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Autore Discussione: MONTEZEMOLO  (Letto 19062 volte)
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« inserito:: Agosto 29, 2007, 05:46:49 pm »

Lettera al Direttore del Presidente di Confindustria Montezemolo: «La vera emergenza è il fisco» «Basta con lo stato predatore.

Il taglio del cuneo? Un investimento, non un regalo. Servono principi
 

Caro direttore,

l'intervista a Walter Veltroni pubblicata ieri sul vostro giornale è una tappa importante in una fase di grande dibattito politico, che vede protagonisti partiti e coalizioni. In questo dibattito penso meriterebbero maggiore attenzione le grandi questioni da cui può dipendere il futuro economico del Paese. Appare peraltro ormai chiaro che il tema fisco dominerà il confronto sulla finanziaria 2008 e che è finalmente sotto i riflettori il problema della pressione fiscale sulle imprese.

È l'obiettivo che Confindustria si è posta all'assemblea di maggio, quando richiamai l'attenzione sul divario che si sta creando tra il peso delle tasse sulla produzione in Italia e quanto sta avvenendo nella vecchia Europa. Il termine emergenza non è fuori luogo, perché i Paesi che sono i nostri più diretti concorrenti si stanno muovendo con grande rapidità e decisione verso tagli significativi e nei paesi dell'ex Europa dell'Est — così vicina e così competitiva per la localizzazione di attività produttive — si sta consolidando la politica della flat tax. Gli investimenti esteri in Italia sono ormai ridotti al lumicino: attiriamo solo il 2,2% contro l'8% del Regno Unito, il 5,9 della Francia e il 5 della Germania.

In questa condizione la logica della «tregua fiscale » è da considerare in generale un impegno minimo e per le imprese si deve accompagnare a una riduzione delle imposte in cambio di meno incentivi. Stare fermi mentre gli altri rendono le loro aziende più competitive e i loro territori più attraenti significa andare indietro, perdere posizioni. E questo l'Italia non può accettarlo. Cresciamo meno degli altri, questo è chiaro. È colpa del destino o di qualche sortilegio? Quest'anno dovremo impegnarci per crescere non più al 2% ma all'1,7%: meno della media europea, quasi due punti in meno di un Paese dinamico come la Spagna. Un punto in meno della Germania, che crescerà al 2,6%, che non discute di come cambiare lo staff leasing o rendere più difficili i contratti a termine come qualcuno vorrebbe ancora fare da noi, e che da gennaio abbasserà le tasse sulle imprese di ben nove punti. Abbiamo dunque pochi mesi di tempo per compiere scelte responsabili.

Sono solo le imprese che possono creare maggiore crescita e più benefici per tutti, a cominciare da chi nelle aziende lavora. Per questo non c'è nulla di più demagogico e falso che spacciare la riduzione delle tasse sulle imprese come un regalo ai «ricchi», così come non si è trattato di una concessione ma di un investimento in competitività il taglio del cuneo fiscale. Regole fiscali e contributive che consentano alle aziende di essere più concorrenziali, a cominciare da quella straordinaria realtà che è il nostro sistema di piccole e medie imprese, vuol dire investire nell'interesse del Paese, delle famiglie, dei giovani.

Certo, la questione fiscale ha più sfaccettature. Primo: la lotta all'evasione, una pratica ignobile che scarica sulle imprese e sui cittadini onesti l'insopportabile fardello dei furbi. È dal 2004 che ribadisco l'impegno di Confindustria contro evasione e sommerso. E sono convinto che la lotta all'evasione sarebbe certamente favorita se si alleggerisse un peso fiscale eccessivo. Penso a un patto, esplicito e formale: ogni euro recuperato all'evasione sia destinato a una equivalente riduzione della pressione fiscale su imprese e cittadini. Si attuerebbe così la formula forse semplicistica ma vera del «pagare tutti per pagare un po' meno» e si sottrarrebbe alla politica lo stucchevole esercizio di fantasia a cui assistiamo ogni volta che le notizie sulle entrate lasciano intravedere delle disponibilità aggiuntive, vere o presunte.

Secondo: dove vanno a finire le nostre tasse. Paghiamo più degli altri Paesi in cambio di servizi inferiori alla media europea e si alimenta una spesa pubblica che gli ultimi governi non sono riusciti a ridurre. La politica del «tassa e spendi» praticata negli anni a livello centrale e locale, è ormai inaccettabile. Penso alle faraoniche spese per consulenti di ogni genere e tipo che si consentono le amministrazioni centrali e soprattutto quelle locali; ai 17.500 consiglieri d'amministrazione, lautamente retribuiti, di quelle società pubbliche che soprattutto a livello locale sono diventate delle discariche di politici trombati; alle 180.000 persone elette e remunerate che in Italia vivono di politica.

Terzo: il disagio crescente della parte sana del Paese, quei cittadini che vedono infrastrutture importanti rinviate sine die, cantieri aperti e bloccati da diritti di veto di ogni tipo che moltiplicano i costi, i tempi e le dissipazioni. Così non ci sono risorse per gli investimenti pubblici in infrastrutture, scuola, servizi sociali, ricerca, persino per la sicurezza. E si consolida l'immagine di uno Stato «predatore» che negli ultimi anni, soprattutto a livello locale, ha aumentato a dismisura il peso del pubblico in economia, ha alimentato privilegi e attività improduttive mangiando risorse che andrebbero investite sul futuro. A cominciare dalla riduzione del debito pubblico che ogni anno costa agli italiani quasi 70 miliardi di euro e che negli ultimi anni, a livello di amministrazioni locali è addirittura cresciuto. E sono cresciute quelle tasse occulte che gravano con extracosti sulle imprese italiane che a causa di una concorrenza scarsa o inesistente pagano molti servizi più cari e versano centinaia di miliardi di euro per i costi della burocrazia.

È venuto il momento di innescare il circuito virtuoso meno tasse, meno spesa pubblica, più investimenti. Quando richiamo i costi della politica non penso solo ai piccoli privilegi di un numero di parlamentari o di rappresentanti locali certamente spropositato. Penso alla scarsa qualità dei servizi, al baloccarsi del dibattito politico su temi lontani dai problemi della gente, alla scarsa capacità di assumere decisioni che guardino non al consenso di breve periodo ma al bene collettivo. Per questo da tempo abbiamo indicato come prioritaria una riforma della macchina dello Stato che riduca la burocrazia, semplifichi e renda più efficiente l'amministrazione, razionalizzi i livelli decisionali, attui il federalismo fiscale. Una riforma che metta in condizione chi vince le elezioni di governare davvero, superando una situazione dove i voti, anche quando le maggioranze sono nette, non bastano per imprimere cambiamenti sostanziali. Serve anche una riforma elettorale che ripristini il confronto tra candidati ed eviti ai cittadini di dover semplicemente ratificare le scelte degli apparati di partito.

Il merito e la concorrenza sono due temi che da tempo abbiamo voluto porre in modo importante al centro dell'attenzione. È curioso che il licenziamento di qualche presunto fannullone occupi le prime pagine dei giornali, come fosse qualcosa di incredibile. Ma è il segno che forse qualcosa si muove. Noi vogliamo che ovunque siano premiati i migliori, quelli che si impegnano e fanno bene il loro mestiere. Per questo abbiamo insistito per quote crescenti di salario legato ai risultati e per rendere più conveniente lo straordinario alle imprese e ai lavoratori. Pensiamo che liberalizzare e smontare i monopoli pubblici locali vada nell'interesse dei cittadini, soprattutto dei meno abbienti: grazie alla concorrenza pagheranno meno molti servizi essenziali. Vogliamo insomma realizzare un grande disegno di modernità.

Per questo la politica, quella vera, deve tornare al potere, coinvolgere i cittadini, essere vicina ai problemi e soprattutto decidere. Bisogna ripristinare l'azione dello Stato e della politica mettendo al centro principi forti: lavoro, merito, autorità, ordine, rispetto, mercato, concorrenza, education, spirito di sacrificio e ricompensa. Bisogna spezzare la spirale dell'impotenza politica e del fatalismo che da troppi anni vede l'Italia prigioniera di una transizione che non accenna a finire. Serve una politica alta, capace di indicare al Paese non la somma delle tutele corporative ma un progetto Paese di bene comune.
Luca Cordero di Montezemolo

Presidente di Confindustria
29 agosto 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 06, 2007, 10:49:07 pm »

ECONOMIA

Al convegno di Capri il presidente di Confindustria illustra un vero e proprio manifesto politico

Monito al Parlamento: "Impossibile votare con questa legge, la riforma elettorale sarà banco di prova"

Montezemolo contro l'evasione fiscale "Meno tasse, ma che paghino tutti"

Poi difende il protocollo sul welfare: "Il governo deve ripresentarlo così com'è"


CAPRI - "E' arrivato il momento di ridare qualcosa indietro a chi le tasse le paga per davvero". Lo ha detto il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, a margine del convegno dei giovani dell'associazione a Capri. "Chi evade è come uno che ruba, e l'evasione e il lavoro nero sono la peggiore offesa a chi le tasse le paga regolarmente, e tra coloro che le pagano ci sono gli operai delle fabbriche e gli impiegati che hanno la trattenuta in busta paga".

"In questo Paese - ha aggiunto - si pagano troppe tasse perché le pagano troppo pochi, e chi le paga le paga anche per quelli che evadono. Soprattutto, si vuole sapere dove vanno a finire le tasse degli italiani. Sicurezza, infrastrutture, servizi; è la che dovrebbero andare. E ci dovrebbero essere meno spese. Bisogna avere il coraggio di tagliare le spese improduttive, nelle quali vanno a finire le tasse. Più investimenti e quindi meno tasse".

Rivolgendosi poi alla politica, il presidente di Confindustria ha avvisato che la legge elettorale "è il banco di prova". "Vedremo - ha detto - se si manifesterà quella minima convergenza di volontà politica necessaria a cambiarla e che se così non fosse se, di qui a qualche tempo ci trovassimo costretti ad andare al voto con questo sistema, la politica avrà dato una clamorosa dimostrazione di impotenza", anche perché "andare ad elezioni con questa legge elettorale offende i cittadini". "Dobbiamo dire con
franchezza - ha insistito - che pensare di andare a votare con questa legge elettorale non mette i cittadini italiani in grado di scegliere".

Montezemolo ha quindi invitato ad evitare una nuova legge elettorale "all'amatriciana", ma è innegabile, a suo giudizio, che il sistema elettorale "va cambiato, il più presto possibile e senza improvvisazioni". "Abbiamo sempre sostenuto - ha proseguito - la bontà del sistema francese ma se non c'è consenso guardiamo ad altri che funzionano. Il sistema tedesco - ha aggiunto - da molti anni assicura stabilità e governabilità e comporterebbe una drastica riduzione del numero dei partiti".

Nel suo intervento il presidente della Confindustria ha quindi commentato la legge finanziaria, spiegando che contiene misure che "vanno nella giusta direzione". Il rimpianto, ha aggiunto, è invece per "i veti della sinistra radicale" che "hanno impedito qualsiasi taglio della spesa pubblica introduttiva che frena la crescita". Si tratta, ha proseguito, di "una specie di variabile indipendente impazzita". E senza i tagli "non sarà mai possibile ridurre credibilmente e durevolmente la pressione fiscale".

Altro monito alla sinistra dell'Unione, Montezemolo lo ha rivolto parlando del protocollo sul welfare. "Il protocollo sul welfare - ha messo in guardia - è per noi immodificabile". Nel documento, ha ricordato, ci sono "anche parti che non ci piacciono, come l'intervento in materia previdenziale per il superamento del cosiddetto scalone, ma un accordo di quel tipo lo si sottoscrive o lo si respinge nella sua complessità e noi abbiamo valutato che fossero importanti gli elementi a favore della competitività".

Parlando dalla tribuna del convegno, Montezemolo ha esortato anche a dire "basta con la tolleranza verso l'illegalità", elogiando la scelta della Confindustria siciliana di espellere gli associati che si sottomettono al racket delle estorsioni.

(6 ottobre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 18, 2007, 06:18:33 pm »

18/11/2007 (15:4)

Montezemolo: «Io in politica? La vita è imprevedibile»
 
Il presidente di Confidustria Luca Montezemolo

Il leader degli industriali non chiude la porta: «Ho ancora molti anni davanti»


ROMA
«Da giovane volevo fare l’avvocato penalista, poi mi sono trovato dopo pochi mesi a Maranello, alla Ferrari, e da allora mi sono sempre occupato di corse. La vita è imprevedibile, ho ancora molti anni davanti...» .

Ha risposto così il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo, ospite di «Quelli che il calcio», a una domanda di Simona Ventura sulla sua eventuale intenzione di scendere in politica. Una risposta che lascia aperta una porta. «Posso presentarmi in politica» ha aggiunto il leader degli industriali, «o ritirarmi completamente come spero e fare il giro del mondo, o posso fare un altro mestiere, o continuare a fare bene alla Fiat e alla Ferrari. Il bello della vita è poter guardare sempre avanti».

Montezemolo, poi, ha espresso un giudizio negativo sulla politica italiana di oggi: «Se c’è un momento in cui la politica è lontana dai problemi, dalla realtà, dalle esigenze dei cittadini è proprio questo, gli esponenti politici parlano tra di loro un linguaggio lontano dalla realtà del Paese».

Infine, l’augurio che le riforme possano andare in porto: «Spero che ci sia un dialogo perchè ci si avvicini ai veri problemi, come la sicurezza, le infrastrutture, pensando a chi a bisogno. Oggi si è troppo lontani dalla realtà».


da lastampa.it
« Ultima modifica: Settembre 27, 2010, 04:33:21 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 07, 2008, 06:55:20 pm »

Il numero 1 di Confindustria sull'emergenza rifiuti

Montezemolo: «Un danno per l'Italia»

Il presidente della Ferrari di ritorno dagli Usa: degradata l'immagine del nostro Paese, è inaccettabile


MARANELLO (MODENA) - «Voglio troppo bene all'Italia e non vorrei contribuire al bruttissimo, inaccettabile degrado dell'immagine del nostro paese nel mondo». Così il presidente di Confindustria e della Ferrari Luca di Montezemolo ha risposto a una domanda sull'emergenza rifiuti in Campania a margine di una conferenza stampa sulla nuova Ferrari di Formula 1. «Sono appena tornato da un viaggio negli Usa, e dopo aver viaggiato sulle strade statunitensi riflettevo sulle nostre strade tra Roma e Firenze e sull'assurdo dibattito degli anni '60 quando si discuteva se era giusto o meno fare le autostrade - ha raccontato Montezemolo -.Il nostro Paese è purtroppo afflitto da sbornie ideologiche.

Mi dispiace che in molte componenti del Paese ci sia poca consapevolezza della centralità dell'impresa e dell'industria, senza le quali non so dove saremmo. Per questo non vorrei fare commenti, perché voglio troppo bene all'Italia. Il contributo che possiamo dare al nostro paese è quello di fare bene il nostro mestiere, di pensare più al bene comune anziché stare al chiuso delle nostre case, nell'individualismo, senza pensare a cosa accade all'esterno». «Lo dico - ha concluso Montezemolo - non a caso parlando da Maranello. Si vuol bene al paese investendo, rischiando e competendo. Dove c'è competizione, c'è servizio.

Bisognerebbe avere più competizione nei servizi pubblici, soprattutto per chi ha poco. Se ci fosse più competizione, avremmo più servizi pagando di meno».

07 gennaio 2008

da corriere.it
« Ultima modifica: Maggio 12, 2010, 04:08:29 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 10, 2008, 07:19:32 pm »

La curiosa equità di Montezemolo

Nicola Cacace


La nuova conferma, venuta dall’Istat, dell’ottimo andamento dei conti pubblici nel 2007, deficit all’1,3% del Pil, non è stata trattata col giusto rilievo dai media, come accade a tutto quanto di buono possa essere attribuito al governo. Eppure nel 2006 il deficit era il 4%, le previsioni governative per il 2007 saranno migliorate sotto il 2%, un risultato che mancava dal lontano 1999.

Ma il presidente della Confindustria Montezemolo che è intervistato dal giornale della Confindustria (chiedo scusa per le ripetizioni, evitabili se Luca avesse scelto per l’intervista un giornale diverso dal suo), doveva avere ben presente il brillante risultato dei conti pubblici se arriva a definire la proposta della Confindustria con una «duplicazione del cuneo fiscale, sia pure con una diversa ripartizione tra impresa e lavoratore, 2% all’impresa e 3% al lavoratore, invece che 3% all’impresa e 2% al lavoratore come nel recente provvedimento governativo».

Tutti parlano di impoverimento dei salari, anche Montezemolo, tutti ricordano che la crescita è condizione necessaria per porvi rimedio, troppi, Montezemolo in testa, dimenticano che i frutti della bassa crescita, che pur c’è stata tra il 2000 ed il 2007, è andata tutta all’impresa e alle rendite. Come ha detto Padoa Schioppa, «il portafoglio degli imprenditori è pieno, quello dei lavoratori è vuoto», con chiaro riferimento al fatto che tra 2000 e 2007 gli utili d’impresa sono cresciuti da 3 a 4 volte più dei salari. Non si può proporre un Patto per lo sviluppo senza affrontare anche il nodo di una più equa ripartizione dei frutti, Anche perché Montezemolo deve sapere che la rivincita dell’impresa di cui giustamente si vanta, noi con lui, non compensa affatto il calo dei consumi che è il primo vero responsabile del divario negativo di crescita dell’Italia rispetto all’Europa.

L’insistenza degli industriali sul dato che la produttività del lavoro sia aumentata in Italia meno che all’estero o addirittura che sia calata, dimentica il dato qualitativo. In periodi di rapido progresso tecnico è solo migliorando la qualità, più che le «quantità prodotte nell’ora di lavoro», che cresce la competitività. Le imprese, dopo decenni di sopravvivenza da svalutazioni competitive della lira senza innovazione dei prodotti sono passate, nel periodo euro, a tornare ad innovazione e creatività.

Va ricordato che con le svalutazioni competitive della lira gli industriali salvavano i profitti in lire ma impoverivano il potere d’acquisto dei lavoratori, e con essi l’intero paese. L’ottimo risultato dell’export italiano che nel 2007 ha aumentato la quota nel commercio mondiale (dal 3,4% al 3,6%), dopo anni di calo, è stato reso possibile da un dato che pochi ricordano, dal 2000 al 2007, cioè dopo l’euro, l’Italia è stato il paese che più ha saputo aumentare il valore unitario delle quantità esportate: in termini di dollari per tonnellata di export, l’Italia è aumentata dell’80%, gli Usa del 13%, il mondo mediamente del 32% (il Sole 24 ore del 2/1). È questa la produttività che conta, non quella che rapporta le tonnellate di prodotto alle ore di lavoro di un precario che costa poco.

Il Patto per la produttività, invocato da Montezemolo, va allargato sino a includere la ripartizione. E qui sorgono alcuni problemi, misura della produttività globale, livello di ripartizione dei frutti della produttività, modi con cui lo Stato può agevolare il processo di sviluppo e ripartizione.

Fermo restando i metodi usati dall’Istat per misurare produzione e produttività di settore, cui fanno riferimento i contratti nazionali, se i lavoratori chiedono di partecipare a una migliore ripartizione dei frutti della produttività devono per forza guardare al livello d’azienda, cioè a fatturato ed utili, naturalmente commisurati alle ore di lavoro. Il contrasto tra Cgil e altri sindacati sulla centralità del contratto nazionale, che nasce dal fatto che solo un terzo dei lavoratori gode della contrattazione integrativa, può essere superato con norme che garantiscano una estensione della contrattazione aziendale all’intero campo dei lavoratori, delegando i sindacati locali a negoziare anche in aziende che oggi non lo fanno.

Altri temi di contrasto nella trattativa in corso non mancano, come quello delle forme dell’incentivo governativo. Veltroni ha proposto un’aliquota del 10% per i premi di produttività aziendali, altri obietta che questo sarebbe contro la progressività dell’imposta, un compromesso non sarebbe difficile. Per esempio si potrebbe pensare ad una detrazione del 5% o 10% alle attuali aliquote Irpef, così da garantire incentivo ai salari o premi di produttività aziendale e progressività delle imposte. Senza mettere limiti alla fantasia dei sindacalisti, s’intende.

Pubblicato il: 10.01.08
Modificato il: 10.01.08 alle ore 13.12   
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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 25, 2008, 11:06:58 pm »

POLITICA

Cuffaro è "una delle due facce di questo paese: da una parte noi che lottiamo contro il pizzo.

Dall'altra lui che condannato resta però al suo posto"

Montezemolo: "Non tornare al voto con questa legge"


ROMA - Un governo tecnico per consentire al paese di superare un momento difficile in un contesto internazionale ancora più difficile. Quindi fare le riforme e andare avanti col risamento. Confindustria non è prevista nella lista dei soggetti che saranno consultati dal Presidente della Repubblica per risolvere la crisi di governo ma il suo presidente di confindustria Luca Cordero di Montezemolo indica una strada netta. "Tutti - dice parlando a Siena alle assise degli industriali toscani - nei momenti di crisi, soprattutto dopo avere assistito al triste spettacolo da suk di questi giorni e alle scene vergognose di ieri in Senato, desideriamo che la parola torni a noi cittadini attraverso le elezioni". E' naturale ed è giusto, aggiunge che "le elezioni ci sembrano l'unico modo per poterlo fare. Ma attenzione: con questa legge elettorale la parola non torna ai cittadini ma alle segreterie dei partiti con liste pre-confezionate per consentire altri giri di giostra a chi non vuole un vero rinnovamento".

E' un'analisi durissima del quadro politico quella che fa Montezemolo. E non solo per le tristi scene viste ieri al Senato. Il presidente della regione Sicilia Totò Cuffaro, ad esempio, è "un esempio delle due facce di questo paese. Da una parte ci siamo noi che lottiamo contro il pizzo. Dall'altra c'è uno come lui che è stato condannato ma resta al suo posto".

"Le uniche discariche che funzionano in Italia - accusa ancora Montezemolo - sono quelle per i politici trombati. Sono le migliaia di società a controllo pubblico con produttività vicina allo zero e competitività sotto lo zero". Montezemolo ha puntato nuovamente il dito contro "una politica che ha cessato da tempo di essere guida e motore del cambiamento ed è diventata sempre più solo amministrazione della cosa pubblica a fini privati, con una scarsissima attenzione ai cittadini e alla qualità dei servizi resi".

(25 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 28, 2008, 10:58:12 am »

POLITICA

Il presidente di Confindustria: "Oggi la parola non andrebbe ai cittadini ma ai partiti"

Attacco a Cuffaro: "Noi lottiamo contro il pizzo, lui condannato resta al suo posto"

Montezemolo, appello alla politica "Non tornare al voto con questa legge"

 
ROMA - Un governo tecnico per consentire al paese di superare un momento difficile in un contesto internazionale ancora più difficile. Quindi fare le riforme e andare avanti col risanamento. Confindustria non è prevista nella lista dei soggetti che saranno consultati dal Presidente della Repubblica per risolvere la crisi di governo, ma il suo presidente, Luca Cordero di Montezemolo, indica una strada netta.

"Tutti - dice parlando a Siena alle assise degli industriali toscani - nei momenti di crisi, soprattutto dopo avere assistito al triste spettacolo da suk di questi giorni e alle scene vergognose di ieri in Senato, desideriamo che la parola torni a noi cittadini attraverso le elezioni". E' naturale ed è giusto, aggiunge che "le elezioni ci sembrano l'unico modo per poterlo fare. Ma attenzione: con questa legge elettorale la parola non torna ai cittadini ma alle segreterie dei partiti con liste pre-confezionate per consentire altri giri di giostra a chi non vuole un vero rinnovamento".

E' un'analisi durissima del quadro politico quella che fa Montezemolo. E non solo per le tristi scene viste ieri al Senato. Così il presidente della regione Sicilia Totò Cuffaro diventa "un esempio delle due facce di questo paese. Da una parte ci siamo noi che lottiamo contro il pizzo. Dall'altra c'è uno come lui che è stato condannato ma resta al suo posto".

Secondo Montezemolo l'Italia, dall'entrata dell'euro in poi "non è stata governata, è mancato un grande progetto paese, una vera missione, una sfida". Il leader di Confindustria nel suo intervento, se la prende anche con le migliaia di società a controllo pubblico diventate "discariche per politici trombati", evidenzia Montezemolo.

Alla luce delle vicende degli ultimi giorni concernenti le indagini sulla famiglia Mastella, Montezemolo ha parlato di "una politica sempre più concentrata sulla spartizione di posti e poltrone che sta invadendo ogni settore della vita del Paese. Primari, direttori delle Asl, professori; oggi nell'enorme macchina della pubblica amministrazione italiana - dice Montezemolo - merito e concorrenza sono valori che continuano ad essere troppo spesso sconosciuti mentre contano di più raccomandazioni e appartenenze di partito".

Montezemolo ha anche definito la decisione di Benedetto XVI di non andare all'università 'La Sapienza', una "fortuna" per l'Italia. In caso contrario, ha detto, dopo essere sulle prime pagine del mondo per i cumuli di immondizia di Napoli, "saremmo stati sulle prime pagine dei giornali internazionali, anche per la contestazione al Papa".

Montezemolo ha concluso il suo intervento con un appello "alle forze più avvedute e responsabili di entrambi gli schieramenti" a fare una legge elettorale prima di andare al voto. "Mettete da parte gli egoismi di partito - ha detto Montezemolo - ricordate che siete in parlamento per fare il bene del paese. Una breve ed efficace stagione di riforme condivise, nell'interesse generale, è non solo indispensabile ma è anche possibile. E consentirà poi a chi vincerà le elezioni di poter governare davvero".

(25 gennaio 2008)

da repubblica.it
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« Risposta #7 inserito:: Aprile 18, 2008, 11:00:34 pm »

Lungo abbraccio con il successore, Emma Marcegaglia

Montezemolo: «Lavoratori vicini a noi»

Passaggio di consegne al vertice di Confindustria:

«I sindacati non sono più capaci di rappresentarli»

 
 
TORINO - Lavoratori più vicini a Confindustria che ai sindacati. È Luca Cordero di Montezemolo a lanciare l'attacco. «Il risultato delle elezioni conferma quanto andiamo dicendo da tempo: i lavoratori non si sentono più rappresentati da forze politiche e sociali incapaci di dare risposte vere ai loro problemi concreti. E sono molto più vicini alle nostre posizioni che non a quelle dei sindacalisti». Montezemolo ha parlato al Lingotto di Torino in occasione del passaggio di consegne ad Emma Marcegaglia, nuovo presidente di Confindustria.

«PRATICHE VECCHIE» - «È ormai chiaro che la trincea dei negoziati infiniti, del rifiuto di guardare con occhi obiettivi la realtà e soprattutto in che direzione va il mondo, serve solo e soltanto a difendere una casta di professionisti del veto - ha proseguito Montezemolo, applaudito dalla platea degli imprenditori -. È veramente ora che il sindacato apra gli occhi e si confronti con il mondo reale, rinunciando a pratiche vecchie, come quegli scioperi rituali e inutili che ogni due anni accompagnano puntualmente i rinnovi contrattuali».

SINISTRA ARCOBALENO - Secondo il presidente di Confindustria, le urne hanno sancito «la pesantissima sconfitta politica di quelle forze che negli ultimi due anni, dentro il governo, sono state portatrici di una cultura anti-impresa e anti-mercato, che ha consapevolmente costituito un freno alla crescita economica e alla modernizzazione». Chiaro il riferimento alla Sinistra Arcobaleno. «Oggi abbiamo la conferma di quello che abbiamo sempre sostenuto: i no alla tav, i no alle infrastrutture, i no ai rigassificatori o ai termovalorizzatori, il vedere le imprese e gli imprenditori come nemici, sono patrimonio di una minoranza esigua che oggi non ha neppure rappresentanza in Parlamento».

INDULTO - Altro attacco al governo Prodi: sull'indulto, definito da Montezemolo «un provvedimento disastroso». «Ha dimostrato una scarsa considerazione verso le fasce deboli della popolazione, quelle più esposte ai fenomeni di microcriminalità. L’indulto è stato un brutto segnale in un Paese in cui troppo poco rispetto è portato alle vittime della criminalità e del terrorismo. E lo voglio dire forte proprio a Torino, la città che ha pagato uno dei prezzi più alti durante gli anni di piombo».

STAGIONE RIFORME - «Non c'e alternativa a una grande, decisa , radicale, stagione di riforme» prosegue. Tre le grandi emergenze che si pongono al paese, quella economica, sociale e istituzionale: dalle infrastrutture alla burocrazia, dalle tasse sul lavoro agli investimenti, da un'inadeguata politica energetica agli inaccettabili ritardi del Mezzogiorno. È mancato anche, per Montezemolo, un deciso programma di liberalizzazione e di privatizzazioni oltre a una riforma istituzionale con cui alleggerire la macchina dello Stato.

CRESCITA - «La risposta all'impoverimento può venire solo da una maggiore crescita. E potrà esserci un aumento delle retribuzioni solo a fronte di un consistente incremento della produttività - sottolinea Montezemolo -. È importante che la coalizione che ha vinto le elezioni abbia messo in agenda per il primo Consiglio dei ministri la detassazione degli straordinari e del salario variabile. Non si tratta solo di un provvedimento che va nella giusta direzione, ma è anche un'inversione di tendenza di fondamentale portata nel modello di relazione industriale che noi vogliamo fortemente innovare». Montezemolo ha ribadito la necessità di mettere mano «a una profonda riforma del Welfare», con un mercato del lavoro più selettivo e più flessibile. Un lunghissimo applauso ha salutato la fine dell'intervento di Montezemolo, che ha ringraziato per «questi quattro anni di lavoro insieme, anni difficili, segnati da campagne elettorali continue e da ripetuti cambi di quadro politico. È stata per me un'esperienza impegnativa ma soprattutto entusiasmante».

ABBRACCIO - Un lungo, caloroso abbraccio ha segnato il passaggio di consegne ad Emma Marcegaglia. Montezemolo ha riservato al successore un augurio speciale, con parole di Goethe: «Nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la provvidenza allora si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute. Qualunque cosa tu possa fare o sognare di poter fare, incominciala! L'audacia ha in sé genio, potere e magia: incominciala adesso». E la Marcegaglia: «Vi prometto di metterci tutta l'anima e tutte le mie capacità e penso che insieme potremo continuare ad avere una Confindustria forte che contribuisca a un futuro migliore per noi e per i nostri figli».


18 aprile 2008

DA CORRIERE.IT
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« Risposta #8 inserito:: Maggio 12, 2008, 09:50:55 pm »

8/5/2008  - PERSONAGGIO

Montezemolo volta pagina "Ora treni veloci e più Fiat"
 
Ultimi giorni in Confindustria tra bilanci e futuro

PAOLO BARONI
ROMA


Quattro anni «difficili» e «meravigliosi», un bilancio decisamente positivo del lavoro svolto, ed un futuro con tanti progetti, la Ferrari innanzitutto e poi la Fiat, i treni ad alta velocità ed un «think tank», un pensatoio sul modello anglosassone, al servizio del Paese. Per Luca Montezemolo questi sono gli ultimi giorni alla guida di Confindustria ed è tempo di bilanci. Gli anni trascorsi in viale dell’Astronomia, mentre nel mondo cambiavano gli scenari ed in Italia si alternavano tre diversi governi, «sono stati anni di grandissimo e straordinario impegno in cui abbiamo fatto un grande lavoro tutti insieme - racconta incontrando i giornalisti - con un gruppo di presidenza unito che non ha mai avuto momenti di divisioni e polemica».

Per lui «i motivi d’orgoglio» sono tanti: dall’avere imposto all’attenzione del Paese temi come la crescita, la competitività, ed il taglio delle tasse al grido di «facciamo squadra, rimbocchiamoci le maniche», al grande segnale di unità mandato al Paese in ogni passaggio decisivo della vita associativa (da ultimo la designazione plebiscitaria del nuovo presidente Emma Marcegaglia). E poi il record storico di iscrizioni (+ 9,1% a quota 126.590), i brillanti risultati ottenuti sul fronte dell’internazionalizzazione (con 23 missioni all’estero), la quotazione in Borsa del «Sole 24 Ore», la razionalizzazione del sistema associativo, i nuovi e più forti rapporti con le banche e le altre associazioni d’impresa.

Quindi Montezemolo ricorda le sfide lanciate da Confindustria, da quella per la modernizzazione del Paese alla battaglia per l’innovazione ed il merito a quella per le riforme dello Stato, ancora oggi «la priorità delle priorità». «Finalmente - afferma - oggi si sono create le condizioni per aprire una nuova stagione di cambiamento: contratti e salari, legge elettorale, poteri del premier, seconda parte della Costituzione» e tanto altro ancora. «L’inizio, però, è stato drammatico - ricorda Montezemolo -. Perché la mattina divento presidente di Confindustria e la sera muore Umberto Agnelli. Quindi subito dopo divento anche presidente della Fiat, con una situazione economica, aziendale e di mercato davvero difficile. Francamente le prime due notti che ho passato non le augurerei al peggior nemico».

Nel suo racconto c’è spazio per ricordi privati, come la foto di Gianni Agnelli e Guido Carli («i modelli a cui mi sono sempre ispirato in questi anni in Confindustria») che Susanna Agnelli gli fece trovare in viale dell’Astronomia al momento dell’insediamento accompagnata da un biglietto con la frase «Luca, mi raccomando: non deluderli», alla ricostruzione dello strappo del 2004 con la Cgil sulla riforma dei contratti. Con Epifani che dopo 10 minuti di urla con Pezzotta ed Angeletti gli si presenta davanti «tutto rosso in viso, cianotico» per proclamare il suo «No, io non ci sto». Oggi, a distanza di quattro anni, a Montezemolo fa ovviamente «piacere che ora il mio mandato si chiude con un’unità tra i sindacati. Meglio tardi che mai». Quindi il discorso si allarga ad altri temi di più stretta attualità.

Montezemolo innanzitutto boccia la pubblicazione su Internet dei redditi degli italiani perché, spiega, «la gogna mediatica non va bene: fa male al Paese e si rischia di mettere gli uni contro gli altri». E per di più non c’è la stessa trasparenza nel dar conto di come lo Stato spende i soldi raccolti con le tasse. Quindi parla di Alitalia: «Ben vengano - dice - possibili imprenditori italiani con un forte partner industriale, ma guardando al mercato perché gli italiani hanno già pagato troppo».

Quanto al suo di futuro, Montezemolo assicura che non assumerà alcun incarico politico: «Continuerò solo a fare il mio mestiere» taglia corto. Oltre alla presidenza della Ferrari e a quella della Fiat («alla quale voglio dedicare maggiore impegno»), si dedicherà «alla nuova importante avventura nel settore privato dei treni ad alta velocità, che presenteremo al governo a settembre e che aumenterà la concorrenza nel settore». Poi continuerà a fare il presidente della Luiss e dopo l’estate si lavorerà alla creazione di un think tank, «che vuole essere un centro di progettualità di pensiero a supporto di governo e Parlamento». Tanti progetti, tanti sogni, un modo (anche) per restare giovani. Per questo cita Einstein: «Sei giovane se i sogni prevalgono sui rimpianti... e io ho ancora sogni».

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« Risposta #9 inserito:: Ottobre 19, 2008, 10:40:45 am »

19/10/2008 (7:23) - L'INTERVISTA

Montezemolo: "Finanza creativa addio, ripartiamo dalle fabbriche"
 
Montezemolo: altro che morto, il capitalismo nei momenti di crisi è capace di rigenerarsi

LUCA RICOLFI


Presidente Montezemolo, dopo l’esperienza in Confindustria è tornato a lavorare a tempo pieno in Fiat e Ferrari. Dal suo osservatorio che crisi è questa? Che ripercussioni avrà sull’economia? E’ d’accordo con chi prevede che la ripresa arriverà a fine 2009? La mia impressione è che si tratti di una stima al momento ottimistica.
«E’ troppo presto per dire cosa accadrà e come cambierà il mondo. Di certo la crisi è strutturale e sarà ancora molto lunga. Fino ad ora ne abbiamo sperimentato soprattutto gli effetti finanziari e solo le prime ricadute che avrà sull’economia reale e sui consumi. Quel che conta è ricordarsi la lezione di Roosevelt: "L'unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa". E occorre avere fiducia, anzi farla diventare una malattia contagiosa».

Che intende quando parla di un mondo che cambia?
«La lunga fase espansiva che abbiamo vissuto ha provocato distorsioni che ora vengono corrette in modo traumatico. E’ accaduto in passato e accadrà ancora. I momenti in cui preoccuparsi di più sono quelli di boom borsistico e facili guadagni, che ciclicamente coincidono con una fase di degenerazione del capitalismo. I momenti di crisi sono quelli in cui il capitalismo si rigenera. Finisce l’eccessivo ricorso alla leva finanziaria, tornano a prevalere i fondamentali, la fabbrica, il lavoro di chi sa innovare e rischiare. Noi imprenditori abbiamo il dovere di continuare a credere nel Paese, tenere i nervi saldi, investire con maggiori mezzi propri, perché le imprese sono troppo poco capitalizzate. Altro che fine del capitalismo, questo è il capitalismo sano».

Ma di chi è la colpa di quanto accaduto? Ci sarà pur qualcuno che dovrà pagare.
«Attenzione, sarebbe sbagliato mettere l’industria contro la finanza, ma bisogna dire le cose come stanno: i mutamenti riguarderanno anzitutto il settore creditizio, dove l’ingordigia e la speculazione, soprattutto americana, hanno prodotto la distruzione di risorse che cittadini ed imprese gli avevano affidato. Speriamo si chiuda definitivamente la stagione della finanza creativa - nel pubblico e nel privato - e delle ricchezze costruite sulla speculazione».

E le banche italiane? Il ministro Tremonti ha detto che sono solide anche perché un po’ arretrate.
«Le nostre banche non si sono in genere mostrate avventuriste, e questo è uno dei motivi per cui il sistema è solido».

Ora però in molti, a partire da Confindustria, paventano il rischio che il credito si contragga. Lei è preoccupato?
«E’ indispensabile rimettere in moto i meccanismi della liquidità. Le banche devono dimostrare di saper svolgere la funzione di sostegno alla crescita del Paese: è ciò che giustifica l’utilizzo di danaro pubblico per aiutarle in questo frangente. Se non vogliamo che la recessione si trasformi in depressione, ogni euro disponibile andrà utilizzato per finanziare le imprese che investono. Con particolare riguardo alle piccole e medie».

A proposito di denaro pubblico. Che giudizio dà dei decreti salva-banche del governo?
«Il governo si è mosso bene e in modo autorevole. E’ un buon viatico, visto che d’ora in poi l’azione dello Stato diventerà centrale. Stiamo però attenti a non confondere la necessità di uno Stato più forte in un periodo di transizione, con il rischio di uno Stato invadente e che, in Italia come altrove, abbia la tentazione di soffocare gli spazi di libertà economica, magari imponendo i suoi uomini nelle imprese. Al di là dell’emergenza, è importante che lo Stato resti arbitro e non torni a fare il giocatore. Di nuove Iri non ne sentiamo il bisogno».

In termini culturali il suo discorso mi è chiarissimo. Ma se dovesse dire una misura concreta che si aspetta dal governo di qui a pochi giorni o settimane?
«Tutto ciò che è necessario per evitare che le ricadute di questa crisi, tutta finanziaria, vengano pagate da imprese e lavoratori. E’ giusto anche valutare il tema delle offerte ostili: abbiamo un patrimonio di piccole e medie aziende ad alta tecnologia che è bene difendere».

E dell’ingresso dei libici in Unicredit che ne pensa?
«Si tratta di una quota minoritaria, non sono contrario. E’ la dimostrazione che si tratta di una banca forte».

Dunque fra più Stato nelle banche e più apertura all’estero preferisce la seconda strada?
«Se ci si muove in una logica di reciprocità, assolutamente sì».

E da parte dell’Europa che tipo di intervento auspica?
«Questa crisi ormai sta pesando sull’economia reale e sui consumi. Ciò significa avere anche una politica coerente in Europa, che in questi giorni si è finalmente mossa in modo efficace e coordinato, e per una volta ha indicato la via giusta agli Stati Uniti. Bene il governo ha fatto a battersi affinché si superino le rigidità autolesioniste sul pacchetto ambiente e sulla normativa CO2. Mi aspetto inoltre che la Bce prosegua sulla strada del calo dei tassi di interesse con più urgenza e coraggio».

Si parla anche di sostegni pubblici al settore dell’auto. Che giudizio ne dà?
«Penso si debba guardare a sostegni mirati a settori innovativi e strategici. Dal momento in cui gli Stati Uniti hanno deciso di aiutare il settore dell’auto con 25 miliardi di dollari, l’Europa deve tenerne conto, perché altrimenti si creerebbe una competizione impari».

La Fiat è in salute?
«La Fiat è un’azienda sana, che oggi non è solo Italia, non è solo Brasile, non è solo auto. Ha prodotti di eccellenza in settori importanti: veicoli industriali, macchine agricole, movimento terra. Non appena le condizioni dei mercati miglioreranno, la Fiat ha tutte le carte in regola per crescere ancora. Se questa crisi fosse avvenuta tre anni fa, non saremmo mai stati in grado di sostenerla».

Del resto dell’azione del governo che pensa? Su alcuni provvedimenti - penso alla scuola - credo stia facendo quel che è giusto fare. Su altri ho qualche perplessità. Penso in particolare alla scarsa selettività dei tagli alla spesa pubblica.
«Il Paese, dopo un lungo periodo di paralisi decisionale, chiede alla politica di fare scelte forti. Devo dare atto al governo di aver capito questo sentimento e cominciato a prendere le decisioni di cui c’era bisogno. Sono d’accordo: la Gelmini sta facendo un ottimo lavoro. Trovo positiva l’impostazione della Finanziaria triennale, i provvedimenti sulla sicurezza, sull’emergenza rifiuti, il ritorno al nucleare, la detassazione del salario variabile, le prese di posizione contro l’assenteismo nella pubblica amministrazione. Ciò detto, non dimentichiamo che, prima della crisi, l’Italia era agli ultimi posti in Europa per tasso di crescita. E che ogni crisi porta con sé la possibilità di uno scatto in avanti o - se viene assunta come un alibi - il rischio di regredire. Adesso per il governo inizia la parte più difficile del lavoro».

La mia convinzione è che uno dei problemi più gravi del Paese sia la mancanza di meritocrazia. Il mio maestro Claudio Napoleoni diceva che il conflitto vero non è fra capitale e lavoro, ma fra lavoro e non lavoro, cioè fra chi produce e chi no.
«Il Paese è spaccato a metà, e non da oggi: fra ricchi e poveri, Nord e Sud, chi lavora e chi vive sulle risorse prodotte da altri».

Crisi finanziaria a parte, cosa si aspetta dal governo per i mesi a venire?
«La lista delle cose da fare è impressionante. Occorre rimuovere in profondità le incrostazioni che bloccano l’Italia dopo troppi anni di non decisioni da parte di governi di entrambe le coalizioni: efficienza della macchina pubblica, federalismo, mobilità sociale, meritocrazia, immigrazione, tagli selettivi alla spesa per reperire le risorse necessarie ad investimenti strategici come ad esempio le infrastrutture. Per affrontare e risolvere questi problemi c’è bisogno di un progetto Paese che sappia trasformare - e non cavalcare - le paure dei cittadini. Non possiamo accontentarci del piccolo cabotaggio, ma decidere dove vogliamo essere fra cinque anni. Ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte».

E il taglio delle tasse? Ho la sensazione che stiate abbandonando la battaglia.
«Assolutamente no, però oggi, con la scarsità di risorse, bisogna pensare anzitutto alla detassazione dei redditi più bassi da lavoro dipendente, coloro che non evadono e che faticano sempre di più a sostenere le spese di una famiglia. Pensi ai libri di scuola: quando ero giovane mio padre mi dava i soldi per comprarli nuovi, invece io li prendevo usati e mi tenevo il resto. Oggi dopo un anno sono da buttare via...».

Per fare tutto questo ci vogliono molte risorse, e il rischio è che il governo abbandoni la strada del rigore. Oppure crede sia utile usare la flessibilità sul deficit concessa da Bruxelles? Ce lo possiamo permettere con il nostro debito pubblico? Io ne dubito.
«Il rigore non si può abbandonare: è indispensabile rimodulare la spesa sociale, che oggi serve anzitutto a coprire le pensioni, e ad inseguire una spesa sanitaria fuori controllo. Margini per recuperare risorse ci sono dappertutto, a cominciare dall’abolizione di alcune province. Se poi l’Europa ci dà un piccolo margine di flessibilità, pensiamo a infrastrutture, ricerca e scuola».

Da uno studio fatto con i miei collaboratori emerge che il progetto di federalismo fiscale varato dal governo, se per la sanità assumerà come standard il costo pro-capite della Toscana, farà salire la spesa in tutte le Regioni del Sud ad eccezione di Abruzzo e Molise. Io sono un sostenitore del progetto, ma mi chiedo se abbiamo bisogno di un simile federalismo. Che ne pensa?
«E’ chiaro che se c’è un settore in cui in questi anni la spesa è cresciuta molto è quello degli enti locali. Di certo non può aumentare, anzi deve diminuire, meglio in una logica selettiva».

Ma crede o no alla reale efficacia del progetto?
«Assolutamente sì, ma conoscendo il Paese ho molti timori. Aspettiamo di vedere i numeri. Il federalismo fiscale funzionerà se le Regioni verranno messe nelle condizioni di farsi una sana "concorrenza" sui servizi ai cittadini e alle imprese. Spero che il governo lavori a questo obiettivo»
.
Io credo che per varare un progetto così importante ci dovrebbe essere lo sforzo comune di entrambi i poli. Eppure Berlusconi sembra mosso dalla tentazione di far da sé.
«Credo che il governo farebbe un errore se ritenesse di poter risolvere tutto da solo evitando il dialogo con l’opposizione. In questo atteggiamento - come lei ha detto benissimo qualche giorno fa - vedo insito il rischio di sottovalutare la complessità dei problemi dell’Italia».

A me pare però che il Pd in questa fase sia preoccupato per il responso delle prossime elezioni europee, tema di scendere sotto il 30% dei consensi e per questo stia un po’ rincorrendo Di Pietro sul terreno della protesta.
«L’opposizione ha tutto il diritto di scendere in piazza, ma devo ammettere che in un momento come questo mi sfugge il senso e la finalità della manifestazione del 25 ottobre. Dobbiamo evitare il riemergere di vecchi modi di confrontarsi da parte di entrambi gli schieramenti. Bisogna rigettare sia le tentazioni di populismo che quelle di protesta a prescindere. Su alcune riforme fondamentali avremmo invece bisogno di uno sforzo condiviso delle persone più responsabili di entrambi gli schieramenti, per il bene del Paese».

Guardandosi indietro ha rimpianti sulla sua esperienza alla guida di Confindustria? C’è chi l’ha rimproverata di essere stato troppo morbido con la Cgil sulla riforma del modello contrattuale.
«Ricordo ancora quando Guglielmo Epifani si alzò dal tavolo dopo un duro scontro verbale con l’allora segretario Cisl Savino Pezzotta. Era il 2004, il mio primo mese di presidenza. Per quattro anni ho aspettato che nella Cgil maturasse la consapevolezza di quanto fosse necessaria la riforma. Mi sono battuto perché fosse superato un modello arcaico e centralistico che frena la crescita e concorre a tenere i salari a livelli mediocri. Allora non volli forzare i tempi della trattativa, né creare rischi di conflitto sociale alle imprese già impegnate nella sfida dell’euro. Non ho rimpianti. Però dico che ora il tempo a disposizione per la trattativa sta finendo».

Crede che se non si troverà l’intesa Emma Marcegaglia debba firmare un accordo separato con Cisl e Uil?
«Invito il segretario della Cgil a valutare bene la responsabilità che si assumerebbe anzitutto con i lavoratori dicendo un’altra volta no. Il testo di cui stanno discutendo, tra l’altro, è quasi uguale a quello che avevamo sul nostro tavolo tre anni fa. Ma se l’ottimo lavoro di Emma e Alberto Bombassei non sarà bastato, dovremmo forse continuare ad aspettare indefinitamente mentre il mondo va avanti veloce?».

Cosa direbbe alla Marcegaglia per convincerla a tirare dritto?
«Non credo ne abbia bisogno, perché sa benissimo che nel 2008 c’è l’assoluta necessità di uscire da questo immobilismo. Ma se riunisse una platea di operai per chiedergli se sono d’accordo, sono sicuro le direbbero di sì. Certe volte i lavoratori sono più avanti di chi li rappresenta».

Una curiosità del tutto personale: ma perché non è entrato in politica? Il gruppo della rivista Polena aveva calcolato che se si fosse presentato da solo avrebbe potuto raccogliere oltre il 12% dei consensi.
«Ho sempre pensato che se l’avessi fatto sarebbero state male interpretate le mie scelte precedenti come presidente di Confindustria. Come se tutto il mio lavoro fino ad allora fosse stato condizionato da quel progetto».

Non ci saranno sorprese presto o tardi?
«Faccio il mio mestiere e continuerò a fare il mio mestiere. Non sono fra coloro che pensano che l’unica strada per dare un contributo al bene del Paese sia scendere in politica».


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« Risposta #10 inserito:: Febbraio 17, 2009, 09:17:28 am »

17/2/2009 (7:11) - PER IL NUMERO UNO DEL LINGOTTO LA SITUAZIONE POTREBBE PEGGIORARE

"Crisi, servono gli stati generali"
 
Montezemolo: politica ed economia facciano uno sforzo comune per battere le difficoltà

RAFFAELLO MASCI
ROMA


«In un momento di crisi come questo ci vorrebbe un clima politico diverso, un grande sforzo corale, una convocazione di tutti gli stakeholders». E’ una chiamata agli stati generali dell’economia e della politica, quella che Luca Cordero di Montezemolo fa dall’aula magna della Luiss, l’università degli studi sociali di Roma, di cui è presidente, che ieri inaugurava l’anno accademico. Montezemolo parla a braccio, come di consueto, davanti a un’assemblea di docenti e studenti. Prima di lui c’è stato lo «speach» entusiasmante di Nikesh Arora, vicepresidente di Google: giovane, brillante indo-americano, esempio di talento premiato. Montezemolo coglie l’attimo e lancia il suo appello: un serrate le fila che vorrebbe coinvolgere la politica, anche se sa che questo soggetto, agli occhi del giovane uditorio, è portatore solo di «disillusione».

Che cosa dice Montezemolo? Intanto fa la disamina della situazione: «La peggiore crisi del dopoguerra». Non solo: «potrebbe peggiorare seriamente nei prossimi due mesi». Quando è arrivato lo tsunami di metà 2008, ricorda, già eravamo il paese europeo che cresceva meno, figuriamoci ora come possiamo fare fronte a questa sopraggiunta calamità. I consumi - sottolinea l’ex leader di Confindustria - sono crollati, i posti di lavoro si perderanno e già se ne sono persi: «Come presidente della Fiat provo grande preoccupazione e frustrazione nel vedere tante persone in cassa integrazione. Perché il patrimonio più grande delle imprese sono i collaboratori, uomini e donne protagonisti della crescita dell’azienda stessa». Questa impasse economica e sociale, secondo Montezemolo, rischia - peraltro - di acuire i divari già esistenti, come quello tra «tra Nord e Sud» ma anche «tra chi è ricco e chi lo è di meno». Insomma: il paese è in forte sofferenza. In questo quadro - suggerisce Montezemolo - la politica deve «osare di più», si deve assumere le proprie responsabilità: «Ci vuole la capacità di mettere da parte le polemiche, e un’iniziativa forte e comune per affrontare in modo deciso questa crisi». Anche perché «dopo l’euro, l’Italia non ha più fatto scelte coraggiose».

A questo punto arriva l’appello agli «Stati generali» rivolto a tutti gli «stakeholders» (in senso letterale gli azionisti, cioè i protagonisti della vita pubblica). E il presidente della Fiat dice anche quali debbano essere i terreni di intervento: un piano «di riforme strutturali» a cominciare dal sistema previdenziale, non solo innalzando subito l’età pensionabile, ma estendendo il tetto dei 65 anni anche alle donne. Poi gli ammortizzatori sociali. Quindi la pubblica amministrazione che deve diventare «professionale, efficiente e competitiva», ma anche «un patto per i giovani», che rischiano di essere la parte più preziosa e più penalizzata di questo frangente. Un riferimento, infine, al comparto auto ora in forte perdita: ««A proposito di quanto sia in crisi il mercato dell’auto in Italia - dice Montezemolo - oggi vendiamo più macchine in Germania che in Italia, significa la forza del prodotto Fiat da un lato, ma dall’altro che il mercato è cambiato e la crisi dei consumi è grave».

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« Risposta #11 inserito:: Febbraio 18, 2009, 07:50:43 pm »

2009-02-18 16:25

MARCEGAGLIA: BLOCCARE PER UN ANNO IL TFR IN AZIENDA


FOGGIA  - "Si potrebbe arrivare alla decisione che per un anno i flussi di Tfr non vadano all'Inps, ma vengano tenuti all'interno delle imprese". Oppure i flussi del Tfr potrebbero servire a "creare un fondo di garanzia che aiuti il sistema del credito alle piccole e medie imprese". E' una delle proposte lanciate dal presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, per superare la crisi economica in Italia. Marcegaglia lo ha detto incontrando i giornalisti a Foggia dopo una riunione con gli imprenditori locali.

"Il tema del credito è fondamentale - ha aggiunto - servono decisioni concrete perché se non c'é credito si blocca il sistema delle imprese, ancor più nel Sud". Per il leader di Confindustria "é assolutamente necessario che, come sta accadendo in tutti i Paesi europei e anche negli Stati Uniti e in Cina, il governo italiano sostenga l'economia. Comprendiamo - ha spiegato - il problema del debito pubblico, ma riteniamo che in un momento come questo serva un sostegno all'economia, senza il quale rischiamo veramente che molte imprese non riescano ad andare avanti". Oltre a quella sul Tfr, Marcegaglia ha avanzato la proposta che la Cassa Depositi e Prestiti anticipi i crediti delle imprese con le pubbliche amministrazioni e che venga reso al più presto operativo il Fondo di garanzia di 450 milioni di euro previsto nel Decreto 185 per le Confidi.


SCAJOLA A CONFINDUSTRIA: BASTA CORVI
I "centri studi nazionali si compiacciono di diffondere il pessimismo, rivedendo sistematicamente al ribasso di mezzo punto percentuale le stime effettuate dagli istituti internazionali". Lo ha detto il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola in occasione di un suo intervento ad un convegno della Fim-Cisl. "Finiamola con questi corvi che passano per strada - ha sottolineato Scajola - Sono perplesso per gli scenari diffusi da Confindustria ogni volta che escono valutazioni di organismi internazionali tipo Ocse o Fmi. Vedo sempre posizioni dure di Confindustria e ogni volta c'é un carico", ha detto il ministro riferendosì alle ultime previsioni sul Pil riviste ulteriormente al ribasso dal centro studi di Confindustria (oltre il 2,5% in corso d'anno).

Scajola ha invitato a non "cedere alla rassegnazione" anche perché lo stesso Fondo ha sottolineato che "nel nostro Paese la crisi si è manifestata con caratteri meno accentuati rispetto ad altri Paesi industrializzati. Abbiamo certo un problema di crescita ma - ha aggiunto Scajola - non si è verificata l'implosione del mercato finanziario né il collasso del settore immobiliare e il governo sta facendo il possibile, ne rispetto dei vincoli di bilancio, per salvaguardare la struttura produttiva del Paese". 

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« Risposta #12 inserito:: Maggio 03, 2009, 11:39:38 am »

L'INTERVISTA

Montezemolo: «E adesso Opel, partner ideale di una grande Fiat»

Il presidente: con Chrysler occasione irripetibile ma sappiamo che ora inizia il lavoro duro
 

MILANO - E adesso Berlino? «Sarebbe la chiusura del cerchio». Molto oltre non vuole andare, Luca Cordero di Montezemolo. Il dossier è aperto, Sergio Marchionne è al lavoro, è l'amministratore delegato che dopo aver convinto Barack Obama su Chrysler ora tenta il raddoppio con Angela Merkel su Opel. E in Germania le barricate sono già state alzate, la Fiat un pò di paura - anche - la fa, dunque «lasciamo che Sergio si muova come sa». Ovviamente però conferma, il presidente del Lingotto, che la casa tedesca «sarebbe per noi una straordinaria opportunità, sarebbero i nostri partner ideali, nascerebbe un gruppo molto forte».

Neanche il tempo di festeggiare Detroit, avvocato? Non è un pò troppo?
«È una necessità. Guardate: in Fiat noi, tutti, proviamo orgoglio e soddisfazione per l'operazione Chrysler e per le parole del presidente degli Stati Uniti. A me, come presidente del Lingotto, lasci aggiungere l'enorme gratitudine per un management che ha sempre mantenuto le promesse fatte, si trattasse di risultati o di strategie. Però il nostro primo sentimento è l'umiltà. Umiltà e una grande determinazione. Da un mese, da quando Obama ha parlato per la prima volta di noi, siamo sotto la lente del mondo. Lo sappiamo e sappiamo soprattutto che è un'impresa molto difficile, da far tremare i polsi. L'affrontiamo con entusiasmo, ma raddoppiando impegno e lavoro per rafforzare Fiat e risanare Chrysler. È un'occasione irripetibile, ma il lavoro duro inizia adesso».

Avrete brindato, però. Sei anni fa la Fiat andava con il cappello in mano ad Arcore, Paolo Fresco e Gabriele Galateri costretti all'umiliazione. Oggi vi chiama la Casa Bianca. A salvare l'auto americana. «Dico sempre che bisogna guardare avanti. Però sì, qualche volta è giusto anche ricordare da dove si è partiti. E io ricordo molto bene i primi giorni a Torino. Il giovedì mattina ero diventato presidente di Confindustria, la sera morì Umberto Agnelli. Sergio e io ci siamo conosciuti grazie a lui: era stato lui a volerci in consiglio. E il giorno dopo il suo funerale ci siamo ritrovati Sergio a gestire l'azienda, io alla presidenza. Sui giornali del mondo la Fiat era data per fallita».

In effetti lo era.
«Le prime notti non ci abbiamo dormito».

E oggi? L'ha detto lei: già Chrysler fa tremare i polsi...
«Ma oggi partiamo dal lavoro enorme fatto dal management. È con questo che ci siamo creati un punto fondamentale che, se vuole, è il nostro plus: la credibilità. Ed è la credibilità che ha fatto sì che il presidente Obama dicesse di noi quel che ha detto».

È anche però, forse non a caso, un'operazione fatta fuori dal capitalismo di relazione o dei salotti.
«Ma è un'operazione-Paese. Ed è, credo, un orgoglio anche per l'Italia e la sua industria. Gli uomini e le donne della Fiat in questi anni hanno lavorato tornando a occuparsi di auto, fuori dalle stanze della politica. È così che siamo tornati a essere un pò un "ritratto di famiglia" dell'impresa italiana: impresa familiare, privata, grande o piccola non importa, che va per il mondo, raccoglie le sfide, si mette in gioco con i propri prodotti e nient'altro. Al di là dei discorsi sul primo o sul quarto capitalismo, è questa l'Italia delle mille eccellenze. Il manifatturiero è uno dei suoi pilastri, e l'orgoglio è anche una Fiat che traina, con sé, un intero sistema industriale grazie al lavoro duro, di squadra, di tutti: da Sergio Marchionne all'ultimo operaio».

Gli operai, oggi, in America li avrete come soci. Insieme a due governi. Un inedito rapporto pubblico-privato: si potrebbe replicare, in Italia?
«Sono due Paesi, due culture, due situazioni totalmente diverse. Io ho sempre sostenuto la necessità di un forte coinvolgimento dei dipendenti nei risultati delle aziende. Ma la proprietà è un'altra cosa».

Vale anche per eventuali soci pubblici?
«Ho detto prima che il risanamento è stato possibile grazie al gioco di squadra. Nel quale metto le banche, senza il cui appoggio non ce l'avremmo fatta. Ci metto, oggi, gli incentivi al settore che il governo italiano, come tutti gli altri, ha varato per contrastare una crisi mondiale senza precedenti. Ma il punto fermo resta uno: l'aver sentito sempre gli azionisti, prima Ifi-Ifil con Gianluigi Gabetti e ora Exor con John Elkann, dietro di noi. Hanno rischiato, ci hanno creduto e continuano a crederci».

Dicono però che una parte della famiglia Agnelli sia, ora, preoccupata: giusto orgoglio, ma timori per il peso che sta assumendo l'auto. Che patisce la crisi meno di altri, sì, però i debiti sono 6 miliardi e gli unici utili si vedono da Ferrari e Maserati.
«Intanto, Fiat non è solo auto. È camion, trattori, altro ancora. Dopodiché: se guardo agli ultimi due mesi, stiamo reagendo bene alla crisi. In marzo siamo diventati il terzo gruppo più venduto in Germania, e non era mai accaduto. Siamo cresciuti molto in altri Paesi, come la Francia, e abbiamo superato il 9% di quota in Europa. Sulle alleanze, il nostro è un disegno con obiettivi a medio termine. Azionisti preoccupati, dice? Io ho visto grande soddisfazione e grande appoggio. È chiaro che ogni volta che fai un'operazione importante assumi dei rischi. Ma è cambiato tutto, nel mondo. La Fiat da sola forse poteva sopravvivere, certo non essere protagonista. Aver anticipato il cambiamento, aver dato il via ai giochi che comunque scompagineranno gli assetti dell'auto mondiale avrà effetti positivi. Con Chrysler oggi. E con qualcos'altro, spero, nei prossimi mesi».

Se non andasse Opel? Potrebbero essere le attività sudamericane di Gm? O un ritorno su Peugeot? E comunque: si aspettava lo sbarramento tedesco?
«Piano, lasciamo lavorare Sergio. Quel che posso dire è che noi perseguiamo coerentemente una strategia. E poi vediamo. Sappiamo quali sono le nostre carte: ce le giocheremo».

Che cosa direbbe Giovanni Agnelli del tutto e di Chrysler?
«Lui raccontava sempre che quando il nonno, il fondatore, mandò i primi tecnici negli Usa la raccomandazione fu: non cambiate niente, copiate e basta...».

Ora saranno loro a copiare noi, quindi...
«Quindi gli Usa, che sono sempre stati il link dell'Avvocato, sarebbero oggi per lui il sogno che si avvera. L'accordo Chrysler ci apre per la prima volta il più grande mercato di consumo del mondo. Perfetto, spero, per i prodotti che abbiamo: abbiamo lavorato su tecnologia e motori "puliti", ma non abbiamo trascurato il design. Un'auto come la 500 può essere un'icona anche negli Usa».

Con la squadra come farete? Snella e vincente: ma ora basterà?
«Panchina corta, vuol dire? Sappiamo valore e potenzialità di tante persone che ancora non vedete in campo: ne abbiamo molte, pronte ad assumersi responsabilità di primo piano».

Nell'euforia del momento storico abbiamo tutti un pò perso di vista le difficoltà qui. La crisi è tutt'altro che passata, la cassa integrazione c'è ancora, il sindacato chiede garanzie per gli stabilimenti italiani.
«Senza scivolare nel romanticismo, ricordo che Fiat sta per Fabbrica Italiana Automobili Torino. Nemmeno per un secondo abbandoneremo l'impegno verso Torino, l'Italia, i nostri dipendenti. Non siamo diventati americani: il contrario. Bisogna però riconoscere la realtà del momento. Ci sono nodi strutturali che, anche a causa della caduta della domanda, dobbiamo affrontare in modo responsabile insieme al governo e ai sindacati. Poi, non dimentichiamo l'Europa: la Ue si giocherebbe la propria credibilità se assecondasse nazionalismi superati quando, in palio, c'è il futuro di un settore fondamentale come l'auto».

Pensa anche lei che, comunque, il peggio della crisi l'abbiamo già visto, che il fondo sia già stato toccato?
«Sarei molto prudente: rischiamo di alimentare facili ottimismi. Credo che sia rallentata la velocità della discesa, che i primi segnali di risalita ci siano. Ma dobbiamo fare ancora molta attenzione».

L'Italia ha fatto quel che doveva?
«Ci sono questioni che, mi rendo conto, è più facile affrontare dalla tribuna che non dal campo. Ma restano nodi che sono il frutto di decenni di non scelte: il taglio delle spese improduttive, la burocrazia, le pensioni, la sanità. E dobbiamo stare più che mai attenti a che non aumentino i tanti divari. Ricchi e poveri. Nord e Sud. Sarebbe bello se dalle imprese l'intero Paese imparasse il gusto del cambiamento e la voglia di anticiparlo».

Curiosità: con Marchionne, nei giorni caldi di Washington, anche lei parlava via sms?
«Sì. Ma io usavo dieci parole, lui mi rispondeva con una. Io mi firmo Luca, lui "S.". Lo stile di uno che per portarci Chrysler non ha dormito per un mese».

L'ha convinto a farsi almeno questo weekend?
«Ci ho rinunciato: sono partite perse».

Raffaella Polato
03 maggio 2009

da corriere.it
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« Risposta #13 inserito:: Maggio 04, 2009, 04:54:28 pm »

ECONOMIA     

L'ad del Lingotto rompe gli indugi: lo spin off dell'auto serve a rendere più credibile la sua scalata alla Opel

Un gigante a caccia di soldi in Borsa per piegare le resistenze di Berlino


di SALVATORE TROPEA

 
TORINO - Un gruppo automobilistico da 80 miliardi di euro di fatturato, 160 mila dipendenti, una produzione da 6 milioni di vetture all'anno, 12 marchi presenti in tutti i mercati mondiali del settore. Tutto sotto l'ombrello del Lingotto e, naturalmente quotato in Borsa. Sergio Marchionne molto probabilmente ci pensava da tempo a questa operazione, ma l'aveva sempre rinviata, come diceva lui, a tempi migliori. Oggi il progetto deve essergli sembrato maturo o, più realisticamente, deve aver capito che per poter rendere credibile la sua scalata alla Opel è necessario rimodellare la Fiat con un provvedimento che rafforza il ruolo dell'automobile.

Come si è arrivati a questa svolta che, in meno di tre giorni, si aggiunge alla conquista della Chrysler? L'ultima tappa è sicuramente quella di ieri mattina, con un consiglio di amministrazione straordinario, riunito d'urgenza al Lingotto nella quiete discreta di una calda domenica torinese. E' una mossa alla Marchionne e sembrerebbe quasi a sorpresa. Forse lo è anche, ma non per i suoi più stretti collaboratori che nell'ultimo mese lo hanno visto all'opera su più fronti. Deve averla maturata nei giorni del negoziato di Washington e Detroit, quando ha capito che avrebbe chiuso positivamente il capitolo Chrysler. Più esattamente quando ha messo mano anche alla Opel rendendosi conto che in questo caso la strada sarebbe stata piuttosto in salita.

Se si è consultato lo ha fatto certo con poche persone. Fino quando, rientrato dall'America nella notte di giovedì, ha messo assieme i pezzi del nuovo progetto. Che ieri ha spiegato ai consiglieri prima di renderlo pubblico con un comunicato in cui si annuncia che la Fiat, se la fusione con Opel dovesse andare in porto, è pronta a valutare varie operazioni societarie, compreso lo spin off di Fiat Group Automobiles in una società quotata che ne unisca le attività con quelle di General Motors Europe. Che cosa vuol dire in effetti questa decisione al di là delle formalità del comunicato che le indica nell'obiettivo di "assicurare il migliore sviluppo strategico del settore automobilistico"?

La risposta sta nella scelta del tempo. Dello spin off dell'auto si parlava da alcuni anni, ma prima la crisi del Gruppo risolta con l'arrivo di Marchionne, poi quella più generale del settore ancora in corso, hanno sconsigliato a più riprese di procedere allo sganciamento del settore. I fatti degli ultimi due mesi hanno cambiato lo scenario e le prospettive del Lingotto. E naturalmente hanno impresso una forte accelerazione alla creazione di un grande gruppo dell'auto. Non è certo escluso che prima di fare questo passo siano stati presi in considerazione gli aspetti finanziari.

Una Fiat, alla guida del nascente nuovo colosso dell'auto, avrà certamente bisogno di risorse finanziarie e questo può avere consigliato la creazione di un meccanismo capace di assicurarle attraverso un grande gruppo quotato in Borsa. Un passaggio, questo, che potrebbe servire anche a convincere il fronte che ancora si oppone alla fusione con Opel. Al quale Marchionne vuole poter esibire una realtà in grado di stare in piedi da sola e che, nella descrizione fatta ieri al cda, risponde appunto alla nascita del nuovo gruppo dell'auto. In altre parole, se il progetto andrà in porto, si può immaginare la nascita di una Fiat uno e una Fiat due. La prima destinata a raggruppare tutte le attività auto; la seconda dovrebbe raggruppare CNH, Iveco, Magneti Marelli, Ferrari, Maserati, e gli altri rami che figurano nel bilancio del Lingotto: un insieme da 27 miliardi di euro.

Che ruolo ha avuto la famiglia Agnelli in questa decisione? Una "Fiat uno" strutturata solo sulle attività dell'auto è una svolta storica che propone anche l'ipotesi di una società un cui l'azionista storico possa rinunciare alla quota di controllo. Sicuramente si tratta di uno scenario che Marchionne ha disegnato dopo avere discusso con il vicepresidente John Elkann. Il quale nei giorni scorsi aveva adombrato questa possibilità.

I tempi? Il conteggio comincerà naturalmente dopo aver risolto la partita Opel. Marchionne avrebbe potuto anche aspettare prima di rendere pubblica questa decisione. Se ha scelto di uscire allo scoperto è perché ha capito che, in funzione degli appuntamenti dei prossimi trenta giorni sia sul fronte Chrysler (con le decisioni del giudice sulla bancarotta pilotata) sia su quello Gm, è necessario dare un segnale forte, dimostrare che Fiat è intenzionata a fare sul serio. Naturalmente dovrà onvincere anche la Borsa che, appena quattro giorni fa, ha accolto con scarso entusiasmo l'alleanza con Chrysler, e che oggi ha nuovi elementi per motivare il suo verdetto.

(4 maggio 2009)
da repubblica.it
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« Risposta #14 inserito:: Novembre 24, 2010, 06:37:04 pm »

ITALIAFUTURA

Montezemolo: «Basta superuomini»

Il presidente della Ferrari: il «one man show» è finito, ora sento il dovere di fare qualcosa per il Paese


MILANO - «Basta con i superuomini». Affondo di Luca Cordero di Montezemolo contro il governo guidato da Silvio Berlusconi. Presentando il rapporto sull'occupazione giovanile organizzato dalla sua fondazione ItaliaFutura, il presidente della Ferrari ha detto che «il periodo dell'"one man show" è finito: questo vale in qualsiasi azienda, come nella societá civile», perchè, ha aggiunto rispolverando uno slogan caro alla sua esperienza in Confindustria, «è il momento di fare squadra». Secondo Montezemolo, serve infatti discontinuità con il passato: «Non è possibile andare avanti così, non accettiamo che la cosa pubblica sia considerata cosa privata dalla politica». In questa fase, aggiunge, «sento il dovere di fare qualcosa per il paese a cui appartengo, è il momento di uscire dal recinto». Il presidente di ItaliaFutura evidenzia anche che «quello di imprenditore e di politico sono due mestieri diversi» e che «il fattore comune deve essere la societá civile».

Redazione online
24 novembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/politica/10_novembre_24/montezemolo-superuomini_39603986-f7e6-11df-9137-00144f02aabc.shtml
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