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Autore Discussione: FRANCESCA PACI - Berlusconi a Tripoli dopo Sofia - (CON QUALE DISEGNO?).  (Letto 2910 volte)
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« inserito:: Giugno 13, 2010, 08:56:47 am »

13/6/2010 (6:25)  - RETROSCENA

Berlusconi a Tripoli dopo Sofia

Ma è giallo sul blitz in Libia

Oggi Berlusconi è atteso in Bulgaria
   
Il premier potrebbe avere avuto un ruolo nella liberazione di un ostaggio svizzero

FRANCESCA PACI

Se oggi pomeriggio il premier Silvio Berlusconi atterrerà davvero a Tripoli - perché come avvertono fonti di Palazzo Chigi «con la Libia fino all’ultimo non si sa mai» - sarà questione di routine, una delle numerose consultazioni da tempo in corso tra i due governi. Almeno ufficialmente.

Mentre infatti il programma protocollato della visita prevede che i due capi di Stato discutano della preparazione del G8, del G20 e soprattutto del 30 agosto prossimo, ex giornata dell’odio contro gli italiani trasformata in ricorrenza dell’amicizia, voci di corridoio suggeriscono che la sortita di Berlusconi abbia motivazioni diplomatiche assai più circostanziate. Certo, c’è la storia dei tre pescherecci battenti bandiera tricolore intercettati e fermati dai libici, ma si tratta di normale amministrazione. Nulla a che vedere comunque con il destino dell’imprenditore svizzero Max Goeldi sul cui rilascio, atteso per questa sera, il primo ministro italiano potrebbe avere un’influenza determinante.

Il condizionale a questo punto è d’obbligo. Di certo c’è solo la presenza a Tripoli di Micheline Calmy Rey e Miguel Angel Morations, rispettivamente ministro degli esteri elvetico e spagnolo, con la missione di risolvere la vicenda che contrappone Berna a Muammar Gheddafi dal 2008, quando Hannibal Gheddafi, uno dei figli del colonnello, fu arrestato a Ginevra con l’accusa d’aver maltrattato due domestici. In cambio dovrebbe essere rilasciato Max Goeldi, l’uomo d’affari svizzero condannato l’11 febbraio scorso a quattro mesi di detenzione per violazione della legge sull’immigrazione.

E Berlusconi? Come s’incastra la deviazione dal viaggio di ritorno da Sofia nel complicato puzzle geopolitico euro-mediterraneo? Non è un mistero che da quelle parti la sua parola sia piuttosto ascoltata: perché non spenderla in un caso delicato come questo? Da mesi Spagna e Germania mediano per raggiungere un accordo. Ma mentre la Libia continua a subordinare il rilascio di Goeldi all’istituzione di un tribunale che si pronunci sulla legalità del procedimento contro Hannibal, nessuno ha dimenticato il summit della Lega araba a Sirte, quando il premier italiano giocò un ruolo decisivo nello sblocco della crisi dei visti tra Tripoli e l’Unione Europea. Nonostante il lavoro delle diplomazie di Berlino e Madrid restava in piedi la barriera con la Svizzera e oggi, in prossimità dell’epilogo, è meglio assestare una vigorosa spallata in più.

Storia o leggenda, a credere all’intercessione provvidenziale di Berlusconi è l’Airl, l’associazione degli italiani rimpatriati dalla Libia, che ieri ha tuonato contro la disponibilità del nostro premier «a prendere in consegna il cittadino svizzero in cambio di chissà quali contropartite del governo elvetico». La presidente Giovanna Ortu non usa mezzi termini: «E' una vicenda che trascende le nostre povere cose e sarà certamente occasione d’un nuovo scambio di effusioni tra Berlusconi e Gheddafi in vista della visita del leader libico in Italia il 30 agosto».

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201006articoli/55880girata.asp
« Ultima modifica: Giugno 15, 2010, 04:27:03 pm da Admin » Registrato
Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Aprile 20, 2011, 04:38:04 pm »

20/4/2011

Libia, un mese dopo

A CURA DI FRANCESCA PACI

Quattro domande per un dibattito

1. Visto come ci siamo impelagati in Libia, era giusto o sbagliato intervenire?
2.Come valuta il comportamento di Francia, Stati Uniti e Italia?
3.Abbiamo finalmente capito chi sono i ribelli?
4.Come finirà la guerra? Il Colonnello Gheddafi sarà cacciato?


"L’errore è stato pensare a una rivoluzione vera"
BORIS BIANCHERI
1. Abbiamo commesso un serio errore iniziale nell’aver sottovalutato il fatto che non ci trovassimo di fronte a una rivoluzione a carattere orizzontale come quella tunisina o egiziana, con larghi strati della popolazione insoddisfatti e un’élite liberale che a un certo punto prende la guida della protesta contro il potere. In Libia il modello è verticale: c’è una parte della Libia che sfida l’altra al potere.
2. La Francia ha valutato le circostanze tali da consentire l’intervento convinta, erroneamente, che l’insurrezione facesse lievitare le élite anche grazie all’apporto dell’esercito. Gli Stati Uniti e l’Italia hanno ritenuto di non potersi sottrarre all’iniziativa, sarebbe stato come dissociarsi da un intervento umanitario e politico mandando il messaggio d’una frammentazione dell’Occidente. La Casa Bianca in particolare era molto riluttante ma poi ha ceduto alle pressioni del Dipartimento di Stato e della Difesa, l’Italia aveva un’eredità difficile in Libia per cui ha scelto di non essere in primo piano ma neppure assente.
3. Non credo. Sappiamo che sono in Cirenaica, che alcuni di loro appartengono a clan un tempo vicini a Gheddafi, che altri sono in buona fede e ritengono la rivolta l’unica via per una Libia unita e democratica. L’unica cosa certa è che nella base popolare domina la componente verticale Cirenaica contro Tripolitania.
4. Ora che la guerra si sta rivelando diversa da come si pensava è chiaro che dovrebbe finire diplomaticamente. Ma perché ciò accadesse servirebbe negoziare con le due parti avendo tutte le carte in mano. Vale a dire cercare un compromesso formale per l’uscita di scena di Gheddafi con un governo di transizione che comprendesse figure garanti per la Tripolitania. Ha il comando Nato la capacità di imporre condizioni ad entrambi gli schieramenti? E’ difficile orientare la fine della partita quando non si hanno tutte le carte per giocarlo.


"Solo se il Raiss cade potrà finire la guerra"
MARTA DASSU'
1. Gheddafi ha compiuto un errore di calcolo decisivo: minacciando di radere al suolo Bengasi ha reso inevitabile un intervento esterno. Ma un intervento che può essere giusto - e giustificato per ragioni umanitarie - diventa sbagliato quando non sono chiari gli obiettivi politici, quando il mandato Onu è ambiguo e la coalizione sulla carta è diversa da quella che combatte. Ora è essenziale che si faccia ciò che si è promesso: proteggere i civili e dare ai libici la possibilità di costruirsi un nuovo Stato. Il che significa intanto fermare Gheddafi, a cominciare da Misurata.
2. Sarkozy ha deciso di giocare una sua partita rivendicando la leadership della Francia. Quando oggi Parigi si lamenta di essere stata «lasciata sola», ha un po’ ciò che merita. Obama è stato tirato per i capelli e il Pentagono era contrario: l’America, impegnata in due guerre, non ha risorse da sprecare in una crisi non è ritenuta centrale per i propri interessi, così si è ritagliata solo un ruolo di supporto. Ma gli europei, senza le capacità militari americane, non sono in grado di cavarsela. L’Italia aveva molto da perdere e poco da guadagnare dalla guerra. Sta difatti accadendo.
3. Certo, esistono nomi e cognomi. Jalil, ieri a Roma, è stato ministro della Giustizia di Gheddafi fino a febbraio. Rappresenta gli esponenti del vecchio regime passati all’opposizione. Si aggiungano i diplomatici che hanno defezionato o Moussa Khoussa, ex Ministro degli esteri. Poi c’è l’ala giovane della rivolta di Bengasi, di cui è simbolo Fathi Tirbil, avvocato e attivista dei diritti umani: è stato il suo arresto a scatenare le proteste. Infine gli eredi della resistenza in Cirenaica. Ma la coalizione di Bengasi, riconosciuta da vari governi, potrà mai guidare la Libia? Lo stallo militare rafforza i dubbi: la spartizione della Libia, tra Tripolitania e Cirenaica, è un rischio da evitare.
4. La guerra sarà finita, si dice, quando Gheddafi uscirà di scena.


"Non intervenire sarebbe stato peggio"
VITTORIO EMANUELE PARSI
1. Il criterio di opportunità politica e di legittimità non ha nulla a che vedere con le modalità dell’azione intrapresa dalle Nazioni Unite, che data la situazione sul terreno era doverosa. Per quanto abborracciato sia stato l’intervento in Libia, le conseguenze di un non-intervento sarebbero state assolutamente peggiori.
2. La Francia ha il merito di aver reso tempestivo l’intervento e la colpa di aver preteso una leadership che nessuno aveva voglia di riconoscerle, rendendo di conseguenza più complicata l’intera iniziativa. L’Italia ha giocato molto bene all’inizio, considerate le pessime carte che aveva in mano, a partire dai rapporti tra Gheddafi e il premier Silvio Berlusconi, ma sta dando pessima prova di sé nella vicenda collegata ai migranti con l’incomprensibile storia della concessione dei permessi temporanei. Gli Stati Uniti hanno mostrato una grave timidezza nella leadership che è stata poi all’origine degli errori francesi. La titubanza decisionale americana rappresenta un gigantesco problema.
3. No, fino in fondo non sappiamo chi siano. Ma non è importante: guai se pensassimo di armare chi non sappiamo. Ma finché non li armiamo... Comunque, come in Egitto e Tunisia, tra i ribelli libici non c’è un’egemonia dei radicali né ci sono infiltrazioni di Al Qaeda. Di certo un non-intervento avrebbe reso più forti gli estremisti.
4. La guerra non finirà presto. Le campagne aeree da sole non spostano molto il vantaggio a meno che non siano associate alla minaccia di un’invasione da terra, come in Kosovo. Nel caso libico per ora non è prevista questa eventualità. Credo che alla fine Gheddafi se ne andrà, non recupererà più tutta la Libia, ma ci vorrà del tempo. Certo, non mi fisserei più di tanto sul processo, basterebbe che se ne andasse.


"Ormai non possiamo più tirarci indietro"
LUCIA ANNUNZIATA
1. Era giusto intervenire ma, come sempre avviene nel caso di interventi umanitari, sono stati fatti errori di sottovalutazione della situazione. Voglio dire che non si aveva alcuna conoscenza realistica della forza dei ribelli né della capacità di reazione di Gheddafi.
2. La Francia è colpevole di aver fatto precipitare tutto verso il baratro quasi inevitabile data l’impreparazione. C’è una storia che circola tra i ribelli di Bengasi e tra i libici fuoriusciti secondo cui la Francia era pronta a un colpo di Stato interno per rovesciare Gheddafi, ma quando gli Stati Uniti hanno pensato alla Nato avrebbe spinto per accelerare tutto. Che sia vero o no, testimonia la differenza nelle agende di Parigi e Washington. L’America è stata molto pressata da un solo settore del suo apparato, è noto che Hillary Clinton fosse alla ricerca di un nuovo «clintonismo» in Europa. L’Italia era nella posizione più importante per mediare se solo avesse avuto un governo attento, invece ha perduto un’occasione storica.
3. Sì, ora possiamo averne un’idea dall’inchiesta del New York Times firmata da Anthony Shadid, il migliore. Le forze ribelli sono costituite da alcune migliaia di persone, bande composite di militari, ex compagni di Gheddafi, giovani, qualche sballato. Sono male equipaggiati, spesso non sanno usare le armi che hanno e non si raccapezzano con la logistica, insomma molto entusiasmo e poca organizzazione.
4. Non si può fallire, l’operazione è talmente topica per l’intero Medioriente che se Gheddafi non se andasse l’impatto sul mondo arabo sarebbe fortissimo. E’ come con Saddam, una volta che sei lì devi vincere. Non credo che esista l’opzione di terra, interverranno piuttosto squadre speciali della Cia non tanto per aiutare un golpe quanto per addestrare i ribelli e organizzare meglio i bombardamenti della Nato.

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