24/8/2010
Una macchia sulla nostra bandiera
DOMINIQUE DE VILLEPIN*
Saranno bastati un discorso a Grenoble e un’estate, una sola estate, perché tutto precipitasse dalla lotta all’insicurezza all’indegnità nazionale. Dico proprio «nazionale», perché il Presidente della Repubblica ci coinvolge tutti. E se qualcuno ne dubitasse, gli basterebbe leggere la stampa estera, dagli Stati Uniti all’India passando per i giornali europei, per misurare lo sgomento davanti al volto irriconoscibile della patria dei diritti dell’uomo. Gli basterebbe ascoltare le voci che si alzano dal Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale. E non potrebbe che condannare la recrudescenza razzista e xenofoba.
Eppure, mi direte, niente è cambiato. Sappiamo tutti perfettamente che questi progetti di ampliamento della revoca della nazionalità francese non potrebbero sfociare in alcunché di concreto, in alcunché di efficace. Sappiamo tutti che il nostro arsenale giuridico è sufficiente per regolare la questione, esattamente come l’articolo 25 del Codice Civile. Sappiamo soprattutto che tali progetti, anche se venissero messi in atto, nulla cambierebbero alle difficoltà quotidiane dei nostri compatrioti. D’altra parte è la prova che il rilancio della sicurezza non ha altro scopo che la provocazione e la divisione, per assicurare la conservazione del potere al servizio di interessi personali. Eppure di soluzioni ne esistono.
Per trovarle, però, occorre radunare tutti i protagonisti, soprattutto i sindaci e le associazioni, mobilitare con ragione e determinazione tutti gli strumenti della prevenzione e della repressione, riconoscendo l’ampiezza del problema sociale, economico, educativo.
Nulla è cambiato, eppure tutto è cambiato. È cambiato lo sguardo sugli altri - rom, nomadi, immigrati, musulmani. È cambiato lo sguardo sulla Francia, un Paese che un tempo aveva dei punti di riferimento, dei princìpi. È cambiato il nostro sguardo su noi stessi, tra cittadini francesi e «cittadini di origine straniera», mentre l’articolo uno della nostra Costituzione «assicura l’uguaglianza davanti alla legge di tutti i cittadini senza distinzione di origine, razza o religione».
Non si tratta di semplici dettagli, perché non possiamo dimenticare, senza vergognarci, fin dove possono portare questi giochi. Errore, dice il filosofo... No! Colpa. Colpa morale, colpa collettiva commessa, a nome di noi tutti, contro la Repubblica e contro la Francia. Oggi sulla nostra bandiera c’è una macchia di vergogna.
Tacere è già essere complici. Ogni francese, donna o uomo, deve reagire, qualunque sia la sua età e la sua condizione, ovunque si trovi, a Parigi o in provincia, per segnare a modo suo il rifiuto di questa deriva inaccettabile. Per i responsabili politici la sfida è senz’altro più difficile, come testimonia il malessere a destra, il galleggiamento a sinistra e le incertezze al centro. Implica di sollevarsi al di là dei retropensieri elettorali e delle scissioni partigiane.
Una volta di più potrebbe esserci la tentazione di ricorrere alla tattica, abilità contro abilità, calcolo contro calcolo, astuzia contro astuzia, ma sarebbe il combattimento sbagliato. Arriva il momento in cui gli occhi dei più ingenui, dei più increduli, finalmente si aprono. La rottura tra il vertice dello Stato e la nazione è cominciata, qualunque cosa si voglia far dire ai sondaggi.
Oggi c’è un dovere da compiere per tutti i repubblicani di Francia, di fronte all’idra che un Presidente e i suoi cortigiani vorrebbero risvegliare dal fondo di ciascuno di noi, di fronte alla macchia che minaccia di infamare l’idea stessa che noi ci facciamo della Francia. Un dovere di rifiuto. Un dovere di adunata. Un dovere di coraggio politico per preparare l’alternativa repubblicana che s’impone. Un dovere che noi dobbiamo assumerci tutti insieme, per tutto il tempo necessario, con tutta l’energia necessaria.
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*Ex Primo Ministro francese
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