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Autore Discussione: ALBERTO STATERA Unicredit, Umberto sfida Gheddafi  (Letto 2163 volte)
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« inserito:: Agosto 24, 2010, 11:05:56 am »

IL CASO

Unicredit, Umberto sfida Gheddafi

Sulle banche vacilla l'asse Lega-Berlusconi Lunedì l'arrivo del Colonnello a Roma.

Il Cavaliere chiamato a risolvere il corto circuito tra le Fondazioni, sempre più occupate dai leghisti, e gli obblighi di amicizia con Tripoli.

I libici ostacolano l'occupazione padana degli istituti di credito

di ALBERTO STATERA


ROMA - La tenda beduina è lì pronta per essere piantata come l'anno scorso a Villa Pamphili, tra i prati e la palazzina dell'Algardi, per ospitare Gheddafi, che lunedì prossimo sarà a Roma a celebrare con Berlusconi il secondo anniversario del cosiddetto "Trattato di Bengasi". Nessuno sa quale bislacco spettacolo il Colonnello ci metterà in scena stavolta con il Cavaliere, tra magnifiche femmine body-guard, cerimoniali stravolti, "buche" a cariche istituzionali, come quella che nel giugno 2009 diede al presidente della Camera Gianfranco Fini, e incidenti diplomatici vari.

Quel che è certo è che, pur seduto su 100 miliardi di petrodollari, il dittatore di Tripoli troverà un clima politico ben diverso nei suoi confronti rispetto a quello di un anno fa. Il suo amico e socio Berlusconi non solo è sotto l'assedio dei ribelli finiani, ma vive ormai nell'incubo del tradimento della filiera Tremonti-Bossi che, nell'insidiarne la leadership, ha inserito ai primi posti del cahier de doleances anche la scalata libica che ha portato nei giorni scorsi Gheddafi a rafforzare il suo ruolo di grande azionista di Unicredit, il colosso bancario che i padani progettano di mettere alla soma designando i loro proconsoli, attraverso gli enti locali, nei vertici delle fondazioni bancarie. Le fondazioni, quella specie di Frankenstein, secondo la definizione che ne diede Giuliano Amato. Metterci i propri uomini di partito è più o meno quel che capitava ai tempi della Democrazia cristiana e delle banche pubbliche. Una pratica che, oggi come allora, non può che andare sotto il nome di lottizzazione.

Bossi l'aveva detto già lo scorso aprile, confermando una strategia che risale addirittura al congresso di Assago del 2003: "Devono cacciare i soldi, ci prenderemo le banche del nord".

L'altra sera poi al Berghem Fest, mentre si consumava l'ira berlusconiana contro i tradimenti dichiarati e quelli carsici in preparazione tra via XX Settembre, sede del ministero dell'Economia, e Via Bellerio, sede milanese della Lega, in uno dei soliti comizi sincopati che mandano in visibilio il suo popolo, Bossi tornava sull'ossessione creditizia, che gli è valsa ieri da parte di Pier Ferdinando Casini la qualifica di "trafficante di banche e di quote latte". Sapete che vuol dire avere o non avere le banche, ha chiesto il senatùr agli astanti?

Lui ha rivelato di saperlo bene. Ha dichiarato che la Popolare di Milano è già sua: "Con loro - ha raccontato al popolo padano - faremo la galleria del Gottardo. Sta seguendo il progetto uno che abbiamo messo lì noi, Ponzini, Ponzoni, o come si chiama? Sì, sì, Ponzellini". Si da il caso che Massimo Ponzellini, ex scudiero di Romano Prodi all'Iri, sia anche presidente di Impregilo, che ha forse interesse per il Gottardo, ma probabilmente assai di più per l'autostrada costiera della Libia, un appalto miliardario. Per la serie dei conflitti d'interesse tra banchieri e imprenditori di opere pubbliche. Vallo a spiegare al popolo padano, che deve interpretare le parole sincopate del leader, il cui succo è, riassumendo: fondazioni bancarie a noi, fuori gli arabi, giù le mani di Gheddafi da Unicredit.

Sull'ordine di scuderia del leader è tutto un fiorire di dichiarazioni scolpite dai suoi, da Luca Zaia, governatore Veneto, a Flavio Tosi, sindaco di Verona, famoso per accompagnare al guinzaglio nella campagne elettorali "el leon che magna el teròn", fino persino a Roberto Ciambetti, assessore veneto al Bilancio, il quale, dopo aver consultato i libri di storia, ci ha informato che Napoleone Bonaparte proclamò: "Il denaro non ha madrepatria e i finanzieri non hanno patriottismo né decenza, il loro unico obiettivo è il profitto".

Guarda un po'. Chissà che prima o poi scoprano anche Lenin e i soldi delle banche per fare la rivoluzione.
Come conferma la rivelazione di Ciambetti, va da sé che normalmente pecunia non olet. Ma quella di Tripoli olet assai nel cotè bossiano, soprattutto se annacqua le partecipazioni delle fondazioni nelle grandi banche, dove la Lega, con scientifica precisione lottizzatoria di stampo democristiano, sta cercando di collocare i suoi fedeli nei consigli generali. Quello di Cariverona si rinnova in ottobre. Ma l'ex ministro berlusconian - bossiano di un attimo fuggente, l'ex prete Aldo Brancher, cui la poltrona ministeriale serviva solo per evitare un processo, è già sceso dai monti delle vacanze per partecipare al vertice in cui venerdì prossimo, con Giancarlo Giorgetti, "ministro" bossiano al credito e alla lottizzazione bancaria, si decideranno i nomi da sottoporre, si fa per dire, al presidente Paolo Biasi. E non ci sarà dittatore nord africano che con i suoi miliardi di petrodollari e con gli affari personali intessuti con la famiglia Berlusconi, complici Tarak Ben Ammar e faccendieri vari di mezzo mondo, che fermerà la marcia padana sulle grandi banche multinazionali che vanno ricondotte al territorio, perché è qui che "devono cacciare i soldi".

Rimane da capire come si colloca in una partita politica dai contorni sfuggenti e complessi, che sul piatto ha oggi non solo quote parziali di potere ma persino il governo del paese, l'ex mister Arrogance Alessandro Profumo, il banchiere di Unicredit che andò a votare alle primarie del Pd. La trattativa con i libici per la scalata alla banca è stata segretissima, neanche i consiglieri d'amministrazione, come peraltro il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, ne erano stati informati. L'uomo di Unicredit, come dice il vecchio soprannome, è tosto e fin qui è stato indipendente, ciò che in Italia viene interpretato come arroganza. Possibile che sia ormai pronto a far patti con tutti, persino con Cesare Geronzi, che al Banco di Roma si associò con i libici di Gheddafi già una quindicina di anni fa, e con Berlusconi, due tipi che fin qui mostrava di non aver mai potuto soffrire? E qui divergono le scuole di pensiero. Certo, nessuno si sarebbe aspettato da uno come lui che - come risulta dalle più recenti indiscrezioni estive - sarebbe andato a casa del Cavaliere accompagnato da Salvatore Ligresti, che antropologicamente è intrinseco al meno presentabile (quasi tutto) cotè berlusconiano. Ma basta questo a trasformare mister Arrogance in monsieur "Oui"? Troppo semplice. Anche se i nemici dei grandi banchieri godono oggi a vederli annaspare tra interventi al meeting di Comunione e Liberazione di Rimini, servizi fotografici posati sulla spiaggia e incredibili cerimonie estive a Cortina, "supercafonal" come le chiama, sguazzandoci, quello sciagurato cantore dell'Italia a pezzi di Roberto D'Agostino, che di Geronzi continua a fare una specie di tragica icona italica. A riprova di un paese definitivamente "sfarnasciato", come diceva una volta in pugliese stretto quel sant'uomo socialista di Rino Formica.

Tremonti intanto gode. I nemici di Corrado Passera giurano che Profumo non è come lui, che l'uomo dell'Unicredit non ha alcuna intenzione di "scendere in campo" in politica, che il capitale libico, pur tutt'altro che fresco, è una mano santa. Più o meno quel che, tra mille distinguo in quell'italiano ambiguo del qui lo dico e qui lo nego, sostiene Angelo De Mattia che in Banca d'Italia fu difensore della teoria dell'italianità di Antonio Fazio nella vicenda Antonveneta e che oggi lavora per Geronzi, presunto beduino, alle Generali.

Fini, Bocchino, Granata, Briguglio. Chissà che il fuoco d'artificio finale del berlusconismo non possa venire tra qualche giorno, non solo dai finiani, ma dal singolare cortocircuito arabo-padano tra la tenda di Villa Pamphili e lo stato maggiore beduinio di Via Bellerio, che del controllo delle banche ha fatto un suo mantra forte quasi quanto quello del federalismo inevitabilmente irrisolto.

a.statera@repubblica.it


(24 agosto 2010) © Riproduzione riservata
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