LA-U dell'OLIVO
Novembre 25, 2024, 11:23:06 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: GIULIETTO CHIESA. Agenti segreti in sonno? Costano troppo per la Russia di oggi  (Letto 3510 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Luglio 01, 2010, 12:04:48 pm »

30/6/2010 (7:30)  - IL CASO DELLE SPIE RUSSE /2

Agenti segreti in sonno? Costano troppo per la Russia di oggi

Una delle stelle del Cremlino a Mosca
   
La Guerra Fredda è finita: la loro era una strana missione


GIULIETTO CHIESA
MOSCA
Ogni tanto, fino a qualche anno fa emergevano dalle giungle tropicali delle isole del Pacifico, residui umani viventi di quella che fu l’armata del Mikado.

Fedeltà d’acciaio all’imperatore, durata vite intere. Avevano perso contatto e non sapevano che il Giappone aveva perduto la guerra.
E che, nel frattempo, il Sol Levante aveva inondato il mondo con Sony, Mitsubishi, Toyota, eccetera. Che il Tenno fosse stato messo in una gabbia dorata dal generale MacArthur non potevano nemmeno immaginarlo.

Ma questi agenti del Kgb che non c’è più, rimasti perduti nella giungla americana, sono la più fantastica metafora dell’inerzia, della vischiosità della storia. Fernand Braudel quello delle «correnti profonde», se fosse vivo, ci avrebbe scritto un saggio, forse un libro.

Perché gli agenti russi - rimasti rossi in un Paese che ha abbandonato perfino il ricordo del socialismo - non potevano non sapere. Sembra assodato che avessero dei Nokia in tasca, oltre a ombrelli con punta avvelenata per uccidere gli spioni nemici. Si immagina che fossero alla caccia di documenti segretissimi sul petrolio che continua a uscire dal buco nel Golfo del Messico. O forse erano degli «agenti in sonno», nel senso proprio del termine: cioè dormivano.

In attesa che qualcuno li svegliasse - magari come pare sia capitato a Harvey Lee Oswald - per mandarli a uccidere il presidente di turno. Solo che queste cose succedono una volta al secolo. E qualcosa di simile è già successo l’11 settembre, quando il compito fu affidato ai «verdi» e non ai «rossi».

Tuttavia resta un mistero: chi pagava? Perché sembra accertato che ricevessero uno stipendio mensile. Se non in rubli, in dollari.
La giungla americana ha i suoi vantaggi. Viverci costa. Dunque c’era qualcuno a Mosca, che ufficialmente pensava a loro. A meno di immaginare che, nella Lubianka e dintorni sotto la ex Piazza Dzerzhinskiy, capo della ex Commissione Straordinaria, ci fosse una cellula niente affatto dormiente dedita a tenere accesa la fiaccola del Sol dell’Avvenire.

Ma anch’essa doveva avere un budget. Anche gli agenti «in sonno» mangiano e bevono. Forse è per questo che gli hanno scoperti: per risparmiare. Perché in tempi in cui Putin e Medvedev riaprono la Via della Seta per consentire alle truppe della Nato di portare armi e munizioni in Afghanistan, è assai improbabile che Fbi abbia scoperto da solo la cellula ex rossa. È più verosimile che gli abbiano fatto un regalo i dirimpettai di Mosca.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/201006articoli/56311girata.asp
Registrato
Arlecchino
Global Moderator
Hero Member
*****
Scollegato Scollegato

Messaggi: 7.763


Mostra profilo
« Risposta #1 inserito:: Luglio 20, 2016, 05:26:15 pm »

Turchia, non finisce qui
Di Giulietto Chiesa | 18 luglio 2016

Erdogan ha parato il colpo, ma “non è ancora sera”. Almeno nel senso preciso che questa crisi è molto più ampia di quanto faccia pensare il fulmineo disastro dei golpisti. I generali hanno fallito clamorosamente, sottovalutando, prima di tutto, la reazione popolare a loro avversa. Ma quello che è accaduto è, con ogni evidenza, l’inizio di una reazione a catena. Solo all’ultimo anello sarà possibile chiudere la resa dei conti.

Gli Stati Uniti, quelli ufficiali, sembrano colti di sorpresa. Ma è impossibile anche solo pensare che a Washington fossero all’oscuro di tutto. Comunque si capisce l’imbarazzo: un colpo di Stato militare in un paese della Nato, che ospita un centinaio di bombe atomiche, che ha il secondo esercito dell’Alleanza, è un colpo anche al prestigio del comandante in capo dell’Alleanza, cioè degli Stati Uniti.

Adesso ad Ankara e Istanbul regna di nuovo Erdogan, appoggiato da moltitudini islamiche che sono arrivate subito in suo soccorso. Ma il resto del paese è in subbuglio. In 17 province è in corso la guerra civile, contro i curdi. E’ apparso evidente che le opposizioni a Erdogan non hanno appoggiato il golpe dei militari. E il bombardamento del Parlamento è forse stato l’errore più grave commesso dai generali. Ma le opposizioni restano, anche dopo il golpe fallito. E solo un altro golpe, questa volta di Erdogan, potrebbe metterle a tacere.

E c’è un asfissiante isolamento internazionale di Erdogan. I guai commessi in Siria e l’appoggio a Daesh (con armi, istruttori, frontiere aperte ai jihadisti) sono venuti ormai allo scoperto; la gestione della crisi dei profughi ha aperto un vulnus grave anche con l’Europa; la rottura con la Russia dopo l’abbattimento del Sukhoi in territorio siriano, tutto questo ha contribuito a formare un’opinione internazionale ostile nei confronti di un leader che è apparso poco affidabile. Le stesse parole usate da Washington e dalla Merkel, dopo il golpe, sono state troppo formali per non essere notate come tali.

Il golpe, anche se vinto, non ha rafforzato la sua immagine. Erdogan sembra oggi più debole di prima. E’ un vincitore azzoppato.

Le precipitose e clamorose scuse pubbliche a Putin, il frettoloso ripristino delle relazioni diplomatiche con Israele (interrotte dopo lo scontro nel Mediterraneo della Mavi Marmara, in cui nove cittadini turchi furono uccisi dai servizi speciali israeliani), appaiono ora, a golpe terminato, come mosse affrettate di un leader privo di agganci sicuri. A Washington gli amici neocon che lo aiutarono a salire al potere sembrano avere cambiato idea. E il Dipartimento di Stato, insieme a Obama, non è certo entusiasta di questa Turchia, alleato “non allineato”.

Insomma Erdogan ha moltiplicato i nemici senza avere ottenuto vittorie decisive. E la guerra di Siria, al fianco di Daesh e dell’Arabia Saudita, è stata perduta. Doveva servire anche per imbrigliare le diverse fazioni curde, ma nemmeno in questo senso ha prodotto risultati.

Chi fossero i golpisti è ancora da vedere. Che il loro burattinaio sia stato il suo ex amico Fatullah Gulen, il predicatore che dirige la potente organizzazione Hikmet, e che vive negli Stati Uniti, ha tutta l’aria di un capro espiatorio di copertura. Se si volesse capirne di più basterebbe andare a rileggersi l’articolo che Michael Rubin pubblicò sul sito dell’American Enterprise Institute (Asi) lo scorso 31 marzo. Fin dal titolo, assai esplicito: “Ci può essere un colpo di Stato in Turchia?”.

L’Asi è il caposaldo principale dei neocon americani, della squadra di Bush Junior, quella che produsse il Pnac (Project for the New American Century) e, secondo le nuove ricostruzioni, patrocinò l’11 settembre. Michael Rubin è uno dei più influenti ispiratori attuali dell’Asi. Significativo che quell’articolo fosse un invito esplicito ai militari “kemalisti”. Se vi muoverete, era scritto a chiare lettere, non avrete nulla da temere né dagli Usa, né dall’Europa.

Ma l’articolo di Rubin era stato addirittura preceduto, il 10 marzo di quest’anno, da un altro articolo, questa volta sul Washington Post, a firma di due ex ambasciatori americani in Turchia (Eric Edelman e Mort Abramowits) che, rivolto direttamente a Erdogan, formulava un’alternativa secca: “You must reform or resign” (o fai le riforme o dimettiti).

Due campane a martello in meno d’un mese, solo quattro mesi fa. Probabilmente è in quella direzione che bisogna guardare se si vuole capire qualche cosa.

Resta il problema per tutta la Nato (inclusa l’Italia), che non può nascondere di avere un alleato decisivo sul quale, evidentemente, non è più sicura di poter contare. E l’Europa è nelle stesse acque, largamente dipendente da un partner infido e insicuro.

Si apre ora una fase convulsa e caotica, in cui Brexit, Nizza e il golpe turco definiscono, insieme, l’alto grado di incertezza in cui versa l’Occidente. Ora è chiaro che la crisi è qui e non — come il mainstream ha cercato di dipingercela — nei rapporti con la Russia di Putin. E si vede sempre di più.

Da - http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/18/turchia-non-finisce-qui/2912444/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=newsletter-2016-07-18
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!