Economia
08/08/2011 - LA CRISI
Il prezzo del risanamento
Dalla stretta alla spesa assistenziale fino al rischio di incidere sui consumi: per raggiungere entro il 2013 il pareggio di bilancio, si toccheranno le tasche degli italiani. Quali misure potrebbe prendere il governo?
ROBERTO GIOVANNINI
Tagli alla previdenza.
Possibile il giro di vite sulle pensioni di anzianità
Ci risiamo, si ritorna a parlare di pensioni. Lo scenario è ancora incerto, in movimento; ma se la situazione dovesse peggiorare, i tecnici del Tesoro hanno già preparato il menu dei possibili interventi per recuperare parte dei miliardi necessari a pareggiare il bilancio nel capitolo della previdenza, che rappresenta una delle voci principali della spesa pubblica, nonostante i molti interventi effettuati dal 1992 a oggi. Insomma, riapre l’eterno cantiere dei giri di vite sulle pensioni. A cominciare da quelle di anzianità, quelle che si maturano con un incrocio tra età anagrafica e anni di contributi maturati. Decisioni ancora non ce ne sono, ma sul tavolo c’è letteralmente di tutto. C’è chi pensa a una drastica abolizione delle pensioni di anzianità, lasciando nell’ambito della legge sui lavori usuranti le uniche vie di fuga prima dei 65 anni (che poi saliranno con l’agganciamento alle speranze di vita). Altri suggeriscono - aveva fatto così il governo Berlusconi nel 1994, sollevando una generalizzata protesta che lo costrinse a fare marcia indietro - di introdurre disincentivi percentuali: una quota dell’assegno viene sottratta per ogni anno che manca al limite di età per la pensione di vecchiaia. Oppure, una modifica delle «quote». Ma si ipotizzano anche interventi sulle pensioni di vecchiaia: da un innalzamento secco per tutti, uomini e donne, a 70 anni di età, passando per un innalzamento a 65 anni per le donne nel settore privato e a un’applicazione generalizzata del calcolo dell’assegno con il sistema contributivo.
Aliquote Iva più alte
L'aumento di un punto porterà 10 miliardi ma salirà l'inflazione
Sarebbe una bella stangata, di quelle memorabili. Tra le ipotesi allo studio del governo c’è anche una misura di grande impatto sulle tasche degli italiani come l’aumento dell’Iva, l’imposta sul valore aggiunto che grava sui consumi. Una mossa che potrebbe portare nelle casse dello Stato fino a 10 miliardi di euro, anche se le stime variano. Nel menu dei provvedimenti messi a punto dalla Ragioneria c’è infatti un aumento di un punto delle aliquote Iva «ridotta» (oggi al 10 per cento) e «ordinaria» (che attualmente è fissata al 20%). Resterebbe inalterata l’aliquota minima del 4%, che viene applicata ai generi di prima necessità (alimentari, stampa, abitazioni prima casa e così via). Il rincaro all’11% colpirebbe invece i servizi turistici (alberghi, bar, ristoranti e simili), i giochi e gli intrattenimenti e altri prodotti alimentari; al 21% sarebbero invece tassati tutti gli altri consumi. Ovviamente, si tratterebbe di una misura con tre effetti negativi: inflazionistico, perché l’imposta aumenta in proporzione i prezzi dei prodotti. Recessivo, perché in questo modo sarebbero disincentivati i consumi. Regressivo, cioè più penalizzante per i redditi bassi, perché ovviamente l’impatto del rincaro colpirà di più chi ha redditi inferiori e non sarà sentito da chi ha redditi più elevati. Finora il governo ha sempre riluttato di fronte a questa possibilità di intervento; alla fine il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha inserito il rincaro dell’Iva all’interno della delega fiscale, ma collegato a una riduzione del prelievo Irpef.
Le privatizzazioni
Pesano gli insuccessi del passato e i "sì" dei referendum
Quando si parla di privatizzazioni, non ci sono solo le vendite di quote delle società in mano al Tesoro, ipotesi cui pure ora si sta pensando, che riguarderebbe beni stimati in ben 140 miliardi. Ci sono anche le società in mano agli enti locali, le cosiddette municipalizzate; e ci sono infine gli immobili di proprietà pubblica. Si tratta in tutti e tre i casi di operazioni già effettuate o solo tentate in passato, nel caso degli immobili - il cui valore non è neanche noto, c’è chi parla di addirittura 480 miliardi, considerando demanio, ospedali, enti locali, e il patrimonio di edilizia pubblica - con fragorosi insuccessi. Fallirono i governi di centrosinistra fino al 2001, più clamoroso il flop delle cosiddette «società veicolo» costituite da Tremonti nella legislatura 2001-2006. Non per questo però non si ritenterà, a quanto pare. Ad esempio, costituendo una società di gestione del risparmio che istituirebbe uno o più fondi d’investimento per partecipare in altri fondi d’investimento immobiliari chiusi promossi da enti pubblici o enti locali. Complesso il discorso che riguarda le municipalizzate, ovvero le società pubbliche che gestiscono servizi di utilità pubblica (acqua, gas, elettricità, eccetera). Poche settimane fa il referendum contro la privatizzazione dell’acqua ha stravinto. Bisognerebbe dimenticare quel voto.
Congelare il fabbisogno
Spese pubbliche rinviate al 2012, fornitori in attesa
È possibile che per centrare l’obiettivo dell’anticipo al 2013 del pareggio di bilancio vengano adoperate anche tecniche (non cosmetiche) per correggere i conti pubblici. Il problema è quello di fermare - anzi, di congelare, come ha detto Berlusconi in Parlamento - il fabbisogno pubblico, ovvero la differenza fra le entrate e le uscite al netto della spesa per interessi. Al momento, questa grandezza (negativa, perché ovviamente siamo in «rosso») ammonta a circa 39 miliardi. Se non ci saranno interventi di finanza pubblica, secondo le stime a fine anno si arriverà a 65 miliardi di euro. Come fare a «congelare» il fabbisogno a quota 39 miliardi, accogliendo il «suggerimento» dato nei giorni scorsi al governo italiano dal futuro presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi? Ovviamente serviranno provvedimenti in grado di aumentare le entrate e ridurre le spese. Tra questi, l’Esecutivo sta pensando a intervenire con atti amministrativi su tutta una serie di uscite di cassa attese. Spese che non verranno (non è possibile) cancellate, perché si tratta di regolari impegni di spesa, ma «trasferiti» al bilancio del 2012. In altre parole, con questi atti amministrativi si faranno scivolare all’anno venturo spese obbligatorie che possono essere rimandate, stimabili in 7-8 miliardi. Un esempio per tutti: i soldi dovuti ai fornitori pubblici. Dovranno aspettare.
da -
http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/414925/