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Autore Discussione: Tutankhamon perse il regno per un cavallo  (Letto 2492 volte)
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« inserito:: Agosto 25, 2007, 05:34:00 pm »

25/8/2007 (9:1) - LA STORIA

Tutankhamon perse il regno per un cavallo
 
Risolto il giallo della morte: il faraone ucciso in un incidente

MARCO ZATTERIN


Un nitrito e poi il colpo mortale. Tutankhamon è stato ucciso da un cavallo, centrato in pieno torace dallo zoccolo dell'animale imbizzarrito che gli ha sfondato lo sterno, frantumato numerose costole e l’ha fatto volare a parecchi metri di distanza, provocandogli con l'impatto al suolo anche la rottura del femore sinistro. Non deve essere spirato all’istante, la gamba ha fatto in tempo a infettarsi. L'agonia potrebbe essere stata lunga, dolorosa come il resto della vita del faraone fanciullo, diciannovenne di appena 55 chili, pochi per il metro e 70 di altezza, un peso sotto la norma spiegato da qualche difformità congenita, forse la sindrome di Klippel-Feil, che lo costringeva all'uso del bastone per ovviare alla fusione delle vertebre cervicali. Una fine ingloriosa per una vita da disabile, un destino beffardo per il re che più ha segnato la storia della riscoperta dell'Antico Egitto.

L'egittologo americano W. Benson Harer Jr. non ha dubbi che sia andata così. Dopo un esame della tomografia assiale computerizzata effettuata a inizio 2005 è certo di aver risolto il mistero della scomparsa di Tut. Non fu omicidio, come teorizzato dal collega statunitense Bob Brier, che ha visto nelle tracce di frattura alla nuca del faraone un colpo inferto da un sicario inviato dal potentissimo sacerdote Ay che gli succedette sul trono. Non si trattò di un incidente di caccia, tesi sostenuta da chi legge nel petto fracassato i segni dell'urto di un carro, e nemmeno fu vittima di un'infezione seguita alla frattura dell'arto inferiore o alla somministrazione di un veleno. L'assassino fu un essere in carne e ossa, tuttavia il delitto non è volontario: la bestia non sapeva di uccidere e non sapeva chi stava uccidendo.

Gli enigmi si susseguono nella biografia dell'unico faraone di cui gli archeologi hanno trovato una tomba ricca e inviolata. Sembra uno scherzo del destino eppure è proprio dalle anomalie che nasce la tesi del metodico Harer, a lungo professore di egittologia alla California State University e ordinario di Ostetricia alla Western University Health Sciences di Pomona. I risultati delle sue ricerche, pubblicati nella britannica «Minerva Magazine», trovano terreno fertile nell'insolita procedura di mummificazione adottata per Tut. «Non avevo mai visto nulla di simile», confessa lo studioso.

Sebbene le tecniche di imbalsamazione praticate lungo il Nilo siano cambiate nei secoli, il trattamento riservato ai faraoni del Nuovo Regno è piuttosto omogeneo. Si estraeva il cervello dal naso; il fegato, lo stomaco e l'intestino erano prelevati attraverso un taglio nel fianco sinistro; il cuore restava al suo posto, mentre le braccia venivano incrociate sul petto per simboleggiare la maestà. Con Tut la prassi è rivoluzionata. La cassa si presenta svuotata; gli imbalsamatori hanno sgombrato il ventre con un inedito taglio a sinistra dell'ombelico. Curiosamente, hanno segato maldestramente le costole e colmato il petto con bende di lino in modo da ripristinare le dimensioni originali, rimuovendo la cute nella regione. Gli arti superiori sono congiunti, ma in basso, sull'addome. Perché?

«Avevano a che fare con un corpo lacerato e un torso sfondato», risponde Harer. La gamba rotta, di per sé, non sarebbe stato un problema. L'insieme, però, doveva essere devastato. Per questo, dopo aver avviato la procedura tradizionale, hanno deciso di asportare il cuore e i polmoni, troncando le ossa. Ricomposta la salma, hanno protetto il torace con pettorine di perle e altri gioielli. Strano che Howard Carter, lo scopritore della tomba di Tut, non risulti aver notato la cosa durante l’autopsia nel 1925.

Emerge dunque l'esigenza di violare gli schemi per comporre una mummia a cui devono tutti gli onori e del resto era il faraone del ritorno al politeismo, il probabile figlio di Akenathon, il sovrano che voleva un solo dio. «Le braccia furono disposte sotto il torace, forse per timore che la vicinanza con una ferita mettesse in pericolo la vita ultraterrena di Tut», spiega Harer. Per completare il processo, la prima vertebra cervicale fu separata dal cranio e ricongiunta con la resina, dopo che il cervello era stato fatto transitare nel foro occipitale. Un lavoro di fino.

Davanti a questo travaglio ben illustrato dalla Tac del 2005, l'egittologo americano certifica che la causa principale della morte fu lo sfondamento del torace. Così esclude la possibilità che il decesso sia collegato ai segni di ispessimento nel collo e ai frammenti ossei trovati in cui taluni, fra cui Brier, intravedono una frattura alla nuca: doveva essere precedente, se non congenita. Addio congetture delittuose. Tut fu vittima di un incidente. Ma quale?

Harer scarta l'ipotesi di scuola del carro da caccia. «L'altezza dell'asse dei sei carri del re è inferiore ai 50 centimetri», scrive su «Minerva Magazine». Troppo poco per colpire un metro più su. E se l'uomo fosse stato travolto dal mezzo, i segni sarebbero stati differenti. Una botta così isolata doveva avere altre origini. Un animale, pertanto. «E' improbabile che ci sia stata una causa diversa per il trauma toracico, se non un calcio di un cavallo», sentenzia l'americano. Il giallo, a suo avviso, si risolve così. Forse, viene da aggiungere. Due anni fa il soprintendente alle Antichità del Cairo, Zahi Hawass, ha letto la Tac e detto che ,Tutankhamon non è stato ucciso, né tanto meno è morto di morte violenta». Conoscendo la sua ortodossia, c'è da aspettarsi che la tesi di Harer avrà vita dura. Per il Faraone fanciullo continua a non esserci pace.

da lastampa.it
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