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Autore Discussione: Colloquio con Lorenzo Bini Smaghi  (Letto 2166 volte)
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« inserito:: Maggio 08, 2010, 02:59:56 pm »

La lezione greca

di Luca Piana


La crisi di Atene rende urgenti le riforme. Dal fisco alle pensioni.

Per ridurre il debito pubblico e rilanciare l'occupazione. La ricetta della Bce.

Colloquio con Lorenzo Bini Smaghi
 
L'euro non è in pericolo, ma i paesi con il debito pubblico più alto devono darsi subito da fare con le riforme strutturali... Dopo la crisi che ha messo al tappeto la Grecia, le rassicurazioni sulla moneta unica arrivano da Lorenzo Bini Smaghi, 53 anni, l'italiano che siede nel direttorio della Banca centrale europea. In questa intervista, però, il banchiere avverte i paesi più esposti - Italia inclusa - che il debito potrà rientrare solo con riforme profonde.

A suo giudizio, la crisi greca rischia di far saltare l'euro?
"La moneta unica non è in pericolo. È vero però che, date le interconnessioni della Grecia con l'intera area dell'euro, ci sarebbero potute essere ripercussioni negative sul sistema finanziario e sull'economia reale negli altri paesi. L'effetto contagio sarebbe risultato molto grave e per questo è stato necessario intervenire".

Ritiene scongiurato l'effetto domino? Il governatore Mario Draghi ha detto che altri paesi sono a rischio. "Nelle scorse settimane si poteva osservare una correlazione crescente tra quanto avveniva in Grecia e negli altri paesi. Se il miglioramento sul primo fronte si conferma, anche gli altri saranno influenzati. È comunque importante dare segnali forti sull'effettiva volontà di affrontare il peggioramento delle finanze pubbliche".

Un problema che riguarda solo l'Europa?
"No, riguarda paesi dentro e fuori l'area dell'euro. Alcuni però devono mettere mano al risanamento più rapidamente perché hanno perso competitività: come per la Grecia, non bastano aggiustamenti finanziari; servono riforme strutturali".

C'è chi chiede che la Grecia esca dall'euro.
"I costi economici e politici sarebbero tali che nessuno potrebbe farvi fronte. Basta pensare ai mutui per la casa. Il ritorno alla dracma comporterebbe litigi enormi e cause in tribunale fra creditori e debitori, per stabilire chi debba subire il costo della ridenominazione. Se il costo ricadesse sulle banche, si rischierebbe il tracollo finanziario. Se invece ricadesse sulle famiglie, allora allora si rischierebbe la tenuta sociale".

Per alcuni sarebbe meglio far pagare ai greci le loro responsabilità e far perdere agli investitori i soldi investiti in quel paese.
"È un atteggiamento superficiale. Alcuni lo chiamano “piano B”, ma nessuno dice fino in fondo quali sarebbero le conseguenze. Nessun paese industrializzato negli ultimi anni è mai fallito: le conseguenze sarebbero devastanti. Anche l'Argentina, uno dei casi spesso citati, ha svalutato solo il debito estero e dopo dieci anni fatica a riprendersi. Basta pensare alle enormi incertezze che i cittadini greci avrebbero sul valore dei loro redditi e risparmi: ogni speranza di ripresa sarebbe bloccata per chissà quanto. Ora invece pagheranno il prezzo di una crescita che, negli ultimi anni, è stata drogata. D'altra parte, la forte evasione fiscale indica che i greci hanno risorse da recuperare per il risanamento".

Si è scritto di riunioni di hedge funds americani per scommettere contro l'euro. Vi sono stati attacchi speculativi concertati? "Non credo nei complotti. Ma i comportamenti di alcune banche d'investimento, di commentatori che si auto-definiscono indipendenti, delle agenzie di rating che hanno ridotto la valutazione sul debito greco solo tre giorni prima del piano di salvataggio, senza poterlo giudicare, hanno alimentato in modo ingiustificato la volatilità. Non bisogna biasimare i mercati, ma si può riconoscere che non sempre sono efficienti e che gli operatori non sempre si comportano secondo regole etiche. Si sono viste strane coincidenze di vedute".

L'incertezza fa parte dei mercati e gli investitori fanno il loro mestiere. "Il mercato è fatto di due componenti. Da un lato c'è chi ha paura dell'incertezza, dall'altro chi invece ci guadagna, vendendo strumenti di assicurazione. E dunque può avere interesse ad alimentarla". Pensa a strumenti come i credit default swap? "Sì. Sono negoziati in un mercato non trasparente. Una delle riforme di cui si discute, e sulla quale c'è consenso tra Stati Uniti ed Europa, è il loro trasferimento in sistemi di scambio centralizzati, in modo che la vigilanza sia in grado di capire chi emette questi titoli, se ha accantonato sufficienti capitali per far fronte agli obblighi di controparte e dov'è distribuito il rischio".

Le riforme però tardano.
"Non c'è dubbio che le forze contrarie alle riforme stanno crescendo. Il 2010 può però vedere la svolta. Il comitato di Basilea deve fornire le proprie risposte entro l'anno: vedremo se la politica sarà in grado di sostenere le riforme".

L'intervento da 110 miliardi per la Grecia le sembra risolutivo? "Il piano agisce da un lato sul fronte della finanza pubblica, dall'altro sulla struttura dell'economia. Viene imposta una trasformazione profonda dell'economia greca, mettendo il governo nelle condizioni di rifinanziarsi a tassi ragionevoli per un periodo di tempo sufficientemente lungo da vedere i frutti dei cambiamenti".

Come ha fatto la Grecia a truccare i conti in modo così clamoroso?
"Prima delle elezioni del 2009 è stata fatta per sei mesi una tipica politica fiscale elettorale, spendendo cifre enormi, quasi il 7 per cento del Pil. Dato il rallentamento dell'economia e il deterioramento dei bilanci pubblici in tutti i paesi, c'è voluto tempo per capire l'entità e la causa effettiva dell'aumento del deficit greco".

Lei ha parlato di sorveglianza debole. Perché Europa e Bce non se ne sono accorte?
"Le procedure prevedono che l'Istituto nazionale di statistica comunichi all'Eurostat i dati che, poi, anche noi utilizziamo per le nostre valutazioni. Nei sei mesi di naturale ritardo fra la comunicazione dei dati e le verifiche è avvenuto il furto. Il problema era la dipendenza dell'Istituto di statistica dal governo e la mancanza di una Ragioneria dello Stato autonoma dal Tesoro che potesse verificare i conti: ora la Grecia sarà obbligata a porvi rimedio".

La riluttanza della Germania a intervenire era legata solo alle prossime elezioni o c'è chi vuole un'Europa a due velocità?
"Non credo a questa teoria. Anche all'interno dei singoli paesi, come in Italia, c'è chi non vuole pagare i debiti fatti da altre regioni. Ogni organizzazione federale deve evitare che una parte crei dissesti che tocca poi ad altri ripianare".

Quindi è solo debolezza politica.
"L'accordo dell'11 febbraio scorso per il sostegno alla Grecia è stato un passo importante. Poi però il Consiglio europeo ha chiesto di aspettare prima di attivare il meccanismo di salvataggio: in vari Stati, non solo in Germania, i cittadini non volevano aiutare un paese dove i conti erano stati truccati per vincere le elezioni. Paradossalmente le democrazie si muovono quando percepiscono un pericolo diretto. I tre mesi passati dall'11 febbraio hanno evidenziato il pericolo: i mercati si sono scatenati contro l'euro e tutti hanno visto che era necessario tappare la falla". La manovra è salita da 45 a 110 miliardi: il costo dell'incompetenza dei governi, ha scritto l''Economist'. "Magari è solo il costo della democrazia. Negli Stati Uniti la Lehman Brothers è stata fatta fallire perché i cittadini americani non volevano aiutare le banche. Non avevano capito che il fallimento avrebbe comportato un rischio anche per i loro risparmi. Questa crisi deve servire a rafforzare le istituzioni dell'Europa e ad aiutare i suoi cittadini a capire che l'unione monetaria è anche un'integrazione politica che deve rafforzare i propri meccanismi per prendere decisioni più rapide".

Il debito crescente fa paura in molti Paesi: in Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia. E il cancelliere Angela Merkel chiede severità..
"Bisogna uscire dalla crisi con un sistema istituzionale rafforzato, che eviti all'euro di ritrovarsi in queste condizioni. Perciò è necessario rafforzare i meccanismi di controllo, non solo per quanto riguarda le finanze pubbliche ma anche sulla competitività. I paesi citati hanno perso competitività e devono fare le riforme per recuperare. Le politiche nazionali devono avere come cardine la partecipazione all'euro".

Il presidente Jean-Claude Trichet dice che in Italia bisogna toccare le pensioni...
"L'aspettativa di vita sta aumentando e bisogna spostare in avanti l'età per la pensione, come hanno promesso i greci. In Germania e altrove è già stata portata a 67 anni; è una tendenza inevitabile. Il sistema italiano è in equilibrio ma costa molto. Chi esce penalizzato da questa crisi sono i più giovani, che hanno contributi più elevati rispetto a chi è prossimo a ritirarsi e dovranno pagare le pensioni dei più vecchi. Per combattere una disoccupazione che sarà elevata per anni e aiutare i giovani, serve ridurre il carico contributivo sul lavoro".

Il governo dice che interverrà sul sistema fiscale. In quale direzione dovrebbe andare il cambiamento?
"Il sistema fiscale può essere un freno alla crescita se distribuisce il peso dell'imposizione in modo sbagliato, soprattutto se disincentiva il lavoro. È un'area dove mi sembra che ci sia l'intenzione di fare progressi. Ma le riforme da fare sono numerose, a cominciare dalla liberalizzazione dei mercati, soprattutto quelli non esposti alla concorrenza internazionale, in particolare quelli dei servizi come le municipalizzate, i trasporti interni, le professioni".
Il debito pubblico elevato limita però i margini di manovra.
"Qualsiasi riforma dev'essere fatta in modo neutrale rispetto al gettito. Un sistema fiscale più equo ed efficiente si può ottenere attraverso incentivi maggiori alla lotta all'evasione, che può consentire di ridurre la pressione fiscale per quelli che pagano.

(06 maggio 2010)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/la-lezione-greca/2126337//2
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