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Autore Discussione: GOVERNO PRODI...  (Letto 59485 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Settembre 05, 2007, 05:03:43 pm »

Un messaggio per gli onesti

Alfredo Recanatesi


In materia di riduzione delle tasse si vanno distintamente definendo nel centro-sinistra due scuole di pensiero: prima il contenimento della spesa, sostiene l’una; no, la priorità va accordata alla riduzione, sostiene l’altra. Entrambe si basano su argomenti solidi rendendo il confronto di elevato spessore.

La prima posizione, che per la sintesi giornalistica possiamo intestare a Prodi e a Padoa Schioppa è quella che discende dalla saggezza classica secondo cui prima occorre ripristinare un ordine stabile e affidabile nei conti pubblici, e solo dopo ci si può permettere di pensare ad altro. È una posizione rispettabilissima sia in via di principio che nella prassi. Mettere ordine nei conti, infatti, significa in primo luogo ridurre quella spesa di 70 miliardi l’anno imposta dagli interessi sul debito e liberare risorse che potrebbero essere disponibili - Padoa Schioppa ne ha fatto un argomento forte - per colmare il deficit di investimenti di cui il Paese soffre da anni e a causa del quale ha tanta difficoltà a realizzare pienamente il suo potenziale di sviluppo. Insomma, sarebbe un ottimo investimento; su questo non possono esserci dubbi.

No, replica la posizione avversa che, per intenderci, fa capo soprattutto a Veltroni ed a Rutelli: la riduzione non può attendere i tempi lunghi di una razionalizzazione della spesa, ossia di una riduzione che non comporti un (ulteriore) ridimensionamento del ruolo dello Stato. Ragioni di equità sociale e di politica economica sostengono questa tesi. Sull’equità sociale c’è poco da dire: i dati sulla dinamica salariale confermano che per ampie fasce di italiani il potere d’acquisto, già falcidiato dalla redistribuzione dei redditi operata dalla sostituzione euro-lira, non ha cessato di ridursi anche in corrispondenza ad un andamento dell’economia non più stagnante. Ma anche la politica economica consiglierebbe ogni manovra suscettibile di risolversi in una tonificazione dei consumi. La ripresa, come si sa, c’è ma è debole; trova un limite nel fatto che la domanda di consumi - il «motore» del 70% del Pil - è quasi piatta a causa della stagnazione dei redditi da lavoro che a sua volta determina una stagnazione, ed assai spesso una contrazione, dei redditi disponibili delle famiglie. Se poi mettiamo nel conto, tra l’altro, l’aumento dei tassi sui mutui ed i rincari già annunciati per i prossimi mesi per un verso, e per l’altro il rallentamento previsto per l’economia europea e, dunque, per le nostre esportazioni, il quadro non è certo dei migliori. Un sostegno attraverso il fisco della domanda di consumi, quindi, non si configurerebbe come uno scialo, ma come la premessa per difendere il già modesto tasso di crescita dell’economia. Ma c’è una ulteriore argomentazione da considerare a sostegno dell’ipotesi di una riduzione, hic et nunc, delle tasse in genere e di quelle sui redditi delle persone fisiche in particolare.

La possibilità di alleggerire la pressione fiscale si è aperta in seguito alle cospicue entrate aggiuntive registrate rispetto alle previsioni. Poiché l’aumento dovuto alla ripresa dell’economia era già stato messo in conto, le entrate aggiuntive derivano tutte o quasi da una riduzione della evasione, e poco importa ora distinguere tra il recupero di imponibile conseguito dal vice-ministro Visco, o da una maggiore propensione spontanea degli italiani ad adempiere al loro dovere fiscale. È comunque un passo avanti in un Paese nel quale chi evade non è colpito da alcuna condanna sociale, ma anzi è considerato un furbo. Tra i motivi che possono spiegare questa radicata distorsione culturale c’è certamente la assenza di ogni collegamento concreto tra il proprio interesse personale, quale lo può avvertire chi adempie al proprio dovere fiscale, e l’evasione perpetrata da chi a quel dovere non adempie in tutto o in parte. La conseguenza è che chi intende evadere non trova nella collettività alcuna remora a farlo, e chi è nella condizione di non poterlo neppure immaginare, come i lavoratori dipendenti, si sente vittima di una ingiusta discriminazione. La disponibilità di risorse, per altro ingenti, dovute ad una riduzione della evasione offre una occasione per incominciare a stabilire, nella cultura diffusa e nei comportamenti, quel collegamento che finora non è stato percepito che come un principio astratto. Sarebbe utile sotto ogni profilo - per l’etica della convivenza civile, per la correttezza dei rapporti tra fisco e contribuenti, per la equità distributiva - che quel collegamento venisse stabilito nel modo più percettibile possibile. È una occasione rara da non disperdere, anzi valorizzandola correlando, con poche cifre che tutti possano comprendere, le riduzioni accordate al gettito recuperato dall’evasione. Chi evade si troverà attorno meno indifferenza e meno complicità di quanto avviene oggi. Se ai nessi logici che sono stati qui ipotizzati si riconosce qualche probabilità di trovare riscontro nella realtà, la scommessa della riduzione delle imposte acquista motivi in più per essere presa in considerazione. Alla fine, anche per chi oggi antepone le ragioni della concentrazione degli sforzi sulla riduzione del debito, una riduzione delle imposte così concepita e così presentata potrebbe rivelarsi un buon investimento.

Pubblicato il: 05.09.07
Modificato il: 05.09.07 alle ore 9.05   
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« Risposta #16 inserito:: Settembre 07, 2007, 06:23:23 pm »

7/9/2007 (11:3)

Giordano lavora per una manifestazione unitaria
 
Il 20 ottobre sinistra unita per l’attuazione del programma di governo


ROMA
I leader di Prc, Sd, Verdi e Pdci sono al lavoro per mettere insieme una manifestazione unitaria della sinistra il 20 ottobre: «Stiamo discutendo - ha detto il segretario di Rifondazione Comunista, Franco Giordano, intervenuto a ’Radio Anch’iò - le modalità e i contenuti della manifestazione, per determinare un'unità di tutte le forze di sinistra e per permettere una partecipazione molto grande, che sarà critica verso i ritardi del governo nell’applicazione del programma e sosterrà nello stesso tempo la costruzione di una soggettività politica unitaria. La sinistra rinasce dal protagonismo sociale».

Giordano annuncia anche che «è stato già deciso il processo federativo» che porterà alla costituzione della «cosa rossa» come un «soggetto unitario e plurale» e distinto dal Partito Democratico. Secondo il segretario la sinistra intende «incidere per evitare che il Partito Democratico stravolga il programma» del centrosinistra e «metta per questa via in difficoltà il governo. Se ad ogni piè sospinto - ha detto ancora Giordano - si cita Rudolph Giuliani e ci si rivolge al blocco d’ordine, significa che si ha una connotazione del tutto esplicita in quella direzione», insomma il futuro Pd, per rimanere all’esempio americano, «somiglierà più al Partito Repubblicano che non a quello democratico».

«Se il Partito democratico fosse incentrato su una battaglia strategica, su una idea alternativa di società non lo considererei un fattore di instabilità ma uno stimolo. Però, le proposte che emergono sono alternative al programma, al punto che si dice apertamente ormai che "questo governo è una necessità, poi, quando ne faremo un altro...". È evidente che così si costruiscono le condizioni per uno strappo al programma», ha chiosato Franco Giordano. Il segretario di Rifondazione rifiuta la definizione di «sinistra radicale» per il suo partito e per le altre forze dell’ala sinistra dell’Unione: «Noi siamo la sinistra, visto che il Pd ha una collocazione neocentrista, peraltro fortemente rivendicata»

DA lastampa.it
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« Risposta #17 inserito:: Settembre 08, 2007, 09:08:30 pm »

POLITICA

Il presidente del Consiglio ha inaugurato oggi a Bari la Fiera del Levante

"Una nuova legge elettorale serve al Paese, ma non c'è motivo per chiedere il voto anticipato"

Prodi: "Evasione e debito patologie nazionali ma non servono sacrifici d'emergenza"

Il premier rivendica anche che "l'Italia si è rimessa in moto, ha fatto progressi significativi"

E promette "una Finanziaria volta ad "incrementare il capitale del Paese", con "misure per l'equità e la giustizia"

 
BARI - "L'evasione fiscale è la vera emergenza nazionale", "il debito pubblico rappresenta senza alcun dubbio l'aspetto più patologico dell'economia del Paese": la denuncia viene dal presidente del Consiglio Romano Prodi, che ha inaugurato oggi a Bari la Fiera del Levante. Prodi ha anche ricordato che "una nuova legge elettorale serve al Paese, ma la sua eventuale adozione non è motivo per chiedere elezioni anticipate". E ha rivendicato i buoni effetti della politica economica del governo, ricordando che "l'Italia si è rimessa in moto" e promettendo: "Il pareggio di bilancio lo raggiungeremo solo a fine legislatura". Nel frattempo, la Finanziaria in corso di preparazione, ha assicurato, "non conterrà stangate". Ma è ancora tutta da definire: le cifre pubblicate oggi dai giornali "sono frutto di fantasia".

Intanto anche Vincenzo Visco, viceministro dell'Economia, ammorbidisce le indiscrezioni di stampa sulle cifre della prossima Finanziaria e su un intervento anticipato sull'Ici: "Presto per parlare di misure".

La Finanziaria 2008. Le cifre attualmente in circolazione "sono frutto di fantasia", ha detto Prodi, ma il governo ha ben chiare le linee della Finanziaria, che sarà volta ad "incrementare il capitale del Paese" e conterrà "misure per l'equità e la giustizia". Altro obiettivo del governo, ha aggiunto il premier, è quello di riqualificare la spesa pubblica, "che non significa solo tagliarla ma spendere meglio".

Non servono sacrifici. Non verranno richiesti agli italiani ulteriori sacrifici: "Quest'anno abbiamo il vantaggio di non dover cominciare a mettere a posto i conti, ma limitarci a tenerli a posto. Non si rende necessaria alcuna azione di risanamento come del resto è già avvenuto con il Dpef di giugno e abbiamo rilanciato l'economia con 6 miliardi di euro, cosa che non avveniva dal 2000. Per troppi anni gli italiani sono stati costretti a temere l'arrivo della stagione della Finanziaria, perché portava sacrifici e rinunce sempre in un'ottica emergenziale". Ma ora "lo Stato non è più in una situazione di emergenza".

Gli scioperi fiscali. Leggi ad personam, condoni e scioperi fiscali non aiutano a migliorare il senso civico, ha ammonito il premier. "Non credo che le più recenti esortazioni agli scioperi fiscali, vadano nella direzione di aiutare le istituzioni e il paese a mettere al centro il senso civico", ha detto.

L'evasione emergenza nazionale. "L'evasione fiscale - ha aggiunto - è la vera emergenza nazionale". "Gli sforzi compiuti dall'amministrazione e dalla guardia di finanza hanno consentito al Paese di contare, a partire dal 2007, su 20 miliardi di euro di risorse aggiuntive". Resta ancora molto da fare perchè il Paese "non può tollerare" il livello di evasione che ha ancora un livello eccessivo e "il governo continuerà ad intensificare i suoi sforzi fino a quando questo male, per non dire vergogna, non sarà debellato".

Il debito aspetto patologico. "Il debito pubblico è elevatissimo e rappresenta senza alcun dubbio l'aspetto più patologico dell'economia del Paese", ha denunciato ancora il premier. Il premier sottolinea come il 55% del debito pubblico italiano, sia in mano ai creditori esteri e come "da tempo il suo livello abbia superato significativamente l'ammontare di ricchezza che l'Italia è in grado di produrre in un anno".

Il risanamento. Ma nonostante la persistenza di questi gravi problemi, "L'Italia si è rimessa in moto", ha rivendicato Prodi. "L'Italia è uscita dall'emergenza finanziaria in cui si trovava, facendo progressi significativi sia per quel che riguarda la crescita sia sul piano dell'equità sociale".

La legge elettorale. ''Dobbiamo superare gli elementi di instabilità e frammentazione introdotti dall'attuale legge elettorale. E a questo proposito - ha puntualizzato Prodi - voglio essere chiaro: non credo che l'adottare finalmente una buona legge elettorale sia motivo per chiedere elezioni anticipate''.

Confindustria. Rivolgendosi poi agli industriali, il presidente del Consiglio ha detto che "La Confindustria ci ha più volte chiesto, rivendicando la centralità dell'impresa nel processo di crescita economica del Paese, di tifare per il sistema industriale. Mi sembra che le cifre parlino chiaro. Sono cifre importanti in assoluto e anche in rapporto a quanto il sistema delle imprese ha ricevuto dal precedente governo di centrodestra".

La crisi dei mutui. Prodi non ha trascurato il tema della crisi dei mutui americani che però, ha sottolineato, ha e avrà ''effetti contenuti'' sull'economia italiana. "Per quanto riguarda l'Italia - ha spiegato il premier - gli effetti derivanti dalle turbolenze indotte dalla crisi del mercato immobiliare americano, sono più contenuti. Il settore bancario nazionale ha applicato criteri prudenti per l'erogazione dei mutui e le famiglie italiane presentano un grado di indebitamento che, sebbene in crescita rimane ancora al di sotto della media dell'area euro".

(8 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #18 inserito:: Settembre 10, 2007, 06:05:23 pm »

Malumore più accentuato nelle donne e tra i giovani Governo, delusi due italiani su tre

Gradimento al minimo dopo la risalita della primavera scorsa: no dal 68%.

Da giugno persi 11 punti 
 
di RENATO MANNHEIMER


L'insoddisfazione per l'operato del governo Prodi si va accrescendo significativamente in svariati settori della popolazione. Ciò costituisce per l'esecutivo un ulteriore problema in un periodo già tormentato, soprattutto per l'approssimarsi della Finanziaria e delle decisioni sulla politica fiscale: è questo il tema ritenuto oggi dai cittadini il più urgente — ancor più della criminalità — da affrontare da parte del governo. Ma esso è, al tempo stesso, fonte delle fratture maggiori nell'opinione pubblica, divisa tra la richiesta di diminuzione delle tasse e quella di una più accentuata redistribuzione sociale. Ma insoddisfatta da entrambi i punti di vista.

L'elettorato ha infatti espresso, per tutto il primo semestre 2007, una maggioranza di orientamenti negativi sull'operato del governo. Con andamenti, però, alterni. Una volta «digerita » la Finanziaria 2006 (che aveva provocato una drastica diminuzione dei giudizi favorevoli), si è assistito, tra metà febbraio e metà maggio, ad un relativo recupero di consensi e ad una corrispondente contrazione delle opinioni sfavorevoli all'esecutivo. A giugno, tuttavia, il trend pareva essersi nuovamente invertito, il giudizio si era ulteriormente aggravato e i consensi drasticamente ridotti, sino a toccare il 30%, il livello più baso dalla costituzione del governo Prodi. Per la maggior parte, tuttavia, la nuova sfiducia emersa non si era convogliata verso un atteggiamento completamente negativo, limitandosi — da parte del 13% dell'elettorato — ad una generica sospensione del giudizio.

Dopo il — e forse anche a seguito del — dibattito estivo (denso di buoni propositi, ma ritenuto carente di iniziative concrete), anche questi giudizi si sono tuttavia diretti perlopiù verso un orientamento drasticamente sfavorevole, tanto che oggi due italiani su tre si pronunciano criticamente nei confronti dell'esecutivo e solo il 27% esprime un parere positivo. In misura minore, ma assai significativa, ciò accade anche nell'elettorato dei partiti della maggioranza: il 31% dei votanti per il centrosinistra è critico verso il Professore e un altro 4% dichiara di non avere opinione al riguardo. Il dissenso è presente, per motivi diversi, ma circa nella stessa intensità, sia nell'area di centrosinistra, sia in quella di sinistra tout-court. Anche la porzione di elettorato non attribuibile a nessuno schieramento si esprime negativamente: il 76% di chi è indeciso su cosa votare è comunque critico nei confronti dell'esecutivo.

Il malumore, comunque presente in modo rilevate in tutte le categorie sociali, è più accentuato tra i giovani, tra le donne (specie le casalinghe) e tra chi possiede un titolo di studio meno elevato. L'origine di tutto questo scontento sta soprattutto nell'incapacità del governo di «concludere le cose» (così ha detto un intervistato): vengono citati decine di esempi di mancata realizzazione di questo o quell'impegno, di questo o quel progetto, di questa o quella promessa.

Le critiche provengono da destra, dal centro e, come si è detto, anche dalla sinistra: ciò che indica come buona parte di questo stato di cose — e della difficoltà del governo ad operare — sia imputabile al sistema elettorale vigente e alla conseguente situazione in Parlamento. Ma, ancora una volta, si lamenta l'incapacità e la riottosità da parte dell'esecutivo nel dar vita celermente ad una riforma al riguardo. Tutto ciò non ha necessariamente conseguenze immediate sulle intenzioni di voto.

È vero che i consensi virtuali per il centrosinistra vanno progressivamente diminuendo, ma è vero anche che buona parte degli elettori dei partiti di governo, anche di quelli scontenti, dichiara di non avere comunque per ora l'intenzione di votare per il centrodestra. Questo stato dell'opinione pubblica lascia tuttavia, come si è visto anche in questi giorni, sempre più spazio a spinte e suggestioni di carattere qualunquistico e talvolta populistico, legate alle consuete tematiche dell'antipolitica. Con esiti imprevedibili.

Il governo ha certo nei prossimi mesi la possibilità di mutare l'orientamento dell'opinione pubblica: ma per farlo dovrà necessariamente dar vita a provvedimenti concreti e percepiti dagli elettori.

Un compito tutt'altro che facile.


10 settembre 2007
da corriere.it
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« Risposta #19 inserito:: Settembre 10, 2007, 10:44:02 pm »

POLITICA

Il segretario della Quercia invita il governo a "ristrutturarsi" e l'Unione ad allargare i confini

Gelo da Palazzo Chigi: "Ora pensiamo alla Finanziaria".

Salvi: "Ma Bossi non era quello dei fucili?"

Fassino: "Aprire l'alleanza a Lega e Udc" ma Prodi frena e la sinistra insorge

Reazioni negative anche da Bindi e Follini: "L'ambizione è vincere con il centrosinistra"

 
ROMA - "Costruire un sistema di alleanze che nel tempo consenta di avere un consenso maggioritario più largo di quello già avuto" è secondo Piero Fassino "un imperativo". L'apertura del segretario dei Ds a un allargamento delle alleanze a Udc e Lega Nord, accompagnata dall'invito a "ristrutturare" la squadra di governo, rilanciandone l'attività, è stata accolta però con freddezza dal governo, mentre ha scatenato un fuoco di sbarramento delle componenti radicali dell'Unione così come da quelle di centro.

Se una nota di Palazzo Chigi puntualizza che "l'azione del governo non è da rilanciare ma da continuare", e definisce prematuro il tema sollevato da Fassino, ricordando che al momento tutto l'esecutivo è concentrato sulla preparazione della Finanziaria, rifiuti decisamente più netti sono arrivati da Verdi e sinistra Ds. "Le parole di Fassino su possibili future alleanze con Lega e Udc - è la bocciatura di Angelo Bonelli, capogruppo del Sole che ride alla Camera - rischiano di destabilizzare la coalizione. La politica non è una somma algebrica o una partita a Monopoli in cui si acquisiscono pezzi".

Ancora più duro il commento di Cesare Salvi, della Sinistra Democratica: "Il Partito democratico è sempre più scoppiettante e sbalorditivo - afferma - Qualche giorno fa Fassino aveva scritto insieme a Rutelli una lettera a Berlusconi chiedendo di espellere la Lega dalla coalizione di centrodestra dopo le dichiarazioni di Bossi sul possibile ricorso ai fucili nel caso di mancato accoglimento delle richieste leghiste. Oggi è lo stesso Fassino ad auspicare un'alleanza politica del centrosinistra con la Lega medesima".

A dire no a Fassino sono anche due esponenti di centro dell'alleanza, come Rosy Bindi e Marco Follini. "Io vorrei un Partito Democratico che avesse l'ambizione di vincere ovunque con il centrosinistra, rinunciare a questa ambizione fa pensare che il partito nascente è alla ricerca di salvagenti in alcune parti d'Italia", avverte il ministro della Famiglia. Ironico anche il giudizio dell'ex parlamentare dell'Udc. "Riassestare? Accontentiamoci di assestare il Pd", commenta Follini.

Bocciature che probabilmente il leader della Quercia aveva messo in conto e che difficilmente lo indurranno ad accantonare il suo progetto. "I miei alleati possono darmi due risposte - osserva il leader Ds - 'hai ragione', e allora vediamo tutti insieme come costruire uno schieramento più largo o dire 'non mi interessa'. Allora, a quel punto - avvisa - sono libero di costruirmi alleanze diverse".

Il tema delle alleanze, è ancora il ragionamento di Fassino, "va affrontato in modo diverso da come lo si è fatto in questi giorni". "In Lombardia, Veneto e Sicilia - spiega - la configurazione del centrosinistra, da Giordano a Mastella, per continuare a governare e costruire uno schieramento vincente non deve escludere, nelle regioni in cui questo è possibile, il dialogo con forze quali la Lega Nord o l'Udc". "Io sono per aprire un dialogo con altre forze - insiste Fassino - anche con la Lega là dove sia possibile, anche con l'Udc. Penso che siano in corso processi nel centrodestra che possano anche cambiare radicalmente lo scenario politico".

(10 settembre 2007)

DA repubblica.it
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« Risposta #20 inserito:: Settembre 12, 2007, 07:03:54 pm »

12/9/2007 (7:24) - RETROSCENA

La voglia di rimpasto scatena gli appetiti
 
L'ipotesi Prodi-bis.

La delicatezza degli equilibri e il prezzo che il nuovo Pd potrebbe dover pagare subito

FEDERICO GEREMICCA
ROMA


A volte succede. Può succedere, cioè, che una frase mal interpretata oppure buttata volontariamente lì per tastare il polso ad alleati ed avversari, apra scenari magari inattesi. E’ quanto in fondo accaduto a Piero Fassino ed alla sua idea - che il leader dei Ds ieri pomeriggio ha negato di aver mai espresso («parole prudenti e di buon senso, che soltanto faziosità e malafede possono stravolgere») - di un rimpasto di governo. L’ipotesi è stata bersagliata per tutta la giornata da commenti non precisamente favorevoli, creando qualche problema perfino con lo stesso Romano Prodi. Ora, la smentita di Fassino va certamente presa per buona: ma il tenore e a volte l’asprezza delle reazioni che hanno accompagnato la prima versione del suo pensiero, sono comunque assai rivelatori, testimoniando i nervi tesi della maggioranza e, certo, una qualche insofferenza dello stesso leader della Quercia.

Quest’ultimo aspetto è ormai noto, anche nelle sue motivazioni politiche: nell’imminenza dello scioglimento della Quercia, Fassino potrebbe ritrovarsi a non aver più un ruolo preciso, a differenza degli altri leader “fondatori” del Pd. Si disse, all’epoca della scesa in campo di Veltroni, che un accordo stipulato tra i leader del centrosinistra prevedesse appunto l’ingresso di Fassino al governo, una volta nato il Pd. E ieri Rutelli in qualche modo lo ha ricordato: il riconoscimento al segretario del Ds di un ruolo nell’esecutivo - ha detto il presidente della Margherita - «è una questione di pulizia e di chiarezza: il riconoscimento del merito delle persone va fatto a viso aperto». Parzialmente più nuove, al contrario, sono le indicazioni che arrivano dalle reazioni all’ipotesi di rimpasto. Esse segnalano fondamentalmente due cose.

La prima: che la sensazione di precarietà dell’esecutivo è così diffusa anche all’interno della maggioranza di governo che l’idea di metter mano alla struttura della compagine terrorizza letteralmente i partiti di maggioranza, convinti che toccare gli attuali equilibri rischi di far crollare tutto. La seconda: che se e quando il problema di un rimpasto dovesse invece porsi (e molti credono, anzi, che occorra fare in fretta), a pagare il prezzo maggiore potrebbe essere il futuro Partito democratico, al quale gli alleati già fanno i conti in tasca. «Il Pd - si sentiva argomentare ieri in Transatlantico - ha il premier, i due vicepremier, gli Interni, gli Esteri, l’Istruzione, l’Economia, la Sanità, le Attività produttive... Chiaro che quando il partito sarà ufficialmente nato, bisognerà rivedere un po’ di cose...».

Una confusione non da poco. Accentuata, per di più, dai risultati dell’ultimo sondaggio Ipr Marketing per “la Repubblica”. La ricerca conferma il largo vantaggio del centrodestra sul centrosinistra (sette punti percentuali), la grave crisi dei partiti della sinistra radicale rispetto alle politiche del 2006 (il Pdci più che dimezzato e Rifondazione che perde un terzo dei propri consensi) e la peredurante difficoltà del Pd (al 28%, cioè 3,3% in meno della somma di Ds e Margherita). E’ una fotografia che naturalmente scontenta tutti: e che potrebbe ulteriormente radicalizzare la polemica all’interno della maggioranza, con la sinistra sollecitata a spingersi sempre più a sinistra per recuperare consensi ed il Pd - al contrario - convinto a forzare la sua linea “centrista” e la ricerca di alleanze di “nuovo conio”.

Se ci si aggiunge che all’orizzonte della maggioranza cominciano a stagliarsi due ostacoli di prima grandezza (la finanziaria con la già avviata polemica della sinistra radicale sul welfare, e più in là la mina del referendum elettorale) è evidente che il governo è atteso da giorni ancor più difficili. E’ per questo, in fondo, che il tanto smentito e vituperato rimpasto potrebbe, alla fine, diventare una necessità prima ancora che una scelta. Il punto è: che genere di rimpasto? Alcuni partiti, come detto, guardano ad un rimescolamento delle carte come all’occasione per regolare i conti col Pd, andare ad un riequilibrio nella distribuzione dei ministeri e provare a modificare, di conseguenza, linea e profilo dell’esecutivo; altri - e in testa a tutti ovviamento il Partito democratico - pensano che il rimpasto debba trasformarsi (anche se non soprattutto) in una potente operazione d’immagine, col dimezzamento o quasi del numero dei dicasteri così da battere un colpo visibile di fronte al montare della cosiddetta antipolitica.

E’ ovvio che, qualunque sia la motivazione, una drastica riduzione del numero di ministri e sottosegretari del più affollato governo della storia, non potrebbe che essere accolto con soddisfazione: l’esperienza però insegna che è più facile fare passare il famoso cammello attraverso l’altrettanto famosa crune dell’ago piuttosto che convincere ministri e viceministri a lasciare il loro incarico.

Lasciarsi andare a previsioni ottimistiche è dunque difficile. Più facile, ovviamente, è disegnare il futuro a tinte fosche. L’ultima confessione di pessimismo è arrivata ieri da Enrico Boselli: «Il problema non è il rimpasto di governo, ma fare sì che il governo duri... Dico la verità: arrivare alle europee del 2009 mi sembra un’impresa titanica». Il fatto è che non arrivarci, significa fermarsi assai prima: primavera 2008, cioè tra qualche mese appena...


da lastampa.it
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« Risposta #21 inserito:: Settembre 14, 2007, 04:42:23 pm »

Alfiero Grandi: «La manifestazione del 20 così è un attacco alla Cgil»

Andrea Carugati


«In questa situazione, con la Cgil così esposta, la manifestazione del 20 ottobre mi preoccupa molto». Alfiero Grandi, sottosegretario all´Economia, di Sinistra democratica, ex dirigente della Cgil, propone ai compagni di viaggio della cosiddetta «Cosa rossa» una pausa di riflessione: «La manifestazione del 20 ottobre mi pare poco comprensibile. Per qualcuno forse può essere una rivalsa rispetto al referendum, ma sarebbe un errore mettere in difficoltà il governo. Dunque la sinistra rifletta, riesamini l´opportunità di questa manifestazione: parliamone dopo la conclusione del referendum tra i lavoratori». «Nella maggioranza c´è chi pensa di fare a meno della sinistra? Bene, ma a noi spetta non dare la minima occasione per aprire un problema», dice Grandi. «La sinistra non deve prendersi la responsabilità di aumentare le fibrillazioni».

Dunque siete pronti a disertare la piazza?

«Se il 20 non è oggetto di una riflessione che ci garantisca che sarà una manifestazione "amica" di tutta la Cgil, qualcuno ci andrà e altri no. Vorrà dire che il percorso comune a sinistra partirà il 21 di ottobre».

Pensa che il processo unitario potrebbe arrestarsi?

«Andremo avanti, pur con dei punti di differenza. Noi puntiamo a una federazione, cominceremo a lavorare insieme sui punti che ci trovano d´accordo, ma il processo di unità è assolutamente necessario. Pur sapendo che è un traguardo, non qualcosa di già pronto e scodellato».

Come valuta il no della Fiom al protocollo sul welfare?

«Con rispetto. La più importante categoria dell´industria esprime un malessere profondo che va interpretato e capito. Non accetterò mai che i metalmeccanici vengano sbeffeggiati o diventino il parafulmine di tutte le contraddizioni. Detto questo, ritengo un bene che l´accordo venga approvato, pur con tutti i suoi difetti e le sofferenze che ha provocato. Non ci sono alternative a un sì. Quei difetti li vedo anch´io, a partire dalla decontribuzione degli straordinari che è un mero regalo alle aziende. Di fronte al dibattito interno alla Cgil che sarà anche teso, il governo deve avere un atteggiamento di generosità e di comprensione».

Cosa significa?

«Ci sono personalità autorevoli che suggeriscono al governo di non concertare più col sindacato, quasi fosse una creatura del passato. Ma il sindacato è un punto di tenuta sociale fondamentale, di cui la Cgil è l´architrave. Dunque il governo deve respingere quei consigli, e fare di più. Tiziano Treu ha detto che nella stesura finale ci possono essere dei chiarimenti, ad esempio sul tempo determinato e sullo staff leasing. Credo che ce ne possano essere anche altri. Insomma, il protocollo non va interpretato come un "prendere o lasciare". Il confronto può continuare. In fondo anche l´accordo del 1993 è figlio delle valutazioni sugli errori del 1992».

Anche il ministro Damiano ha detto che se si comincia a cambiare poi rischia di venir meno l´equilibrio complessivo...

«Dell´accordo non bisogna avere una visione statica, ma dinamica. Ci sono argomenti che possono essere ripresi più avanti, con una iniziativa parlamentare o del governo».

Epifani ha chiesto un passo indietro alle forza politiche sulle vicende della Cgil. È d´accordo?

«Il sindacato è il protagonista dell´accordo e della discussione con i lavoratori: questo è un punto fermo, e compito della sinistra politica non è rendere più aspra la discussione, ma essere l´interfaccia politica dei problemi che pongono la Cgil e la Fiom. Non dobbiamo sovrapporci, nè andare sugli spalti a fare il tifo: la nostra squadra è tutta la Cgil».

Pubblicato il: 14.09.07
Modificato il: 14.09.07 alle ore 13.12   
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« Risposta #22 inserito:: Settembre 19, 2007, 12:19:42 am »

Pd, Lamberto Dini se ne va. Treu: «Noi restiamo»


«Berlusconi non c'entra niente. Noi stiamo nel centrosinistra e ci auguriamo di potere continuare a sostenere il governo». Così Lamberto Dini, ufficializzando la decisione di non entrare nel Partito democratico. Lo ha annunciato lui stesso martedì. Ma la componente liberal democratica della Margherita non lo segue al completo. «Apprendo con dispiacere la decisione di Lamberto Dini di non aderire al Pd», commenta il senatore dell'Ulivo Tiziano Treu, «mi spiace per i legami personali e politici che ci hanno unito in questi anni nel sostenere obiettivi comuni di rinnovamento e di riforma della vita italiana».
Da sinistra a destra, anche dopo le rassicurazioni del fondatore nel '96 di Rinnovamento italiano di rimanere ancorato nell'area del centrosinistra continuando ad appoggiare il governo, anche se non ci saranno cambiali in bianco e le valutazioni saranno fatte giorno per giorno, c'è già chi prefigura scenari inediti quando approderanno nell'aula di palazzo Madama i provvedimenti da approvare. Una tensione che qualcuno già prevede si scaricherà sulla legge Finanziaria. Ma già giovedì nell'aula di palazzo Madama sono attese importanti votazioni sulla Rai.

Non sembra stupirsi più di tanto il ministro delle Infrastrutture, Antonio Di Pietro che dice: «È il solito Dini del cavallo giusto al momento giusto: ha fatto parte del comitato dei 45 per scrivere le regole» anche «per fare da garante nella costruzione del Partito democratico, evidentemente ha visto che questo Partito democratico, così come si sta sviluppando, non gli da abbastanza spazio».

«È legittimo tutto quello che fa - aggiunge Di Pietro - certo però è singolare che si dica che il Pd non va bene, proprio da parte di chi era uno dei 45 delegati a costruirlo. Delle due l'una: o Dini non sapeva e non sa quello che dice, o questo Pd ha ancora dei problemi di identità molto importanti».

Per il coordinatore dell'esecutivo della Margherita, Antonello Soro, «ogni rinuncia o astensione è un'occasione mancata, soprattutto per quelli che scelgono di non partecipare». «A me dispiace - aggiunge Soro - ma vorrei segnalare che la nascita del Pd non è un fatto neutro, indifferente, cui tutti hanno aderito. Sono state altre le personalità che in questi mesi hanno segnalato la loro volontà di non parteciparvi. Io spero - ha concluso - che il saldo degli italiani che aderiranno a questo grande progetto sia assolutamente positivo rispetto a quanti non vi aderiranno».

Ma se il centrosinistra riflette sul da farsi, alla luce delle decisioni dell'ex premier, il centrodestra cavalca la notizia. «Il Pd perde pezzi ancora prima di cominciare. La scelta annunciata dal senatore Dini è una palese bocciatura per un progetto politico che è sempre più una fusione a freddo».

Afferma il presidente dei senatori di Forza Italia, Renato Schifani. «Gli elettori, che nei sondaggi non premiano il nuovo soggetto - aggiunge - lo hanno capito perfettamente e soprattutto si sono resi conto da tempo che le primarie del Pd sono in realtà una finzione di democrazia. Il vincitore, imposto dai vertici Ds, lo conoscono tutti. È quello che tra un mese farà di Prodi ancora di più un premier di consolazione».

Secondo il capogruppo alla Camera di An i contrasti nella maggioranza «si cristallizzano oggi con la decisione di Dini». Quello che conta - per La Russa - è che «lopinione pubblica ha già condannato questo governo». Per l'Udc «Dini è una persona estremamente seria che evidentemente non condivide il progetto di fondere due anime diverse in un unico partito. Dini prende le distanze da questa operazione che parte dal vertice, dalla nomenklatura e non dalla base». Ha affermato Lorenzo Cesa, segretario dei centristi.


Pubblicato il: 18.09.07
Modificato il: 18.09.07 alle ore 18.48   
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« Risposta #23 inserito:: Settembre 21, 2007, 10:22:58 am »

ECONOMIA

Documento presentato a Prodi da Mussi, Giordano, Diliberto e Alfonso Pecoraro Scanio

"Il protocollo sul welfare rimanga fuori, si aspetti l'esito del referendum tra i lavoratori"

Finanziaria, le richieste delle sinistre "No a cabina di regia del partito Democratico"

Tre le priorità indicate dai quattro esponenti politici: lavoro, ambiente e sapere

"Si inverta la tendenza di questi anni a comprimere la spesa sociale"


ROMA - Una Finanziaria di "qualità e giustizia sociale", con tre priorità: lavoro, ambiente e sapere. E che coinvolga nella sua stesura tutti i partiti della coalizione di governo, non solo quelli che andranno a costituire il futuro partito Democratico. Lo chiedono i leader della sinistra dell'Unione Fabio Mussi (Sd), Franco Giordano (Prc), Oliviero Diliberto (Pdci) e Alfonso Pecoraro Scanio (Verdi), in un documento presentato stamattina al presidente del Consiglio Romano Prodi, nel corso di un incontro di circa un'ora a Palazzo Chigi.

Il documento ha una premessa politica: "Non crediamo sia possibile identificare una 'cabina di regia' che veda come unici attori gli esponenti del costituendo Partito democratico. Per tali motivi chiediamo che il presidente Prodi rinnovi la sua funzione di garante della collegialità e della coesione dell'intera coalizione", scrivono i leader della sinistra dell'Unione.

Quindi, la richiesta che la manovra 2008, rispetti gli impegni assunti prima con gli elettori e poi con la maggioranza parlamentare. "E' necessario - si legge infatti nel documento - mantenere una congruità tra quanto scritto nel Dpef , e nelle risoluzioni approvate in Parlamento, e la scrittura materiale della Finanziaria".

A questo proposito, viene chiesto che "Il protocollo sul welfare non entri in Finanziaria e sia solo un collegato. Il governo può attendere l'esito del referendum fra i lavoratori". Ribadito inoltre che "Lottare contro la precarietà, a partire da ciò che l'ha generata strutturalmente come i contratti a termine, è un nostro preciso dovere".

Sul fisco, Prc, Pdci, Sd e Verdi confermano la richiesta di "adeguare" la tassazione delle rendite finanziarie. La sinistra dell'Unione invita poi il governo a "invertire la tendenza negativa di questi anni a comprimere la spesa sociale. In Italia, infatti - sottolinea il documento consegnato a Prodi - la spesa sociale è di 1,5 punti percentuali al di sotto della media dei partner europei".


(20 settembre 2007)
da repubblica.it
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« Risposta #24 inserito:: Settembre 23, 2007, 11:26:13 pm »

Dopo la scomparsa le reazioni.

Il Pdci: «Immediato ritiro dall'Afghanistan»

Diliberto: ritirare subito truppe da Kabul Bondi a Fassino: «E' l'ora dell'unità».

Russo Spena: «Garantire incolumità rapiti anche trattando» 
 

ROMA - Mentre il premier Romano Prodi parte per gli Stati Uniti - dove seguirà a New York la conferenza Onu sui cambiamenti climatici e sulla moratoria per l’abolizione della pena di morte - e promette di seguire costantemente la vicenda, in Italia tengono banco le polemiche dopo la scomparsa e il probabile rapimento dei due militari italiani in Afghanistan.

DILIBERTO: SUBITO IL RITIRO - Oliviero Diliberto chiede un immediato ritiro dei soldati italiani dall'Afghanistan: «Esprimo la più sentita solidarieta alle famiglie dei soldati italiani - ha detto il segretario del Pdci - Chiedo e mi impegnerò affinchè non si lasci nulla di intentato per la loro liberazione». Ma quest o episodio, continua, «conferma l'assurdità della nostra presenza in Afghanistan. Lo diciamo da tempo: ritiriamo subito le truppe».

L'UDC: IRRESPONSABILE -«Irresponsabilità totale da parte di Diliberto a chiedere il ritiro delle truppe dall' Afghanistan nel giorno in cui i terroristi talebani sembrano aver nuovamente ripreso di mira i nostri militari», gli risponde il parlamentare dell'Udc Maurizio Ronconi.

BONDI A FASSINO - «Anche in riferimento alle ultime notizie provenienti dall'Afghanistan, desidero rispondere a Piero Fassino che mai come oggi è venuto il momento della serietà, del dialogo, dell'unità nel nome degli interessi dell'Italia», dice invece Sandro Bondi. per il portavoce di Forza Italia, «ogni altro accento, come quello toccato oggi dal segretario dei Ds, è fuori luogo e destinato, prima di quanto non si creda, ad apparire inopportuno e privo della consapevolezza della gravità della crisi in cui versa il Paese».

I TIMORI DI DE GREGORIO - Preoccupato anche il presidente della Commissione Difesa del Senato, Sergio De Gregorio: la scomparsa di due sottoufficiali in Afghanistan «apre uno scenario inquietante su cosa possa rappresentare ciò dal punto di vista politico», dice De Gregorio, che riferisce che «la nostra intelligence era stata preallertata» e che «c’è unico filo dietro la regia delle azioni di telebani e di hezbollah, e che lo scenario è da intendersi come scenario globale». Se si trattasse di un rapimento «si tratterebbere di avvertimento forte e deciso agli italiani».

GARANTIRE INCOLUMITÀ - «La preoccupazione per la sorte dei due militari italiani, dell'autista e dell'interprete scomparsi in Afghanistan è fortissima», dice il capogruppo del Prc al Senato Giovanni Russo Spena. «In queste ore - continua - la prioritá assoluta è lavorare, se necessario anche trattando, per garantire l'incolumitá e il ritorno a casa di tutti e quattro gli scomparsi. Subito dopo, però, bisognerá prendere atto dell'impossibilitá di risolvere con le armi la situazione in Afghanistan. Il governo si adoperi per una soluzione politica e per la convocazione della conferenza internazionale di pace».

23 settembre 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #25 inserito:: Settembre 25, 2007, 04:15:08 pm »

Nella notte

La cena dei segreti


NEW YORK — E' stata una serata di tensione e recitazione. A imporre la finzione, la ragion di Stato. Affinché l'incursione per liberare i due agenti del Sismi non diventasse un segreto all'italiana, materia di dibattito prima di essere compiuta, Romano Prodi e Massimo D'Alema si sono comportati in modo opposto rispetto ai giorni del rapimento Mastrogiacomo.

Allora, quando il giornalista si trovava nelle mani dei talebani, erano i membri del governo a violare per primi gli appelli alla discrezione lanciati da Palazzo Chigi e Farnesina. Domenica scorsa, invece, il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri, entrambi a New York in vista della 62a Assemblea generale dell'Onu, hanno accompagnato una delle scelte più delicate della propria vita con un atteggiamento esteriore di serafica tranquillità, di insondabile riservatezza. Sulla 44a strada era ora di cena, in Italia mancava poco alle due del mattino. Dopo aver confermato in segreto il via libera definitivo all'operazione di Comsubin e Col Moschin, l'altro ieri Prodi e D'Alema ostentavano davanti agli inviati delle testate italiane sorrisi non molto diversi da quelli del ministro verde Alfonso Pecoraro Scanio. Soltanto che quest'ultimo, senza codazzi di cronisti al seguito, era in uscita dal 27˚piano dell' Hotel Millennium nel quale c'è una cinematografica piscina sospesa tra le luci di New York. Prodi e D'Alema, nel grattacielo a fianco, avevano appena concluso un incontro dentro la Rappresentanza permanente dell' Italia presso le Nazioni Unite: oltre un'ora a parlare del piano, di prossima attuazione, per riportare a casa gli italiani catturati in Afghanistan.

A esaminare la collaborazione in atto con i militari britannici (ai tempi del sequestro Mastrogiacomo, irritatissimi per le trattative italiane), gli spagnoli, i tedeschi, gli americani. A valutare i rischi da calcolare. Subito dopo la cattura dei due agenti del Sismi, nel fine settimana, da parte delle forze armate italiane e dagli alleati stranieri era stata quasi automatica la richiesta di un' irruzione che non lasciasse spazi a temporeggiamenti e trattative. Nella Nato non si era ancora risolta la questione aperta in marzo dal sequestro Mastrogiacomo: la ricerca di una linea di condotta comune sui rapimenti, sollecitata da vari Paesi membri per scoraggiare l'Italia ad altri negoziati con i talebani. Lo spazio per un cambiamento nella politica adottata dal nostro Paese, almeno per questo caso specifico dei due militari, però nei giorni scorsi c'era. E' evidente che ostaggi stranieri del genere non erano, per i gestori del sequestro, soltanto carne umana da vendere un tanto al chilo al Paese d'origine. Non erano come le volontarie italiane o come i giornalisti. Erano agenti segreti, e in quanto tali a conoscenza di informazioni segrete. Affinché le rivelassero, potevano essere sottoposti a torture.

Intenzionato anche a far vedere che l'impegno dello Stato non è maggiore per i giornalisti rapiti e minore per i militari, Prodi ha deciso rapidamente: il blitz andava compiuto appena possibile. Prima di essere portato da Roma negli Stati Uniti con un volo dell' Aeronautica militare, il Professore ha dato il via libera. Domenica sera, tra la sua riunione con D'Alema, finita un po' prima delle otto di sera di New York, e l'incursione di Sas, Consubin e Col Moschin in Afghanistan sono passate tre ore. Tre ore prima che il ministro della Difesa Arturo Parisi, alle 11 di sera di New York, chiamasse Prodi e gli fornisse un resoconto a caldo sull'incursione. Il presidente del Consiglio ha appreso che i due prigionieri sono stati prelevati dalle forze speciali mentre erano o stavano per essere portati nel bagagliaio di una macchina, pronti ad essere trasferiti verso Sud. Così, almeno, stando alle prime versioni. Il trasferimento verso Sud era stato uno dei principali timori, dall'inizio. E' finita con quasi tutti i sequestratori morti, un italiano ferito male e uno libero, l'operazione segreta. "Una volta individuati come agenti, i due potevano essere uccisi al più presto. Non c'era alternativa. Bisognava agire, nella notte non si poteva. Si è dovuto aspettare che in Afghanistan tornasse la luce", ci ha detto ieri D'Alema. "Ho saputo che l'operazione era avvenuta da un messaggino ricevuto di notte", raccontava.

E in attesa che il blitz scattasse, davanti al portone del Millennium D'Alema aveva scelto di intrattenere gli italiani presenti sul fatto che nel pomeriggio Condoleezza Rice aveva accettato di invitare la Siria al prossimo incontro internazionale sulla pace in Medio Oriente. Il ministro sosteneva di essere stato dipinto sulla stampa italiana come "estremista- terrorista" per aver avanzato la stessa proposta con venti giorni d'anticipo. Sembrava il suo pensiero principale, invece D'Alema era ritornato un professionista del divagare come quando, da giovane membro della direzione del Pci ai tempi del "centralismo democratico", reagiva parlando di pallone alle domande dei cronisti sulla riunione a porte chiuse dalla quale veniva. Più in là, Prodi, in pullover, si avviava in un ristorante, Smith e Wollensky, con l'aria distaccata che potrebbe avere un dirigente d'azienda nel fine settimana. A cena con Bobo Craxi, un po' più tardi il movimento sbagliato di un cameriere gli avrebbe inzuppato la tovaglia di vino. Dice adesso D'Alema: "Non che sospetti tra di voi giornalisti la presenza di agenti dei talebani, ma non potevamo annunciarvi quanto si preparava...".

Maurizio Caprara
25 settembre 2007
 
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« Risposta #26 inserito:: Settembre 25, 2007, 04:33:17 pm »

Marina Sereni: «Non tirate troppo la corda, così il governo cade»

Simone Collini


Appello «giustissimo» quello di Napolitano, secondo Marina Sereni. «Dobbiamo introdurre uno stile diverso nel fare politica», dice la vicepresidente dell’Ulivo alla Camera ammonendo gli alleati a «non tirare la corda» e definendo «un atto di irresponsabilità estrema» il mettere a rischio il futuro non solo di questo governo ma di questo paese. «Il malessere che viene alla luce va raccolto, ma non bastano ricette semplicistiche. E uno dei punti di innovazione del Partito democratico, oltre ai contenuti, deve essere la capacità di mettere al centro rigore e serietà, la buona politica».

Per ora avete a che fare con Di Pietro che chiede a Visco di dimettersi, passo che per il ministro può essere “concomitante” con una riduzione di ministri e sottosegretari.
«Intanto, vanno scisse totalmente le due questioni. È del tutto legittimo che si possa fare una riflessione su una riorganizzazione del governo. Mi pare invece improprio farlo mettendola in relazione alla vicenda di Visco, che peraltro sotto il profilo giudiziario si è conclusa con un’archiviazione».

Delle sollecitazioni a “riorganizzare” il governo che dice?
«Si tratta di valutare se ci sono le condizioni per aprire e, soprattutto, per chiudere positivamente. È naturalmente un capitolo molto delicato, che è esclusivamente nelle mani di Prodi».

Il Pd sarebbe disponibile a un ridimensionamento dei propri ministri?
«Deve esserlo».

Per rispondere al malessere di cui parlava?
«Sì, anche, ma il punto centrale è che questa riorganizzazione deve essere produttiva, deve cioè portare maggiore efficienza nell’azione di governo, perché questo si aspettano i cittadini. Se invece dovesse portare a nuove discussioni, trattative infinite, vertici e controvertici, allora è meglio non aprire neanche il discorso».

E rimanere con un governo di oltre cento tra ministri, vice e sottosegretari, quando ormai non passa giorno senza che si discuta di costi della politica?
«I cittadini criticano la politica non solo o, mi permetto di dire, non tanto per quanto costa ma per quanto produce, per quanto rende. Siamo sollecitati da questo malessere a renderla più efficace, più vicina ai problemi del paese, e in grado di risolverli».

Quanto accaduto in Senato sulla Rai per molti ha a che fare poco con la tv di Stato e molto con il posizionamento per il futuro. Si profila un autunno caldo?
«Il momento che attraversiamo è davvero delicato. Se si tira troppo la corda o da una parte o dall’altra c’è il rischio che si strappi».

Fuor di metafora?
«Il rischio è di far cadere il governo».

Se succede si va al voto, ha detto Fassino. Concorda?
«Naturalmente c’è una prerogativa del Capo dello Stato, ma è certo che non ci possono essere né cambi di maggioranza né di premiership. E non si possono fare pasticci. Al massimo si può fare una buona legge elettorale e andare al voto».

E chi la fa?
«O la fa il Parlamento o la fa il referendum».

Come evitare una crisi di governo?
«Vedo due questioni dirimenti. Mantenere fede a quello che abbiamo scritto nei documenti di approvazione del Dpef, e cioè che l’aumento delle entrate fiscali determinato dalla lotta all’evasione va portato a beneficio di famiglie e imprese che pagano le tasse. E, secondo, niente stravolgimenti del protocollo sul welfare, né da destra né da sinistra».

Il Parlamento è sovrano, dicono quanti vogliono delle modifiche.
«Giusto, e io non credo che si debbano bandire confronto e discussione. Ma al di là dei miglioramenti che potranno esserci quando il protocollo verrà tradotto in proposta legislativa, non si può immaginare che abbiamo sottoscritto come governo un accordo con tutte le parti sociali per poi farlo a pezzi in Parlamento».

Centralità Dpef e niente stravolgimenti al protocollo sul welfare bastano per tenere in piedi il governo?
«Sono due principi entro i quali si possono soddisfare le aspettative di tutte le forze che sostengono il governo».

E tutti nell’Unione continueranno a sostenere il governo, secondo lei?
«In Parlamento non c’è un centrosinistra smarrito e un centrodestra compatto. E non c’è un’alternativa al governo di centrosinistra. Il paese ha bisogno di essere governato. Andare all’avventura con elezioni anticipate, senza sapere cosa succede, mi pare un atto di irresponsabilità estrema, quale che siano gli elementi di insoddisfazione per questi primi 15 mesi di governo. Non è quello che ci chiede il nostro elettorato, nonostante ci siano in esso elementi di malessere. Dobbiamo stringere le fila e selezionare alcune priorità condivise da tutti».


Pubblicato il: 25.09.07
Modificato il: 25.09.07 alle ore 9.20   
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« Risposta #27 inserito:: Settembre 26, 2007, 10:02:04 am »

POLITICA

L'esecutivo reagisce all'affondo di Di Pietro: "Ecco le nostre priorità prima di riequilibrare l'esecutivo Finanziaria e legge elettorale"

Palazzo Chigi apre sul cambio di squadra

Prodi: "Non ci sarà alcun rimpasto"

Il 3 ottobre al Senato la cdl presenterà una mozione di sfiducia contro Visco

 
ROMA - "Del tema della riconsiderazione organizzativa della squadra di governo si potrà parlare una volta varata la Finanziaria e dopo aver affrontato il tema della riforma della legge elettorale". Chiamato in causa dalla sortita di Antonio Di Pietro, Palazzo Chigi reagisce e prova a placare il ministro nel giorno della spaccatura sul dibattito sul caso Visco a Palazzo Madama. "Si potrà parlare di riequilibrio che potrà essere affrontato riconsiderando il numero dei ministri e dei sottosegretari solo dopo la legge elettorale e la Finanziaria", scrivono a Palazzo Chigi. Ma quando comincia a girare la parola "rimpasto" Romano Prodi da New York ferma tutto: "Io devo semplicemente dire che non ho alcuna intenzione di fare alcun rimpasto e basta, non c'è nulla da aggiungere".

Ma, rimpasto o no, sull'esecutivo si apre oggi un'altra grana che parte dall'Idv. Il partito di Di Pietro, che da giorni chiede un "rimpasto organizzativo per diminuire il numerio dei ministri e dei sottosegretari" alla conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama si allinea alla Cdl per dibattere del caso Visco in aula. Si apre una crepa nella maggioranza che crea tensioni evidenti in Senato e che ha come conseguenza la discussione sulla querelle Visco-Speciale il 3 ottobre prossimo. Giorno in cui si materializzerà a Palazzo Madama una mozione di sfiducia al vice di Padoa Schioppa della Cdl.

Visco non ci sta e attacca: "Di Pietro ha sovrapposto il problema della riduzione del numero dei ministri con il caso Speciale e ancora una volta, pur senza dirlo, si è schierato di fatto e con straordinaria sollecitudine con il generale Speciale". Palazzo Chigi, da parte sua, prova ad esorcizzare l'ennesimo passaggio a rischio in Senato: "Le politiche fiscali del governo hanno dato risultati eccellenti, i cui benefici si vedranno anche nella prossima Finanziaria. Il commento, dunque, non può che essere positivo. Per il resto la questione è affidata al dibattito parlamentare. Noi registriamo ciò che i capigruppo della maggioranza al Senato, tutti i capigruppo, hanno dichiarato oggi".

Chiaro il riferimento al comportamento dell'Idv che ha fatto capire di essere disponibile a votare la mozione della Cdl sulla calendarizzazione del dibattito sul viceministro dell'economia e le sue deleghe. Il voto, poi, è stato unanime perché tutto il centrosinistra ha deciso per il "sì" ad affrontare il caso.

Decida l'Aula, insomma. Le priorità per il governo sono altre. A partire dalla Finanziaria e dalla legge elettorale. Solo dopo si potrà parlare di riequilibrio che potrà essere affrontato riconsiderando il numero dei ministri e dei sottosegretari. Per Palazzo Chigi non si può parlare di rimpasto; ma, in caso di ridimensionamento del numero di ministri e viceministri, sarebbe difficile utilizzare un termine diverso.

Per quanto riguarda la legge elettorale le fonti di Palazzo Chigi ribadiscono ''l'intenzione del governo di ascoltare le richieste del Presidente della Repubblica Napolitano e di mantenere fede agli impegni assunti''. L'argomento è prerogativa del Parlamento, quindi l'esecutivo non prendera' direttamente l'iniziativa ma avvierà una ''azione di stimolo''.

(25 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #28 inserito:: Settembre 26, 2007, 12:04:17 pm »

26/9/2007
 
Sull’altare dell’Ici
 
TITO BOERI

 
Molte sono le incognite sulla manovra finanziaria che uscirà dal Consiglio dei ministri di oggi. Ma una cosa è certa: verrà varata la riduzione dell’Ici sulla prima casa, impegnando in questa operazione almeno un miliardo di euro. Quella degli sgravi sull’Ici è una vicenda tipica della campagna elettorale permanente che caratterizza la politica italiana. Tirata fuori dal cappello da Silvio Berlusconi alla vigilia delle elezioni politiche del 2006, la riduzione o addirittura abolizione dell’Ici è tornata sulla bocca di politici locali o nazionali in prossimità di ogni tornata elettorale. Sembra che abbia virtù taumaturgiche: garantisce consensi immediati, da spendere il giorno dopo. In effetti quasi 7 famiglie italiane su 10 hanno una casa di proprietà. Ma si accorgeranno tutte degli sgravi? E non si arrabbieranno a scoprire che, dopotutto, l’Ici è sempre lì?

Di questo i paladini degli sgravi Ici non sembrano preoccuparsi. Poco importa che in questi anni non ci sia stato un solo economista che abbia sostenuto la causa degli sgravi Ici. Poco importa che l’Ici sia una delle poche tasse che in Italia non opera prelievi sul reddito, tartassato e anche per questo fortemente evaso.

Poco importa che la casa sia un bene immobile, con un’offerta poco sensibile alle variazioni di prezzo e quindi che può essere tassato con effetti molto meno distorsivi delle tasse sul capitale o sul lavoro. Poco importa che, proprio in virtù della sua immobilità, l’Ici non crei conflitti fra giurisdizioni sulla titolarità del gettito e sia diventata la fonte primaria di finanziamento per molti Comuni. Poco importa che, in attesa di una sempre rinviata revisione degli estimi e delle categorie catastali, le rendite imputate e tassate dall’Ici siano spesso fuori mercato, il che rende difficilmente prevedibili gli effetti distributivi degli sgravi.

Quel che conta è portare a casa qualche risultato politico immediato, come se le elezioni fossero domani mattina. E anche se Ici sta per Imposta comunale sugli immobili, a ridurla, a farsi bello, deve essere il governo centrale. La scelta di intervenire sull’Ici è coerente con i piani di un esecutivo che si prepara a una tornata elettorale imminente. Se investisse sul futuro anche ravvicinato, concentrerebbe gli sgravi fiscali sul lavoro, introducendo un sistema di incentivi condizionati all’impiego, che faciliti l’emersione del lavoro sommerso dopo l’ennesimo fallimento delle politiche di riemersione. Potrebbe utilizzare l’extragettito anche per finanziare un credito d’imposta per le mamme che lavorano mettendo i figli al nido, incentivando la partecipazione femminile e la fertilità al tempo stesso. Sarebbero misure che rilanciano una crescita occupazionale che sembra essersi arrestata, con un rendimento elettorale più forte anche se più in là nella legislatura. Oppure il governo potrebbe riportare fin da subito le aliquote Ires - grande protagonista dell’extragettito - al di sotto dei massimi europei, rendendo più conveniente investire da noi. Soprattutto perché la partita meno tasse in cambio di meno trasferimenti alle imprese sembra già persa. Da quando la fetta più consistente dei trasferimenti alle imprese, gli incentivi destinati al Mezzogiorno, è stata ritenuta intoccabile.

Riducendo il prelievo sul lavoro e sul capitale si potrebbe anche rispondere al visibile rallentamento della nostra economia e alle sempre più probabili conseguenze sull’economia reale della crisi finanziaria in corso. I consumi delle famiglie italiane sono fortemente sensibili all’andamento dei redditi da lavoro, mentre lo sono assai meno all’andamento dei prezzi delle case, anche per la natura poco liquida dei beni immobiliari e lo scarso sviluppo da noi conosciuto dal mercato dei mutui. Non ci sono neanche indicazioni della presenza in Italia di una bolla immobiliare che stia per sgonfiarsi: c’è stato solo un rallentamento della crescita dei prezzi delle case, peraltro interrotto nell’ultimo semestre, con addirittura una crescita più sostenuta negli ultimi sei mesi. Non ci sono, dunque, ragioni per sostenere i prezzi delle case. Gli stessi politici che si sono battuti come leoni per chiedere gli sgravi Ici hanno magari richiesto a gran voce compensazioni per le famiglie che contraggono mutui immobiliari, come se sostenere i prezzi delle case con gli sgravi Ici non rendesse più oneroso l’acquisto di una casa. E poi certo, ci sono anche i «federalisti doc» nel partito dei tagli all’Ici. Il valore degli immobili è in buona parte legato alle politiche di urbanizzazione, verde pubblico e controllo del traffico condotte a livello locale. I Comuni sono incentivati a darsi da fare nel migliorare la qualità dell’ambiente urbano anche perché questo si traduce in un aumento del valore degli immobili, dunque del gettito Ici. Ma i nostri federalisti, a quanto pare, preferiscono che i governi locali vivano solo di trasferimenti, meglio se poco trasparenti, dal governo centrale. Per salvare le apparenze il governo dovrà ora ricorrere a macchinose e oscure compensazioni ai Comuni. Altri sacrifici... all’altare dell’Ici.

 
da lastampa.it
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« Risposta #29 inserito:: Settembre 26, 2007, 04:10:37 pm »

Il presidente del Consiglio: se cado farò nomi e cognomi
Prodi: snellire il governo

Ma non sarà un rimpasto Oggi vertice di maggioranza: sul tavolo le rendite finanziarie e lo strappo di Di Pietro su Visco

 
ROMA - Erano giorni che il premier si dibatteva, «rimpasto sì o rimpasto no?». Il viaggio americano sembra aver portato consiglio ed ecco che, a New York, un «fiducioso» Romano Prodi scherza con i giornalisti. «Facciamo una moratoria sulla pena di morte del mio governo? Non cade, quindi il problema del voto anticipato non sussiste». I suoi lo raccontano in pace e perfino disponibile a imporre, a Finanziaria approvata, uno «snellimento » dell'esecutivo. Un rimpasto, insomma. A Palazzo Chigi lo chiamano «riconsiderazione organizzativa » e nelle intenzioni di Prodi è il taglio di ministri e sottosegretari.
«Saremo proprio noi, dopo il 14 ottobre, a promuovere una cura dimagrante della delegazione del Pd», conferma il sottosegretario Enrico Letta. Ma poiché non è carino chiedere a big dell'Ulivo di votare la Finanziaria e poi farsi da parte, in pubblico Prodi giura che il rimpasto non è nella sua mente, «o almeno non adesso... ».

Stasera alle nove il premier accoglierà a Palazzo Chigi leader e capigruppo, la tensione è altissima, il vertice affollato e in gioco, oltre al sospirato accordo sulla legge di bilancio, c'è la sopravvivenza di una maggioranza colabrodo. Antonio Di Pietro vuole ritirare le deleghe a Visco, la sinistra va allo scontro sulle rendite finanziarie, Mastella è pronto a mollare se «Idv, Dini, Bordon e sinistra radicale non sosterranno la manovra». Ed è per tranquillizzare i più piccoli che Prodi rilancia sulla legge elettorale: «Dopo la Finanziaria è una priorità».

Ma è di nuovo scontro tra riformisti e massimalisti e ad accenderlo è il premier dalla Grande Mela, quando incontra Lamberto Dini e gli promette che le tasse sulle rendite non saranno innalzate: «Saggezza dice di non toccare un capitolo così sensibile...». Rapidi consulti sulla linea Roma- New York e il capogruppo del Prc, Gennaro Migliore, avverte il capo dell'alleanza: «Non è così che ci si prepara al vertice, il programma va rispettato e noi siamo molto determinati ».

Sul Sole 24 Ore di oggi Franco Giordano tiene formalmente il punto sulle rendite, ma sul taglio dell'Ici tende un mano all'Ulivo, messaggio distensivo che Dario Franceschini coglie al volo: «Non sarà muro contro muro». La mina Dini, almeno quella, pare dunque disinnescata. «Lamberto mi ha assicurato che è parte forte e costante del centrosinistra» sospira di sollievo Prodi dopo 90 minuti a colloquio con l'ex premier. Eppure vista da Roma, dalla scrivania di Anna Finocchiaro, la situazione tanto serafica non è. «Qui ogni giorno c'è una mozione, una trappola, come possiamo andare avanti così?» ha avvertito Prodi, Fassino e Veltroni la presidente dell'Ulivo, che stasera porrà formalmente la «questione Palazzo Madama». L'ultimo incidente è di ieri. Il centrodestra — con l'«aiutino » di Di Pietro, il cui senatore Formisano in commissione ha votato con la Cdl — è riuscito a calendarizzare per il 3 ottobre la mozione D'Onofrio sull'operato di Visco.

E la Finocchiaro non si fa illusioni: «Senza i tre senatori dell'Idv noi andiamo sotto».

Ma davvero Di Pietro vuole la crisi? «Io non faccio ricatti — risponde il ministro — ma è necessaria una riorganizzazione interna che non prevede il rinnovo delle deleghe a Visco». La coppia di dissidenti ulivisti Bordon e Manzione non vuol essere «il quindicesimo partitino » e diserterà il vertice. Dini manderà Natale D'Amico. E il premier ammonirà la squadra, magari con le stesse parole che ha usato con i collaboratori: «Chi vuole la rottura se ne assuma la responsabilità. Se devo andare a casa ci andrò, ma prima farò i nomi e i cognomi ».

Monica Guerzoni

26 settembre 2007
 
da corriere.it
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