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Autore Discussione: GOVERNO PRODI...  (Letto 55689 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Settembre 27, 2007, 09:42:59 am »

ECONOMIA

La riunione notturna a Palazzo Chigi con 30 membri della maggioranza

Prc, Pdci, Verdi e Sd attaccano: "Ma ci fidiamo della mediazione del premier"

Finanziaria, vertice difficile per Prodi

La sinistra: "E' tutta da reimpostare"

Mastella, assente, incassa la solidarietà del capo del governo per gli attacchi a Ballarò

Il presidente del consiglio assicura: "Farò io la sintesi" e parla anche in tedesco
 

ROMA - Notte di tensione per Prodi e il suo governo, la sinistra interna attacca la manovra di Padoa Schioppa e dice che, in pratica, sarebbe tutta da riscrivere. Poi, però concede ancora fiducia al premier e il presidente del Consiglio garantisce una rapida sintesi per arrivare al varo della Finanziaria entro 48 ore.

Il vertice di maggioranza sulla Finanziaria (30 presenti nella sala Verde di Palazzo Chigi) comincia con il premier che esprime solidarietà al Guardasigilli Clemente Mastella assente perché terribilmente offeso dagli attacchi subìti a "Ballarò": "Un vero e proprio agguato mediatico: la sinistra di Capalbio mi vuole fottere. O Floris mi dimostra, cassette alla mano, che anche ad altri politici ha chiesto di amanti, mogli, case, conti in banca, o è un farabutto, un giornalista indegno".

Prodi offre subito la solidarietà al ministro della Giustizia assente e invita i presenti a fare in modo che la manovra economica "non diventi occasione di saldare dei conti fra noi".

Detto e fatto, il ministro dell'Economia Tomaso Padoa-Schioppa non ha ancora finito la sua relazione introduttiva, che, all'esterno, trapelano i primi "no" della sinistra di governo: "La Finanziaria non va bene e va reimpostata completamente". Poi, però, un'aggiunta che lascia una porta aperta: "Caro Prodi, abbiamo piena fiducia nella tua capacità di mediazione".

E Prodi, nelle conclusioni assicura: farà lui in persona la necessaria sintesi. Il premier riconosce alla sinistra che nei giorni scorsi, da quella parte sono venuti contributi e sollecitazioni e mostra di voler prendere in considerazioni le indicazioni di tutti, anche se invita a non alzare troppo i toni, a non tirare la corda in un passaggio così delicato. Poi spiega che farà sintesi tra i contributi di tutti, sia quelli giunti stasera sia nei giorni precedenti. E la farà rapidamente: appena 48 ore.

In tedesco. "Visto che qua non mi capisce nessuno,
allora provo a spiegarmi in tedesco". Proprio all'inizio delle sue conclusioni, tra lo sconfortato e l'ironico, Prodi comincia a parlare effettivamente nella lingua di Goethe. Poche parole, per lo più non capite dai presenti. Che, interpellati, dicono: "Che cos'ha detto? Boh, non so il tedesco...". Allegerita la tensione e ottenuta una risata dal tavolo, Prodi ha ripreso a parlare in italiano.

Il prevertice. D'altra parte, poche ore prima, nel prevertice della "sinistra di governo" (assente il Pdci) erano già emerse pesanti critiche per una manovra che secondo i partecipanti, non soddisfa quasi nessuno dei punti programmatici cari all'ala sinistra della coalizione: redistribuzione sociale delle risorse, maggiore attenzione e quindi investimenti sull'ambiente, tassazione delle rendite finanziarie e rivisitazione dell'accordo sul welfare.

E, intorno alle 22,30, quando il vertice è in corso da un'ora, i portavoce di Giordano (Prc), Diliberto (Pdci), Pecoraro Scanio (Verdi) e Mussi (Sd) scendono in sala stampa per spiegare il punto di vista dei loro leader. Presto detto: nella relazione di Padoa-Schioppa non ci sono sufficienti elementi di giudizio. Conseguente la richiesta a Prodi di "reimpostare e ridiscutere integralmente l'impianto della manovra". Le principali critiche riguardano la mancanza di misure per l'ambiente e la ricerca e una "vera" restituzione di risorse ai più poveri. uscendo, Diliberto l'ha giudicata "insoddisfacente". "Possibile che solo io mi accorga del malcontento che c'è in giro?".

La giornata. Eppure, la giornata, per l'esecutivo, non era cominciata male. Recuperati nei giorni scorsi Dini e Di Pietro, il problema più grosso sembrava rappresentato da un Mastella imbufalito per gli attacchi subiti in tv e, soprattutto per la mancata solidarietà dagli altri leader della maggioranza. Il Guardasigilli faceva sapere che non avrebbe preso parte al vertice serale dove sarebbero stati presenti solo i capigruppo dell'Udeur Fabris e Barbato. Un problema grosso per Prodi, ma il Guardasigilli aggiungeva che si sarebbe rimesso alle decisioni del premier, che non ce l'aveva con lui e che il governo non correva rischi da parte sua. Prodi, capita l'antifona, provvedeva all'introduzione con parole solidali per Mastella e sdegnate per l'attacco ricevuto.

La sinistra di governo. Ma la "sinistra di governo" aveva già fatto capire che avrebbe cercato di capitalizzare il più possibile (fino alla rottura?) il tempo e le occasioni, da qui fino all'approvazione della Finanziaria. Così, questo primo vertice, è subito diventato terreno di scontro. Se Prc, Comunisti italiani, Verdi e mussiani sono davvero decisi a far cadere il governo sulla Finanziaria, lo si capirà meglio nei prossimi giorni. Certo, Giordano, nel suo primo intervento, è andato giù pesante: "La collegialità
non c'è - avrebbe detto - la tassazione delle rendite non c'entra nulla con la crisi dei mutui. Si difende la rendita speculativa, non ci sono la ricerca, l'ambiente, la redistribuzione. Manca un progetto di cambiamento". Subito dopo, però, è arrivata la frase più conciliante sulla fiducia nelle capacità di mediazione del premier.

Le rendite da tassare. Prodi ha risposto subito sulla questione della tassazione delle rendite: per ora non si può, ma il programma sarà applicato. A quanto si apprende il premier lo ha detto rispondendo a Fabio Mussi. Prodi avrebbe affermato che non è ora il momento di fissare questa tassa per evitare di creare turbolenze nel mercato, ma il programma sarà applicato.

(26 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #31 inserito:: Settembre 27, 2007, 10:03:52 am »

La nota

Palazzo Chigi sotto assedio.

Ma nessuno può rompere Tregua apparente con Di Pietro che sul caso Visco si smarca dalla Cdl 


L’immagine della «rissa continua» è difficile da smentire. Ma osservando la pletora e l’eterogeneità degli alleati che compongono l’Unione, sarebbe sorprendente il contrario. La domanda è se Romano Prodi riuscirà a tenere sotto controllo le liti, giocando sulle convenienze di potere del centrosinistra; oppure se qualcuno si sta davvero preparando alla rottura. Le grida che hanno accompagnato la vigilia del vertice a palazzo Chigi di ieri sera, ripropongono l’ipotesi di una crisi ravvicinata. L’assenza dalla riunione del ministro della Giustizia, Clemente Mastella, furioso con la sinistra, ha fatto parlare per l’ennesima volta di governo al capolinea. Eppure non è scontato sia così.

Il colloquio avuto ieri mattina dal presidente del Consiglio con Antonio Di Pietro ha rallentato la rotta di collisione sul caso Visco-Speciale in vista della seduta del 3 ottobre al Senato; e, almeno in apparenza, ridotto le possibilità di un voto del partitino del ministro insieme con l’opposizione. Di Pietro appare disposto a non creare altre tensioni, se Palazzo Chigi congelerà le deleghe del viceministro Visco: vuole che vengano lasciate nelle mani del titolare dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa. Per il resto, il modo in cui l’Italia dei valori asseconda le offensive antipolitiche «alla Grillo» risponde più alla voglia di ritagliarsi una rendita di consenso, che di far cadere Prodi.

Nessuno è in grado di garantire che su un simile sfondo il presidente del Consiglio uscirà indenne dalle prossime settimane in Parlamento: l’incidente può sempre verificarsi, in Senato. Per questo non si può dar torto al socialista Enrico Boselli quando esprime scetticismo sulla possibilità che il vertice notturno chiuda lo scontro nell’Unione. Il «no» preventivo alla finanziaria arrivato dall’estrema sinistra, Pdci escluso, suona come un ulteriore annuncio di scasso. Ma nelle ultime ore, il premier sembrava convinto di poter riassorbire le spinte più destabilizzanti; e di recuperare un margine di manovra rispetto agli alleati.

L’unica arma che per il momento è in grado di sfoggiare, però, è quella di prendere tempo. Non a caso, palazzo Chigi ha comunicato che occorreranno altre quarantotto ore per mettere a punto i provvedimenti. Significa che non c’è ancora l’accordo; ma anche che nessuno può e vuole arrivare alla rottura.
D’altronde, i vertici di solito sono convocati per trovare un’intesa, per quanto pasticciata. E quello notturno dell’Unione non fa eccezione: veleni, tensioni e ambiguità compresi. Colpisce il degrado dei rapporti interni.
Prodi ha dovuto iniziare il vertice avvertendo che «non è l’occasione per regolare i conti fra noi»; e solidarizzando con Mastella, assente. Sia nell’estrema sinistra che fra i partitini moderati, si assiste ad una competizione nervosa per non essere scavalcati dal concorrente elettorale più diretto. Non bastasse, pesano sul centrosinistra la sensazione di un’erosione progressiva dei consensi; e la certezza di un malessere contro i partiti, che si scarica in primo luogo sulle forze di governo. Così, più che il leader di una maggioranza, Prodi è sempre più il generale di un fortino assediato e di un esercito tentato di rompere le righe.

di Massimo Franco
27 settembre 2007
 
da corriere.it
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« Risposta #32 inserito:: Settembre 29, 2007, 10:24:14 pm »

C'è qualcuno lassù?

Antonio Padellaro


Le migliaia di messaggi di adesione al «basta» rivolto da l’Unità alle continue liti nell’Unione si commentano da soli. Resta invece indecifrabile la reazione che l’ondata di amichevole protesta ha suscitato nei destinatari della posta. Verrebbe da dire: silenzio di tomba con la sola eccezione dell’accorato «non facciamoci del male» rivolto da Piero Fassino agli alleati più nervosi. Per il resto non una voce si è alzata, fino a questo momento, dal variegato arcipelago del centrosinistra tale da trasmettere una qualche rassicurazione a quelle brave persone preoccupate. Tutti nostri lettori e, fino a prova contraria, loro elettori.

Si dirà che i governanti parlano con i fatti e che la migliore medicina per la salute della maggioranza è l’accordo a quanto sembra raggiunto con i ministri della sinistra radicale sulle maggiori risorse che la Finanziaria destinerà alle fasce deboli. Una buona notizia che premia la paziente mediazione di Romano Prodi e il metodo del confronto anche duro tra sinistra-sinistra, moderati e riformisti. Che però non risolve il problema di fondo sollevato dal nostro giornale e dai suoi lettori. Quello cioè di un governo la cui immagine, malgrado i risultati ottenuti, viene danneggiata continuamente dalle divisioni e dagli sgambetti tra i partiti che dovrebbero sostenerlo. Per quanto tempo ancora il governo riuscirà a navigare a vista? E come mai la ciurma si è fatta così litigiosa tanto da rischiare essa di provocare il naufragio? Su questo non si può essere affatto tranquilli per il futuro.

Proviamo ad azzardare qualche spiegazione.

La prima che ci viene in mente e che forse di quelle lettere ai destinatari importa relativamente. Fa parte della cultura del nostro ceto politico considerare gli elettori un’entità astratta, volubile, sovente molesta e tutto sommato trascurabile. Tranne naturalmente che in campagna elettorale. L’idea di fondo è che la politica è roba per specialisti che non possono certo farsi condizionare dai rumori della folla o dal primo scocciatore che passa. Come tutti i professionisti che si rispettano ai politici interessa parlare solo con i politici. Lo fanno, infatti, con un loro linguaggio iniziatico (basta leggere i loro articoli) indirizzato a un circuito selezionato e ristretto. Per soli eletti appunto. Quanto ai cittadini, niente paura. Possono mugugnare quanto vogliono ma alla fine tornano sempre all’ovile. Questa idea ovina (o bovina) dell’elettorato sembra in effetti confermata dalle costanti alte percentuali di voto che nel nostro straordinario paese contraddicono puntualmente i cupi pronostici di astensionismo massiccio.

I politici, insomma, sanno bene quello che fanno e che non fanno. Prendiamo l’antipolitica. Il dopo Grillo è stato tutto un assembramento di decaloghi partoriti da partiti e istituzioni onde pervenire alla più rapida e virtuosa autoriforma contro sprechi e privilegi. Implacabili tagli di deputati e senatori. Feroci stragi di ministri e sottosegretari. Una disumana falcidie di poltrone, prebende e gettoni di presenza. È vero che si tratta di misure impossibili da improvvisare ma perché questa politica intensiva degli annunci quando l’unica notizia certa sulla «Casta» riguarda l’aumento delle spese di Montecitorio? Anche qui si ha come l’impressione di una politica troppo sicura di se (arrogante?) e convinta che tra qualche mese di Grillo e delle sue piazze nessuno si ricorderà più.

Ci sono altre possibili spiegazioni sull’apparente apatia dell’Unione rispetto alle attese di chi l’ha votata. L’insostituibilità di Prodi. Il fatto che sì il governo barcolla, tentenna ma che nessuno può permettersi di farlo cadere. La crisi d’invecchiamento della ex Cdl, forte dei sondaggi ma inesistente nella proposta politica e orfana dell’Udc di Casini. Per carità, le reciproche debolezze tra maggioranza e opposizione hanno riempito intere fasi della storia repubblicana. Solo che adesso questa fragilità della politica va ad incrociarsi proprio con l’unica, grande novità politica degli ultimi anni: il Partito Democratico. Le primarie del 14 ottobre sono dietro l’angolo accompagnate da una forte attesa di partecipazione. Lo dicono in tanti: meno di un milione sarebbe un problema, due milioni un successo. Ma può un elettorato arrabbiato e perplesso trovare improvvisamente l’entusiasmo per correre a fare la fila nei gazebo? È una domanda soprattutto per Walter Veltroni che, lo sappiamo, delle lettere a l’Unità non se ne perde una.

apadellaro@unita.it

Pubblicato il: 29.09.07
Modificato il: 29.09.07 alle ore 8.55   
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« Risposta #33 inserito:: Settembre 30, 2007, 04:20:44 pm »

ECONOMIA

Il vicepremier e leader della Margherita dopo l'approvazione della Finanziaria

"Era una battaglia chiave per riavvicinarci al ceto medio"

Rutelli: "Ho vinto la sfida dell'Ici ora snelliremo il governo"

"Sicurezza e liberalizzazioni sono le nuove priorità

di MASSIMO GIANNINI
 

ROMA - Presidente Rutelli, siete tutti soddisfatti. Lei brinda all'Ici, la sinistra radicale festeggia gli sgravi agli incapienti. Una manovra che accontenta tutti non è la "cifra" di un compromesso che risolve momentaneamente i problemi politici, ma rinvia ancora una volta le riforme vere di cui il Paese ha bisogno?
"Io sono decisamente soddisfatto. Abbiamo mantenuto gli impegni presi, ed è la prima cosa che conta. Abbiamo confermato che c'è il risanamento dei conti, ma anche una serie di misure forti verso i ceti popolari che soffrono di perdita del potere d'acquisto. E che la priorità per il centrosinistra resta il ritorno alla crescita dell'economia, se non vogliamo restare indietro, lenti e non competitivi. La manovra accontenta tutti tenendo fermi questi tre pilastri? Vuol dire che funziona: Padoa-Schioppa ha fatto un buon lavoro e Prodi ha tirato bene le fila".

Gli sgravi sulla casa sono stati un suo cavallo di battaglia. Su questo almeno è riuscito a piegare gli alleati riottosi. La soglia dei 50 mila euro di reddito non è un limite che taglia fuori dai benefici tanta parte di ceto medio?
"Mi sono battuto in questi mesi perché il governo tenesse il punto sull'Ici. E' stata una battaglia difficile, ma è stata utile se vogliamo recuperare i consensi del ceto medio. È un punto importante: si toglie via un'imposta a milioni di famiglie. Si premia chi si è sacrificato per comprare la prima casa, si incoraggia chi crea una famiglia, tanto più di fronte alle incertezze dei mercati. Non si tolgono risorse ai comuni. E si aiuta chi ha un reddito medio, o medio-basso".

Gli sgravi Ires e Irap e la forfettizzazione per le imprese più piccole sono un segnale importante lanciato al mondo produttivo. Ma secondo lei bastano a definire questa una "Finanziaria per lo sviluppo"?
"Guardi, sono misure veramente importanti, e apprezzate dalle imprese. Anche la semplificazione degli adempimenti è preziosa, vista la sofferenza delle micro-imprese. Ho chiesto al Consiglio dei Ministri di confermare la priorità al pacchetto liberalizzazioni di Bersani e al ddl Lanzillotta sulle utilities locali. Facciamo i conti: per i 5 anni di Berlusconi la crescita media è stata dello 0,3% all'anno Una catalessi. Oggi siamo verso il 2%. E' una ripresa seria. Perché sia crescita sostenuta, ci vuole più tempo e tutto il coraggio delle riforme. Il Pd nasce proprio per questo: semplificare la politica e dare alle riforme la forza indispensabile".

Nonostante tutte le riduzioni fiscali che avete varato, nel 2007 la pressione fiscale sale al 43,1% e raggiunge il record assoluto degli ultimi dieci anni. Nel 2008 è previsto un calo modestissimo, al 43%. Non si poteva fare di più?
"Lei sa bene che la pressione sale non perché abbiamo alzato aliquote o introdotto nuove tasse, ma perché funziona la lotta all'evasione fiscale. E' un successo, anche se è impopolare. Certo, occorre che le tasse scendano dal 2009. Occorre sforzarci di ridurre gli adempimenti e la burocrazia. Ma il contrasto dell'evasione è il presupposto, non uno slogan: solo così si finirà per pagare meno. E la Finanziaria è chiara: col risanamento si taglia il debito, riparte l'avanzo primario, si riduce il fardello degli interessi da pagare. E si debbono tagliare le tasse".

Padoa-Schioppa ha detto che sui tagli di spesa avrebbe voluto fare molto di più. Li avevate promessi, anche nel Dpef. Perché non si riesce a incidere sulla spesa corrente, sulla sanità, sul pubblica impiego, sui ministeri?
"E' vero. Credo che per gli anni prossimi dobbiamo affrontare il lato della spesa, a partire dalle forniture pubbliche: Regioni incluse, sono più di 100 miliardi all'anno. Lì c'è da risparmiare parecchio attraverso gare centralizzate. L'Emilia Romagna ha fatto funzionare una centrale acquisti che ha portato robusti risparmi. Deve farlo l'intera Amministrazione pubblica: negli anni della Destra si è allentata la presa e hanno galoppato gli sprechi".

Il rinvio del protocollo del Welfare, al contrario dell'Ici, è una vittoria della sinistra radicale. Non teme che quel pacchetto di misure, dalla previdenza ai sussidi alla disoccupazione, possa essere congelato per chissà quanto tempo?
"Lo vareremo nel prossimo Consiglio dei Ministri. E' un impegno preso e non si cambia. Difendere un mercato del lavoro moderno non significa allentare l'impegno contro la precarietà, ovviamente. Alle misure contenute nell'accordo, peraltro, abbiamo già iniziato a dare attuazione, inclusa la Finanziaria. Tra pochi giorni, tutti i pensionati con assegni bassi riceveranno una "quattordicesima" di circa 300 euro, puliti, esentasse. E' una mossa concreta, a difesa dei ceti più in difficoltà. Un altro frutto dell'accordo di luglio".

Anche sui costi della politica, forse, si poteva incidere più a fondo. Che valore ha un semplice atto di indirizzo verso il Parlamento, per ridurre il numero dei deputati e dei senatori? Non è un pannicello caldo, messo lì demagogicamente, tanto per arginare l'ondata dell'antipolitica?
"Pannicello caldo? E' nel nostro programma, il governo lo ha ribadito con chiarezza, lo voteremo in Parlamento. Non lo facciamo mica perché lo chiede il Gabibbo, ma perché è giusto, ed è tempo di farlo. Quanto ai costi della politica, il problema c'è, eccome. Abbiamo varato un pacchetto importante su proposta di Santagata di taglio dei costi delle amministrazioni pubbliche e della politica. Ma mi creda: il vero costo della politica è la politica che non funziona. Politici onesti e che ottengono risultati: la gente vuole soprattutto questo".

Grillo non è la soluzione dei problemi. Ma lei non crede che dopo la Finanziaria servirebbe un vero rimpasto, e magari un dimezzamento della squadra di governo?
"Penso che dobbiamo fare delle cose serie: ridurre in questa Legislatura il numero dei parlamentari, dei consiglieri regionali, di quelli locali. E di Ministri e sottosegretari. Non confonda però le riforme che stiamo discutendo, che dobbiamo approvare - e che porteranno a un taglio di almeno un terzo del Governo - con un precipizio verso la caduta del governo, della Legislatura e il ritorno della Destra".

Lei è pronto, insieme agli altri leader del Partito democratico, a mettere a disposizione i suoi incarichi nel governo, a partire dal ruolo di vicepresidente del Consiglio?
"Si fa parte di un Governo perché si ha fiducia e si riceve fiducia. E perché si deve servire il bene comune e ottenere dei risultati. Anche, in verità, per tenere una linea politica. Come lei sa, io non inseguo le chiacchiere. Ho fatto alcune cose: guidato il partito che ho presieduto per sei anni all'approdo unanime nel Partito Democratico. Senza Margherita, il PD non si sarebbe mai fatto. Ho sostenuto una forte accelerazione della sua nascita, l'investitura popolare del segretario, ho appoggiato Veltroni, promosso l'appello del "coraggio delle riforme". Credo che continuerò su questa strada".

Berlusconi continua a dire che l'unica buona notizia che il Paese aspetta è la caduta di questo governo. Cosa risponde? E condivide l'idea secondo la quale, se cade iol governo Prodi, poi ci sono solo le elezioni?
"Purtroppo, è lo stesso film da quattordici anni. Così come la pantomima di Bossi. Il modo più giusto di rispondere è far nascere il Pd - che non potrà che rivoluzionare tutta la scena politica, anche a destra - e dargli forza, idee, progetti. Migliorare l'azione di governo, e mi pare i segni siano positivi, per recuperare consensi laddove c'è disaffezione. Dialogare comunque con l'opposizione: fino all'ultimo, abbiamo il dovere di tentare un incivilimento dei rapporti istituzionali. Se cade il governo, certo, ci sono solo le elezioni. E invece bisogna fare la legge elettorale: sistema francese, tedesco, ritorno al "mattarellum", va scelta entro poche settimane la riforma con maggiore consenso nel centrosinistra e con consensi anche nel centrodestra che faccia funzionare il sistema e non ci metta ostaggio di un senatore o due".

A questo punto, passata la nottata della manovra, qual è il cammino del governo? Avete in testa una road map, o continuerete a navigare a vista, con il pericolo costante di una disavventura al Senato?
"Approvare la manovra economica, che ha un ricco contenuto sociale. Riprendere il cammino delle liberalizzazioni. Fare la riforma elettorale e misure coraggiose per far funzionare le istituzioni grippate. Approvare le misure per la sicurezza, con un pacchetto forte e innovativo (anche la Banca del Dna, e le misure per liberare i bambini-schiavi, per intenderci). Ce n'è da fare, non crede? Altro che gettare la spugna".

(30 settembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #34 inserito:: Settembre 30, 2007, 04:23:25 pm »

Equità e sviluppo: la manovra c’è

Stefano Fassina


La manovra per il 2008 appena varata dal Governo è un buon equilibrio tra rigore, sviluppo ed equità, i punti cardinali del programma di governo del centrosinistra. Un equilibrio retto da una straordinaria performance delle entrate dalla lotta all’evasione, anche oggi come ieri, il vero puntello di questa maggioranza. La performance delle entrate consente di comporre esigenze, certamente fondate, di sostegno alle famiglie a maggiore disagio sociale e le esigenze, altrettanto fondate, di semplificazione e riduzione del carico fiscale sulle imprese. La manovra ha un limite di fondo, lo indico più avanti, ma è indubbiamente un significativo passo avanti nella direzione di modernizzare l’Italia.

Al segno positivo, concorre l’obiettivo della manovra: consolidare il percorso di risanamento strutturale della finanza pubblica riavviato lo scorso anno, dopo una legislatura di deragliamento. Il debito pubblico fa altri passi per scendere sotto la quota del 100 percento del Pil. Oggi sembra scontato, ma per un Paese indebitato come il nostro e con una situazione politica così precaria non è affatto acquisita la responsabilità verso il futuro delle maggioranze parlamentari. Anzi, purtroppo, tale responsabilità rimane ancora un carattere distintivo del centrosinistra dal centrodestra.

Al segno positivo, concorre anche la direzione anticiclica della manovra: in una congiuntura economica in rallentamento, è espansiva, per la prima volta dopo un lungo periodo di interventi di contenimento. La correzione non va nel senso di ridurre il deficit «tendenziale» (ossia a legislazione vigente), ma, all’opposto, va nel senso di incrementarlo di 0,4 punti percentuali di Pil, oltre 6 miliardi di euro. Tali risorse, insieme a risparmi di spesa per circa 5 miliardi, finanziano gli 11 miliardi di euro tra maggiori spese (8 miliardi) e minori entrate (3 miliardi). Insieme alla manovra espansiva per il futuro, c’è anche la seconda «manovrina» espansiva per l’anno in corso: 0,6 punti percentuali di Pil, in aggiunta allo 0,4 di Pil di giugno, un punto percentuale in tutto. È come se avessimo annullato l’intervento della Finanziaria dello scorso anno, anche qui per effetto dei risultati di lotta all’evasione molto migliori delle previsioni.

Guardiamo ora alle misure. Per il 2007, l’extragettito consente di fare un forte intervento (quasi 2 miliardi di euro), sebbene una tantum, di restituzione delle detrazioni fiscali non godute ai contribuenti a più basso reddito. Al tempo stesso, permette di anticipare all’anno in corso una serie di spese per investimenti, alleggerendo così il bilancio pubblico dei prossimi anni. Per il 2008, si avvia una articolata politica per la casa per oltre 2 miliardi di euro all’anno: l’abbattimento dell’Ici sull’abitazione principale (la detrazione arriva così fino a 304 euro), un intervento ispirato alla progressività rispetto all’impostazione regressiva propagandata dal centrodestra nella campagna elettorale del 2006; l’introduzione di una detrazione per le famiglie in affitto con redditi inferiori a 30.000 euro l’anno, maggiorata per i giovani; il finanziamento di programmi di edilizia agevolata.

Il capitolo più innovativo e più rilevante ai fini del sostegno allo sviluppo è dato dalle riforme dell’imposizione fiscale sulle imprese, tutte: micro, piccole, medie e grandi. Il regime, opzionale, per le attività produttive minime e marginali (oltre un milione di soggetti, con fatturato inferiore a 30.000 euro l’anno) abbatte drasticamente gli adempimenti fiscali, elimina l’Irap, l’Iva ed introduce un imposta sostitutiva del 20 percento sul reddito. Altrettanto rilevante è la riforma dell’Ires per le società di capitali, i redditi delle quali saranno tassati al 27,5 percento, invece che al 33 percento oggi in vigore, su una base imponibile allargata dalla rimodulazione della deducibilità degli interessi passivi, dalla revisione della disciplina degli ammortamenti e degli accantonamenti. Oltre che semplificare, le riforme consentono di ridurre l’Irap e di reintrodurre incentivi alla capitalizzazione delle nostre imprese, anche di quelle soggette all’Irpef.

Come detto all’inizio, il limite di fondo è sul lato della spesa. Innanzitutto perché, nonostante le indicazioni del Dpef e delle connesse risoluzioni di Camera e Senato, il Governo non è riuscito a finanziare i proposti aumenti di uscite con un corrisponde diminuzione di risorse sui programmi in essere. Ancora una volta, le maggiori spese sono in misura prevalente (oltre il 60 percento) finanziate dalle maggiori entrate previste nel tendenziale. Quindi, solo una parte dell’extragettito va a riduzione delle imposte, le quali nel 2008, a livello aggregato, saliranno in rapporto al Pil. È un esito in larga misura predeterminato, dato il compromesso raggiunto per i rinnovi dei contratti nel pubblico impiego e dato l’Accordo del 23 luglio scorso sulla revisione dello «scalone» per l’accesso al pensionamento di anzianità e sulle altre misure di welfare. È un esito predeterminato perchè, dopo aver escluso retribuzioni, previdenza, interessi sul debito, la spesa corrente disponibile per razionalizzazione e contenimento non supera il 20 percento della spesa totale. E, purtroppo, su tale spazio disponibile, gli strumenti previsti nella Legge Finanziaria dello scorso anno (spending review, politiche di acquisto e di controllo della domanda) hanno funzionato poco. Ora vengono rivitalizzati per raggiungere obiettivi inevitabilmente modesti nel breve periodo (circa 1,5 miliardi di risparmi).

Oltre all’andamento aggregato, è la composizione delle maggiori uscite ad essere insoddisfacente. Perdura l’assenza di priorità nell’allocazione delle risorse a fini dello sviluppo (la scuola e l’università? la ricerca? le infrastrutture? gli interventi sociali? le imprese?). Le maggiori spese risentono più della necessità di accontentare tutte le componenti della maggioranza che di una ferma direzione di marcia e un chiaro ordine di priorità.

In conclusione, un buon equilibrio, utile al Paese e, speriamo, alla stabilità della maggioranza, bene prezioso anche per le nostre prospettive economiche. Tuttavia, i pesanti vincoli su retribuzioni e spesa pensionistica hanno limitato la portata della svolta. Accelerare le riforme della spesa rimane decisivo per recuperare il ritardo, dell’Italia nel quadro globale e della politica verso larga parte dei cittadini e degli elettori del centrosinistra. E se non si può accelerare, almeno si dovrebbe evitare di rallentare. Per questo, ora, ogni sforzo va fatto affinché l’accordo sul welfare sia approvato da lavoratori e pensionati e l’intera maggioranza sia così «costretta» a sostenere un disegno di legge collegato alla Finanziaria coerente con quanto sottoscritto il 23 luglio da Prodi.

Pubblicato il: 30.09.07
Modificato il: 30.09.07 alle ore 7.37   
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« Risposta #35 inserito:: Ottobre 10, 2007, 12:42:42 pm »

Venerdì in Cdm il pacchetto sicurezza: soddisfatti i sindaci


Il pacchetto sicurezza anticipato ai sindaci. Lunedì il ministro degli Interni Giuliano Amato ha incontrato i "primi cittadini" da tutt'Italia (da Veltroni a Domenici, a Cofferati) per presentare il disegno di legge (in un primo tempo si era parlato di decreto legge, che potrebbe comunque tornare d'attualità per alcune norme) che venerdì andrà in Consiglio dei ministri. Provvedimenti molto duri che portano Gianfranco Fini a dichiarare: «Se il pacchetto ci convince potremo anche appoggiarlo». Soddisfatti tutti i sindaci tranne quello di Milano Letizia Moratti che esprime «profonda delusione» perché scaricherebbe «i problemi sulle città». Un pacchetto che fa gridare alla sinistra a «provvedimenti da Stato di polizia, più pesanti rispetto agli anni del terrorismo».

CUSTODIA CAUTELARE Viene prevista per tutti i reati di cosiddetto "allarme sociale" (anche furto, scippo, rapina) di fatto equiparati ai reati di mafia o di terrorismo. Per gli stessi reati dunque viene rivista la legge Saraceni-Simeone con la revoca dell'affidamento ai servizi sociali, come già per i reati associativi con finalità sovversive o criminali. Pene più dure sono anche annunciate per chi costringe i bambini all'accattonaggio.

PIU' POTERI AI SINDACI Potranno firmare ordinanze non solo (come ora) per «gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini», ma anche «per sicurezza e decoro urbano». In questo modo i sindaci diventano anche «ufficiali del governo».

ESPULSIONI DAI PREFETTI Attualmente, con le leggi in vigore, solo il ministro degli Interni ha il potere di espellere cittadini anche comunitari per motivi di ordine pubblico. Dopo le polemiche su lavavetri e questuanti, questo potere viene allargato ai Prefetti. Sulla norma vi sono parecchi di dubbi, e di costituzionalità e di rispetto della libera circolazione prevista dalla Ue.

STRETTA CONTRO DEGRADO E MANIFESTAZIONI Nel mirino finiscono soprattutto i "writers" o graffitari: ora sono previste solo multe per chi imbratta i muri. Con l'aumento delle pene, allo studio anche una norma che lega la concessione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno o ad un lavoro socialmente utile. Sempre per «rispetto del decoro», un sindaco potrà modificare «luogo e modalità delle manifestazioni politiche», altra norma fortemente avversata dall'ala sinistra della coalizione di governo per supposta incostituzionalità. Ultimo provvedimento: test antidroga per tassisti e autisti degli autobus.

POTENZIAMENTO FORZE DELL'ORDINE Vengono previsti circa 4.500 uomini delle forze dell'ordine in più da dislocare nelle città, mentre altri 2-3 mila dovrebbero arrivare dal recupero del personale prestato ad altre amministrazioni. Potenziamento delle Procure e degli Uffici dei gip e rafforzamento della copertura dei posti presso le sedi giudiziarie disagiate. Infine, viene prevista la rimozione di una serie di passaggi che attualmente rallentano il meccanismo della confisca dei beni dei mafiosi. Verrà poi eliminata la possibilità di patteggiamento in appello per reati di mafia.

Reazioni soddisfatte per ora sono state espresse dal sindaco di Bologna Sergio Cofferati («novità assai significative che riequilibrano i poteri»), dal sindaco di Firenze Leonardo Domenici («ora abbiamo più poteri, ma non siamo sceriffi»), dal sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino («giudizio positivo, ora si approvino presto»).


Pubblicato il: 09.10.07
Modificato il: 10.10.07 alle ore 10.05   
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« Risposta #36 inserito:: Ottobre 12, 2007, 11:49:11 pm »

POLITICA

Lo strappo di Bordon e Manzione

"Fuori dall'Unione, in Senato nessun vincolo"


ROMA - Non si placano le tensioni al Senato tra l'Ulivo e i dissidenti della Margherita Willer Bordon e Roberto Manzione, fondatori de 'l'Unione democratica. "Ieri - ha spiegato Bordon - abbiamo ricevuto una lettera da un avvocato che per conto dell'Unione ci certifica di fatto che io e Manzione non facciamo più parte dell'Unione.

Di conseguenza l'Unione certifica che al Senato non ha più la maggioranza", anche perchè a questo punto, "non avendo più obblighi di coalizione, io e Manzione ci sentiamo liberi di presentare nostri emendamenti ad una Finanziaria che riteniamo abbia seri elementi da modificare". Dunque "se non c'è più una maggioranza politica ci sarà una maggioranza aritmetica sui nostri emendamenti".

"Non ne ho parlato con Prodi - aggiunge Bordon - vogliamo però un chiarimento politico", perchè "questo non è un gioco. Per quanto mi riguarda sono pronto anche a lasciare la politica, quindi il problema non mi riguarda. Al Senato - ha concluso Bordon - la maggioranza è letteralmente allo sbando, con le varie anime del Partito democratico alle prese con una lotta animalesca".

(12 ottobre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #37 inserito:: Ottobre 18, 2007, 06:22:31 pm »

I patti si rispettano

Bruno Ugolini


Speriamo che questa sia la volta buona. Non se ne può più della disputa senza fine sul protocollo. Ovverosia su quella serie di disposizioni formulate per agevolare l’esistenza ad anziani e giovani. È uno stato d’animo diffuso quello di chi non ne può più dei tira e molla, degli errori di trascrizione nella stesura definitiva della legge, degli improvvisi voltafaccia che cancellano scelte già concordate, di minacce di nuovi ribaltamenti nella discussione parlamentare.

Non se ne può più perché non siamo di fronte a determinazioni improvvisate, a testi maturati all’ultimo momento. Molti di quelli che oggi strepitano tacevano nel corso del lunghissimo tragitto che ha portato all’accordo. Quel protocollo ha alle spalle mesi e mesi di preparazione, discussioni, negoziati, iniziative pubbliche, manifestazioni. Non è stato covato nel silenzio, tra carbonari e poi sbocciato come per incanto. È l’inizio del febbraio 2007 quando Cgil Cisl e Uil varano quella che può essere considerata una vera e propria piattaforma. Il documento contiene una serie di obiettivi rivendicativi sui quali tra l’altro le diverse categorie sono chiamate ad organizzare assemblee, consultazioni, informazioni. C’è nel sindacato chi si mette subito all’opera e chi non prende in considerazione questo dovere elementare, magari per stupirsi in questi giorni e pronunciare veementi verdetti di condanna. Eppure i capitoli di quella piattaforma sono pressoché gli stessi che oggi costellano il famoso protocollo. Ma non si assiste, in quei giorni, allo scatenamento dei "No" di destra e di sinistra. Eppure nella piattaforma non c’è il tutto e subito, non c’è l’abolizione immediata della legge 30. Sono prospettate misure parziali, un percorso. Le scelte sindacali, suscitano solo gli appunti dei soliti moderni accademici, pronti a teorizzare la sortita di un sindacato capace di farsi Harakiri, tagliando pensioni e diritti. E poi comincia il negoziato, una trattativa lunga, estenuante, per settimane e settimane. Con i titoli dei giornali che riportano tesi e contro tesi su giovani, anziani, scalini, scaloni. Con la Cgil di Epifani che ad un certo punto minaccia di abbandonare ogni confronto. Con i sindacati dei pensionati che scendono in piazza e in qualche fabbrica si giunge allo sciopero. Ma non si sente crescere, in quelle ore, lo sdegno impetuoso di segreterie politiche di partiti che pure siedono al governo. Quelli che, appunto, minacciano di farsi sentire ora, in Parlamento perché non conta l’iniziativa dei sindacati, non conta quanto stabilito da una consultazione di massa, una prova di democrazia che dovrebbe incutere rispetto da parte di tutti.

Siamo così ai giorni nostri. Con la scesa in campo non di qualche apparato, bensì di oltre cinque milioni di donne e di uomini che in tal modo testimoniano che nel sindacato credono ancora. E la stragrande maggioranza, oltre l’ottanta per cento, pronuncia un Sì convinto. Sarà un Sì col mal di pancia, perché si pretendeva di più da un governo di centrosinistra. Un Sì di gente che sta male perché i temi dell’organizzazione del lavoro spesso non sono più all’ordine del giorno e la condizione operaia sta ritornando ai tempi antichi. Un Sì, però, di gente che sa bene che l’attuale compagine governativa sta in piedi per miracolo e che se non si sta attenti tutto può precipitare e lo scalone nonché la legge 30 ritorneranno senza nemmeno un graffio. Ecco perché ora guardano con trepidazione all’evolversi delle cose e non ne possono più. Perché pensano che i patti siano da rispettare. Che quello per cui hanno votato debba rimanere intatto. Comprese le misure oggetto d’interventi mistificanti come l’assicurazione che un precario potrà avere una pensione decente almeno pari al 60 per cento del suo ultimo stipendio. Per non restare "bamboccioni" anche a 70 anni. Certo che bisogna tener conto, come sottolineano a sinistra della sinistra, del malcontento e dei No affermati in grandi fabbriche del Nord. Ma ritardando ancora l’approvazione parlamentare del protocollo, innescando la rincorsa all’emendamento, non si otterrà un miglioramento della condizione dei metalmeccanici. Semmai il contrario. Oppure si potrà determinare l’affossamento del protocollo. Tutti a casa. Non ci sarà tripudio nelle fabbriche, anche in quelle del No, rimaste con un pugno di mosche in mano. Anche se ai promotori della disfatta, sembrerà di aver salvato l’anima. E ci vorrà un’altra consultazione, questa volta generale, di tutto il Paese, per dimostrare il loro tragico errore.


Pubblicato il: 18.10.07
Modificato il: 18.10.07 alle ore 13.11   
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« Risposta #38 inserito:: Ottobre 20, 2007, 06:27:02 pm »

Prodi: «C'è un complottone contro il governo»

Ninni Andriolo


«È partito il complottone...» Prodi è stato chiaro con i promotori della manifestazione sul welfare. Giovedì mattina, prima di raggiungere in aereo il vertice Ue di Lisbona, il «Prof» aveva avvertito gli esponenti della «sinistra radicale» in visita a Palazzo Chigi. «Il vostro corteo - aveva insistito - rischia di indebolire un governo che molti vorrebbero mandare a casa». Il Presidente del Consiglio che tenta di sdrammatizzare dal Portogallo gli effetti della mobilitazione di oggi - «no, non sono preoccupato» - smentisce in privato la tranquillità che ostenta in pubblico. «Di qui a fine novembre ogni giorno è buono per farci andare sotto - confidava Prodi, qualche giorno fa ai collaboratori - Deve essere chiaro, però, che chi vuol farmi cadere deve venire allo scoperto in Parlamento. Tutti devono sapere di chi è la responsabilità». L'iter della Finanziaria, in sostanza, sarà disseminato di trappole. E il monito rivolto alla sinistra radicale è netto: non si presti a fare il cavallo di Troia. La richiesta del premier - «smorzare i toni, evitare che il corteo diventi l'ennesima occasione per amplificare le polemiche sulla maggioranza che va in pezzi» - sembra trovare riscontro nelle dichiarazioni di ieri. «Saremo in piazza per il governo Prodi - ripete la pdci, Palermi - Per un governo che comprenda le richieste di una inversione di tendenza rispetto a Berlusconi e al berlusconismo dilagante».

Il Presidente del Consiglio, in realtà, individua il "complottone" nei disegni diversi, ma coincidenti, del leader di Forza Italia e di settori ben precisi del mondo imprenditoriale-editoriale. Berlusconi freme per cavalcare l'onda della insoddisfazione che serpeggia tra i centristi dell'Unione, e per imporre elezioni nel 2008, ben sapendo che - superati quei tornanti - l'esecutivo potrebbe consolidarsi e che il tempo giocherebbe poi a favore del radicamento del Partito democratico e di Veltroni. I "poteri forti" su cui punta il dito Palazzo Chigi, invece, vorrebbero dare immediatamente la spallata a un esecutivo che considerano troppo timido con la sinistra radicale. Non per sostituirlo con Berlusconi, magari, ma per mettere in campo soluzioni ponte, istituzionali o meno che siano, per ipotesi neocentriste da far maturare di qui a nuove elezioni. Per raggiungere questi obiettivi, ovviamente, è fondamentale il grimaldello della debolezza della maggioranza al Senato. E Berlusconi, in questi giorni, lavora proprio su questo. «Ricordatevi che una maggioranza, anche se risicata, a Palazzo Madama noi ce l'abbiamo - ha ricordato Prodi, l'altro ieri agli esponenti della sinistra radicale - Sarebbe davvero inspiegabile se ci facessimo del male da soli». Numeri, quelli del Senato, che le intemperanze di un Mastella sotto tiro rendono a prima vista sempre più ballerini. «La maggioranza non c'è più, a questo punto meglio votare a primavera», tuonava ieri il Guardasigilli, dopo le notizie sui reati che ipotizzerebbe nei suoi confronti la procura di Catanzaro. Una sorta di richiesta d'aiuto quella del ministro? Prodi, ieri sera, rientrato a Roma da Lisbona, ha cercato via telefono il leader Udeur per consigliargli cautela e pazienza in attesa di capire meglio i contorni della vicenda. Ma è chiaro che l'inchiesta calabrese conferma l'incertezza che investe la maggioranza.

Sommato al "no" dei diniani al Partito democratico, il futuro dell'Unione sembra ancora più oscuro. Il premier sa bene che sono diversi i senatori nel centrosinistra che si trincerano ai confini dell'Unione sui quali cerca di far leva il Cavaliere. Ed è per sventare queste manovre che il premier punta molto anche sul lavoro comune con Veltroni. «Un buon ciclista sa correre anche in tandem», risponde Prodi a chi insiste sui rischi di una difficile coabitazione con il leader Pd incoronato dalla primarie. «Anche Walter può essere il bersaglio da indebolire», ripetono a Palazzo Chigi da dove, in queste ore, si mette più che mai l'accento sulle strategie convergenti del premier e del sindaco di Roma. E sul loro "lavoro di squadra" per tenere agganciati i senatori in bilico. «Tra loro c'è chi ha avuto problemi con il gruppo parlamentare e che, però, vede in Prodi un punto di riferimento», assicura lo staff del Professore. «Non vengono certo da Walter i pericoli per il governo», ripetono i collaboratori del premier. E rivelano che durante gli incontri dei giorni scorsi Prodi e il segretario in pectore del Pd hanno messo a punto un impegno comune per «rinsaldare la maggioranza» a Palazzo Madama. Insomma, anche per il sindaco di Roma - che «ha dichiarato a chiare lettere che il governo deve durare l'intera legislatura» - risolvere il rebus del Senato costituisce «il primo concreto banco di prova».


Pubblicato il: 20.10.07
Modificato il: 20.10.07 alle ore 11.20   
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« Risposta #39 inserito:: Ottobre 21, 2007, 10:49:42 pm »

Un milione, il giorno dopo.

L'Unione si divide sul giudizio


«Le voci di dissenso vanno ascoltate, ma al referendum i sì erano 4 milioni». Cesare Damiano commenta così la manifestazione del milioni di persone che a Roma hanno risposto all'appello lanciato dalle sinistre dell'Unione. In un'intervista a La Repubblica Damiano sottolinea che «l'equilibrio raggiunto è delicato e visti i numeri della maggioranza, specie al Senato, se si tocca l'accordo non è detto che il risultato sia un potenziamento delle garanzie sociali». Quanto alla richiesta, gridata dai manifestanti, di attuare il programma di Governo, il ministro del Lavoro dice che bisogna smettere di «utilizzare il programma come un simbolo, specie sul lavoro poi, dove, se si guarda ai contenuti, lo stiamo applicando in maniera radicale».

Non sembra d'accordo Giovanni Russo Spena, capogruppo di Rifondazione al Senato secondo il quale «dopo la grandissima manifestazione di ieri si fa fatica, oggi, a comprendere le dichiarazioni di alcuni ministri e a interloquire con loro nell'incessante dialogo che la sinistra, in piazza, in Parlameno e in tutte le sedi istituzionali e civili vuole a tutti i costi portare avanti». «Ieri abbiamo partecipato a un evento forse unico: non contro, non antagonista al governo, partecipe dello spirito unitario ma decisa a farsi vedere, la gente ha sfilato denunciando le precarietà della vita: il lavoro, per prima cosa, l'ambiente, la sessualità, la scuola, i saperi.... Ma Mastella invece mette insieme la manifestazione di ieri con il vaffa day di Grillo... E Damiano - conclude Russo Spena - afferma esplicitamente che è ora di smettere di fare riferimento al programma».

Russo Spena si riferisce ad una serie di interviste rilasciate dal ministro della Giustizia, Clemente Mastella, a vari quotidiani. Secondo il ministro, manifestazioni come quella di sabato «sfiancano Palazzo Chigi». «La sinistra deve capire che anche la migliore delle rivendicazioni, con i numeri che abbiamo non passa, perchè al Senato siamo appesi a due voti, due». E se prevalessero le tesi di Rifondazione sul welfare, non solo Dini, ma anche l'Udeur, osserva, «sarebbe costretto a votare no». «L'esperienza che stiamo vivendo assieme è difficile. Ci sono troppe differenze e le mediazioni non bastano. Ammetterlo non è un'eresia. Sono cattivo io o è cattiva la situazione?»

Al pessimismo di Mastella fa da contraltare l'impegno dei Verdi (che sabato non erano in piazza). «I Verdi faranno quadrato attorno a Prodi per impedire che l`Italia torni indietro e vada a destra. Lavoreremo in Parlamento affinché il grande tema della precarietà, sollevato ieri con forza dalla manifestazione di Roma, possa trovare risposte attraverso quelle modifiche che, tra l`altro, non comporterebbero alcun onere economico per lo Stato» dice il capogruppo dei Verdi alla Camera, Angelo Bonelli, che aggiunge: «Nella destra c`è chi, in modo moralmente inaccettabile, vuole condannare all`infinita precarietà oltre cinque milioni di persone e alla paura del futuro le loro famiglie».



Pubblicato il: 21.10.07
Modificato il: 21.10.07 alle ore 16.08   
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« Risposta #40 inserito:: Ottobre 22, 2007, 06:21:58 pm »

L'Udeur minaccia la maggioranza: chiarimento nel centrosinistra o bocciamo la manovra

«Il governo? E' come la guerra libanese»

Mastella: «Se Prodi riesce a superare questo momento, è lui l'eroe nazionale e avrà dimostrato le sue capacità»

 
ROMA - Vita dura per l'esecutivo guidato da Romano Prodi. «La situazione del governo è come quella della guerra libanese. Se Prodi riesce a superare questo momento, è lui l'eroe nazionale, e quindi avrà dimostrato capacità e quel "fattore C" che gli attribuiscono». Lo dice il ministro della Giustizia Clemente Mastella, da Benevento, dove è giunto per la festa della polizia penitenziaria. «All'interno della comunità libanese è guerra continua, ci sono maroniti contro cristiani, cristiani contro Hezbollah. La stessa cosa vale all'interno del governo», conclude Mastella.

CASO DE MAGISTRIS - Intanto il caso de Magistris e l'inchiesta «Why not» continuano a tenere banco nel dibattito politico. All'indomani delle polemiche tra i ministri Mastella e Di Pietro (con il primo che ha chiesto ai magistrati di non insabbiare l'inchiesta e con l'ex pm che si è rivolto direttamente al premier Romano Prodi, chiedendogli di intervenire sui poteri del Guardasigilli), ora è ancora una volta l'Udeur a prendere la parola. Minacciando la maggioranza questa volta. «Serve un chiarimento all'interno della maggioranza. Non deve essere per forza una riunione, ma serve chiarezza tra i vertici per capire lo stato di salute della maggioranza» afferma il capogruppo dell'Udeur a Palazzo Madama Tommaso Barbato che, uscendo da una riunione sulla Finanziaria al Senato alla quale partecipa «passivamente», lancia l'ultimatum al governo: «Se questo segnale non arriverà e si persevera sulla cattiva strada, allora valuteremo la possibilità di non votare il decreto collegato».

UDEUR - Barbato punta il dito sui «comportamenti dei partner della maggioranza. C'è troppa ipocrisia- continua- se facciamo schifo, se siamo indigesti a qualcuno, noi ce ne andiamo». Il leader Clemente Mastella «è molto arrabbiato», fa sapere il capogruppo del Campanile a Palazzo Madama, perchè «si parlano due lingue diverse, c'è troppa distonia: ufficialmente si dice una cosa ma poi...». L'Udeur, secondo Barbato, «gioca una partita» senza sapere se «è valida»: qui ci sono «tanti pappagalli che parlano- conclude- e vogliono fare gli eroi».

BERTINOTTI - In precedenza era stato il presidente della Camera Fausto Bertinotti a dire la sua sullo scontro magistratura-politica. «C'è un unico modo - secondo il presidente della Camera - per affrontare la questione: tornare al rispetto delle regole». Quanto alla vicenda Mastella-De Magistris, Bertinotti invita alla moderazione e al silenzio: «Siamo in attesa - spiega - di una decisione del Csm, e io credo che in questo caso bisognerebbe evitare commenti, tacere e affidarsi al Csm».

LEGGE ELETTORALE - A margine dell'incontro con il presidente dell'Ecuador Rafaele Correra, Fausto Bertinotti è tornato a intervenire anche su riforme e legge elettorale. Secondo il presidente della Camera una riforma costituzionale che superi il bicameralismo perfetto «è un'urgenza storica oltre che politica, una necessità per il sistema-Paese» che porta con sè l'adozione del sistema elettorale di tipo tedesco.

SINISTRA IN PIAZZA - Positivo il commento del presidente della Camera sulla manifestazione contro il precariato organizzata sabato scorso a Roma dalla sinistra. «È stata una pagina di straordinaria partecipazione democratica» ha detto Bertinotti, una pagina che si inserisce «in una stagione di grande partecipazione».


22 ottobre 2007

da corriere.it
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« Risposta #41 inserito:: Ottobre 22, 2007, 06:32:20 pm »

Di Pietro contro Mastella: intervenga Prodi

Andrea Carugati


Mastella e Di Pietro ai ferri corti sul caso De Magistris. «È un analfabeta del diritto», gli manda a dire il Guardasigilli. E Di Pietro: «Prodi si assuma la responsabilità di dire se Mastella può ancora fare il ministro della Giustizia». Un altro giorno di tensione nel governo. Che inizia con una dura replica di Mastella alle interviste del pm di Catanzaro Luigi De Magistris, dopo che il Pg di Catanzaro ha avocato l’inchiesta «Why not» che vede indagati il premier e il Guardasigilli: «Voglio che l’inchiesta vada avanti velocemente, perché questi schizzi di fango che mi sono stati gettati addosso mi vengano tolti. Non invocherò cavilli: non mi appellerò al fatto che, essendo parlamentare, appena il mio nome è comparso nei tabulati dovevano chiedere l’autorizzazione al Senato». E ancora: «De Magistris mi ha iscritto scientemente perché sapeva che così gli veniva tolta l’inchiesta e diventava un eroe nazionale. Ma se il Paese vuole eroi di questo tipo se li tenga». Mastella si dice sereno: «Sono una persona perbene. Non sono intervenuto per difendere me stesso: al 20 giugno, la Procura di Catanzaro mi disse che non c’era alcun provvedimento che mi riguardava». Il Guardasigilli contesta la versione secondo cui l’avocazione sarebbe nata da un input politico: «È un atto di un magistrato nei confronti di un altro magistrato. E De Magistris non è l’unico a essere indipendente. L’avocazione non significa l’interruzione dell’inchiesta». È qui che Mastella dà dell’«analfabeta del diritto» al collega Di Pietro, citando anche la famosa vicenda dei 100 milioni e della Mercedes.

Di Pietro, dal canto suo, ricorda che gli autori di quelle accuse «sono stati condannati per diffamazione» e chiama in causa Romano Prodi: «Deve decidere se in capo ad uno stesso soggetto possa mantenersi nello stesso tempo la titolarità dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato che lo ha sottoposto alle indagini». Ancora: «Mastella ha provocato un corto-circuito politico giudiziario che rischia di travolgere il governo. Come con Berlusconi, viene fuori l’immagine di una classe politica che ne inventa di tutti i colori per fermare i magistrati, per togliere di mezzo chi non si adegua». Controreplica il ministero della Giustizia, con una nota ufficiale attribuita all’«usciere» in cui si dice che «un ministro che quando era magistrato ha ricevuto 100 milioni di lire e una Mercedes da degli indagati non ha i titoli per parlare. Di Pietro abbia il coraggio di non scaricare il problema sul premier: porti in Parlamento la richiesta, mettendo sul banco anche le sue dimissioni da ministro: vedremo come si esprimerà l’aula». L’europarlamentare dell’Idv Beniamino Donnici, intanto, ha presentato un esposto-denuncia alla procura di Salerno sull’avocazione dell’inchiesta Why Not.

Dalla sinistra radicale, Cesare Salvi e il verde Bonelli giudicano l’avocazione dell’inchiesta «un errore», una scelta «inopportuna». Rosy Bindi si augura che «l’inchiesta vada avanti velocemente. Ma se Mastella grida al complotto sbaglia, non bisogna mai creare il sospetto che la politica cerchi l’impunità». Felice Casson, ex magistrato e ora senatore del Pd, dice: «Se tutto questo fosse successo con Berlusconi avremmo gridato al bavaglio per la magistratura. I tempi della richiesta di trasferimento da parte di Mastella e anche i tempi dell’avocazione mi lasciano perplesso: credo sia il caso di abbassare tutti i toni, riflettere meglio sulle decisioni delicate che si prendono». Quanto ai rischi di tritolo evocati dal pm di Catanzaro, dice Casson: «È incomprensibile e poco serio che di queste cose si parli sulla stampa. Se arrivano delle minacce, prima le si valuta e poi ci si rivolge agli uffici competenti. Questo continuo gridare “al lupo”, non solo da parte di De Magistris, contribuisce solo ad avvelenare il clima». Casson parla anche della possibilità di dimissioni di Mastella: «In questa fase dell’indagine è una richiesta davvero prematura». Nell’Ulivo si registrano anche autorevoli opinioni secondo cui, in questa fase, l’avocazione da parte del Pg era inevitabile. Dal centrodestra Cicchitto (Fi) ritiene «giustificata» la decisione del pg di Catanzaro, Casini e Cesa invece solidarizzano con Mastella.

Il presidente dell’Anm Giuseppe Gennaro parla di una decisione «inopportuna» della Procura generale: «Non credo ci fossero tutti i requisiti per l’avocazione. Occorre uno sforzo di tutti perchè l’aria si fa irrespirabile, c’è un rischio per l’autonomia della magistratura». De Magistris, dal canto suo, torna a parlare di un «filo conduttore tra ostacoli, intimidazioni, minacce e pallottole». E il membro togato del Csm Fabio Roia annuncia che domani porterà all’attenzione della prima commissione di palazzo dei Marescialli il provvedimento del Pg di Catanzaro e le ultime denunce di De Magistris.

Pubblicato il: 22.10.07
Modificato il: 22.10.07 alle ore 17.20   
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« Risposta #42 inserito:: Ottobre 23, 2007, 11:46:34 pm »

2007-10-23 22:17

MASTELLA MINACCIA LA CRISI, POI AL SENATO SALVA PRODI
 (di Giovanni Innamorati)


ROMA - Clemente Mastella minaccia la crisi sulla giustizia, ottiene da Romano Prodi in Consiglio dei ministri il ''chiarimento'' con Antonio Di Pietro, poi corre al Senato per concorrere, con il suo voto, a salvare il governo bocciando le pregiudiziali dell'opposizione al decreto che accompagna la finanziaria. Il Guardasigilli diventa cosi' il protagonista dell'ennesima giornata di alta tensione nel centrosinistra: una giornata per lui iniziata in salita e conclusasi in gloria, con la ''piena fiducia'' espressa da Prodi. In tutto cio', dicono all'Udeur, c'e' una nota stonata: il silenzio di Veltroni e del Pd.

L'inizio giornata ha messo di cattivo umore Mastella, che sulle agenzie di stampa ha letto l'ennesimo attacco nei suoi confronti da parte del pm di Catanzaro Luigi De Magistris. Ma le contromosse erano state studiate in anticipo. Ha infatti riunito l'ufficio politico dell'Udeur, che ha approvato un documento con un obiettivo ben preciso: scindere la vicenda dell'inchiesta di Catanzaro da quella politica, con gli attacchi di Di Pietro al Guardasigilli e la messa in discussione della politica della giustizia sin qui condotta.

E infatti il documento spiega che ''il senatore Mastella'' (e quindi non il ministro o il segretario di partito) ''chiede con fermezza che l'inchiesta vada avanti, ma velocemente''. ''Continuero' pero' la mia battaglia di dignita' e di difesa della mia onorabilita''', ha aggiunto ''il senatore Mastella''. Insomma, questa vicenda personale non mettera' in discussione la ''lealta'' sua e dell'Udeur a Prodi.

Un concetto che il Guardasigilli ha ribadito allo stesso premier, che lo ha chiamato prima e dopo la riunione dell'Ufficio politico del Campanile, mentre Mastella era a pranzo con gli altri dirigenti del partito al ''Toscano'', un ristorante dietro al ministero della Giustizia. Peraltro, il cellulare del Guardasigilli ha squillato altre due volte, quando l'hanno chiamato Cossiga e Fassino.   

Il segretario dei Ds ha ascoltato le lamentele di Mastella per i ''silenzi'' del Pd e in particolare di Veltroni. Fassino ha cercato di porre rimedio con un comunicato di appoggio al titolare di via Arenula. Ma l'umore di Mastella non e' cambiato su questo punto. Parlando con gli altri dirigenti dell'Udeur a pranzo, infatti, ha detto di vedere un disegno politico in questi attacchi: ''Non per nulla sono iniziati dopo il Family day, dopo la mia iniziative a Telese per far rinascere il Centro''.

Per il Guardasigilli questo cerchio concentrico di attacchi non e' casuale: ''L'indulto e' nato in Parlamento ed e' diventato un provvedimento di Mastella; l'aereo di Stato per Milano era di Rutelli ed e' diventato di Mastella; l'inchiesta di Catanzaro vede coinvolti 26 persone, tra cui Prodi, ed e' diventata pure quella su Mastella all'improvviso; due indizi fanno una coincidenza, tre fanno una prova... E poi, questo silenzio di Veltroni anche sulla legge elettorale. Ma Romano ha capito perfettamente che noi siamo leali e che non rimarra' mai fottuto''.

Dopo pranzo, il leader dell'Udeur e' andato al Consiglio dei ministri dove e' stato subito affrontato da Di Pietro, che ha chiesto al governo di trovare ''un punto di incontro'' tra le due posizioni. Il Guardasigilli ha reagito in modo fermo: ''La mia dirittura morale e' tale che non intendo avere con te alcun punto di incontro, ne' ora ne' in futuro''.

Subito dopo, le parole di Prodi che hanno sancito la soluzione della vicenda: ''Piena fiducia'' a Mastella e ''alle politiche della giustizia che il governo ha sempre votato e approvato all'unanimita'''. Piena fiducia anche ''alla magistratura, nella sua autonomia e nelle sue gerarchie''.

Con l'animo leggero, quindi, Mastella ha lasciato  momentaneamente il Consiglio dei ministri ed e' corso al Senato, dove l'aula votava le pregiudiziali e la sospensiva della Cdl contro il decreto fiscale collegato alla finanziaria. Pregiudiziali bocciate per due voti, come la sospensiva, con la maggioranza che ha ottenuto, in quest'ultimo caso, un voto in piu' dell'opposizione, proprio quello di Mastella.   

Il ministro della Giustizia e' trionfante e alla buvette di Palazzo Madama si ferma a parlare con il suo predecessore Roberto Castelli: ''Di Pietro ti costruira' un'autostrada a Ceppaloni'', commenta scherzoso l'attuale capogruppo della Lega al Senato.

giovanni.innamorati@ansa.it
 
da ansa.it
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« Risposta #43 inserito:: Ottobre 25, 2007, 03:32:46 pm »

POLITICA

Letta va da Casini, il Cavaliere teme l'ipotesi del governo istitutuzionale

S'incrina anche l'asse col Colle: Prodi ha ascoltato con sospetto i richiami a favore delle riforme

Il premier: un invito a tradire "Fausto mi ha pugnalato alle spalle"

di CLAUDIO TITO


ROMA - "È una pugnalata alle spalle". Ce l'ha con Fausto Bertinotti. Ma non ha gradito nemmeno il richiamo del capo dello Stato. Romano Prodi ha ascoltato con sospetto i richiami di Giorgio Napolitano e del presidente della Camera a favore delle riforme. Il fantasma del governo tecnico o istituzionale, infatti, aleggia sulla testa del Professore. E lui ieri non ha fatto niente per nascondere il suo malumore. Il triangolo istituzionale che fino ad ora ha accompagnato e guidato la legislatura, da ieri sembra essere incrinato. L'asse Quirinale-Palazzo Chigi-Montecitorio non è più forte come prima.

Il duello tra "Fausto e Romano" è proseguito per tutta la giornata. A colpi di note e smentite. Un scontro tutto centrato sul "dopo-Prodi". Eh già, perché avallare adesso l'ipotesi di un nuovo governo per varare la riforma elettorale, secondo palazzo Chigi rappresenta un "invito" ai senatori più titubanti. Un via libera ad accettare le avances di Silvio Berlusconi sapendo che la caduta del Professore non comporterà automaticamente le elezioni anticipate.

"Dopo di me ci sono solo le urne, ma so bene - ripete da tempo il capo del governo - che un secondo dopo l'apertura della crisi ci sarà la corsa a chiedere un esecutivo istituzionale". L'allarme a Palazzo Chigi, insomma, è scattato. Ci si è messo pure Antonio Di Pietro a minacciare l'appoggio esterno. E poi, a parte i soliti "fedelissimi" del Professore, in pochi nell'Unione - e nel Partito Democratico - hanno smentito la prospettiva di un "tecnico" a Palazzo Chigi.

Il premier si aspettava una parola da Walter Veltroni. Ma anche il Sindaco di Roma non ha escluso con i suoi che anche quella può essere una "soluzione". E pur ribadendo che sosterrà Prodi fino alla fine, ha anche annunciato che sabato prossimo illustrerà la sua proposta sulla legge elettorale. Un progetto che non sarà molto lontano dal modello tedesco. E proprio la revisione del "porcellum" potrebbe essere il perno su cui costruire un eventuale esecutivo istituzionale. Per varare la Finanziaria, superare il prossimo anno e poi andare al voto nel 2009.

Uno scenario che non preoccupa solo il Professore. Anche Silvio Berlusconi ha messo in movimento la sua "contrarea". Sa che la questione è sul tavolo. Che la caldeggia il Colle e che è stata trattata dai "big" del centrosinistra e da alcuni rappresentanti del centrodestra. Per questo ha spedito Gianni Letta da Pier Ferdinando Casini. "Ma che volete fare? - stata la domanda posta dal messo berlusconiano al leader dell'Udc - Noi vi assicuriamo che a novembre il governo cade. Ma poi bisogna andare a elezioni".

Il dialogo tra i due ha mantenuto i toni soft. Un equilibrio di parole giocato sulle sfumature. "Noi - ha spiegato l'ex presidente della Camera - noi non ci aggiungeremo mai ad un governo del centrosinistra. Ma voteremo per chi ci assicura un sistema elettorale tedesco". "Se cade Prodi e nasce un esecutivo per la legge elettorale - dice ancora più apertamente Bruno Tabacci - noi ci stiamo". Nello stesso tempo il Cavaliere ha chiamato di nuovo Umberto Bossi. Per chiedere garanzie e bloccare chi perfino nella Lega non chiude la porta ad un'intesa.

L'ex premier dunque è in fibrillazione. È sicuro di poter far crollare il governo al Senato nelle prossime settimane. Ma ieri ha iniziato a coltivare qualche dubbio sulle conseguenze. "Se l'esito deve essere un governo tecnico - ha ragionato con i suoi a Via del Plebiscito - allora meglio non provocare adesso la crisi. Meglio aspettare che sia passata la Finanziaria. Solo se riusciamo a far passare da noi un intero gruppo possiamo essere sicuri di andare alle urne. Altrimenti tanto vale tenere lì Prodi".

Anche perché, se lo sfilacciamento dell'Unione non dovesse condurre alle elezioni nel 2008, sarà il Cavaliere a discutere la nuova legge elettorale. "Noi - spiega Enzo Bianco, l'uomo che per la maggioranza sta provando a trovare un punto di mediazione con la Cdl sulle riforme - sappiamo che da novembre Berlusconi vorrà parlare con noi". Una previsione confermata dallo stesso leader forzista. "Senza voto, preferisco parlare con Prodi. E sarò io a trattare. Non lascio a Casini la possibilità di farsi la legge elettorale a sua misura".

(25 ottobre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #44 inserito:: Ottobre 25, 2007, 10:25:20 pm »

IL RETROSCENA

Spunta l'asse tra Fausto e Walter

Ora si tratta sul sistema tedesco


ROMA — Fino a tre giorni fa Rifondazione era attestata sulla linea delle elezioni anticipate: nessuna alternativa a Prodi, solo le urne. La svolta di Bertinotti ha spiazzato persino i vertici del suo partito, disvelando così l'asse con Veltroni. Il presidente della Camera e il leader del Pd hanno superato d'un tratto il gelo misto a diffidenza che li teneva distanti. In nome della realpolitik sono stati costretti al passo, a fronte delle disastrose condizioni in cui versa il governo: la rete di protezione che hanno iniziato a costruire, manco a dirlo, ruota attorno alla possibilità di chiudere il cerchio sulla legge elettorale.

Raccontano che Veltroni abbia promesso un'apertura sul sistema simil-tedesco nel discorso di insediamento che terrà davanti alla Costituente democratica. I dettagli tecnici scolorano nel profilo ancora indistinto del disegno, «d'altronde — come spiegava ieri un autorevolissimo esponente del Pd vicino al segretario — sul modello tedesco Walter non chiude. Eppoi in politica esistono obiettivi prioritari e obiettivi secondari». La priorità è dettata dall'emergenza. E se dopo Bertinotti anche Veltroni farà la sua mossa, tutto sarà chiaro: forti dell'appoggio dei maggiorenti del Pd, e facendosi scudo delle esternazioni di Napolitano, chiederanno a Prodi di adeguarsi. Toccherà al premier scegliere se portare avanti l'operazione, altrimenti...

Altrimenti si profilerebbe «l'opzione B», quella che il presidente della Camera ha adombrato nell'intervista al Tg1, quel governo «per le riforme» che dovrebbe spostare al 2009 l'orizzonte delle urne, e che ha mandato fuori dai gangheri Prodi. Il premier si sente assediato. Sarà infatti solo una coincidenza, ma anche Nerozzi, membro della segreteria della Cgil ed esponente della Sinistra democratica, nell'ultimo direttivo sindacale ha accennato all'ipotesi di un «governo tecnico». Marini sarebbe il più accreditato a guidare un gabinetto «istituzionale», però — a seconda della formula che verrebbe scelta — in pista ci sarebbero anche Amato, D'Alema e Fassino. Tutti sono consapevoli che «l'opzione B» è ad alto rischio, e non è detto che riesca: sono troppe le variabili, poche le certezze, certa l'ostilità di Berlusconi. Su questo fa affidamento Prodi. Lo scontro con Bertinotti è proseguito ieri a colpi di comunicati tra palazzo Chigi e Montecitorio, e fa intendere quale sia la linea del premier: «Resistere, resistere, resistere ».

«Invece di fare il risentito, Romano dovrebbe capire che gli ho offerto un assist», commentava ieri il presidente della Camera: «Si muova, reagisca, insomma faccia qualcosa. Perché è impensabile che sulla legge elettorale nessuno sappia qual è la sua idea. Almeno Walter qualcosa l'ha detta». Eccome se l'ha detta, al telefono con Bertinotti. La preoccupazione comune è dettata «dalla situazione allo sbando», dal fatto che il centrosinistra «sta subendo l'accerchiamento di Berlusconi, che più passa il tempo più prende spazio». Basterebbe dare un'occhiata agli ultimi sondaggi riservati: le primarie del Pd non hanno sortito grande effetto, se è vero che la forbice tra il Polo (al 55,1%) e l'Unione (42,9) si è ristretta solo di mezzo punto. Peccato che per il governo si stiano restringendo anche i margini al Senato: Turigliatto, di Sinistra critica, si appresta oggi ad annunciare che non voterà la Finanziaria. Ieri la maggioranza a palazzo Madama sul decreto fiscale era di un solo voto. Si respira aria di smobilitazione nel governo. Raccontano che, chiuso nella sua stanza al ministero, Rutelli abbia sospirato: «Peccato, avremmo potuto fare grandi cose per la cultura...».

Il tempo stringe, nel Pd sono in pochi a volersi immolare per Prodi e pensano a evitare la disfatta. Dice De Mita: «Ho letto che se cade, Romano minaccia di ricandidarsi. E con chi?». Ma «l'opzione B» è impresa ardua: potrebbe essere costruita solo se l'Unione si compattasse sulla legge elettorale. Bertinotti auspica il sistema tedesco, «perché non voglio né un partito condannato al governo né all'opposizione ». Veltroni comprende, ma sa anche quanto sia difficile agganciare un pezzo di opposizione nel disegno. Il meccanismo sarebbe quello già sperimentato nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio, dove nelle scorse settimane Udc e Lega si erano astenuti sulle riforme. Peccato che in Aula la musica sia cambiata. «Dovevamo spaccare il Polo e invece li abbiamo ricompattati con l'ostruzionismo», commentava ieri il democratico Giachetti, prendendosela con Violante: «Così dopo il Senato si è bloccata anche la Camera. Siamo nel pantano».


 Servirebbe un aiuto dall'opposizione, ma per quanto le sirene del modello tedesco tocchino le corde di Casini, Berlusconi dice di avere in mano l'arma di fine legislatura. Qualcuno nel Polo pensa oggi di sfidarlo?


Francesco Verderami

da corriere.it
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