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Autore Discussione: MONTEZEMOLO  (Letto 19061 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Gennaio 10, 2011, 05:55:02 pm »

LA POLEMICA

Italiafutura contro Lega e Tremonti "Hanno tradito l'Italia che produce"

Sul sito dell'associazione di Montezemolo un editoriale con giudizi durissimi sul Carroccio e le scelte del ministro dell'Economia.

"In Parlamento o nel governo nessuno si batte per la parte più viva del Paese". Apprezzamenti solo per Maroni


ROMA - Il neostatalismo municipale della Lega e del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, hanno lasciato sola e tradito le aspettative della parte più viva e dinamica del Paese, e, cioè, gli imprenditori, gli artigiani e i commercianti che costituiscono, in Italia, "un enorme serbatoio di competività", quel "nerbo della nazione di cui tutti sembrano ignorare le necessità". E' questo il j'accuse contenuto nell'intervento pubblicato oggi sul sito di Italiafutura 1, l'associazione che fa capo a Luca Cordero di Montezemolo. Un testo che denuncia "l'assenza di qualsiasi voce che, in Parlamento o nel Governo, si batta" per i ceti produttivi.

"L'Italia della manifattura che dimostra, nonostante tutto, di continuare a credere in se stessa, non riesce più a trovare un riferimento concreto nei partiti e nei leader, usurati, di questa seconda repubblica. Se non vogliamo che il nostro Paese, che soprattutto sull'industria ha costruito le sue fortune, diventi una nazione di piccoli e grandi rentier ogni anno più poveri - prosegue l'editoriale - dobbiamo agire subito. Il momento delle facili promesse, dei proclami ideologici e delle profezie inutili si è da tempo consumato".

"In questo periodo è difficile trovare sui giornali notizie positive sullo stato del Paese", osserva ancora la fondazione guidata da Luca Cordero di Montezemolo. "Unica eccezione - sottolinea Italiafutura.it - il dato
riguardante il saldo tra le aziende che hanno aperto e quelle che hanno chiuso nel 2010", segnale di "un enorme serbatoio di competitività" che è anche "il nerbo della nazione, di cui tutti sembrano ignorare le necessità". "Quello che colpisce - si legge ancora - è l'assenza di qualsiasi voce che, in Parlamento o nel governo, si batta per le ragioni e le istanze della parte più viva e dinamica del Paese".

Nettamente negativo in particolare il giudizio sulla Lega "che pure era nata, sull'onda di un 'tea party' ante litteram, come forza di contrapposizione verso il peso del fisco, dello Stato e della sua pletorica burocrazia è oramai impegnata in battaglie ideologiche e distratta da dichiarazioni e ultimatum che mai hanno a che fare con gli interessi concreti delle piccole imprese". Bocciato, come detto, anche Giulio Tremonti, "che va considerato a tutti gli effetti un esponente di punta della Lega", al quale si rimprovera "eclettismo ideologico, flirtando da ultimo con il Berlinguer dell'austerità".

"Se la politica economica del governo tradisce una categoria, quella degli imprenditori, che pure non gli ha mai fatto mancare il sostegno, la responsabilità maggiore è innanzitutto della Lega che è nata per rappresentare le istanze del Nord che produce". Italiafutura salva invece Roberto Maroni "che ha saputo agire con forza, misura e senso dello stato. Soprattutto lui coniuga oggi la concretezza della Lega delle origini e la maturità dell'esperienza di governo".

Spazio allora, conclude l'editoriale riconducibile al pensiero di Montezemolo, a "un'Italia che è in marcia nonostante l'immobilismo della politica. Un'Italia che accetta le sfide della globalizzazione e non si nasconde dietro superficiali e velleitarie teorie neoprotezionistiche. Un'Italia che avrebbe bisogno di supporto e di attenzione ma che non ha ricevuto nulla, pur avendo dato e continuando a dare moltissimo".

(10 gennaio 2011) © Riproduzione riservata
http://www.repubblica.it/economia/2011/01/10/news/montezemolo_lega-11046597/?ref=HREC1-2
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« Risposta #16 inserito:: Luglio 04, 2011, 04:45:35 pm »

Una manovra da minimo sindacale

Ora sta all’opposizione fare proposte su welfare e liberalizzazioni

di Carlo Calenda ,
pubblicato il 2 luglio 2011 


La manovra è quella che è. Il minimo sindacale, con alcune ridicole prese in giro sui costi della politica (dove si annunciano misure puramente simboliche) e una buona quantità di assegni post-datati: provvedimenti che avranno effetto solo dalla prossima legislatura e che rappresenteranno un alibi formidabile per chiunque governerà il paese dopo il 2013. Abbiamo forti dubbi che, nel medio periodo, questo risulterà sufficiente per arginare le turbolenze finanziarie internazionali. Ma per il momento e considerando la situazione della maggioranza, non era realistico aspettarsi qualcosa di più o di meglio.

Il problema non è tanto nei numeri della manovra quanto nei dati, preoccupanti, su inflazione e disoccupazione che per ironia della sorte l'hanno rispettivamente preceduta e seguita di appena poche ore. L'inflazione torna ai livelli del 2008 per effetto dei rincari che colpiscono molti dei settori a limitata concorrenza (treni, aerei, energia, traghetti), certificando il drammatico e costoso deficit di libertà economica del nostro paese. Il prezzo dei monopoli e dei neostatalismi si scarica direttamente sui cittadini che non possono scegliere e hanno servizi di scarsa qualità, per i quali pagano addirittura più del dovuto. I numeri sulla disoccupazione, in particolare quella femminile e giovanile, sono persino drammatici. Torniamo ai livelli del 2004, mentre nel Sud la disoccupazione colpisce una donna su due.

Di queste cose governo e opposizione sembrano curarsi poco. Sulle liberalizzazioni l'esecutivo della rivoluzione liberale non solo non ha fatto nulla ma ha persino protetto e incentivato i monopolisti pubblici e privati, fino a teorizzare un ritorno strutturale dell'intervento dello Stato nell'economia. Il Pd, che pure su questo tema si era speso molto in passato, con i referendum ha compiuto un radicale cambio di rotta adottando la linea del “Diciamo No e poi vediamo”. Ancora peggio va sul fronte dell'esclusione dal mercato del lavoro di donne e giovani dove, a parte qualche mancia dal sapore populistico, nulla di serio accade o viene anche solo progettato.

Berlusconi, presentando la manovra, ha chiesto il sostegno dell'opposizione, pur confermando l'uso della fiducia per paura delle resistenze interne alla maggioranza. Se l'offerta è seria il Presidente del Consiglio dovrà dare qualcosa in cambio che non metta a rischio i contenuti e i tempi di approvazione della manovra. Sarebbe auspicabile che l'opposizione, mandate in soffitta le pulsioni populististiche postelettorali e le battute da cabaret, chiedesse, come contropartita a una non belligeranza sulla manovra e un impegno (doveroso) sui saldi 2013/2014, l'apertura di un cantiere di lavoro comune su welfare, liberalizzazioni e fisco.

Sarebbe una scelta ben più saggia di quella, attualmente molto in voga nel centrosinistra, di affidarsi alla politica del “tanto peggio tanto meglio” nell'illusione che sia vicino il momento in cui il governo cadrà miracolosamente nelle mani del PD. La sfida sulle riforme è il modo più efficace per incalzare il centrodestra, anche in una prospettiva squistamente politica, perché accentuerebbe le spaccature interne alla maggioranza, rendendo palese ai cittadini la sua fragilità oramai insanabile.

da - http://www.italiafutura.it/dettaglio/111751/una_manovra_da_minimo_sindacale?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_content=link-minimosindacale20110704&utm_campaign=link-minimosindacale20110704
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« Risposta #17 inserito:: Luglio 04, 2011, 04:47:51 pm »

Lo scatto d'orgoglio che aspettiamo

Costi della politica

di Alberto Stancanelli,
pubblicato il 4 luglio 2011 


Nessuno pensa che se il governo avesse avuto il coraggio di intervenire seriamente sui costi della politica i conseguenti risparmi sarebbero stati da soli sufficienti a raggiungere i parametri che l’Europa ci chiede di rispettare. Come, però, abbiamo già detto nel nostro Osservatorio sugli sprechi della politica, quando la politica chiede ai cittadini sacrifici deve, prima di tutto, guardare a se stessa. Tale comportamento sarebbe elemento di serietà oltre che di credibilità e affidabilità. Ma così non è stato; come per le altre misure economiche anche i tagli ai costi della politica rientrano nel genere degli assegni post datati.

Il governo oggi ne parla, qualcun altro domani forse lo farà.

E’ vero, è già tanto che se ne parli, considerato che sino ad oggi il taglio ai costi della politica di fatto è stato un vero tabù, che trova conferma nelle parole allarmate di un ministro che già si vedeva, con il suo stipendio di 4.000 euro, pernottare in qualche ostello della Caritas romana. Nella manovra abbiamo trovato solo poche idee, alcuni buoni propositi, ma nessun fatto concreto, solo qualche lascito per il futuro governo e per la futura maggioranza parlamentare.

Nelle norme proposte c'è anche il vecchio e noioso strumento delle commissioni ministeriali di studio, al quale spetterà il compito di elaborare un’analisi sulla media delle retribuzioni dei parlamentari dei paesi europei, come se i dati non esistessero già!

Gli studiosi di amministrazione pubblica conoscono lo strumento, spesso con scopo dilatorio, delle commissioni di studio (si parte dalla proposta di riforma dell’amministrazione del ministro De Stefani degli inizi del secolo scorso presentata a Mussolini e dimenticata in un cassetto di Palazzo Venezia, sino ad arrivare alle più importanti Commissioni bicamerali per le riforme costituzionali). E anche oggi si propone l’immancabile commissione di studio come panacea di tutti i mali. Così il governo prende tempo, nella speranza che i cittadini dimentichino.

Proviamo ad evidenziare altre incongruenze nei comportamenti del governo e della sua maggioranza.

Qualche mese fa il governo ha proposto una riforma costituzionale della giustizia da approvare in questa legislatura, per poi dirci oggi che una riforma costituzionale che riduca i parlamentari e i costi della politica è una procedura complessa che non troverebbe approvazione in questa legislatura; non vorremmo che si desse la colpa all’art. 138 della costituzione che prevede la doppia votazione a distanza di tre mesi - articolo fondamentale e baluardo della democrazia come abbiamo sperimentato con l’assurda proposta di riforma dello Stato del 2005 bocciata dagli italiani.

Forse la nostra domanda può sembrare ingenua: ma se tutti i partiti sono d’accordo sulla riduzione del numero dei parlamentari, perché dovrebbe essere difficile approvarla entro la fine dell’anno?

E questa non è l’unica incongruenza nei comportamenti dei nostri politici. Un anno fa il presidente del Consiglio, agendo da leader del partito di maggioranza relativa, ha annunciato che il suddetto partito avrebbe raccolto un milione di firme sulla proposta di legge d’iniziativa popolare per la riduzione del numero dei parlamentari, un’idea sicuramente ragionevole e condivisibile rispetto a quella annunciata dall’altra componente della maggioranza per lo spostamento al Nord dei ministeri. Degli annunciati gazebo in ogni angolo del paese non abbiamo visto traccia.

Oggi il PDL ha un segretario nazionale, che nel suo discorso di insediamento ha riproposto come sua linea politica la riforma della giustizia e la riforma delle intercettazioni telefoniche! Ci saremmo aspettati che oltre a riproporre i temi già presenti nell’agenda berlusconiana avesse affrontato anche la questione dei costi della politica, dimostrando su questo tema autonomia e leadership.

Ci saremmo aspettati che il nuovo segretario del PDL proponesse un disegno di legge di modifica costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari, magari prevedendo un Senato delle autonomie; una modifica costituzionale che stabilisca criteri e parametri europei di riferimento delle retribuzioni dei parlamentari, che vincoli le Camere al rispetto di tali prescrizioni, senza rifugiarsi dietro al principio dell’autonomia o meglio degli interna corporis, evitando discrezionalità e arbitrio; che proponesse che parte della retribuzione fosse legata al raggiungimento di concreti livelli di produttività e di miglioramento delle condizioni del Paese (aumento del Pil, diminuzione del tasso di disoccupazione ecc.).

Ci saremmo aspettati una proposta che prevedesse che i parlamentari non possano ricoprire incarichi in enti pubblici o società pubbliche per un arco temporale pari a 5 anni dalla cessazione dal mandato e che candidati non eletti (Parlamento e Consigli Regionali) non possano avere incarichi in enti o società pubbliche per i successivi tre anni dal periodo elettorale. Sempre per i parlamentari e i consiglieri regionali che fosse prevista la soppressione del vitalizio.

Ci saremmo aspettati la previsione del principio che qualsiasi nomina effettuata da pubbliche amministrazioni, non possa riguardare parenti ed affini sino al IV grado rispetto a coloro i quali è conferito il potere di nomina; che la condanna per reati contro la pubblica amministrazione comporti l’ineleggibilità e la decadenza per tutti gli incarichi pubblici a prescindere dalla pena irrogata.

Ci saremmo aspettati che finalmente avesse proposto (riproposto) la soppressione delle Province, rimandando ad un atto amministrativo la ricollocazione delle funzioni tra prefetture, Regioni e Comuni e del personale da trasferire nelle amministrazioni che hanno effettivamente carenza di organico come i tribunali, attuando, al tempo stesso, seriamente il principio di sussidiarità orizzontale e stabilendo, alla scadenza della consiliatura provinciale, la nomina di un commissario prefettizio che resti in carica sino alla ricollocazione delle funzioni e delle risorse umane.

Infine, ci saremmo aspettati una drastica riduzione dei componenti e una razionalizzazione del Cnel, non una semplice e ragioneristica riduzione delle risorse economiche che renderanno ancora più improduttivo lo stesso Cnel.

Forse la probabile fine anticipata della legislatura non consentirebbe comunque l’approvazione di queste necessarie e indefettibili riforme sui costi della politica. Ma se la classe dirigente di questa Seconda Repubblica, ormai al tramonto, avrà il coraggio e l'orgoglio di proporre interventi concreti dimostrando di voler provare realmente a recuperare il rapporto sempre più deteriorato tra politica e cittadini, potrà forse un giorno essere ricordata almeno con benevolenza.


Alberto Stancanelli è membro del comitato direttivo di Italia Futura.


da - http://www.italiafutura.it/dettaglio/111755/lo_scatto_dorgoglio_che_aspettiamo?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_content=link-editoriale20110704&utm_campaign=link-editoriale20110704
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« Risposta #18 inserito:: Luglio 04, 2011, 04:49:54 pm »

Cara amica, Caro amico,

Il testo della manovra finanziaria approvato giovedì scorso dal Consiglio dei Ministri non è ancora arrivato al Quirinale, e ciò significa che non è ancora definitivo. Molti dei suoi contenuti sono però già noti e su questi condividiamo con te due analisi pubblicate negli ultimi giorni sul nostro sito.

Sul versante economico Carlo Calenda esprime “forti dubbi che, nel medio periodo, la manovra risulterà sufficiente per arginare le turbolenze finanziarie internazionali”.

Mentre il governo “emette assegni post-datati” al 2013 e il 2014, il vero problema sta negli ultimi dati su inflazione, “ai livelli del 2008 per effetto dei rincari che colpiscono molti dei settori a limitata concorrenza”, e disoccupazione giovanile e femminile: “Al Sud colpisce una donna su due”. Ma “di queste cose governo e opposizione sembrano curarsi poco”.

Da qui l’invito: “Berlusconi, presentando la manovra, ha chiesto il sostegno dell'opposizione. Se l'offerta è seria il Presidente del Consiglio dovrà dare qualcosa” e “sarebbe auspicabile che il centrosinistra chiedesse in cambio l'apertura di un cantiere di lavoro comune su welfare, liberalizzazioni e fisco”.

- Continua a leggere l’editoriale Una manovra da minimo sindacale

Sulla riduzione dei costi della politica, tema che il governo sembrava inizialmente voler finalmente affrontare, Alberto Stancanelli vede un nulla di fatto, “Il governo oggi ne parla, qualcun altro domani forse lo farà”.

Rispunta infatti per il momento “il vecchio e noioso strumento delle commissioni ministeriali di studio”. Tra i suoi compiti quello di “elaborare un’analisi sulla media delle retribuzioni dei parlamentari dei paesi europei, come se i dati non esistessero già!”.

Seguono alcune delle proposte concrete dI Italia Futura per la riduzione degli sprechi e, come sempre l’invito rivolto alla classe politica a farle proprie ed attuarle - nel difficile tentativo di restituire credibilità alla “classe dirigente di questa Seconda Repubblica, ormai al tramonto”.

La manovra è necessariamente improntata all’austerità, ma “quando la politica chiede ai cittadini sacrifici deve, prima di tutto, guardare a se stessa”.

"Quella varata dal governo è una manovrina più che una manovra" - Luca di Montezemolo, 4 luglio 2011.

Grazie,
Italia Futura

da - https://mail.google.com/mail/?shva=1#inbox/130f564eabba2278
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« Risposta #19 inserito:: Agosto 14, 2011, 10:49:56 am »

L'intervista

Luca Cordero di Montezemolo

«C'è bisogno di un'operazione verità sullo stato del Paese.

Serve una nuova ricostruzione. Ma i saldi vanno assicurati, altrimenti sarebbe un disastro»

«Scelte deboli contro l'emergenza Stanno asserragliati nei Palazzi»


Siamo arrivati qui dopo che per mesi ci hanno raccontato che tutto andava bene. A ogni dato negativo seguiva una rassicurazione del governo
 Luca Cordero di Montezemolo: meglio una patrimoniale su noi ricchi Non guardano il Paese reale Ultima chance per il governo, altrimenti si voti. La priorità è tagliare il debito. Uno scandalo il prelievo oltre i 90 mila euro

«Stanno asserragliati in due chilometri quadrati nel centro di Roma, rinchiusi nei Palazzi della politica e non si rendono conto di quello che il Paese reale sta attraversando...».
La domanda è lì, scende o non scende in politica, ma Luca Cordero di Montezemolo allarga il campo: «Non è questo il punto, adesso. Adesso è il momento di uscire dall'emergenza.
Di ricostruire questo Paese. Di smetterla con il vizio antico della classe politica di rimuovere i fatti, anche la memoria di come si è arrivati a questo punto drammatico, pur di rimanere in sella. Non abbiamo mai sentito pronunciare da un politico una sola frase di assunzione di responsabilità».
Il premier ha detto che questa manovra gronda sangue, sacrifici per tutti...
«Farei un piccolo passo indietro. Siamo arrivati qui dopo che per mesi ci siamo sentiti raccontare che tutto andava bene. Ad ogni dato negativo seguiva sempre una rassicurazione del governo. Che bisognava solo far passare la nottata. Il ministro dell'Economia ha dispensato lezioni a tutti, economisti, imprenditori, sindacati e persino alla Banca d'Italia.
Ed ecco dove siamo».

Certo, anche l'opposizione ci ha messo del suo...
«Ho sentito dall'opposizione teorizzare la propria superiorità morale e poi ho letto fatti di cronaca e tangenti. Ho sentito spiegare che i problemi dell'Italia iniziano e finiscono con Berlusconi, senza il quale vivremmo in un paradiso terrestre. Ma dimenticano anche loro gli anni non certo felici del centrosinistra. E tanto per fare un esempio: proprio il Pd ha votato contro l'abolizione delle province. Neppure la Lega fa eccezione, ha voluto la duplicazione degli uffici ministeriali nella Reggia di Monza».

Finalmente qualcosa si è mosso però, via una trentina di province e un bel po' di privilegi.
«A Novembre? Dopo un censimento? Speriamo che sia cosi».

Almeno cominciano.
«Le sembra che abbiamo molto tempo davanti? La sensazione è che la gestione della crisi da parte del governo sia stata confusa e pasticciata. Liti personali, annunci, promesse di taglio delle tasse, la Lega che difende le poltrone. La maggioranza sembra un Circo Barnum».

Meno male che è arrivata la lettera della Bce...
«A nessuno piace farsi commissariare, ma ce la siamo cercata. L'intervento della Bce è stato fondamentale. La manovra di luglio era da minimo sindacale, chiaramente insufficiente. Sta accadendo una cosa importante: chiediamo all'Europa una governance comune ma in cambio vengono chieste a noi, e a tutti gli Stati membri, regole di comportamento rigorose.
Uno scambio equo, direi. Per questo la proposta di Nicola Rossi sul pareggio di bilancio in Costituzione è fondamentale».

Dopo quella lettera la manovra è salita alla cifra record di 45 miliardi. Potranno bastare?
«Il decreto andava fatto, urgentemente. Abbiamo rischiato seriamente di entrare nel circolo vizioso greco. Ma non è all'altezza dell'emergenza in cui si trova il Paese. E soprattutto non affronta i veri nodi strutturali. Ancora una volta è un rimedio insufficiente».

Ma come? Età più alta per il pensionamento delle donne, prelievo sopra i 90 mila euro, addizionale per gli autonomi. Tfr congelato due anni per gli statali...
«Mi sembra positivo l'innalzamento a 65 anni per le donne ma è stato un errore gravissimo non toccare le pensioni di anzianità. Quello del prelievo sui redditi oltre 90 mila euro è invece uno scandalo puro e semplice».

Sono i redditi medio-alti...
«Non scherziamo, colpiscono chi vive di stipendio e paga quasi il 50% di tasse e vede persone intorno a sé che guadagnano molto di più dichiarando poco o nulla».

Ma il governo che strade aveva davanti?
«Vendere e dismettere e, se non fosse stato sufficiente, un vero contributo di solidarietà da chi se lo può davvero permettere».

Quale?
«Meglio varare un'imposta una tantum sui patrimoni superiori ai 5 o ai 10 milioni di euro, andando a colpire in questo modo anche gli evasori».

Una patrimoniale?
«Una cosa è chiedere un contributo di solidarietà a me o a Berlusconi, una cosa è colpire un dirigente con famiglia a carico».

Ma siamo sempre allo stesso punto, con un debito pari al 120% del Prodotto interno lordo risanare è un'impresa impossibile...
«Non credo proprio. Prima di mettere le mani nelle tasche dei cittadini bisogna ribaltare il rapporto: lo Stato deve assumersi l'80% dell'onere di questo risanamento. E solo dopo aver dato l'esempio può chiedere il 20% ai cittadini. Come? Vendendo, dismettendo, tagliando. Succede invece esattamente l'opposto. Uno slogan: prima vendete la Rai, poi venite a chiedere soldi».

Nel decreto ci sono le privatizzazioni delle municipalizzate e le liberalizzazioni.
«Al momento sembrano esserci solo indirizzi generici. Poco più che qualche buona intenzione. Non è quello di cui c'è bisogno. Ci sono tre priorità assolute che vanno messe in cima all'attività di governo: aggredire drasticamente il debito pubblico e riportarlo sotto il 100% del Pil, diminuire i costi di gestione del Paese. Rimuovere tutti gli ostacoli allo sviluppo delle imprese».

Su questo il governo vuole modificare l'articolo 41 per togliere lacci e lacciuoli...
«Quando sento Tremonti parlare di liberalizzazioni con la vuota retorica sull'articolo 41 mi viene da sorridere. Assieme ad altri abbiamo investito un miliardo per poter competere con le Ferrovie nell'Alta velocità e ogni volta ci troviamo davanti qualche ostacolo. Il ministero dell'Economia ha lasciato mano libera al monopolista».

Qui però lei ha un interesse privato, le Fs un interesse pubblico.
«Ah si? Io credevo che l'interesse pubblico fosse quello di far crescere l'economia, l'occupazione e la concorrenza. Ma come pensiamo di attrarre investimenti esteri se sono intralciati anche quelli italiani?».

Per ridurre il debito cosa bisognerebbe fare?
«A parte cedere le municipalizzate e quello che resta delle aziende non strategiche, bisogna accelerare la vendita del patrimonio, soprattutto immobiliare, che oggi non è messo a reddito. Anche scelte impopolari ma eque. Un gigantesco piano di dismissioni. Caserme, tribunali. Le faccio un esempio: a Napoli il molo San Vincenzo, una delle darsene più belle del mondo, è abitato da pochi militari».

Ma chi comprerebbe il nostro patrimonio immobiliare?
«Penso a un'agenzia pubblico-privata che ne curi il collocamento. Gli investitori non mancherebbero. Siamo a un momento decisivo, all'ultima chiamata».

Con l'anticipo del pareggio la situazione dovrebbe rimettersi a posto?
«Magari. Non basta. Abbiamo bisogno di un'operazione verità sullo stato del Paese. Direi che c'è bisogno di una nuova ricostruzione. I provvedimenti non sono quelli di cui l'Italia aveva bisogno ed è la prova che l'esecutivo sta finendo la benzina. Quel che è peggio è che la situazione dei mercati non ci consente di rimettere tutto in discussione. I saldi vanno assicurati per evitare il disastro».

Una ritirata dello Stato?
«Un cambio di passo. Ridefinire il rapporto tra Stato e cittadini è un problema con cui si stanno confrontando tutti i grandi Paesi. Oggi abbiamo uno Stato debole ma pervasivo, dobbiamo trasformarlo in uno Stato fortissimo nel suo core business - welfare, sicurezza, giustizia, scuola, difesa - che deve uscire da tanti settori dove crea spese, inefficienze e corruzione. La Cassa depositi invece di investire miliardi in fondi che rilevano aziende e persino aereoporti privati e reti elettriche, dovrebbe vendere. Vendere. Vendere e casomai costruiamo qualche infrastruttura».

Ma per fare questo forse bisognerebbe tornare ai governi tecnici degli anni Novanta?
«Non c'è bisogno di salvatori della Patria. Nell'emergenza dobbiamo per forza sostenere il governo, che pure ha completamente deluso. Ma se il governo continuerà a dimostrarsi non all'altezza dell'emergenza, allora è necessario che la parola torni rapidamente ai cittadini con le elezioni. Alla fine di questa legislatura bisogna voltare pagina».

Lei parla di ricostruzione...
«Dico che ci son molte persone per bene che vogliono impegnarsi, è necessaria una ricostruzione anche etica. I bizantinismi non hanno più spazio. Persino nella finanza e nell'industria personaggi che sembravano inamovibili sono tramontati, assieme a rituali vecchi e tutti italiani. Nella politica non è ancora successo e il bilancio della Seconda repubblica appare già fallimentare».

Si prepara lei per la Terza?
«Ognuno dovrà fare la sua parte nei diversi settori della vita civile, solo così un Paese pieno di eccellenze potrà risollevarsi».

Nicola Saldutti

14 agosto 2011 10:10© RIPRODUZIONE RISERVATA
da - http://www.corriere.it/economia/11_agosto_14/saldutti-montezemolo-emergenza_aec1aa32-c646-11e0-a5f4-4ef1b4babb4e.shtml
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« Risposta #20 inserito:: Agosto 18, 2011, 05:23:30 pm »

L'INTERVISTA

Montezemolo: "Sono ricco è giusto che paghi di più"

Il presidente della Ferrari sul contributo previsto dal governo per i redditi superiori ai 90 mila euro: "Ma qui solo io la penso così.

Sono d'accordo con Warren Buffett e con la Tobin tax, per ragioni di equità e di solidarietà".

E ancora: "Scandaloso che in Italia si colpisca il ceto medio"

di ROBERTO MANIA


ROMA - "Io, ricco, sono pronto a pagare più tasse. Per ragioni di equità e solidarietà. E soprattutto per una vera lotta alla grande evasione fiscale. In cambio chiedo allo Stato di ridurre il suo perimetro d'azione e di essere più efficiente". Ragiona così Luca di Montezemolo, 63 anni, reddito annuo medio intorno ai cinque milioni di euro.

Ricco. E potente: presidente della Ferrari, presidente di Ntv (i treni privati per l'alta velocità), ex presidente della Fiat e della Confindustria. Da tempo lì lì a un passo da un impegno diretto in politica.

E' d'accordo con il finanziere americano Warren Buffet: chi ha di più deve pagare di più. "Ma-  aggiunge -, con tutto il rispetto per Buffet, sulla mia proposta di un'imposta una tantum sui grandi patrimoni, dai cinque ai dieci milioni l'anno, ho avvertito un assordante silenzio".

Zitte le associazioni delle imprese, zitta una classe dirigente attenta ai propri interessi di breve periodo. Zitta la politica. Eppure è anche da qui, secondo Montezemolo, che passa la "ricostruzione del Paese", dopo il fallimento della Seconda Repubblica, ridefinendo i rapporti tra lo Stato e i cittadini, tra le tasse che si pagano e i servizi che si ricevono.

Un passaggio cruciale per ritrovare  -  dice - "etica e valori", per riparlare di "bene comune" e non solo di "interessi", per quanto importanti. Bene allora la Tobin tax perché "si deve mettere assolutamente un freno alla speculazione ed è giusto che lo si faccia a livello europeo".

Ma è l'Italia il centro, in questo colloquio, del ragionamento di Montezemolo. Un Paese in crisi profonda, non solo economica; privo di leadership; prigioniero del suo passato. "Oggi  -  dice  -  c'è un governo che si è autodefinito liberale, ma tutto si può dire fuorché che questo governo abbia compiuto scelte liberali. Ho sentito un ministro dell'Economia sostenere di avere nostalgia dell'Iri... Mi sforzo di fotografare la realtà. E vedo una insostenibile invadenza dello Stato nell'economia. Di conseguenza si sono accresciuti gli intrecci tra politica e affari. Clientelismo e affarismo. Malaffare e ricatti. Sono nate società pubbliche con relativi consigli di amministrazione solo per piazzare qualche politico trombato. Nel 2005 ero presidente della Confindustria e ricordavo che il compito di una Provincia non era quello di acquistare a caro prezzo quote di autostrade, bensì di fornire servizi ai cittadini. Ora sta indagando la magistratura di Milano. Hanno occupato lo Stato e questo è il contrario di uno Stato forte. Uno Stato forte dovrebbe concentrarsi sul suo core-business: sicurezza, sanità, scuola, giustizia. Questo è il perimetro dello Stato. Per questo paghiamo (chi le paga) le tasse".

Che allo Stato-invadente, gonfio di debiti, non bastano mai. Mai. "Negli ultimi quindici anni abbiamo toccato tutti i record. Ma i servizi non sono affatto migliorati. Sono accresciuti i monopoli, è nato quello che ho chiamato il neo-statalismo municipale. Dov'è la concorrenza nei servizi locali? C'è forse nei trasporti o nella raccolta dei rifiuti? La verità è che il denaro non va ad alimentare i servizi, bensì la grande voragine della spesa pubblica".

Tasse e diseguaglianze che crescono; redditi reali che diminuiscono. Lo dicono le tabelle dell'Istat e le analisi delle Banca d'Italia. E' l'Italia del nuovo secolo. Il ceto medio  -  come in altre parti del mondo, Stati Uniti in testa  -  si è assottigliato sempre più. Anche i risparmi sono stati prosciugati. "L'italiano medio  -  dice il ricco Montezemolo  -  si è impoverito. Ha pagato tutte le tasse anche quelle occulte che sono rappresentate dai disservizi. Ora c'è la crisi, sì certo. E' vero che serve una manovra sui conti pubblici. Ce la chiede l'Europa. Dobbiamo farla. Ma ancora una volta si colpiscono i soliti noti. Invece servirebbero crescita e solidarietà, rigore ed equità".

E qui quello di Montezemolo diventa quasi un programma di politica economica. Liberale e alternativo a quello del governo. Ridurre il campo d'azione dello Stato, privatizzando tutto quello che si può, vendendo il patrimonio immobiliare che non serve, abolendo la spesa inefficiente, liberalizzando, e tagliando "subito e non a babbo morto" i privilegi della politica.

"Poi, ma solo a quel punto, se serve un contributo da parte dei cittadini, bisogna cominciarlo a chiederlo a chi ha di più. Perché è scandaloso che lo si chieda al ceto medio, l'asse portante della nostra società, a chi paga già tutto quello che può pagare. Da qui la mia proposta sulla patrimoniale: un segnale di giusta solidarietà. Ma c'è di più. C'è che in questo modo si può cominciare a colpire la grande (dico, quella davvero grande) evasione fiscale".

Il ministro Sacconi sostiene che tassando "i Montezemolo" non si prende un miliardo l'anno. "Non ho fatto i calcoli. Ma intanto riduciamo l'invadenza dello Stato e poi andiamo a prendere i soldi dove ci sono. Quanto? Vedremo. Certo è che l'Italia ha bisogno di recuperare un po' di etica, un po' di valori. Serve un segnale e vedremo anche quanto si recupererà in termini di evasione fiscale".  

(18 agosto 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/politica/2011/08/18/news/montezemolo_contributo-20560264/
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« Risposta #21 inserito:: Agosto 20, 2011, 09:28:28 pm »

Politica

20/08/2011 - DOCUMENTO

Patrimoniale e sviluppo Montezemolo presenta la sua contromanovra

Luca Cordero di Montezemolo a un'iniziativa della sua associazione «Italia Futura»

L’associazione Italia Futura: più tasse sui ricchissimi abolizione delle Province e privatizzazione di due reti Rai

ALESSANDRO BARBERA

ROMA
Italia Futura parla di «dieci proposte di correzione» alla manovra di Ferragosto. A dire il vero, nel documento diffuso ieri dal think tank guidato da Luca Cordero di Montezemolo è facile riconoscere la mano e le idee del senatore Nicola Rossi, già consigliere economico di Massimo D’Alema premier. Un vero e proprio «manifesto» di un pensatoio che propone massicce privatizzazioni, comprese due reti Rai, libertà di licenziamento con indennità di disoccupazione, abolizione delle pensioni di anzianità, patrimoniale sulla ricchezza (immobili compresi) superiore ai 10 milioni di euro.

Il paper di Italia Futura parte proprio dalla manovra di Ferragosto - definita nelle parole di Montezemolo «insufficiente ed iniqua, ma soprattutto priva di una visione del futuro del paese» - per delineare le sue dieci proposte. Che non vanno considerate isolatamente, perché si legano tra loro in questo disegno complessivo ispirato a tre principi: «disciplina (e serietà) nelle politiche di bilancio, equità nella distribuzione dei sacrifici, crescita». «Se la politica italiana c’è (tanto al governo quanto all’opposizione) batta un colpo - si legge - se non c’è si faccia da parte. L’Italia non può aspettare».

La prima proposta è definita «una patrimonialea carico dello Stato e degli Enti locali». Bisogna vendere il patrimonio immobiliare di Stato ed Enti locali (dai 20 ai 40 miliardi di euro di valore), e privatizzare le partecipate del Tesoro (oggi valgono 500 miliardi). A cominciare da due delle tre reti Rai, Bancoposta, Sace, concessioni Anas. La seconda è il «contributo di solidarietà dalla politica»: abolizione (non accorpamento) delle province, partendo da quelle con meno di un milione di abitanti, riduzione a 15 membri (senza emolumenti) del Cnel, affidamento agli enti locali di tutte le funzioni pubbliche delle Camere di Commercio.

Terzo «pacchetto», le pensioni. Vanno abolite (con un pizzico di gradualità, attraverso un sistema di quote) le pensioni di anzianità, tranne che per i lavori usuranti. Equiparazione da subito, nel giro di dieci anni, dell’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. Anticipare al 2016 l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni. Parte dei risparmi devono essere usati per asili nido, per sostenere con «prestiti contributivi» le pensioni dei precari, e per finanziare l’assistenza alla disoccupazione. Sì, perché si propone di andare al «contratto unico» di lavoro: tutti assunti a tempo indeterminato, ma tutti licenziabili per ragioni economiche od organizzative. Chi perde il posto avrà un’indennità.

Quinta proposta, abolire il «contributo di solidarietà» e mettere una imposta patrimoniale permanente con aliquota pari allo 0,5% sui patrimoni superiori a 10 milioni e tetto pari a euro 1.000.000 (escluse le partecipazioni in società non quotate ma non le immobiliari e le holding), basata sull’autodichiarazione di patrimoni mobiliari e immobiliari. Garantirebbe un gettito di oltre un miliardo. Sesto, regole fiscali stabili e no a nuove tasse sui capitali «scudati» o nuovi condoni. Sette, lotta all’evasione fiscale destinando esplicitamente i proventi del maggior gettito alla riduzione delle aliquote. Otto, aumento dell’Iva soltanto se riequilibrato da una riduzione per lo stesso ammontare del prelievo sulle imprese (a cominciare dall’Irap). Nove, le liberalizzazioni proposte su «La Stampa» dall’Istituto Bruno Leoni: separazione della rete gas dall’ex monopolista, introduzione della concorrenza nel trasporto ferroviario regionale, liberalizzazione dei servizi pubblici locali, del settore postale, dell’assicurazione infortuni (privatizzando l’Inail), delle telecomunicazioni; riforma dei servizi idrici e libertà degli orari e dei giorni di apertura dei negozi. Decima proposta, l’avvio di alcune riforme costituzionali: vincolo del bilancio in pareggio, dimezzamento dei parlamentari, abolizione totale delle province. E anche libertà di impresa, ma soltanto per affermare che le regole per l’attività economica dei privati non possono essere retroattive.

«Italia Futura» afferma che adottare le sue dieci proposte di correzione della manovra porterebbero a una riduzione della pressione fiscale sul Pil dello 0,5% rispetto alla manovra del governo, ponendo le premesse per «un’ulteriore graduale riduzione della pressione fiscale dal 2015».

da - http://www3.lastampa.it/politica/sezioni/articolo/lstp/416296/
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« Risposta #22 inserito:: Ottobre 31, 2011, 05:50:14 pm »

 
La lettera

"Il tempo è scaduto, Berlusconi lo capisca"

Montezemolo: serve subito un governo di salute pubblica se vogliamo salvare il Paese.

Non meritiamo di affondare nello spirito del "dopo di me il diluvio". Un piano di cinque punti per le riforme anticrisi.

Se il premier continuerà ad anteporre le ambizioni al bene dell'Italia concluderà nel modo peggiore la sua parabola

di LUCA DI MONTEZEMOLO
 

Da maggioranza e opposizione non arrivano risposte adeguate. Il governo è paralizzato da conflitti interni. L'opposizione ha una linea di politica economica confusa e non è in grado di garantire quanto richiesto dall'Europa. Le elezioni non rappresenterebbero dunque una soluzione e paralizzerebbero il paese.

La lettera all'Unione europea è manifestamente insufficiente rispetto alla gravità della situazione. Le tensioni che percorrono l'Italia non consentono di affrontare i problemi con soluzioni parziali, che diano l'impressione di riservare i sacrifici solo a una parte dei cittadini, magari proprio quelli che non votano i partiti di governo. Con questo metodo l'Italia rischierebbe di esplodere. Esiste oggi una ampia condivisione, da parte di cittadini e di esponenti politici moderati e riformisti, sulle misure prioritarie da adottare.
 
1. Prima di chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini, la politica e le istituzioni devono mettere mano ai loro stessi costi, partendo dal numero dei parlamentari, dall'abolizione delle province e degli altri enti inutili. Non ci vuole una legge costituzionale per abolire il novanta per cento delle provincie. E poi varando una "patrimoniale sullo Stato", una vendita massiccia di cespiti pubblici che vada ben oltre quanto attualmente prospettato dal governo.

2. Lavoro. Non possiamo chiedere più flessibilità in uscita senza affrontare il problema del precariato permanente e la riforma degli ammortizzatori sociali. La proposta Ichino è del tutto condivisibile e attuabile, ma va presa nella sua interezza. Bisogna abolire i contratti a termine (mantenendo solo quelli fisiologici e stagionali), sostituendoli con un contratto unico, che consenta il licenziamento per motivi economici o organizzativi, ma che protegga il lavoratore dalle discriminazioni, gli eviti di dover rincorrere rinnovi periodici e lo supporti in caso di perdita del lavoro. I lavoratori che attualmente godono di un contratto a tempo indeterminato, protetto dall'art.18, continuerebbero a beneficiare di una protezione più ampia rispetto ai giovani lavoratori, ma in cambio dovrebbero andare in pensione più tardi, contribuendo così a finanziare i nuovi ammortizzatori sociali.

3. Dobbiamo tornare ad essere il paese del lavoro e della produzione. Non possiamo più permetterci di avere un fisco che premia rendite e patrimoni. Non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche di efficienza dell'economia. Se la crescita scompare anche il valore dei patrimoni diminuisce. Occorre reperire risorse da destinare all'abbattimento delle aliquote su lavoratori e imprese. Con l'introduzione di una imposta permanente sulle grandi fortune e l'abolizione degli incentivi alle imprese si potrebbe tagliare in maniera radicale l'Irap. Mentre, vincolando per legge i proventi della lotta all'evasione alla diminuzione dell'Irpef, ad iniziare dai redditi medi e bassi, si creerebbero le condizioni per un positivo conflitto di interessi tra chi paga e chi evade. Un ulteriore ritocco all'Iva può essere valutato, ma solo a patto che vada automaticamente a diminuire la pressione fiscale sulle persone. Tutta la manovra sul fisco deve essere sottoposta al vincolo di destinazione. La sfiducia dei contribuenti, che non sanno più dove vanno a finire i loro soldi, si combatte evitando discrezionalità nell'uso delle risorse che provengono dalle loro tasche.

4. Bisogna intervenire subito sulle pensioni, abolendo quelle di anzianità e passando ad un sistema interamente contributivo. Una parte consistente dei proventi generati andranno utilizzati per investire in un welfare dedicato ai giovani e alle donne.

5. Per esperienza diretta so quanto rapidamente la liberalizzazione di un settore può dare impulso a investimenti e occupazione e quanto però siano forti le resistenze della politica per mantenerne il controllo. La lista dei settori da liberalizzare è lunghissima. E' fondamentale che insieme ai provvedimenti di apertura alla concorrenza si rafforzino i poteri dell'Antitrust per dare agli investitori la garanzia del rispetto delle regole.

Questi cinque provvedimenti, se attuati simultaneamente e accompagnati da un grande piano di rilancio dell'immagine internazionale dell'Italia, rappresenterebbero un valido argine alla speculazione, ridarebbero una prospettiva di crescita al paese e opererebbero nella direzione di una maggiore equità sociale.

Sappiamo però che nessuno dei due schieramenti porterà avanti questa agenda. Al contrario di quanto avviene nelle democrazie avanzate, dove l'obiettivo è la conquista dell'elettorato moderato, in Italia la preoccupazione dei partiti è quella di compattare la parte più populista dell'elettorato, appellandosi ad un "serrate i ranghi" permanente. Oggi, per fortuna, molte persone non si riconoscono più in questa logica. Dentro la destra e la sinistra stanno emergendo forze che spingono per un rinnovamento vero del proprio schieramento. Compito di tutta la classe dirigente è quello di mettere da parte ogni ambizione personale per dare un contributo affinché queste forze vengano valorizzate e trovino un terreno di incontro.
Questo è quello che dobbiamo fare oggi in vista di un prossimo futuro. Ma l'urgenza della situazione richiede soluzioni immediate. Non abbiamo tempo di attendere la naturale evoluzione del quadro politico. Il Presidente del Consiglio deve rendersi conto che l'unica strada per salvare il paese passa oggi attraverso un governo di salute pubblica. In passato, in situazioni non più gravi di questa e con un'opposizione ideologicamente più radicale, i leader del partito di maggioranza relativa trovarono il coraggio per aprire una stagione di ampia collaborazione, nella consapevolezza che ci sono momenti in cui ridare coesione al paese viene prima di ogni altra considerazione. Se Berlusconi continuerà ad anteporre le proprie ambizioni al bene dell'Italia, e se la sua maggioranza lo asseconderà in questa pericolosa scelta, si concluderà nel peggiore dei modi un percorso politico che ha ombre e luci, ma che non merita di affondare nello spirito del "dopo di me il diluvio".
 

(31 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/economia/2011/10/31/news/il_tempo_scaduto_berlusconi_lo_capisca-24175497/
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« Risposta #23 inserito:: Novembre 07, 2011, 05:37:38 pm »

 
La lettera

"Il tempo è scaduto, Berlusconi lo capisca"

Montezemolo: serve subito un governo di salute pubblica se vogliamo salvare il Paese.

Non meritiamo di affondare nello spirito del "dopo di me il diluvio". Un piano di cinque punti per le riforme anticrisi.

Se il premier continuerà ad anteporre le ambizioni al bene dell'Italia concluderà nel modo peggiore la sua parabola

di LUCA DI MONTEZEMOLO
 

Da maggioranza e opposizione non arrivano risposte adeguate. Il governo è paralizzato da conflitti interni. L'opposizione ha una linea di politica economica confusa e non è in grado di garantire quanto richiesto dall'Europa. Le elezioni non rappresenterebbero dunque una soluzione e paralizzerebbero il paese.

La lettera all'Unione europea è manifestamente insufficiente rispetto alla gravità della situazione. Le tensioni che percorrono l'Italia non consentono di affrontare i problemi con soluzioni parziali, che diano l'impressione di riservare i sacrifici solo a una parte dei cittadini, magari proprio quelli che non votano i partiti di governo. Con questo metodo l'Italia rischierebbe di esplodere. Esiste oggi una ampia condivisione, da parte di cittadini e di esponenti politici moderati e riformisti, sulle misure prioritarie da adottare.
 
1. Prima di chiedere ulteriori sacrifici ai cittadini, la politica e le istituzioni devono mettere mano ai loro stessi costi, partendo dal numero dei parlamentari, dall'abolizione delle province e degli altri enti inutili. Non ci vuole una legge costituzionale per abolire il novanta per cento delle provincie. E poi varando una "patrimoniale sullo Stato", una vendita massiccia di cespiti pubblici che vada ben oltre quanto attualmente prospettato dal governo.

2. Lavoro. Non possiamo chiedere più flessibilità in uscita senza affrontare il problema del precariato permanente e la riforma degli ammortizzatori sociali. La proposta Ichino è del tutto condivisibile e attuabile, ma va presa nella sua interezza. Bisogna abolire i contratti a termine (mantenendo solo quelli fisiologici e stagionali), sostituendoli con un contratto unico, che consenta il licenziamento per motivi economici o organizzativi, ma che protegga il lavoratore dalle discriminazioni, gli eviti di dover rincorrere rinnovi periodici e lo supporti in caso di perdita del lavoro. I lavoratori che attualmente godono di un contratto a tempo indeterminato, protetto dall'art.18, continuerebbero a beneficiare di una protezione più ampia rispetto ai giovani lavoratori, ma in cambio dovrebbero andare in pensione più tardi, contribuendo così a finanziare i nuovi ammortizzatori sociali.

3. Dobbiamo tornare ad essere il paese del lavoro e della produzione. Non possiamo più permetterci di avere un fisco che premia rendite e patrimoni. Non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche di efficienza dell'economia. Se la crescita scompare anche il valore dei patrimoni diminuisce. Occorre reperire risorse da destinare all'abbattimento delle aliquote su lavoratori e imprese. Con l'introduzione di una imposta permanente sulle grandi fortune e l'abolizione degli incentivi alle imprese si potrebbe tagliare in maniera radicale l'Irap. Mentre, vincolando per legge i proventi della lotta all'evasione alla diminuzione dell'Irpef, ad iniziare dai redditi medi e bassi, si creerebbero le condizioni per un positivo conflitto di interessi tra chi paga e chi evade. Un ulteriore ritocco all'Iva può essere valutato, ma solo a patto che vada automaticamente a diminuire la pressione fiscale sulle persone. Tutta la manovra sul fisco deve essere sottoposta al vincolo di destinazione. La sfiducia dei contribuenti, che non sanno più dove vanno a finire i loro soldi, si combatte evitando discrezionalità nell'uso delle risorse che provengono dalle loro tasche.

4. Bisogna intervenire subito sulle pensioni, abolendo quelle di anzianità e passando ad un sistema interamente contributivo. Una parte consistente dei proventi generati andranno utilizzati per investire in un welfare dedicato ai giovani e alle donne.

5. Per esperienza diretta so quanto rapidamente la liberalizzazione di un settore può dare impulso a investimenti e occupazione e quanto però siano forti le resistenze della politica per mantenerne il controllo. La lista dei settori da liberalizzare è lunghissima. E' fondamentale che insieme ai provvedimenti di apertura alla concorrenza si rafforzino i poteri dell'Antitrust per dare agli investitori la garanzia del rispetto delle regole.

Questi cinque provvedimenti, se attuati simultaneamente e accompagnati da un grande piano di rilancio dell'immagine internazionale dell'Italia, rappresenterebbero un valido argine alla speculazione, ridarebbero una prospettiva di crescita al paese e opererebbero nella direzione di una maggiore equità sociale.

Sappiamo però che nessuno dei due schieramenti porterà avanti questa agenda. Al contrario di quanto avviene nelle democrazie avanzate, dove l'obiettivo è la conquista dell'elettorato moderato, in Italia la preoccupazione dei partiti è quella di compattare la parte più populista dell'elettorato, appellandosi ad un "serrate i ranghi" permanente. Oggi, per fortuna, molte persone non si riconoscono più in questa logica. Dentro la destra e la sinistra stanno emergendo forze che spingono per un rinnovamento vero del proprio schieramento. Compito di tutta la classe dirigente è quello di mettere da parte ogni ambizione personale per dare un contributo affinché queste forze vengano valorizzate e trovino un terreno di incontro.
Questo è quello che dobbiamo fare oggi in vista di un prossimo futuro. Ma l'urgenza della situazione richiede soluzioni immediate. Non abbiamo tempo di attendere la naturale evoluzione del quadro politico. Il Presidente del Consiglio deve rendersi conto che l'unica strada per salvare il paese passa oggi attraverso un governo di salute pubblica. In passato, in situazioni non più gravi di questa e con un'opposizione ideologicamente più radicale, i leader del partito di maggioranza relativa trovarono il coraggio per aprire una stagione di ampia collaborazione, nella consapevolezza che ci sono momenti in cui ridare coesione al paese viene prima di ogni altra considerazione. Se Berlusconi continuerà ad anteporre le proprie ambizioni al bene dell'Italia, e se la sua maggioranza lo asseconderà in questa pericolosa scelta, si concluderà nel peggiore dei modi un percorso politico che ha ombre e luci, ma che non merita di affondare nello spirito del "dopo di me il diluvio".
 

(31 ottobre 2011) © Riproduzione riservata
da - http://www.repubblica.it/economia/2011/10/31/news/il_tempo_scaduto_berlusconi_lo_capisca-24175497/
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« Risposta #24 inserito:: Dicembre 21, 2011, 06:10:03 pm »



Per l’Italia il 2011 è stato uno degli anni più difficili dal dopoguerra. Troppi anni di paralisi decisionale della politica e la crisi finanziaria internazionale ci hanno portato vicinissimi al punto di non ritorno. Famiglie e imprese pagano, e continueranno a pagare, un conto salatissimo mentre il rischio di un crack finanziario non è ancora dietro le nostre spalle.

Mai come nel 2011 i cittadini italiani hanno avuto la sensazione che il governo del paese fosse fuori controllo. Solo pochi mesi fa l’Italia era governata da una maggioranza paralizzata da liti interne e conflitti personali e la nostra credibilità internazionale era ai minimi storici. Il Governo continuava a ripetere che tutto andava bene e l’opposizione a sostenere che i mali dell’Italia iniziavano e finivano con il Presidente del Consiglio.

In quest’anno cruciale Italia Futura ha svolto la propria missione con impegno e coerenza. Ha raccolto la passione civile e le competenze di tanti italiani che vogliono contribuire a costruire un futuro migliore per la nostra nazione. Ha creato realtà regionali dove analizzare e discutere temi di rilevanza territoriale e dove selezionare i protagonisti di una nuova classe dirigente. Ha sollecitato la politica con critiche di merito e concrete proposte di soluzione. Ha rappresentato un argine al vizio capitale della politica italiana: quello di non volersi assumere responsabilità e di evitare sempre di rendere conto del proprio operato.

Non abbiamo avuto timore di dire quello che pensavamo della politica economica del precedente Governo, quando pochissime voci dalla società civile si levavano per criticarne l’operato e richiamare l’esecutivo alle proprie responsabilità.

Di tutto questo dobbiamo ringraziare soprattutto voi: la comunità di Italia Futura, forte ormai di oltre 40.000 associati sempre attivi nel reagire alle nostre sollecitazioni, con un flusso continuo di idee, suggerimenti, proposte e grande voglia di partecipare.

Abbiamo auspicato l’arrivo di un Governo tecnico a cui da subito abbiamo guardato, e continuiamo a guardare, con fiducia e speranza. La fiducia di chi è convinto che le competenze e la credibilità dell'esecutivo siano premessa di successo nel doppio mandato di rimettere in ordine i conti pubblici e di restituire vitalità all'economia e alla società.

La manovra del Governo, prevalentemente nel segno del rigore, era necessaria per rispondere a una situazione di cassa drammatica. Alcuni provvedimenti strutturali, quelli sulle pensioni di anzianità, hanno risposto pienamente alla sostanza del mandato del Governo. In altri casi si è scelta una strada che ha tenuto conto soprattutto della velocità e facilità di incassare.

Per rimettere in moto il paese occorrerà ora agire in profondità sulle leve della crescita: liberalizzando, dismettendo il patrimonio pubblico, tagliando i costi della politica, riformando welfare e mercato del lavoro, insistendo nella direzione di uno spostamento del carico fiscale da lavoro e produzione ai grandi patrimoni e alle rendite, oltre che portando avanti una lotta senza quartiere agli evasori fiscali. Occorrerà dunque iniziare a riequilibrare il rapporto tra Stato e cittadini, concentrando risorse ed energie sui compiti essenziali del pubblico e liberando i tanti settori in cui la presenza dello Stato crea sprechi, inefficienze e corruzione. Solo dopo aver affrontato una questione che da troppi anni è al centro delle anomalie italiane, il nuovo Governo potrà considerare di aver compiuto la sua missione di esecutivo tecnico e di emergenza.

Il tempo non è molto. Il prossimo anno assisteremo a una contrazione del PIL nell’ordine dei due punti percentuali. Il circuito del credito è ancora sostanzialmente congelato e le tante anomalie che bloccano il paese sono diventate zavorre insostenibili per imprese, lavoratori e famiglie. E’ prevedibile che il 2012 sarà l’anno in cui gli effetti della crisi si concentreranno sul paese reale e le tensioni finanziarie si intensificheranno mettendo a dura prova la tenuta dell’Europa. Il compito che attende il Governo è enorme, dobbiamo sostenerlo, perché la resistenza di chi vuole che tutto resti com’è ha già iniziato a frenarne l’azione.

Oltre alle prove che la situazione economica internazionale e interna ci obbligheranno ad affrontare, il prossimo anno occorrerà preparare, in vista del 2013, l’apertura di una nuova stagione della politica italiana. La seconda repubblica ha fallito. Ostaggio di populismi di destra e sinistra, la politica ha perso progressivamente contatto con i problemi quotidiani degli italiani e con le sfide imposte da uno scenario internazionale difficile, ma anche ricco di opportunità. Perché se c’è un paese che non dovrebbe avere paura della globalizzazione è l’Italia. Se smetteremo di giocare solo in difesa e cominceremo a investire sulle nostre risorse fondamentali (cultura e industria) i benefici non tarderanno ad arrivare.

Alla nuova stagione politica che si aprirà gli italiani vogliono partecipare con spirito civico e passione per ricostruire la nostra democrazia. Ripristinare una politica forte, autorevole e credibile è la vera sfida che ci attende nel prossimo anno. Perché sarebbe del tutto velleitario sperare, come pure qualcuno fa nelle stanze dei partiti, che tutto cambi affinché niente cambi.

Quando le scadenze istituzionali porteranno nuovamente i cittadini alle urne, l'offerta elettorale dovrà essere composta da una nuova leva di idee e classi dirigenti che si contenderanno il consenso democratico lasciandosi alle spalle una stagione fallimentare. In nessun caso gli italiani accetterebbero di veder tornare gli stessi protagonisti che hanno condotto il paese a questa situazione. Rinnovare profondamente la classe dirigente politica rimane per l’Italia una priorità assoluta.

Anche per questo le prossime elezioni non saranno una tappa di routine, ma un appuntamento storico che dovrà aprire una nuova stagione della nostra vita pubblica.

Nel 2012 l'impegno di Italia Futura sarà rivolto in questa direzione, promuovendo quella svolta di programmi e persone che l'Italia si merita. Intensificheremo il lavoro sul territorio, con l’obiettivo di avere una rete regionale forte e radicata in tutta Italia entro giugno.

Dedicheremo competenze e idee alla discussione di temi fondamentali per il nostro futuro come l'occupazione giovanile, il fisco, la riforma delle istituzioni e il ruolo dell'Italia in Europa e nel mondo.

Promuoveremo l’adozione di provvedimenti, concreti e operativi, per rispondere alle tante emergenze del paese. Inizieremo presentando una proposta per la rapida alienazione del patrimonio pubblico e la conseguente riduzione del debito. Siamo infatti convinti che lo Stato possa chiedere ai cittadini di farsi carico dei problemi finanziari del Paese solo dopo aver fatto la propria parte, dismettendo, privatizzando, tagliando i costi del funzionamento della macchina istituzionale e politica.

Per portare avanti questo programma avremo ancora più bisogno del vostro contributo d’idee, di passione civica e di fiducia.

Con questo auspicio rivolgo ad ognuno di voi e alle vostre famiglie i miei migliori auguri per le festività natalizie e per il nuovo anno.

Luca di Montezemolo
Presidente di Italia Futura

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« Risposta #25 inserito:: Dicembre 08, 2012, 05:21:36 pm »

IL PATRON DELLA FERRARI

Montezemolo frena sulla candidatura «Senza Monti sarà difficile esserci»

Una decisione maturata anche dopo la decisione di Berlusconi di scendere in campo per le prossime politiche


Luca Cordero di Montezemolo riflette sull'opportunità o meno di presentare una propria lista alle prossime elezioni politiche.
Senza un impegno in prima persona di Mario Monti «sarà difficile esserci» afferma il patron della Ferrari. Parlando con i suoi più stretti collaboratori avrebbe spiegato che «arrivati a questo punto», con il ritorno in campo di Silvio Berlusconi e un centrosinistra sempre più schiacciato su posizioni radicali, «o Monti offre la possibilità politica di una convergenza di tutti i soggetti che si ispirano alla sua esperienza di governo oppure sarà complicato esserci».

STAND BY - Al momento «sono discussioni da blog...», si limita a dire Piercamillo Falasca, giovanissimo coordinatore dell'associazione Zero Positivo, parte attiva del movimento Verso la Terza Repubblica. È un fatto, però, che nei giorni scorsi si sia messa in stand by anche l'iniziativa che avrebbe dovuto mettere insieme Montezemolo, Fini e Casini e programmata inizialmente per il 20 dicembre. Voluta soprattutto dai leader di Udc e Fli, la convention sembra definitivamente archiviata». Montezemolo continua comunque ad essere in contatto anche con i deputati del Pdl e del Pd che vorrebbero la discesa in campo del Professore. Nel Pdl, in particolare, ci sono una trentina di parlamentari pronti a sostenere Monti qualora decidesse di scendere in campo.

(Fonte Agi)

8 dicembre 2012 | 15:02

da - http://www.corriere.it/politica/12_dicembre_08/montezemolo-frena-su-candidatura_14220358-413f-11e2-b1cb-f72c456506f7.shtml
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