo su questo, trova udienza nel ministro. Tanto che gli alleggerimenti fiscali e le semplificazioni potrebbero effettivamente trovare posto nella manovra di correzione di giugno. La carota insieme al bastone. Altra piccola concessione, più simbolica che reale, è l'apertura di due uffici di rappresentanza al Nord per i ministeri di Bossi e Calderoli. Uffici "altamente operativi", ma non i ministeri veri e propri. Si discute anche del trasferimento, da Roma a Milano, della sede principale della Consob. Briciole.

"È andato tutto bene - ha confidato il premier al suo arrivo ieri sera piazza di Siena - tranne che per Tremonti". In effetti qualche motivo di consolazione il Cavaliere l'ha avuto. Il rapporto con Bossi non cede, almeno per ora: "Silvio, finché te la senti noi siamo con te". I due leader, entrambi indeboliti dalla sconfitta elettorale, hanno deciso di sostenersi insieme. Bossi ha provato a sondare il terreno su un'anticipazione al 2012 delle politiche, trovando tuttavia Berlusconi determinato ad "andare avanti fino alla fine della legislatura". Ma i leghisti hanno chiesto al premier un "cambio di passo", perché "non si può proseguire così altri due anni dando l'impressione di non fare niente. Allora sarebbe meglio giocare d'anticipo".

(07 giugno 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #38 inserito:: Giugno 20, 2011, 08:34:27 am »

IL RETROSCENA

Berlusconi nel fortino di Palazzo Chigi "Mi vien voglia di mollare tutto e andare via"

Il premier ora teme una nuova "Mani pulite" e una verifica in salita.

I sondaggi del Pdl non registrano una discesa ma nel partito restano i dubbi

di FRANCESCO BEI


ROMA - La sensazione di un "assedio mediatico e giudiziario" non lo abbandona da giorni, tanto da aver confidato a un deputato la tentazione di "mollare tutto", di ritirarsi a vita privata: "Liquiderei tutto e me ne andrei dall'Italia, se non fosse per l'aggressione che continuerebbero a subire qui i miei figli". Le rivelazioni sulla rete occulta messa in piedi da Luigi Bisignani sono tali da scuotere il governo, impegnato nella doppia gimcana di Pontida e della verifica parlamentare. Se ne parla con preoccupazione al vertice convocato d'urgenza a palazzo Grazioli prima del Consiglio dei ministri, presenti, oltre a Berlusconi, Alfano, Ghedini e, ovviamente, Gianni Letta. La voce è che i magistrati si siano tenuti per i giorni a venire le munizioni più pesanti, migliaia di pagine di intercettazioni con dentro i nomi di alcune donne al governo. Non solo Letta dunque. Con l'incubo di una nuova  "Mani pulite".

Così, anche se in privato il Cavaliere si mostra spavaldo e afferma che le accuse al suo braccio destro sono "tutte sciocchezze", il timore che l'inchiesta P4 di allarghi e travolga gli argini c'è eccome. Per questo ieri Berlusconi ha apprezzato la dichiarazioni di Pier Ferdinando Casini, che ha solidarizzato con Letta dando una mano a delimitare l'incendio tra le forze d'opposizione. "Casini - ha detto il premier a un amico - è stato coraggioso. Ha parlato subito, anche prima dei nostri". E tuttavia il fatto che Letta abbia i suoi estimatori anche tra l'Udc e il
Pd non può certo bastare a metterlo al riparo dai magistrati. Così Berlusconi ieri ha immaginato una mossa a sorpresa, quella di chiedere a Giorgio Napolitano la nomina di Gianni Letta come senatore a vita. Un passo che metterebbe il sottosegretario - oggi non coperto da alcuna guarentigia - al riparo dal pericolo di un arresto. È stata solo una tentazione, subito accantonata anche per il rifiuto dell'interessato, ma che la dice lunga sulla paura di Berlusconi per le prossime mosse della procura di Napoli.
Oltretutto anche il partito è in subbuglio, l'intero quadro si è fatto liquido. Anche se il capo del governo continua ad dirsi sicuro che il rapporto "solido" con Umberto Bossi lo metta automaticamente "al riparo da qualsiasi tempesta", nella maggioranza il pessimismo è palpabile. Persino Denis Verdini, il regista dell'operazione Responsabili, l'uomo che ha garantito fin qui la tenuta della maggioranza, da qualche giorno gira in Parlamento con una cartellina sottobraccio.

Contiene un progetto dettagliato di riforma della legge elettorale, uno schema che trasporta a livello nazionale il Tatarellum in vigore per l'elezione dei consigli regionali. Si tratta di un proporzionale con premio di maggioranza, preferenze e listino bloccato. E se persino il Pdl, dove finora l'argomento era considerato tabù, si è arreso alla riforma della legge elettorale, significa che nessuno esclude più il voto anticipato nel 2012.

L'unico a credere ancora di poter arrivare a fine mandato sembra rimasto Silvio Berlusconi. Ieri, come se nulla fosse, come se metà degli elettori del Pdl non avesse votato Sì ai referendum, il Cavaliere ha intrattenuto i ministri a palazzo Chigi smentendo i sondaggi che lo danno a picco: "Tutte menzogne. Tra i leader europei sono in testa con il 43% di popolarità, segue la Merkel con 6 punti di distacco. Dopo tutto quello che è successo è quasi incredibile". Berlusconi snocciola quindi i dati dell'ultimo focus group organizzato da Alessandra Ghisleri dopo i referendum: "Quello che ha trascinato la gente a votare è stato il quesito sul nucleare, seguito da quello dell'acqua. I promotori hanno approfittato di un fraintendimento, gli elettori hanno creduto che raddoppiasse, con l'arrivo dei privati, il costo dell'acqua. Invece, del legittimo impedimento, non importava niente a nessuno". Comunque Berlusconi è soddisfatto perché "da questo focus emerge che solo un quinto degli italiani ha votato ai referendum esprimendo una contrarietà al governo. Tutti gli altri hanno scelto nel merito, sui temi concreti".

Certo, Berlusconi è consapevole che le residue possibilità di risalire la china sono legate alla riforma del fisco. Così, per anticipare Tremonti, il Cavaliere si sta facendo preparare un piano alternativo sul fisco con il contributo di ministri ed esperti privati. Pronto a metterlo sul tavolo se quello del ministro dell'Economia non dovesse soddisfarlo.

(17 giugno 2011) © Riproduzione riservata
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« Risposta #39 inserito:: Giugno 26, 2011, 10:09:21 am »

di FRANCESCO BEI



"Non è civile un paese in cui non c'è più la garanzia dell'inviolabilità di ciò che si dice al telefono". Da giorni i principali protagonisti del suo governo sono travolti dal ciclone P4 e finalmente Silvio Berlusconi esce allo scoperto. Quello del Cavaliere, a Bruxelles per il Consiglio europeo, è un atto d'accusa contro i magistrati e i giornalisti e, di fatto, la conferma che il Pdl sta lavorando a un giro di vite legislativo. Ma il tentativo di approvare la legge-bavaglio non passerà per un decreto legge. Lo esclude il Guardasigilli Angelino Alfano, consapevole della probabile contrarietà del Colle: "Non intendiamo fare né un decreto legge né orientare la prua in una direzione diversa da quella del disegno di legge che è già stato discusso alla Camera nel luglio dello scorso anno". Insomma, si andrà avanti con il ddl esaminato dalla commissione Giustizia della Camera, bloccato a suo tempo per l'ondata di rivolta in tutto il paese (e l'opposizione decisiva dei finiani). Oggi che il Fli non è più in maggioranza, il timore è legato all'atteggiamento del Carroccio. Fabrizio Cicchitto mette le mani avanti: "Contatti non ne ho avuti, ma la Lega era d'accordo sia sul ddl del Senato che su quello della Camera".
L'altro fronte caldo per la maggioranza è la manovra di correzione dei conti pubblici. Martedì prossimo ci sarà un vertice tra Berlusconi, Bossi, Tremonti, Alfano e i responsabili, per discutere il piano del ministro dell'Economia. In attesa del Consiglio dei ministri di giovedì, è prevedibile un altro scontro sulle misure da prendere.

DA - repubblica.it/politica/?ref=HRHM1-2
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« Risposta #40 inserito:: Giugno 28, 2011, 04:32:40 pm »

IL RETROSCENA

E Giulio adesso minaccia le dimissioni "Non accetto di fare la fine della Grecia"

Chi ha sondato il ministro lo ha trovato impermeabile ad ogni richiesta.

Berlusconi: stavolta finisce male. E per la successione spunta il nome di Bini Smaghi


di FRANCESCO BEI

È UNA GUERRA di nervi quella tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti, ma l'epilogo è vicino. E potrebbe portare a un clamoroso abbandono del ministro dell'Economia proprio alla vigilia della presentazione della manovra. I segnali ci sono tutti, le voci nel governo si rincorrono. Chi ha sondato Tremonti riferisce che il ministro resta impermeabile a ogni richiesta di ammorbidimento della manovra. "Chi parla in questi termini - ripete Tremonti - non ha capito cosa sta succedendo sui mercati. Venerdì scorso lo spread tra Btp e Bund ha sfondato il record, pensavamo fosse finita, e oggi il differenziale ha raggiunto i 223 punti: 9 in più rispetto a venerdì". Ma le prediche di Tremonti restano inutili. Ha un bel dire il ministro che "rischiamo la Grecia", che lui non metterà mai la firma su una manovra all'acqua di rose che possa "mettere a rischio i titoli pubblici e quindi i risparmi di milioni di famiglie italiane". Berlusconi non ci sente, Bossi nemmeno.  Eppure a Via XX Settembre la risposta per ora è ancora più netta: "Va a finire che i nostri btp diventeranno come i Tango-bond. I mercati non ci perdonerebbero una manovra soft".

Questa mattina i tre si vedranno prima del vertice di maggioranza per tentare un'ultima mediazione. Ma Tremonti avrebbe persino deciso di disertare il summit allargato a palazzo Grazioli per non farsi mettere in un angolo. Giocando la carta finale, quella minaccia di dimissioni che dovrebbe riportare
alla ragione i due azionisti del centrodestra, Bossi e Berlusconi. E tuttavia, se in passato questa tattica ha prodotto risultati, sembra proprio che il premier stavolta non sia dell'idea di trattenere Tremonti. Lasciandolo andare, insalutato ospite, al suo destino. La violenta polemica scatenata contro il ministro da un fedelissimo del premier, Guido Crosetto, è stata la spia del malumore che cova a palazzo Grazioli. "Sono stanco - dice in privato il Cavaliere - di sentirmi dire: o così o niente. Questa volta Giulio, se insiste, potrà essere sostituito". Decisioni non sono ancora state prese, si tratta al momento di una partita a scacchi appena iniziata tra due giocatori - Berlusconi e Tremonti - che conoscono a menadito ciascuno le mosse dell'altro. "Io - osserva il premier - condivido l'obiettivo del pareggio di bilancio, la tutela del debito italiano. Ma Tremonti non propone nulla per lo sviluppo e se il Pil non cresce, anche il rapporto con il debito è destinato a peggiorare". Sono due "verità" al momento inconciliabili e destinate a cozzare.

Oltretutto, a peggiorare il clima, c'è anche una certa ruvidezza del personaggio, che sta facendo andare fuori dai gangheri i suoi colleghi di governo. "Nessuno di noi conosce questa benedetta manovra - confida un ministro furioso - , Tremonti non ce l'ha fatta leggere. Ma se pensa di fare come l'altra volta, di farci votare in 3 minuti un pacco misterioso, si sbaglia di grosso".
Tremonti non si è fatto molti amici neppure in Parlamento, dove il progetto di tagliare i costi della politica ha fatto andare sulle barricate mezza maggioranza. "Quello che tagliò meglio di tutti i costi della politica - ricorda il ministro Gianfranco Rotondi - fu il cavaliere Benito Mussolini. E anche allora i giornali applaudirono. Questo non significa che fosse una cosa giusto. Oltretutto è come se il Cda di un'azienda pensasse di andare avanti insultando e prendendo a schiaffi gli azionisti: i parlamentari alla fine si arrabbiano e ti mandano a casa, tanto dal primo maggio non si può più minacciare elezioni anticipate. E io a casa non ci voglio andare".

L'arma forte di Tremonti, quella con cui è certo di poter mettere ancora una volta a tacere tutte le critiche, è ovviamente la minaccia di un attacco fenomenale della speculazione. Il rischio c'è, è concreto, e il crollo simultaneo di tutti i titoli bancari lo scorso venerdì è stata un'avvisaglia di quello che potrebbe accadere. Anche Napolitano predica cautela e vigilia sulle mosse del governo. Per questo il Cavaliere, consapevole che la linea di Tremonti al momento è "dopo di me il diluvio", per rafforzare la sua posizione negoziale si sta dando da fare per immaginare un sostituto. Purtroppo per lui i nomi spendibili, quelli davvero in grado di rassicurare i mercati, non sono molti e quei pochi titolati non hanno intenzione di farsi arruolare in un esecutivo dalle prospettive incerte. Ma nelle ultime ore si sta facendo strada un candidato su tutti gli altri: Lorenzo Bini Smaghi. Membro del board della Bce, Bini Smaghi è in corsa per andare al vertice della Banca d'Italia dopo l'accordo raggiunto all'ultimo Consiglio europeo sulle sue dimissioni da banchiere europeo. Un nome in grado di tranquillizzare i mercati, soprattutto se iniziasse a circolare da subito, su cui il Quirinale non potrebbe sollevare obiezioni.

Al momento tuttavia si tratta solo di voci dentro il governo, la partita deve ancora cominciare. Giorni fa, sicuro del fatto suo, Tremonti ha ricordato un aneddoto a un amico, a dimostrazione che il Cavaliere fa la faccia feroce ma alla fine si rivela un agnellino. "L'anno scorso ci provò allo stesso modo ad evitare la manovra. Mi disse: ma perché non facciamo un bel condono? Poi se andò a via dei Coronari, in giro per antiquari, e dichiarò alle agenzie che lui il decreto ancora non l'aveva firmato. In realtà la manovra stava già sul tavolo di Napolitano per la promulgazione".

(28 giugno 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/06/28/news/tremonti_dimissioni-18319828/?ref=HREA-1
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« Risposta #41 inserito:: Agosto 02, 2011, 11:37:58 am »


IL RETROSCENA

Il premier commissaria Tremonti "Prendo io in mano la situazione"

Il Cavaliere convinto da Alfano a intervenire in Parlamento per rispondere alla crisi dei mercati.

Il ministro e Bossi furibondi con Berlusconi: "Vai alla Camera? Un suicidio politico".

Sacconi possibile sostituto per l'economia 

di FRANCESCO BEI


ROMA - Alla fine, obtorto collo, il Cavaliere si è convinto a tornare in Parlamento prima delle ferie. "Perché Tremonti è talmente debole - ha spiegato motivando il suo cambio di linea - che sono costretto a prendere io stesso la situazione in mano". Sono stati i "giovani turchi" del Pdl - Alfano, Romani, Fitto, Sacconi, Frattini - a prevalere, a convincerlo che non era nemmeno pensabile che il governo stesse zitto mentre l'Italia è vittima di una gigantesca ondata di sfiducia.

Un immobilismo che avrebbe dato ulteriori motivazioni a chi lavora per un governo tecnico che scalzi il centrodestra. Alfano & Co. si sono imposti anche contro il parere di quanti, come Letta e Bonaiuti, temevano (temono) un terribile "effetto boomerang" contro il premier se, nonostante l'intervento di Berlusconi, la Borsa continuerà a scendere e lo spread con i Bund tedeschi frantumerà nuovi record dopo quello di ieri (354 punti, mai successo prima d'ora).

"A quel punto - ragiona sconsolato uno che ha lavorato fino all'ultimo perché il premier restasse ad Arcore - sarà come se Berlusconi si fosse disegnato da solo un bersaglio sulla schiena".

Ma il più contrario di tutti al dibattito parlamentare era proprio Giulio Tremonti. All'ora di colazione ieri a via Bellerio il ministro dell'Economia è in riunione con Umberto Bossi e Roberto Calderoli. Quello stesso Calderoli che, un paio d'ore prima, ha dichiarato in tv che "Berlusconi alle Camere adesso sarebbe poco credibile". Quando le agenzie battono la notizia che il premier ha deciso di intervenire, i tre si guardano increduli. Nessuno li ha avvisati, nessuno si è soprattutto premurato di avvertire Tremonti.

Berlusconi, come dice un suo collaboratore, sta scrivendo addirittura un "discorso sullo stato dell'Unione" e non ne informa prima il titolare dell'Economia. Partono immediate le telefonate ad Arcore. Bossi è lapidario: "Silvio, stai facendo una cazzata". Tremonti è gelido: "Così diventa un suicidio politico, ti stai mettendo da solo la testa nel cappio. E se le cose vanno male sui mercati a chi daranno la colpa? Indovina un po'?". Niente da fare, la decisione è presa. Compresa quella di sbloccare investimenti al Cipe per sette miliardi di euro. Un'altra scelta che Tremonti non avrebbe condiviso.

Così nel governo, in questa tempesta finanziaria, si va affacciando un nuovo equilibrio. La debolezza di Tremonti ha ieri incoraggiato Berlusconi a seguire la strada del "ci metto la faccia io", anche se non sono previsti annunci clamorosi o nuovi tagli. Di fatto si tratta di un commissariamento "soft" del ministro dell'Economia, preparato e incoraggiato da tutti i ministri del Pdl, che mandano avanti il premier a sostenere l'impatto mediatico dell'operazione.

E già s'intravede il possibile sostituto, l'uomo che in queste ore sta emergendo come protagonista sia con le parti sociali che sui giornali: Maurizio Sacconi. Forte dei suoi rapporti con il Vaticano e della rete costruita con Cisl, Uil e Confindustria, il ministro del Lavoro è il vero regista dell'operazione. Non si tratta di cacciare Tremonti, ma di operare come se non ci fosse più. "Se poi vorrà andarsene - spiega uno dei "congiurati" - sarà stata una scelta sua, nessuno glielo chiederà. Ma si è visto che non è lui il garante della stabilità, visto che la sua presenza al governo non scongiura affatto l'attacco speculativo contro l'Italia".

Il discorso del premier in Parlamento. Ci stanno lavorando in molti, ma il premier ha già anticipato in via riservata che "non c'è da aspettarsi grandi annunci". Anche perché il capo del governo continua a non dirsi "preoccupato", nonostante quello che sta accadendo in Borsa.

Dirà quindi che "i fondamentali del paese - dall'export agli ordinativi industriali, dalla patrimonializzazione delle banche all'occupazione giovanile - sono tutti positivi. E comunque migliori rispetto a molti altri paesi europei". Quanto al famoso taglio delle province, invocato da più parti, per Berlusconi si tratta di un falso problema: "I servizi li dovremmo comunque spostare alle regioni e i risparmi sarebbero insignificanti".

(02 agosto 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/02/news/tremonti_sacconi-19897545/
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« Risposta #42 inserito:: Agosto 11, 2011, 05:42:49 pm »

Draghi Incalza Il Cavaliere

"Non si può tergiversare la Bce ora pretende i fatti"

Telefonata di Obama: ok l'anticipo del pareggio. Il premier a Villa Certosa. Contatto con Tremonti sul G7, ma tra i due resta il gelo

di FRANCESCO BEI

ROMA - A Porto Rotondo, nella war room allestita a villa Certosa, il telefono di Berlusconi squilla tutto il giorno. È il lunedì decisivo, quello del verdetto dei mercati, e la situazione è di massima allerta. Alla fine, alla chiusura delle borse, con lo spread Btp-Bund sceso intorno a quota 300, la telefonata più importante arriva da Mario Draghi. Il governatore della Banca d'Italia risolleva il morale del premier, confermando che la giornata è andata benino, che l'ombrello steso dalla Bce ha funzionato. Ma questo non deve assolutamente portare ad abbassare la guardia: "Adesso - così si congeda Draghi - il governo deve dare seguito agli impegni presi, non possiamo assolutamente permetterci di tergiversare".
Le cose da fare sono lì, nero su bianco, nella lettera (firmata anche da Draghi) che Trichet ha scritto a Berlusconi. Un menù fatto di tagli, liberalizzazioni da varare immediatamente "per decreto", privatizzazioni, meno vincoli ai licenziamenti e alle assunzioni e, soprattutto, una correzione del rapporto deficit/Pil per il 2012 dal 2,7% all'1,5%. Un taglio di oltre un punto percentuale, equivalente a circa 20 miliardi di euro. Una mazzata talmente forte che Berlusconi sta raccogliendo le idee di tutti, consultando più gente possibile per capire come procedere: dal presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua al presidente di Equitalia Attilio Befera. Consigli preziosi, anche perché stavolta il Cavaliere non intende lasciare la partita nelle mani del solo Tremonti.
Tra il premier e il ministro dell'Economia la fiducia si è incrinata, tanto che una telefonata che c'è stata ieri a proposito del G7 - pura routine - è stata comunicata alle agenzie con la formula del colloquio "lungo e cordiale", quasi fossero due estranei. Un colloquio "cordiale" è invece quello che c'è stato tra Berlusconi e Obama. Entrambi i leader sono appannati e in difficoltà, entrambi i paesi affrontano crisi gemelle. Così i due hanno cercato di farsi un po' coraggio a vicenda, anche perché pochi minuti prima c'era stato il tonfo di Wall Street. A palazzo Chigi raccontano che Obama abbia esordito criticando con vigore il declassamento del rating Usa, passando quindi rapidamente a commentare la situazione italiana: "Ho sentito che avete deciso di anticipare il pareggio di bilancio al 2013. Bene, molto bene. Se farete tutto quello che avete annunciato risolverete sicuramente i vostri problemi". Incassato il sostegno americano, Berlusconi ha illustrato la sua teoria su quanto accaduto in questi giorni neri sulle borse: "L'attacco non è stato contro l'Italia, nel mirino della speculazione c'era l'euro. È successo a noi, domani potrebbe accadere a un altro grande paese. Per questo occorre un maggior coordinamento delle politiche europee".
Nel governo si fronteggiano diverse (e opposte) idee su come rispondere all'ultimatum della Bce sul risanamento del bilancio. La strada più gettonata sembra essere quelle di un intervento drastico sulle pensioni, ma Umberto Bossi è già sul piede di guerra. Lo stesso Berlusconi è incerto, teme un autunno caldo con i sindacati in piazza. Anche per questo ha deciso di non presenziare alla riunione di domani con le parti sociali, proprio perché non sa ancora cosa dire. Da un'altra parte chi ne ha raccolto lo sfogo assicura che il Cavaliere sarebbe anche tentato di prendere il toro per le corna: "Se non ora quando? Possiamo approfittare della crisi per approvare tutto quello che in tempi normali non riusciremmo a fare". Nel caso gli riuscisse di tirare il paese fuori dalle secche, Berlusconi immagina di essere considerato un salvatore della patria. La prospettiva inizia a solleticarlo. Da qui l'ipotesi di un consiglio dei ministri straordinario da fissare proprio il giorno di Ferragosto, per dare agli italiani l'immagine di un governo che lavora e approva per decreto le misure necessarie. Oltretutto sul rigore il terzo polo è pronto a dare una mano, persino votando a favore in Parlamento. Un'occasione davvero insperata per riagganciare l'Udc. "Casini ci propone di superare le contrapposizioni - spiega il ministro Raffaele Fitto - e non possiamo lasciar cadere questa offerta di collaborazione. L'opposizione è divisa in tre: Di Pietro chiede le elezioni, Bersani chiede le dimissioni di Berlusconi, mentre il terzo polo vuole salvare con noi il paese. Io dico di andare a vedere".

(09 agosto 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/dal-quotidiano/retroscena/2011/08/09/news/non_si_pu_tergiversare_la_bce_ora_pretende_i_fatti-20203835/
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« Risposta #43 inserito:: Settembre 19, 2011, 12:05:52 pm »

di FRANCESCO BEI

Pdl, cresce il disagio per l'inchiesta escort


"Secessione", "l'Italia fa schifo", "i giornalisti sono degli stronzi", "in Padania ci sono milioni pronti a combattere".
Umberto Bossi, per coprire le divisioni nella Lega e placare i malumori della base verso l'alleanza con il Cavaliere, è costretto a rispolverare vecchi slogan del passato. Così da Venezia, senza dire una parola sullo scandalo escort che domina la scena, l'anziano leader del Carroccio ripropone la strada della spaccatura del paese: "Non possiamo illuderci di fare senza la secessione. Dobbiamo avere la forza di ottenere la nostra libertà". Il traguardo è spostato in un futuro indefinito, magari dopo un improbabile (perché incostituzionale) referendum. Bossi evoca "la via democratica, forse anche attraverso un referendum, perché un popolo importante e lavoratore come il nostro non può continuare a mantenere l'Italia".

Nel Pdl invece, nonostante la blindatura del vertice, non mancano segnali di malessere per le inchieste di Bari e Napoli. Il ministro Ignazio La Russa confessa il suo "disagio", l'ex presidente del Senato Marcello Pera dice di "soffrire in silenzio", Giuliano Ferrara suggerisce al premier la vie delle "scuse" pubbliche. E Roberto Maroni, sul palco di Venezia, prende le distanze dal mondo dei Tarantini e Lavitola che circondano il premier, dicendo "noi siamo diversi da quella gentaglia". Resta a difesa del fortino il segretario del Pdl, Angelino Alfano che si fa portavoce della volontà di Berlusconi di resistere: "Non ha alcuna intenzione di dimettersi. Io come segretario del Pdl, noi come dirigenti e voi come militanti dobbiamo dire che difenderemo Silvio Berlusconi, il governo e la nostra storia di 18 anni". Quanto alle sparate del leader del Carroccio, Alfano sorvola: "L'unica alleanza che può dare stabilità al paese è quella tra Berlusconi e Bossi".

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« Risposta #44 inserito:: Settembre 20, 2011, 05:25:32 pm »

RETROSCENA

Il Cavaliere vuole scendere in piazza "Dobbiamo difenderci da questi pm"

Ora il Pdl punta sul processo lungo per fermare il tribunale.

Pessimismo nel partito sul voto per Milanese e sulla sfiducia al ministro Saverio Romano

di FRANCESCO BEI


"Basta, è inutile provare a difendersi da un processo kafkiano, è arrivato il momento di chiamare a raccolta gli italiani".
Appresa la notizia che il tribunale di Milano ha rinunciato ai testimoni della difesa (già sentiti per rogatoria davanti a una corte britannica), Berlusconi esplode. Sente che la tenaglia si sta per serrare, è convinto che entro dicembre arriverà la sentenza di condanna sul caso Mills. 

Una mazzata che non solo castrerebbe qualsiasi possibilità di salire al Quirinale, ma renderebbe assai complicato persino immaginare una ricandidatura del Cavaliere a palazzo Chigi in caso di voto anticipato nel 2012. E la reazione di pancia del premier è quella dell'appello alla piazza: "Dobbiamo organizzare una grande manifestazione per difendere la libertà. Per una giustizia giusta, per l'inviolabilità della privacy, per la difesa del voto degli italiani".

Una manifestazione che servirà a mobilitare il partito. Berlusconi infatti non è affatto contento per come i ministri e i big del Pdl - con l'eccezione del fido Alfano - lo hanno fin qui difeso da quello che considera un "assalto" dei magistrati. E dunque, anche rinunciando all'apertura della stagione congressuale, presto a via dell'Umiltà potrebbe aprirsi il cantiere di una "grande" manifestazione nazionale contro i pm. Ma quella del corteo è soltanto una delle armi che il capo del governo ha a sua disposizione. Alla tentazione della piazza si affianca infatti
uno strumento più efficace, concepito espressamente per far saltare il processo Mills: il disegno di legge sul processo lungo. A fine luglio il ddl, che obbligherebbe appunto il tribunale di Milano a sentire tutti i testi presentati dagli avvocati Ghedini e Longo, è stato approvato dal Senato con la fiducia. L'intenzione è quella di farlo passare davanti a tutto, per approvarlo definitivamente alla Camera entro un mese senza alcuna modifica. Prima della deposizione di Berlusconi in calendario per il 28 ottobre. A quel punto il processo Mills scivolerebbe inevitabilmente nella prescrizione.

Ma quella che proviene da Milano è soltanto una delle minacce che incombono sulla testa del premier. Le altre due si consumeranno nei prossimi giorni a Montecitorio. Giovedì infatti è atteso il voto segreto sull'arresto di Marco Milanese e, nonostante ieri Berlusconi in una telefonata a Bossi (dopo gli auguri per i settant'anni) abbia provato ad avere garanzie dal leader del Carroccio, il destino del deputato tremontiano appare sempre più incerto. I quaranta deputati "maroniti" propendono infatti per la linea dura. Il problema inoltre è che nel centrodestra, tra i Responsabili e nello stesso Pdl, l'area degli scontenti aumenta ogni giorno di più. E il voto su Milanese è considerato come una buona occasione, forse l'ultima, per mandare un segnale al premier, per indurlo a farsi da parte ed accettare l'unica soluzione che preserverebbe la legislatura e garantirebbe un futuro al Pdl oltre Berlusconi: un governo guidato da Alfano allargato al Terzo polo. Così il voto su Milanese sarebbe sfruttato per mandare un avvertimento al Cavaliere, per fargli capire che la Camera potrebbe anche pronunciarsi a favore dell'accompagnamento coatto davanti ai pm di Napoli. Per evitare l'arresto di Milanese i fedelissimi del premier stanno già organizzando le difese. "In aula non entreremo nel merito delle accuse - spiega uno di loro - perché altrimenti Milanese è fritto. Diremo che i pm non posso incidere sul plenum dell'assemblea e faremo presente che l'altra volta, quando la Camera ha deciso per l'arresto di Alfonso Papa, la procura si è comportata male, abusando della carcerazione preventiva. Tanto che il deputato Papa è ancora in cella dopo due mesi".

L'altra grana che sta per esplodere è la mozione di sfiducia sul ministro Saverio Romano che andrà al voto il 27 settembre. Ieri Berlusconi l'ha chiamato per confermargli il suo sostegno e smentire le voci di una richiesta di dimissioni preventive. Ma nessuno nel Pdl scommette sul voto dei maroniani per salvare un ministro che la procura di Palermo vuole rinviare a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa.

(20 settembre 2011) © Riproduzione riservata
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