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Autore Discussione: BENEDETTA TOBAGI Quella foto shock non aiuta Saviano  (Letto 2399 volte)
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« inserito:: Giugno 23, 2010, 05:48:55 pm »

IL CASO

Quella foto shock non aiuta Saviano

di BENEDETTA TOBAGI


IL PROSSIMO numero di Max pubblica in apertura una grande immagine di Roberto Saviano cadavere, steso su una barella da obitorio, con tanto di cartellino di identificazione legato all'alluce, ripreso di scorcio dai piedi. La figura evoca il Cristo morto del Mantegna e il celebre scatto sul Che Guevara ucciso.

Un titolo a caratteri cubitali recita: "Hanno ammazzato Saviano". Una piccola didascalia spiega: "Lo vorrebbero così senza vita, ridotto al silenzio. Ha molti nemici: i camorristi, Berlusconi, Fede, Borriello, Daniele Sepe... Ma la sua vita è già una condanna... La sua libertà e la nostra sono le sue parole".

Ma è un'immagine che non avrei voluto vedere. Osceno è, letteralmente, ciò che è, e deve rimanere, fuori scena, lontano dallo sguardo. Come i corpi dei morti, appunto: pietosamente coperti da lenzuoli, quando morti violente occorrono nella pubblica via. Conflitti drammatici intorno alla possibilità di dare una degna sepoltura ai corpi hanno animato tra le pagine più sublimi della letteratura greca: dall'Antigone di Sofocle, al supplice Priamo che si reca da Achille a reclamare il corpo dell'amato figlio Ettore. Il fatto che sempre più i media usino e abusino di immagini violente, non deve farci perdere di vista quello che dovrebbe ancora essere il senso comune della pietas.

Tutto questo, sulla pelle di un vivo.

Max rappresenta Roberto Saviano  -  un uomo di trent'anni, vivo, ma che da quattro vive penosamente sotto scorta, Click here to find out more! dunque assillato e accompagnato da un'ombra di morte  -  come se fosse già cadavere.
E qui, davvero, ogni limite, non solo di pietas, ma anche di buonsenso, è andato in pezzi. Questa provocazione diventa un termometro per misurare la febbre dei tempi. Mi vengono in mente le immagini scioccanti di uno dei film più ferocemente provocatòri sui mostri generati dalla società dello spettacolo: il musical All that jazz. Il protagonista, artista celebratissimo  -  alter ego del regista, Bob Fosse  -  è in punto di morte, steso sul lettino della camera operatoria mentre cercano di salvargli la vita con un'operazione a cuore aperto, e in montaggio parallelo scorrono le immagini di una asettica riunione di pescecani della produzione teatrale, che calcolano quanto potrebbero guadagnare se la superstar morisse... It's showtime folks! È la sinistra battuta con cui il protagonista, sempre più estenuato, si dà il buongiorno allo specchio.

"L'abbiamo fatto per Roberto", dicono. Per rispondere a chi cerca visibilità attaccandolo, a chi lo delegittima accusandolo di diffamare il Paese. Per ricordare che è prima di tutto un uomo sotto scorta. Minacciato. Privato della libertà e della serenità. Che meriterebbe rispetto. È una provocazione a fin di bene. Per ricordare che si tratta di un uomo in pericolo, ogni giorno.

Ma non basta vedere lo sciame di carabinieri che circonda Saviano ad ogni passo? Le lunghe e complesse operazioni di controllo e bonifica dei teatri, degli auditorium, delle piazze dove può incontrare il pubblico dei suoi lettori? Non bastano le dichiarazioni che Saviano stesso ha consegnato a numerosi articoli, interviste, da ultimo, a un documentario confessione? No, non basta. Il Moloch della comunicazione si abitua a tutto, anche alle reiterate minacce di morte: allora chi è più spregiudicato gioca al rialzo.

Ma in questo gioco  -  perverso  -  non si rende affatto un servizio a Roberto Saviano, uomo e scrittore. Si contribuisce infatti a schiacciarlo in un'immagine bidimensionale, un simbolo, un'icona. Si collude con chi lo tratta come un oggetto di marketing o di chiacchiere da salotto. Con chi snatura il senso del suo impegno cercando di trascinarlo nel ruolo di leader in pectore di una sinistra in crisi, a dispetto delle sue reiterate dichiarazioni. Lo si riduce a un ricettacolo di proiezioni, insomma  -  da adorare, o da abbattere, a seconda. Così, oltre che della libertà, Roberto Saviano viene privato della sua umanità e normalità, un pezzetto per volta. L'immagine, che simula la morte, consuma l'ultimo oltraggio, perché svuota la carne della carne. Lo svuotamento del simulacro è completo. Voilà, il martire è servito.

È un pessimo scherzo all'autore che si muove con fatica per un sentiero sottile e impervio: cercare di utilizzare la sua enorme popolarità e il suo indubbio carisma, per veicolare i contenuti di Gomorra e dei suoi contributi successivi. Iniziare il grande pubblico agli spietati meccanismi di dominio economico della criminalità organizzata, renderlo avvertito sui limiti di un contrasto solo militare alle mafie, o portare in prima pagina la vergogna del voto di scambio nelle regioni del sud, temi d'emergenza, solo per far qualche esempio.
L'immagine del giovane scrittore morto toglierà spazio a ciò che Saviano dice, scrive, ripete, a quelle parole pericolose a cui ha già sacrificato moltissimo. Sarebbe il caso di non renderglielo ancora più difficile.
 

(23 giugno 2010) © Riproduzione riservata
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 23, 2010, 05:50:00 pm »

IL CASO

Saviano e la foto all'obitorio "Speculazione di cattivo gusto"

Su Max in edicola venerdì una immagine che ritrare lo scrittore sul tavolo mortuario.

"Si specula cinicamente sulla condizione di chi vive protetto"


ROMA - "Trovo il fotomontaggio che mi rappresenta morto in obitorio di cattivo gusto". Così lo scrittore Roberto Saviano commenta la fotografia 1 che apparirà nel prossimo numero del mensile Max e che ritrae lo scrittore steso su una barella da obitorio con tanto di cartellino di identificazione legato all'alluce, ripreso di scorcio dai piedi.

Una postura - accompagnata dalla scritta 'Hanno ammazzato Saviano' - che riprende il Cristo di Mantegna e la famosa foto di Che Guevara morto.

"Un'immagine - commenta Saviano - utilizzata per speculare cinicamente sulla condizione di chi come me in Italia e all'estero vive protetto. Un'immagine profondamente irrispettosa per tutti coloro che per diversi motivi, spesso lontano dai riflettori, rischiano la vita. Tutta questa pressione sulla mia morte, poi, lascia sgomento me e la mia famiglia. Ad ogni modo rassicuro tutti: non ho alcuna intenzione di morire". 

(23 giugno 2010) © Riproduzione riservata
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