Cultura
29/09/2011 - INTERVISTA
Adonis: "Nel mondo arabo non basta cambiare i regimi"
Adonis, 81 anni, da tempo vive a Parigi
Parla il grande poeta siriano, tra i favoriti per il Nobel "Bisogna cambiare i loro fondamenti, religiosi e culturali"
MARIO BAUDINO
Ali Ahmad Sai id Esber guarda alle primavere arabe con grande interesse ma senza dimenticare i problemi. «Cambiare il potere non è sufficiente, bisogna cambiare i fondamenti di questi regimi, che sono religiosi e culturali». E la strada è ancora lunga, aggiunge. È un grande poeta, rispettato come una bandiera culturale in tutto il mondo arabo, anche se inviso agli ultrareligiosi. Il suo nome anagrafico non dice molto; anzi, non dice nulla, tanto che a volte si fa fatica a rintracciarlo negli alberghi. Per tutti è Adonis, ciò che ha scelto di essere quando ha deciso di rivolgersi alla mitologia greca per firmare i suoi scritti. 81 anni, nato in un villaggio siriano, è cresciuto a Damasco, ha lavorato in Libano e da tempo vive a Parigi. Dopo un lungo esilio ora può tornare non solo nel suo Paese ma in tutto il mondo arabo, cui non ha mai lesinato critiche anche piuttosto aspre. A un passo dal Nobel (è di questi giorni la notizia che ancora una volta la sua candidatura viene considerata la più forte, almeno dai bookmaker inglesi), in Italia è stato scoperto da un altro poeta, Giuseppe Conte, e pubblicato da Guanda ( Memoria del vento , La preghiera e la spada , Cento poesie d’amore ), ma anche, soprattutto per la saggistica, da moltissimi altri editori. Oggi e domani è a Bari, nel quadro del festival «Frontiere».
Adonis, la sua poesia affonda le radici nel Mediterraneo pre-monoteista. Lei una volta mi ha detto che è necessaria una critica radicale al monoteismo perché è da lì che nascono le dittature. Come giudica un poeta l’ansia di libertà che sembra pervadere il mondo arabo?
«Gli arabi, come è noto, sono legati alla poesia più di quanto non lo sia il pubblico occidentale. Rappresenta la nostra tradizione per eccellenza, anche perché la nostra cultura è soprattutto orale, proprio come lo è nel suo fondo e nelle sue origini la poesia. Detto questo, non mi considero un poeta “impegnato” ideologicamente. Lo sono nel campo della responsabilità umana, e cioè per quanto riguarda l’uomo, la sua libertà, la sua apertura al mondo. Ho il massimo rispetto della religiosità: non sono certo contro la fede degli uomini. La mia critica non è sul piano della fede, ma su quello filosofico».
Che cosa vede negli accadimenti del 2011, da Tunisi a Damasco?
«Ci sono, al di là dei risultati, aspetti davvero interessanti. La gente non ha più paura, e le nostre società, il nostro mondo hanno esattamente bisogno di questo. Sta succedendo qualcosa di nuovo e atipico, anche se permane il timore di un certo ritorno del fondamentalismo. Lei sa che io sono radicalmente contro, sotto questo aspetto».
Una primavera ambigua?
«Diciamo che restano preoccupazioni. Per esempio: non si parla di libertà delle donne. Non si parla di politica culturale, e tantomeno di laicità. Ma in tutto questo la poesia non ha un ruolo diretto. Può spingere la gente a capire meglio. Non cambia le cose, ma interviene sul rapporto tra le parole e le cose, ne istituisce ogni volta uno nuovo. E il lettore può trovare in essa lo stimolo per cambiare anche lui».
Lei una volta ha definito la poesia «un fiume che scava il proprio letto». Il suo traduttore tedesco l’ha accusata di «scetticismo accomodante» quando, a fine agosto, le è stato conferito in Germania il prestigioso Goethe Preis.
«Il mio traduttore tedesco non ha capito nulla. Ho scritto moltissimi articoli contro il regime siriano, anche se trascorro in Libano parte dell’anno. E non mi sono certo pronunciato da solo: in Libano, nonostante tutto, sono in tanti a criticare apertamente la Siria».
C’è chi ha invocato un intervento «umanitario» in Siria, sul modello di quello in Libia.
«Sarebbe un errore spaventoso. L’Occidente difende i suoi interessi, come ha fatto in Iraq e ora in Libia. Se vogliamo parlare di diritti dell’uomo, allora, perché non cominciamo a difendere i palestinesi? L’intervento armato è un’ipocrisia occidentale. Il mondo arabo deve cambiare, e deve farlo senza aiuti interessati».
Parlerà di questo, stasera a Bari?
«Preferirei ascoltare la lettura delle mie poesie, e poi stare a sentire la gente, e discutere, se avranno qualcosa da chiedermi».
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http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni/articolo/lstp/422554/