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Autore Discussione: «Se il rigore tedesco segnerà la ripresa vuol dire che Keynes è superato»  (Letto 3309 volte)
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« inserito:: Giugno 20, 2010, 09:53:46 pm »

«Se il rigore tedesco segnerà la ripresa vuol dire che Keynes è superato»

di Giuseppe Chiellino

Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2010 alle ore 20:21.

   
«Se il risanamento dei conti pubblici si dimostrerà la via maestra per la ripresa e una crescita rapida, allora potremo anche seppellire Keynes una volta per tutte. Se al contrario i mercati finanziari e i loro portabandiera politici si riveleranno degli "asini matricolati" come pensava Keynes, allora bisognerà prendere di petto la sfida, che rappresenta per il buon governo, il potere finanziario».

È questo «l'importantissimo esperimento, per capire quale delle due storie sia vera» nel quale l'economia globalizzata e i governi si stanno imbarcando secondo Robert Skidelsky, professore emerito di economia politica all'università di Warwick, di cui Il Sole 24 Ore in edicola sabato pubblica una riflessione sull'influenza che i mercati finanziari esercitano sui governi. Il dibattito tra economisti, rilanciato dal Sole 24 Ore sul web e sulla versione cartacea, divide le opinioni. Il confronto è soprattutto tra coloro che ritengono che i tagli alla spesa pubblica messi in atto dai governi europei nelle ultime settimane siano indispensabili per riconquistare la fiducia dei mercati e quindi per rilanciare gli investimenti e la crescita e chi, al contrario, ritiene - come Keynes - che qualsiasi taglio della spesa si traduca nell'impoverimento della società. Il "parodosso della parsimonia".

Con questi ultimi si schiera senza esitazioni Giovanni Mazzetti, uno dei 100 firmatari della Lettera degli economisti e professore associato di economia politica all'università della Calabria. «Credo che le prospettive future siano molto peggiori del "double-dip"» afferma ponedosi su posizioni ancora più estreme e pessimistiche di quelle espresse nella lettera sottoscritta insieme a un centinaio di altri colleghi. «Considero i tagli di spesa non come causa dei problemi futuri - afferma Mazzetti - ma solo come sintomo di una situazione ormai indirizzata verso la catastrofe. L'attività produttiva è sostenuta dalla spesa pubblica e questa si può tagliare solo se c'è la certezza che subentrerà la spesa privata. Ma chi, oggi, può essere certo di ciò? Come in una giaculatoria, si fa appello alla crescita per superare la crisi e risolvere i problemi dei bilanci pubblici. Ma la crescita non si ottiene con pratiche divinatorie: dipende dalla spesa. Keynes lo aveva detto già 80 anni fa : "La spesa di un individuo è il reddito di un altro individuo". Senza spesa non c'è la creazione del lavoro che manca o la riproduzione del lavoro che c'è già».

Di opinione completamente opposta è Francesco Daveri economista de LaVoce.info, professore ordinario di politica economica all'Università di Parma e docente al master della Sda Bocconi. «Non sono così pessimista. La lettera dei 100 economisti contiene elementi keynesiani fuori luogo. Per esempio non tiene conto che alcuni paesi hanno rapporti debito/pil superiori al 100 per cento. Gli aggiustamenti delle finanze pubbliche andavano fatti. La Germania avrebbe potuto evitare i tagli in questa fase, in contemporanea con gli altri paesi. Il problema è che Angela Merkel, con la coalizione che si è spostata a destra, ha dovuto cedere al tema tradizionale del rigorismo a cui il suo elettorato è molto sensibile, e ha in qualche modo rinunciato all'eredità europeista del suo padre politico, Helmut Kohl».

La Merkel dunque ha tradito l'europeismo di Kohl? «Non sarei così drastico. È difficile oggi chiedere di più alla Germania. Kohl era più disponibile alle richieste dei partner europei perché lui stesso aveva qualcosa da chiedere, impegnato com'era nella riunificazione. Oggi non è così e la Merkel può permettersi di indicare la strada al resto dell'euro zona: il recupero di competitività verso il resto del mondo perchè è lì fuori che c'è il mercato, lì c'è il futuro. In questo la Germania dimostra di essere lungimirante.

Per il resto d'Europa, secondo Daveri, rinviare gli aggiustamenti di bilancio «significherebbe fare una politica dello struzzo». Inoltre, gli effetti di questa 'exit strategy', in presenza di una politica monetaria espansiva e del deprezzamento dell'euro, secondo l'economista «non saranno così negativi come temono alcuni. Inoltre - aggiunge - non abbiamo alcuna certezza che tra un anno o due la situazione dell'economia sarà migliore tanto da permettere un risanamento più agevole delle finanze pubbliche. I tagli fatti oggi, invece, possono consentire alla zona euro di riconquistare la fiducia dei mercati finanziari. È vero che la ripresa in questa fase passa soprattutto dall'export, ma il recupero di fiducia attraverso una gestione più ordinata dei bilanci pubblici crea senza dubbio un clima favorevole agli investimenti».

©RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2010-06-18/keynes-seppellire-vista-lunga-192700.shtml?uuid=AYRh6gzB
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« Risposta #1 inserito:: Giugno 20, 2010, 09:55:11 pm »

Il governo tedesco: «scelta votata all'unanimità dai capi di stato e di governo europei»

Il premier: "Tassa su transazioni ridicola" La Germania: "L'ha approvata anche lui"

Berlusconi annuncia di aver messo il veto sulla tassazione delle transazioni finanziarie decisa dalla Ue


MILANO - Botta e risposta tra il governo tedesco e il premier italiano Silvio Berlusconi. Oggetto del contendere la proposta di una tassa sulle transazioni finanziarie fatta propria dal Consiglio europeo. «Credo di aver reso un buon servizio al mio Paese e anche all'Europa con il veto sulla tassa sulle transazioni finanziarie», una proposta che il presidente del Consiglio nel corso di una telefonata durante il convegno dell’associazione del Pdl "Liberamente", ha definito «ridicola». A giudizio del premier questa imposizione «se fosse stata approntata solo dall'Unione Europea e non dagli altri grandi Paesi avrebbe spostato negli Usa e in altri Paesi» la mole delle transazioni finanziarie internazionali.

LA REPLICA TEDESCA - Tutti i paesi Ue hanno convenuto sulle conclusioni del Consiglio europeo di giovedì scorso, incluse quelle relative alla proposta di una tassa europea sulle transazioni finanziarie: così ha replicato un portavoce del governo tedesco commentando le dichiarazioni del presidente del Consiglio. «Le conclusioni sono state approvate da tutti i capi di Stato e di governo del Consiglio europeo», ha detto all'Ansa il portavoce. Da parte sua, il portavoce ha fatto riferimento in particolare al punto 16 delle conclusioni del vertice di Bruxelles sulla proposta della tassa Ue sulle transazioni finanziarie. Secondo quanto si legge in questo paragrafo, il «Consiglio europeo conviene sulla necessità che gli Stati membri introducano sistemi di prelievi e tasse a carico degli istituti finanziari per assicurare un'equa ripartizione degli oneri e stabilire incentivi volti a contenere il rischio sistemico». L'unico paese che «si riserva il diritto di non introdurre» queste misure è la Repubblica ceca, come riportano le conclusioni del Consiglio europeo e fanno notare fonti del governo tedesco. Il portavoce del governo tedesco ha inoltre fatto riferimento al punto 17 delle conclusioni del Consiglio europeo, relativo alla proposta di tassare le operazioni finanziarie. In particolare, l'articolo 17 sottolinea la necessità di «esplorare e sviluppare ulteriormente» l'eventuale introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie su scala mondiale. «La risposta dell'Unione alla crisi deve continuare ad essere coordinata a livello globale per assicurare la coerenza delle misure sul piano internazionale. Le iniziative attualmente adottate dall'Unione per rilanciare la competitività, risanare i conti pubblici e riformare il settore finanziario le consentiranno di prendere posizione con forza a favore di azioni analoghe a livello internazionale al prossimo vertice G20», recita l'articolo 17. L'Ue «dovrebbe guidare gli sforzi volti a stabilire un approccio globale all'introduzione di un sistema di prelievi e tasse a carico degli istituti finanziari nella prospettiva di mantenere una parità di condizioni su scala mondiale e difenderà con vigore questa posizione di fronte ai suoi partner del G20», prosegue. «In tale contesto si dovrebbe esplorare e sviluppare ulteriormente l'opportunità di introdurre un prelievo sulle operazioni finanziarie a livello mondiale», termina così l'articolo delle conclusioni del Consiglio europeo.

Redazione online
20 giugno 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/economia/10_giugno_20/berlusconi-germania-tassa-transazioni-finanziarie_a1408364-7c92-11df-bd5b-00144f02aabe.shtml
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« Risposta #2 inserito:: Agosto 04, 2010, 07:40:49 pm »

Berlino gigante dalle banche d'argilla

di Carlo Bastasin

Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2010 alle ore 13:40.

 
L'euro-tsunami sembra rientrare. Ma nel corso degli ultimi nove mesi la grande onda della crisi ha fatto a tempo a modificare profondamente il panorama europeo e gli equilibri di potere. I paesi dell'euro-area hanno dimostrato più volontà politica nel risolvere la fase acuta d'inizio maggio di quanta il mercato e gli analisti non europei supponessero. I governi hanno reagito con misure di correzione fiscale che stanno dando buoni risultati. In Spagna ci sono segni positivi anche dal lato del disavanzo con l'estero. In Grecia alcuni dati fiscali sono più incoraggianti del previsto. Nell'ultima settimana le aste dei titoli pubblici di tutti i paesi critici, perfino dell'Ungheria ai bordi dell'euro, hanno registrato una domanda maggiore dell'offerta. Da ormai un mese c'è fiducia nell'euro.

Tuttavia la crisi ha anche mostrato che la volontà politica mossa in extremis dall'emergenza finanziaria non basta. Le differenze reali e strutturali nelle economie sono diventate evidenti. I divari di competitività sono profondi e incidono sulla sostenibilità dei debiti. Così i rendimenti dei titoli pubblici, che prima della crisi stavano uniformandosi in tutta la zona euro, sono destinati a rimanere più ampi. L'euro-area si è consolidata e al tempo stesso dispersa: la Germania si è dimostrata l'unico paese rifugio, i cui tassi d'interesse scendono durante le crisi mentre quelli degli altri aumentano. Non c'è dubbio che la leadership di Berlino sia diventata anche politica. Ancor più determinata ad accumulare risparmio, e inevitabilmente a reinvestirlo all'estero, la Germania gode più di prima di un elemento strutturale che le consente di giocare il ruolo di arbitro delle sorti economiche europee.
Grazie alla propria disciplina fiscale e al surplus con l'estero, in caso di crisi futura (e l'eventualità sarà d'ora in poi incorporata in tutte le previsioni sull'Europa), Berlino sarà in grado di guardare con distacco alla rincorsa disperata degli altri paesi, pressati dai mercati delle obbligazioni pubbliche a convergere economicamente - e quindi politicamente - verso la Germania. Già ora è evidente: quando Berlino ha dettato i tempi dell'exit strategy fiscale, tutti hanno dovuto adeguarsi. La crisi in sostanza ha spostato il baricentro politico europeo da Bruxelles a Berlino. Ma la storia di questa crisi legittima realmente una leadership tedesca tanto forte?

La svolta della crisi è certamente venuta con l'annuncio degli stress test sulle maggiori banche europee. I grafici dei differenziali dei tassi dimostrano che quel passaggio, accelerato da Madrid, ha invertito la divergenza tra i paesi e di fatto ridotto sia la causa sia i sintomi della crisi. A ben vedere, però, proprio gli stress test hanno raccontato una storia poco rassicurante sul sistema bancario tedesco. Senza aiuti diretti dello stato nell'ordine di 50 miliardi di euro, alcune delle Landesbanken e la Commerzbank (che da sola aveva ricevuto 16,4 miliardi) non avrebbero superato gli stress test, così com'è avvenuto alla Hre. Su alcune Landesbanken pesa tuttora il dubbio di una contabilità troppo generosa ammessa dalla vigilanza tedesca. Fino a inizio di luglio si parlava di almeno tre banche - non quindi della sola Hre - destinate a fallire il test.
Il successivo distacco dagli accordi di Basilea 3 della Germania, unico paese a non sottoscrivere una definizione per altro molto debole di capitale, rafforza la sensazione che il sistema bancario tedesco rappresenti il lato oscuro del successo economico tedesco. I fondi ricevuti dagli azionisti pubblici, "Stille Einlagen" non sarebbero considerati come Tier1, capitale primario, secondo i nuovi criteri di Basilea. Per le Volksbanken inoltre sono state ammesse definizioni di capitale che non sarebbero pienamente giustificate e questo è avvenuto perché i negoziatori tedeschi sono riusciti a tutelare a Basilea le forme giuridiche delle Casse di Risparmio, delle Volksbanken e delle Raffeisenbanken.

Anziché cogliere la crisi come opportunità per riformare il proprio sistema finanziario, le autorità politiche e regolatorie tedesche ne hanno approfittato per rafforzarne le difese e le peculiarità. Il sistema bancario tedesco, non solo pubblico, è una ben rodata catena di trasmissione tra politica ed economia dei quali assorbe alcuni costi e inefficienze. Nel bene e nel male, le banche tedesche facilitano il governo del territorio da parte di amministratori non sempre efficienti e al tempo stesso agevolano le trasformazioni industriali evitando che esse diventino traumatiche per la società. Ma la bassa redditività che emerge dai bilanci bancari tedeschi non è solo il "costo" del modello sociale tedesco - dimostratosi per tutto il resto il più efficiente di tutti - ma è stato in passato anche la ragione degli investimenti di portafoglio in titoli molto rischiosi.
Ora che gli investimenti in titoli subprime sono improponibili, le banche tedesche hanno una nuova possibilità di compensare la scarsa redditività dell'attività di credito. Si possono infatti finanziare a basso costo per reinvestire in titoli sovrani della periferia dell'euro-area sulla cui stabilità Berlino ha di nuovo il pieno controllo attraverso un sistema rafforzato di sanzioni europee e attraverso il proprio surplus di risparmio. L'aumento del differenziale d'interessi tra i paesi dell'euro - anche a crisi passata - garantirà al sistema - non solo bancario! - tedesco un vantaggio competitivo rispetto agli altri paesi dell'euro-area condizionando il funzionamento del mercato unico.

Il tema degli investimenti esteri delle banche tedesche è così delicato che sei istituti si erano rifiutati di comunicare subito le loro posizioni in titoli pubblici esteri e solo lunedì scorso, unici dei 91 istituti soggetti a stress test, hanno fornito l'informazione (Deutsche Bank, Landesbank Berlin, Hypo Real Estate, DZ Bank, WGZ Bank, e Deutsche Postbank oltre ad ATEBank l'unica banca greca ad aver fallito il test). Deutsche Bank aveva i titoli sovrani nei portafogli di trading e quindi contabilizzati con il criterio del "mark to market", non c'era quindi alcuna ragione di non essere trasparente se non la volontà di non esserlo e forse di non rivelare i trasferimenti di titoli effettuati (testimoniati dalla volatilità delle posizioni da un trimestre all'altro). Il sospetto inoltre è che alcune banche abbiano scaricato i titoli greci nel portafoglio della Hre, già affidata all'aiuto statale.
La giustificazione che si ascolta a Berlino è che, seppur forse poco trasparenti, le pratiche tedesche non gravano sui bilanci degli altri paesi, mentre i francesi starebbero pulendo i portafogli delle loro banche scaricando i titoli critici sulla Bce. Fonti vicine alle banche tedesche parlano di titoli per decine di miliardi di euro scontati dalle maggiori banche francesi presso la Bce. Se così è, a maggior ragione la risposta tedesca dovrebbe essere quella di chiedere più trasparenza. Non meno. La leadership tedesca in Europa è un fatto, ma il suo esercizio può avvenire solo tutelando l'Europa stessa, il suo mercato interno e l'aperto scambio di informazioni. In caso contrario la leadership durerà poco, perché durerà poco l'Europa.

cbastasin@ilsole24ore.com
http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2010-08-01/berlino-gigante-banche-argilla-080055.shtml?uuid=AYsFQ9CC
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