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Autore Discussione: PERCHE' CHESNEAUX RESISTE?  (Letto 2252 volte)
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« inserito:: Agosto 27, 2007, 10:28:52 am »

PERCHE' CHESNEAUX RESISTE?

ADDIO A UN INTELLETTUALE ENGAGEE -  24/8/07

Jean Chesneaux, professore emerito all'Università Paris-VII e directeur d’études a l'École des hautes études en sciences sociales, è morto il 23 luglio a 85 anni.

La sua ultima opera è stata “L’Engagement des intellectuels, 1944-2004”.

Ma non era semplicemente un intellettuale engagée

Emanuele Giordana



Venerdi' 24 Agosto 2007

Negli anni della guerra del Vietnam furono in molti a chiedersi come poteva resistere all'urto della più grande potenza mondiale un piccolo paese con qualche milione di contadini poveri e per lo più diviso a metà. Come poteva resistere e come fece a vincere, alla fine, quella guerra? La storiografia americana ha tentato molte risposte e, accanto a quella ovvia che attribuiva a Urss e Cina il ruolo di grandi padrini dei vietnamiti (questi ultimi assai meno tanto che fecero poi guerra ad Hanoi), ha cercato di analizzare in le difficoltà militari statunitensi, le errate scelte strategiche, il peso di un'opinione pubblica che bruciava le cartoline. Ma la risposta vera, che riguardava la capacità di resistenza dei vietnamiti, restava inevasa e, per certi aspetti, ancora lo è per gli storici della parte che quella guerra ha perso, con una certa ignominia, nel 1975. Ma uno storico francese di buone letture marxiste la risposta l'aveva già tentata negli anni Sessanta e, se si toglie quel velo ideologico e un po' militante che, in quegli anni, sfiorava anche il più equilibrato degli intellettuali, “Perché il Vietnam resiste” di Jean Chesneaux divenne un classico assai popolare proprio perché era il primo frutto storico occidentale (i vietnamiti avevano i loro storici come Le Than Koi per citare il più noto) a porre la domanda indagando i motivi dalla parte di chi la guerra stava maggiormente subendo.

Le analisi di Chesenaux, di cui in Italia sono noti altri classici sull'oriente (ad esempio “L'Asia orientale nell'età dell'Imperialismo”), prendevano in considerazione il popolo come soggetto e ne analizzava i percorsi non sempre e per forza rivoluzionari. Studiava cioè quello che adesso chiameremmo la parabola del consenso e che allora si chiamava semplicemente analisi della lotta di classe. In Italia operazioni simili avevano prodotto saggi molto interessanti (“Proletari senza rivoluzione” ad esempio) e insomma c'era il tentativo di capire perché ad un certo momento qualcuno è disposto a morire per un ideale dove si fondono identità, nazionalismo, crampi allo stomaco. Ma Chesenaux non si accontentava di riscrivere la storia degli umili: illuminanti certi passaggi sul ruolo delle leadership nazionaliste monarchiche asiatiche che si opponevano al potere coloniale disposte a immolarsi correndo verso il nemico che aveva i fucili con la solo forza della spada. Ma anche lì ad esempio mancava la costruzione del consenso, la scintilla che può trasformare una ribellione in una guerra di liberazione.

Chesenaux ha continuato a scrivere (in Italia su il manifesto) e a produrre analisi che arrivano ai giorni nostri. E' stato tra i ricercatori grazie ai quali oggi riusciamo a capire meglio, pur nella confusione del post guerra fredda, perché certe cose non funzionano e perché in Iraq, per fare un esempio vicino, o in Afghanistan, si perdono guerre nelle quali la potenza militare conta ormai sempre di meno. Il grande dibattito, per chi non lo vuole ignorare, è oggi sul “consenso” la cui costruzione e conservazione, passa attraverso nuovi strumenti nei quali il Corano ha sostituito il libretto rosso o il Capitale. “Buona” o “cattiva” che sia la “resistenza”, la cosa più importante sta nel capire perché c'è.

da lettera22.it
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