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Autore Discussione: ROBERTO GIOVANNINI. Federalismo fiscale, affare da 200 miliardi...  (Letto 3945 volte)
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« inserito:: Aprile 08, 2010, 11:21:24 pm »

8/4/2010 (7:21)  - RIFORME - LA BANDIERA DI BOSSI

Federalismo fiscale, affare da 200 miliardi: si parte dal Demanio

Dopo un anno dal varo la legge voluta dalla Lega non riesce a decollare.

Subito la spartizione degli immobili, tasse rinviate all’autunno

ROBERTO GIOVANNINI
ROMA

La riforma fiscale federale? Un cantiere che si può definire appena avviato, e il cui traguardo - la realizzazione di un sistema efficiente e funzionante di finanziamento per via tributaria di Regioni, province e Comuni - è ancora lontanissimo. La riforma approvata in Parlamento un anno fa stabilisce certo i «paletti» del futuro sistema, che definirà le risorse con cui le autonomie locali finanzieranno le molte funzioni di cui già godono. E soprattutto sosterranno una buona parte dei circa 215 miliardi di euro che già oggi le autonomie locali spendono ogni anno, e senza «responsabilità». Ma come spiega Enrico La Loggia, il presidente della «bicameralina» composta da 15 deputati e 15 senatori che dovrà dare un parere sui decreti attuativi predisposti dal governo, «il percorso è appena all’inizio».

Per adesso è arrivato il primo testo, quello sull’attribuzione dei beni del Demanio e del patrimonio finora in mano allo Stato centrale. Caserme, immobili, spiagge, strutture che hanno un valore diverso a seconda del loro utilizzo, e che diventeranno il «capitale» degli enti locali. Il testo sarà esaminato in dettaglio solo dalla prossima settimana, si finirà a maggio. Il resto seguirà, e il primo appuntamento importante arriverà a giugno, con la «mappa» del nuovo assetto federale, in cui saranno definite le risorse che spetteranno a ciascun livello di governo e i trasferimenti dallo Stato centrale che verranno cancellati. Attualmente sono circa 20 miliardi, di cui 14 a favore dei Comuni, 3 alle Regioni, 1,5 alle province. In autunno arriverà il decreto con il dettaglio dell’autonomia impositiva degli enti locali.

La materia è complicata, e non è un caso se intorno ai possibili schemi di applicazione del federalismo fiscale sono letteralmente anni che si scornano esperti e politici. È come cambiare il motore di una automobile mentre la vettura è in movimento. E poi - problema titanico - l’Italia è un paese squilibrato, con forti differenze tra aree ricche e povere, tra Nord e Sud, tra enti locali che sarebbero capaci di incassare i tributi propri e quelli che non ce la farebbero. «Saggezza ed equilibrio - dice La Loggia - devono essere la nostra stella polare. Alla fine sarà una svolta epocale, ma occorre creare quanto più equilibrio possibile tra le diverse zone territoriali del paese, senza penalizzare chi sta meglio ma facendo di tutto per far star meglio chi sta peggio». Come spiega l’ex-ministro - indicato come presidente della Bicameralina nonostante l’intesa per nominare un esponente del Pd - «tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e lì si varrà la nostra “abilitate”».

La procedura legislativa è davvero complicata. La Commissione esamina i decreti predisposti dal governo (cioè da Tremonti) sulla scorta dei pareri della Conferenza Stato-Città, delle commissioni competenti, e di un Comitato di 6 presidenti di Regioni, 2 presidenti di provincia e e 4 sindaci. In più c’è l’importantissima Commissione tecnica paritetica Stato-Regioni-Enti locali, presieduta dal professor Luca Antonini, un esperto di fisco molto vicino al superministro Giulio Tremonti. Che parallelamente ha aperto un altro cantiere, quello della riforma fiscale. In altre parole, quel che dice Antonini è fondamentale. E parlando al «Corriere della Sera» Antonini ha già delineato alcune idee interessanti: saranno raddoppiate le addizionali Irpef, le Regioni saranno finanziate da un’Irap riveduta e corretta e da una forte compartecipazione all’Iva, basata sul gettito effettivamente riscosso. I Comuni, oltre a una quota dei tributi nazionali, potrebbero usufruire del gettito della nuova cedolare secca del 20% sugli affitti e dell’imposta di registro. Per adesso solo ipotesi.

da lastampa.it
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 08, 2011, 11:23:42 am »

Economia

08/08/2011 - LA CRISI

Il prezzo del risanamento

Dalla stretta alla spesa assistenziale fino al rischio di incidere sui consumi: per raggiungere entro il 2013 il pareggio di bilancio, si toccheranno le tasche degli italiani. Quali misure potrebbe prendere il governo?


ROBERTO GIOVANNINI

Tagli alla previdenza.
Possibile il giro di vite sulle pensioni di anzianità
Ci risiamo, si ritorna a parlare di pensioni. Lo scenario è ancora incerto, in movimento; ma se la situazione dovesse peggiorare, i tecnici del Tesoro hanno già preparato il menu dei possibili interventi per recuperare parte dei miliardi necessari a pareggiare il bilancio nel capitolo della previdenza, che rappresenta una delle voci principali della spesa pubblica, nonostante i molti interventi effettuati dal 1992 a oggi. Insomma, riapre l’eterno cantiere dei giri di vite sulle pensioni. A cominciare da quelle di anzianità, quelle che si maturano con un incrocio tra età anagrafica e anni di contributi maturati. Decisioni ancora non ce ne sono, ma sul tavolo c’è letteralmente di tutto. C’è chi pensa a una drastica abolizione delle pensioni di anzianità, lasciando nell’ambito della legge sui lavori usuranti le uniche vie di fuga prima dei 65 anni (che poi saliranno con l’agganciamento alle speranze di vita). Altri suggeriscono - aveva fatto così il governo Berlusconi nel 1994, sollevando una generalizzata protesta che lo costrinse a fare marcia indietro - di introdurre disincentivi percentuali: una quota dell’assegno viene sottratta per ogni anno che manca al limite di età per la pensione di vecchiaia. Oppure, una modifica delle «quote». Ma si ipotizzano anche interventi sulle pensioni di vecchiaia: da un innalzamento secco per tutti, uomini e donne, a 70 anni di età, passando per un innalzamento a 65 anni per le donne nel settore privato e a un’applicazione generalizzata del calcolo dell’assegno con il sistema contributivo.

Aliquote Iva più alte
L'aumento di un punto porterà 10 miliardi ma salirà l'inflazione
Sarebbe una bella stangata, di quelle memorabili. Tra le ipotesi allo studio del governo c’è anche una misura di grande impatto sulle tasche degli italiani come l’aumento dell’Iva, l’imposta sul valore aggiunto che grava sui consumi. Una mossa che potrebbe portare nelle casse dello Stato fino a 10 miliardi di euro, anche se le stime variano. Nel menu dei provvedimenti messi a punto dalla Ragioneria c’è infatti un aumento di un punto delle aliquote Iva «ridotta» (oggi al 10 per cento) e «ordinaria» (che attualmente è fissata al 20%). Resterebbe inalterata l’aliquota minima del 4%, che viene applicata ai generi di prima necessità (alimentari, stampa, abitazioni prima casa e così via). Il rincaro all’11% colpirebbe invece i servizi turistici (alberghi, bar, ristoranti e simili), i giochi e gli intrattenimenti e altri prodotti alimentari; al 21% sarebbero invece tassati tutti gli altri consumi. Ovviamente, si tratterebbe di una misura con tre effetti negativi: inflazionistico, perché l’imposta aumenta in proporzione i prezzi dei prodotti. Recessivo, perché in questo modo sarebbero disincentivati i consumi. Regressivo, cioè più penalizzante per i redditi bassi, perché ovviamente l’impatto del rincaro colpirà di più chi ha redditi inferiori e non sarà sentito da chi ha redditi più elevati. Finora il governo ha sempre riluttato di fronte a questa possibilità di intervento; alla fine il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha inserito il rincaro dell’Iva all’interno della delega fiscale, ma collegato a una riduzione del prelievo Irpef.

Le privatizzazioni
Pesano gli insuccessi del passato e i "sì" dei referendum
Quando si parla di privatizzazioni, non ci sono solo le vendite di quote delle società in mano al Tesoro, ipotesi cui pure ora si sta pensando, che riguarderebbe beni stimati in ben 140 miliardi. Ci sono anche le società in mano agli enti locali, le cosiddette municipalizzate; e ci sono infine gli immobili di proprietà pubblica. Si tratta in tutti e tre i casi di operazioni già effettuate o solo tentate in passato, nel caso degli immobili - il cui valore non è neanche noto, c’è chi parla di addirittura 480 miliardi, considerando demanio, ospedali, enti locali, e il patrimonio di edilizia pubblica - con fragorosi insuccessi. Fallirono i governi di centrosinistra fino al 2001, più clamoroso il flop delle cosiddette «società veicolo» costituite da Tremonti nella legislatura 2001-2006. Non per questo però non si ritenterà, a quanto pare. Ad esempio, costituendo una società di gestione del risparmio che istituirebbe uno o più fondi d’investimento per partecipare in altri fondi d’investimento immobiliari chiusi promossi da enti pubblici o enti locali. Complesso il discorso che riguarda le municipalizzate, ovvero le società pubbliche che gestiscono servizi di utilità pubblica (acqua, gas, elettricità, eccetera). Poche settimane fa il referendum contro la privatizzazione dell’acqua ha stravinto. Bisognerebbe dimenticare quel voto.

Congelare il fabbisogno
Spese pubbliche rinviate al 2012, fornitori in attesa
È possibile che per centrare l’obiettivo dell’anticipo al 2013 del pareggio di bilancio vengano adoperate anche tecniche (non cosmetiche) per correggere i conti pubblici. Il problema è quello di fermare - anzi, di congelare, come ha detto Berlusconi in Parlamento - il fabbisogno pubblico, ovvero la differenza fra le entrate e le uscite al netto della spesa per interessi. Al momento, questa grandezza (negativa, perché ovviamente siamo in «rosso») ammonta a circa 39 miliardi. Se non ci saranno interventi di finanza pubblica, secondo le stime a fine anno si arriverà a 65 miliardi di euro. Come fare a «congelare» il fabbisogno a quota 39 miliardi, accogliendo il «suggerimento» dato nei giorni scorsi al governo italiano dal futuro presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi? Ovviamente serviranno provvedimenti in grado di aumentare le entrate e ridurre le spese. Tra questi, l’Esecutivo sta pensando a intervenire con atti amministrativi su tutta una serie di uscite di cassa attese. Spese che non verranno (non è possibile) cancellate, perché si tratta di regolari impegni di spesa, ma «trasferiti» al bilancio del 2012. In altre parole, con questi atti amministrativi si faranno scivolare all’anno venturo spese obbligatorie che possono essere rimandate, stimabili in 7-8 miliardi. Un esempio per tutti: i soldi dovuti ai fornitori pubblici. Dovranno aspettare.

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/414925/
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 20, 2011, 05:26:29 pm »

Economia

20/09/2011 - LA CRISI - L'ATTACCO DEGLI INDUSTRIALI

Marcegaglia: "Adesso basta, il tempo del governo è scaduto"

La leader di Confindustria accelera e scarica Berlusconi: serve discontinuità

ROBERTO GIOVANNINI
ROMA

Emma Marcegaglia sembra avvicinarsi a piccoli passi verso una esplicita richiesta di dimissioni del governo Berlusconi. Continua a chiedere «discontinuità» e un «recupero di credibilità», dice che «il tempo è scaduto»; ma stavolta annuncia - in assenza di fatti nuovi in tempi rapidi - «passi» da parte di Confindustria. E apre, a determinate condizioni, a un’imposta sui patrimoni. Da Modena, la leader degli industriali spiega di voler star fuori dal dibattito su eventuali governi tecnici o di responsabilità nazionale («c’è un parlamento che decide e un presidente della Repubblica che deve fare delle valutazioni»).

Ma con forza torna a chiedere un tratto di «discontinuità», anche perché «lo scenario italiano è drammatico, l’aumento dello spread è un problema che impatta drammaticamente nella vita di tutti noi. Bisogna recuperare - spiega - una forte credibilità, sui mercati e non solo». Su come recuperare questa credibilità, la Confindustria ha una ricetta chiara che si fonda su riforma delle pensioni, privatizzazioni, liberalizzazioni, riforma fiscale, investimenti sulle infrastrutture. «Confindustria - accusa Marcegaglia - non tollera più una situazione di stallo, dove non si fanno le riforme necessarie e si aspetta per non andare incontro a crisi di governo o al cambiamento di equilibri politici. Se si continuerà a stare in una situazione di stallo la voce degli imprenditori non sarà rassegnata perchè stiamo rischiando di buttare via gli sforzi fatti per decenni. Nei prossimi giorni la giunta e il direttivo decideranno quali passi fare».

Se invece il governo decidesse di varare un «piano per la crescita e una vera riforma fiscale», la Marcegaglia ha assicurato che troverà in Confindustria un interlocutore disposto a dialogare senza tabù. A cominciare dalla patrimoniale, boccone amaro che gli imprenditori sono disposti ad ingoiare se inserito in un pacchetto di interventi per la crescita. Non una tassa una tantum per abbattere il debito, ma una «piccola tassa sui patrimoni» interna a una una riforma fiscale complessiva, con l’obiettivo di abbassare le tasse, soprattutto Irap e Irpef, su imprese e lavoratori. Molto secca la replica del governo. Per il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, a Marcegaglia «si può rispondere con tutto il rispetto che la credibilità del Paese viene minata, anche e forse soprattutto, da troppo frequenti segnali di nervosismo».

Brunetta ricorda che manca solo il completamento della riforma delle pensioni, che c’è una delega per la riforma del fisco e dell’assistenza, che ci sarà il pareggio di bilancio nel 2013. Insomma, «in certi momenti il senso di responsabilità e la credibilità spettano non solo a chi guida il Paese ma anche a chi rappresenta interessi organizzati e ha il dovere di farsi carico degli interessi generali e non solo di quella parte». Il segretario del Pd Pierluigi Bersani, invece coglie lo spunto di Marcegaglia per andare oltre. «Siamo di fronte ad un'esigenza cruciale di cambio di governo ad horas - afferma andare avanti così anche per poche settimane ci mette in una situazione di pericolo per i mercati, l'economia e la credibilità del Paese». Per il leader democratico, «non si può ragionare solo intorno ai problemi di Berlusconi. Quanto costa agli italiani la testardaggine di Berlusconi di rimanere attaccato alla sedia?»

da - http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/421038/
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 02, 2014, 11:39:44 am »

Economia
02/03/2014 - il caso

Piano casa da un miliardo e mezzo
Arrivano bonus per le ristrutturazioni, mutui agevolati e taglio al 10% della cedolare secca sugli affitti.
Lupi: priorità, è emergenza sociale
Il piano casa preparato dal ministro Maurizio Lupi vale un miliardo e mezzo

Roberto Giovannini
Roma

Il lavoro è un’emergenza «allucinante», come ha detto il neopremier Matteo Renzi, ma non è certo l’unica del paese. Una - e non delle minori e più pressanti - è quella della casa, con milioni di persone male alloggiate e un mercato immobiliare in grave crisi. Ecco dunque che al governo Renzi può tornare decisamente comodo il secondo elemento del «piano casa» che a suo tempo, quando il premier era ancora Enrico Letta, aveva sostanzialmente già messo a punto il ministro delle Infrastrutture Maurizo Lupi. Un piano da un miliardo e mezzo di euro che tra l’altro prevede il taglio al 10 per cento della «cedolare secca» sui redditi da affitto.

«Porteremo in settimana il secondo Piano casa in Consiglio dei ministri - spiega il ministro del Nuovo centrodestra - al ministero ci abbiamo lavorato a lungo, confrontandoci con le Regioni e i Comuni. La casa è un’emergenza sociale che abbiamo subito assunto come priorità. Dai bonus ristrutturazioni ai mutui per l’acquisto, dai fondi per gli affitti sino all’housing sociale, abbiamo voluto affrontare il problema in modo completo e non con provvedimenti tampone». Se tutto andrà liscio, il provvedimento verrà esaminato già al Consiglio dei ministri in programma per venerdì prossimo. 

Cominciamo proprio dagli interventi rivitalizzare il mercato dell’affitto immobiliare, che mirano da un lato ad aiutare gli inquilini deboli o in difficoltà a pagare l’affitto, e dall’altro a convincere i proprietari - con sconti fiscali e garanzie su morosità e danni - a mettere sul mercato nuovi alloggi a canone concordato. 

Il primo passaggio è l’ulteriore alleggerimento della «cedolare secca», ovvero dell’imposta forfettaria che grava sui redditi da locazione che incassano i proprietari che concedono immobili a canone concordato. Se con il governo Letta era stato introdotto un taglio della cedolare secca dal 19% al 15% per i contratti di locazione a canone agevolato, il nuovo provvedimento dovrebbe ridurre ulteriormente l’imposta del 5%, portando dunque l’aliquota dal 15% al 10 per gli affitti a canone concordato per il periodo dal 2015 fino al 2018. La misura riguarderebbe anche gli affitti degli enti no profit e quelli delle cooperative per gli alloggi subaffittati a studenti universitari. Sempre in materia di affitti, si prevede un sostanziale rifinanziamento dei fondi a sostegno degli affitti e per fronteggiare la “morosità incolpevole” (ovvero la situazione di chi non riesce a pagare l’affitto perché ha perso il lavoro), la cui dotazione passerà dagli attuali 140 milioni ad almeno 300 milioni.

Sul versante della proprietà, invece, il piano dovrebbe garantire un rifinanziamento del fondo per i mutui, Ma soprattutto la creazione di un nuovo fondo di due miliardi di euro (messi dalla Cassa depositi e prestiti) che si chiamerà «Plafond casa». Il nuovo servirà come garanzia per le banche che erogheranno mutui in via prioritaria a giovani coppie che vogliono comprare o ristrutturare casa, famiglie di cui fa parte un soggetto disabile e famiglie numerose. Avrebbero sinora aderito al progetto già 20 istituti di credito, tra cui molte delle più importanti a livello nazionale. In teoria, dice il ministro Lupi, basterà andare dalle banche che hanno firmato la convenzione con la Cdp per accedere a queste risorse.

 Sul fronte dell’edilizia sociale si pensa invece a un piano di recupero dell’edilizia popolare e una serie di agevolazioni fiscali per gli enti proprietari e gli inquilini degli alloggi sociali. Inoltre si consentirà (con un decreto dei ministeri delle Infrastrutture, dell’Economia e Finanze e degli Affari regionali) agli inquilini di poter riscattare la casa dove abitano; i relativi proventi verranno destinati alla realizzazione di appartamenti sociali o per la ristrutturazione di quelli esistenti.

Da - http://lastampa.it/2014/03/02/economia/piano-casa-da-un-miliardo-e-mezzo-htbQuIuToDtzi4OxHlXXSO/pagina.html
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