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Autore Discussione: La valle violata di Buddha  (Letto 2392 volte)
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« inserito:: Agosto 24, 2007, 11:45:00 pm »

La valle violata di Buddha
di Antonio Carlucci


Distrutte dall'intolleranza dei talebani nel marzo del 2001, le due grandi statue di Bamiyan in Afghanistan potrebbero tornare a risplendere. Sotto forma di un oleogramma ideato da tecnici giapponesi. Un patrimonio dell'umanità 
L'idea è dei giapponesi. Hanno proposto di usare tra i quattro e i sei proiettori laser per ricreare artificialmente i Buddha di Bamiyan sulle stesse pareti di roccia dove erano stati costruiti tra i IV e il VI secolo. La tecnica è quella dell'ologramma, ovvero le lastre fotografiche che danno la sensazione di creare figure tridimensionali, ed è stato giudicata una possibile soluzione per far rivivere qualcosa che non c'è più. I raggi laser, utilizzati solo un paio di volte ogni settimana, non produrebbero danni sulla roccia, dicono le prime perizie, una delle quali svolta presso l'Enea in Italia. E farebbero rivedere il Buddha grande e quello piccolo esattamente come erano, all'interno delle enormi nicchie scavate nella roccia.

L'idea giapponese è arrivata quando è apparso chiaro che la probabilità di poter ricostruire i Buddha distrutti dai talebani nel 2001 è pressocché vicina allo zero. E che se anche fosse possibile ricomporre in qualche modo quelle statue sbriciolate a cannonate da un ordine del mullah Omar, non è prevedibile quanto tempo sarà necessario. E nessuno è in grado di scommettere sul risultato finale, pur essendo l'équipe di archeologi e restauratori ingaggiati dall'Unesco una delle migliori al mondo.

Tutto quanto è a Bamiyan, una valle verde e rigogliosa a nord-ovest di Kabul, è stato dichiarato patrimonio dell'umanità dall'Unesco, l'agenzia delle Nazioni Unite. Certo, quello che era l'elemento più visibile e spettacolare dell'insediamento rupestre dove si era sviluppato il culto buddista, è ridotto in briciole. Il misfatto, massima espressione della ignoranza e intolleranza dell'Islam radicale rappresentato dal regime dei talebani, avvenne nel marzo del 2001, pochi mesi prima che il mullah Omar e Osama Bin Laden venissero detronizzati dall'attacco americano in risposta all'attentato alle Torri Gemelle di New York. I due Buddha - il grande che sfiorava i 50 metri di altezza, il piccolo 35 - furono abbattuti dalle cariche esplosive poste alla base e dalle cannonate sparate direttamente verso la parete di roccia. Perché lo fecero? Agli occhi dell'integralismo talebano i due Buddha rappresentavano falsi dei che potevano distogliere dalla religione obbbligata dell'Islam. Quella dinamite e quelle cannonate furono la pagina che fece conoscere il volto talebano al mondo, forse ancora più che le donne imprigionate nel burka, le esecuzioni allao stadio di Kabul, le prediche di Bin Laden e del suo fedele numero due, il medico egiziano al Zawahiri.

Quando gli afgani poterono cominciare a pensare a un mondo non infestato dalla ideologia talebana e quando i primi stranieri ritornarono nella valle di Bamiyan, la vista del luogo dove sorgevano i Buddha era desolante: una montagna di pietre di dimensioni diverse, piccoli frammenti grandi quanto un pugno accanto a massi da un metro cubo di roccia. Inpossibile capire a occhio a quale parte della statuta appartenessero e, soprattutto a quale dei due Buddha. Ma anche le nicchie apparivano vistosamente danneggiate, piene di crepe, con il pericolo di crollo che poteva avvenire da un momento all'altro.

Quello del tardo 2001 fu uno spettacolo assai diverso da quello che dei Buddha ebbe - e poi narrò - nell'anno 632 il pellegrino cinese Hsuan Tsang. Allora, la valle di Bamiyan era non soltanto una tappa obbligata delle carovane che percorrevano la via della Seta, ma anche il centro di culto buddista più importante dell'Asia. Hsuan Tsang raccontò che il volto e le mani dei Buddha era dorati e risplendevano in modo accecante nel sole pomeridiano. Inoltre il Buddha grande era ornato con una veste rossa, il piccolo con una blu. Le nicchie dove erano ospitati erano un tripudio di affreschi che ritraevano altri Buddha e momenti di vita religiosa. Tutta l'area era una celebrazione del buddismo: i cunicoli scavati nella roccia ospitavano numerosi monaci ed erano il motore di ogni attività della valle.

A quello splendore raccontato dal pellegrino cinese seguì una decadenza lunga e inesorabile che coincise con la perdita di potere dei buddisti e con l'arrivo delle migrazioni musulmane. In epoca moderna, con l'Afghanistan martoriato prima dall'invasione dell'Armata Rossa dell'Unione Sovietica, poi dalla guerra civile, infine dai talebani, la valle di Bamiyan fu preda di saccheggi a ondate. Tutto quanto era asportabile e vendibile fu portato via, a cominciare dagli affreschi che ornavano le pareti e le nicchie scavate nella montagna. Nei cunicoli e nelle grotte non c'erano più i monaci, ma avevano trovato riparo i più poveri dell'area.

Ecco il racconto di un altro viaggiatore. Più recente perché risale al 2003, quando l'Unesco decise di verificare la possibilità di recuperare il sito archeologico e i Buddha, trovò i fondi (i giapponesi sono tra i maggiori donatori) e inviò una spedizione di cui fa parte il professor Claudio Margottini, geologo, consigliere dell'Unesco e del ministero dell'Ambiente. "La situazione era molto instabile. Non soltanto stavano crollando le rupi e le nicchie, ma il rischio era che venisse giù un'intera parte della collina. Rischiava di andare perso un patrimonio di architettura rupestre dove c'era un insediamento abitativo composto da circa 800 cavità e grotte tutte collegate tra di loro".

Così, mentre l'équipe tedesca diretta dal professor Michael Petzet (il presidente dell'International Council on Monuments and Sites) e dell'archeologo Edmund Melzl cominciava la catalogazione dei resti dei Buddha cannoneggiati, Margottini e i suoi collaboratori intrapresero il lavoro di consolidamento delle pareti di roccia. Era il primo passo che poteva portare poi le statue ricostruite nel loro sito. "I lavori si sono svolti nei tempi previsti, utilizzando pochi tecnici stranieri che sono stati ricompensati quasi tutti attraverso simbolici rimborsi spese e lavoratori afgani che invece sono stati regolarmente retribuiti", racconta il professor Margottini, che in Afghanistan è impegnato insieme all'architetto Andrea Bruno nel lavoro di restauro del minareto di Jam nella provincia di Herat (è un monumeto protetto dall'Unesco che risale al IX secolo). Tutta la tecnologia per i lavori di consolidamento della parete di Bamiyan sono stati forniti da una società di Cesena del gruppo Trevi.

Il lavoro è filato liscio senza che si manifestassero seri problemi di sicurezza. Giovani soldati dell'esercito afgano hanno sempre fatto la guardia in questi anni alle macerie dei Buddha per evitare la ulteriore dispersione dei frammenti delle statue. E la popolazione, a maggioranza hazera, è oggi poco interessata a sostenere le attività guerrigliere delle formazioni talebane e molto più desiderosa a recuperare un livello di vita normale, coltivando in segreto la speranza che un giorno ci sia pace e ricominci una nuova era di sviluppo per l'Afghanistan. Che per gli abitanti della valle di Bamiyan significa diventare una delle principali mete turistiche del Paese.

Antonio Carlucci

da espressonline
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