Bonanni: «Marchionne non può giocare allo sfascio»
di Luigina Venturelli
L’unico segno visibile di disappunto, forse di delusione, mostrato dal leader Cisl sta in quel generico «amministratore delegato». Raffaele Bonanni non nomina mai per nome Sergio Marchionne, il manager a cui ha creduto per il rilancio di Pomigliano, e che ora toglie a Mirafiori la produzione della nuova monovolume. Ma quando parla si mostra fiducioso, al ridimensionamento del cuore industriale del Lingotto dice di non credere.
Segretario, si aspettava o temeva una simile decisione della Fiat?
«Ho trovato singolare che l’amministratore delegato l’abbia annunciata a mezzo stampa, soprattutto in un momento di grande confusione come questo. Nel metodo, mi sarei aspettato più sobrietà».
E nel merito?
«Io non credo al ridimensionamento di Mirafiori. La Fiat è liberissima di portare la produzione della prossima monovolume in Serbia, a me può anche non importare, se sceglie lo stabilimento torinese per una produzione equivalente o addirittura più prestigiosa».
Per ora un’alternativa non c’è.
«Ed è questa l’unica cosa che andremo a chiedere al tavolo di mercoledì prossimo: la Fiat mantiene l’obiettivo di raggiungere in Italia la cifra di un milione e 400mila veicoli prodotti dagli attuali 600mila? In tal caso, quali sono questi veicoli e dove verranno realizzati?».
Al tavolo ci sarà anche il governo, che però non ha nulla da offrire, nemmeno un ministro dello Sviluppo economico quale interlocutore. Si è parlato anche di lei quale successore di Scajola.
«Che uno dei principali paesi industriali europei sia senza un ministro dello Sviluppo economico durante una crisi come quella attuale, è un fatto grave che si commenta da sé. Ma nessuno mi ha mai proposto di ricoprire la carica, né io ho alcuna intenzione di accettarla, visto che ho promesso alla Cisl che sarei rimasto fino all’ultimo giorno del mio mandato».
Intanto, però, l’inerzia dell’esecutivo sulla vicenda Fiat si fa sentire.
«Il primo danno di questa assenza di direzione è stata proprio la chiusura di Termini Imerese. Ancora aspettiamo le altre proposte per quel sito».
Sta sempre in piedi il famoso progetto Fabbrica Italia?
«Stiamo parlando di investimenti per 20 miliardi di euro da effettuare nei prossimi sei anni, che stabilizzeranno l’occupazione per almeno una ventina. Fino a qualche mese fa, queste erano le preoccupazioni degli interessati alla confusione: si sposterà negli Stati Uniti, si sposterà in Brasile, si sposterà in Polonia. Ma niente di tutto ciò è avvenuto».
Si riferisce alla Fiom e alla vicenda Pomigliano?
«Certo. Noi ci siamo presi le nostre responsabilità perché abbiamo bisogno di quell’investimento, anche come indicazione agli altri investitori nazionali e internazionali, magari intenzionati a lasciare il Paese. Senza investimento non c’è lavoro e senza lavoro non ci sono diritti. Mi viene in mente la vicenda Alitalia. Anche allora noi della Cisl ci prendemmo le nostre responsabilità per far nascere la nuova società, e proprio qualche giorno fa Air France ha annunciato 4mila licenziamenti».
Ma lei si fida ancora di un’azienda che su Pomigliano ha preteso ed ottenuto molto, ma poi ha deciso di andarsene in Serbia?
«L’amministratore delegato della Fiat non può prestarsi al gioco dello sfascismo».
Si riferisce sempre alla Fiom?
«Sì. Se venisse ridimensionato lo stabilimento di Mirafiori, non si capirebbe la logica Fiat, che presterebbe il fianco a chi gioca per far fallire gli investimenti sulla pelle dei lavoratori. Perché io non giudico altrimenti la Fiom, che ha fatto una discussione incomprensibile su Pomigliano e non so quali diritti costituzionali».
Veramente si trattava del diritto di sciopero.
«Nell’accordo non c’è alcun divieto di sciopero. Si dice solo di non favorire lo sciopero in determinate circostanze, durante gli straordinari nel diciottesimo turno, per consentire all’azienda di completare le proprie commesse».
Ma lei crede davvero a quanto ha detto Marchionne? Che porterà la monovolume in Serbia a causa del comportamento di un sindacato sgradito, «poco serio» per la precisione, a Pomigliano?
Questo preferisco sentirmelo dire mercoledì dall’azienda stessa. Nel gioco del caleidoscopio dei media, una virgola può diventare un poema. Ma dovesse ripetere una simile spiegazione, sarei preoccupato. Sarebbe una spiegazione senza fondamento, perché altre forze serie e maggioritarie si sono prese la responsabilità di quell’accordo».
Per Pomigliano si parla anche di una «newco» dove riassumere i dipendenti favorevoli all’accordo e dove non applicare il contratto nazionale dei metalmeccanici.
«La newco non è una novità, anche lo stabilimento di Melfi ha una ragione sociale diversa da quella della Fiat, non ci sarebbe alcun problema, purchè venissero riassunti tutti gli attuali dipendenti, nessuno escluso. Ma noi non accetteremo mai di disdire il contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici. Ci è costato molto impegno raggiungerlo, ed ha prodotto buoni risultati».
La Fiat, però, sembra intenzionata a scriversi da sola «la nuova cultura del lavoro», come l’ha chiamata l’Herald Tribune.
La globalizzazione impone una svolta nelle relazioni industriali. Il sindacato non può limitarsi all’antagonismo spingendo le aziende internazionali a fuggire in posti più convenienti, ma deve puntare a relazioni partecipative, che responsabilizzino i lavoratori nelle imprese. In questo modo si costruiranno anche più forti personalità democratiche, perchè il populismo si fonda nella verticalizzazione del potere. Mi piacerebbe che di questo discutessero le forze progressiste del Paese, invece di limitarsi al ruolo di fiamme fatue dei cimiteri».
La strada delle relazioni partecipative con le imprese, però, conduce sempre più lontano dalla Cgil.
«Noi stiamo aspettando la Cgil. Il nostro obiettivo politico é riavvicinarci, ma con una strategia, non con la testa rivolta all’indietro ogni volta che una realtà disordinata la prende per la giacca. Il problema è la Fiom e la Cgil dovrebbe risolverlo. In fondo, firma tutti i contratti di categoria tranne quello dei metalmeccanici. Mi sembra che ci siano le condizioni perché rimetta in discussione la decisione presa due anni fa sull’accordo interconfederale».
25 luglio 2010
http://www.unita.it/news/economia/101657/bonanni_marchionne_non_pu_giocare_allo_sfascio