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Autore Discussione: Brown sale nei sondaggi e punta al voto anticipato  (Letto 2219 volte)
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« inserito:: Agosto 21, 2007, 11:50:42 am »

Brown sale nei sondaggi e punta al voto anticipato
Gianni Marsilli


Lo dicevano cupo e malfidente, magari forte nel far di conto ma fiacco nella leadership politica. Lo dicevano affannato e in salita, per niente sicuro di ottenere, di qui ad un paio d’anni, l’unzione delle urne. Doveva essere la pallida ombra di Tony Blair, grigia e burocratica. Questo si diceva di Gordon Brown, solo un paio di mesi fa. Ecco invece che il premier britannico è saldo in sella, e cavalca di buon passo il destriero nazionale. Ecco che i sondaggi salgono con progressione costante, fino a dargli, oggi, dieci punti di vantaggio sui conservatori. Ecco che il Labour, per la prima volta da anni, rimette il naso al di là del 40 per cento delle intenzioni di voto. Ecco che la fiducia dei britannici nel loro primo ministro cresce e si consolida.

Nei giorni del suo battesimo del fuoco a fine giugno, quando il terrorismo mancò di un soffio le stragi di Londra e Glasgow. In quelli delle inondazioni di luglio, le peggiori degli ultimi sessant’anni. Nel momento in cui rinuncia alla costruzione del mega-casinò a Manchester, rifiutando di farne una specie di Las Vegas, e via di questo passo. A Downing Street spira aria di ottimismo. Tanto che, racconta l’Observer, tutto è pronto per elezioni anticipate nel prossimo ottobre. Gordon Brown deciderà nella prima decade di settembre: se per la sesta o settima volta consecutiva le intenzioni di voto gli saranno favorevoli, non è affatto escluso che cerchi subito la legittimità elettorale che gli manca per il suo «primo» mandato. Così si esprimono nel suo staff, dando per scontato che Brown intenda restare lì dov’è per un bel pezzo. David Cameron, il suo rivale tory, è anch’egli pronto alla battaglia, tant’è vero che ha inviato ai suoi parlamentari un promemoria elettorale. Ma Cameron non ha più vento nelle vele: in queste settimane tocca i punti più bassi di consenso dal dicembre 2005, quando venne eletto al posto che fu di Margaret Thatcher.

Il fatto è che Gordon Brown finora non ne ha sbagliata una. È andato in visita da George Bush. Visita ufficiale, non picnic come quello di Sarkozy. Con gli Stati Uniti, ha detto, le relazioni devono essere «le più forti possibili», e non poteva dire diversamente. Ma nel contempo, in sintonia con l’opinione pubblica nazionale, prepara il ritiro dei 5500 soldati britannici che ancora sono dispiegati a Bassora e dintorni. Accadrà forse entro la fine dell’anno, e la prospettiva provoca a Washington malumori per niente dissimulati. Ha detto chiaro e tondo che la lotta al terrorismo ha il suo epicentro in Afghanistan, non in Iraq. E lì, in Afghanistan, vorrebbe che l’intervento si facesse più sotto l’egida dell’Onu che della Nato. In altre parole, considera nefasto l’eccesso di autonomia degli Usa nella guerra contro i talebani. Il suo ministro degli Esteri, David Milliband, ha compiuto un passo formale presso Condoleezza Rice. Ha inviato una lettera nella quale chiede con fermezza il rilascio di cinque detenuti a Guantanamo. La novità è che i cinque non sono cittadini britannici, ma gente che godeva, a Londra, dello statuto di rifugiato politico o di semplice residente. Nessuno si permetterebbe, oggi, di dare a Gordon Brown l’appellativo di «cagnolino di Bush».

Si era prestato a Brown un euroscetticismo consolidato e irreversibile, e su questo terreno una sua naturale sintonia con Nicolas Sarkozy. Ma al Foreing Office ha nominato David Milliband, europeista convinto. E non gli è garbata affatto, del presidente francese, la pretesa di sopprimere dal Trattato europeo l’obiettivo di «una concorrenza libera e non distorta» nell’ambito comunitario. Alistair Darling, il suo successore alla guida delle finanze, si è espresso con chiarezza: «Non credo al patriottismo economico, è un’assurdità». Da Sarkozy lo divide anche il giudizio sulla mondializzazione. Nei fatti, non negli esercizi retorico-televisivi: il francese vuole erigere barriere contro i prodotti cinesi e indiani, Brown non teme la libera concorrenza. E poi c’è una questione di stile: Brown, figlio di un pastore presbiteriano, è schivo e discreto, tanto quanto l’altro ha bisogno di vivere in un costante reality-show. In Brown c’è coerenza: è un social-liberale, sostenitore acerrimo del libero mercato ma più sensibile alle tematiche sociali di quanto non fosse Blair. Di Sarkozy, a parte le vacanze americane e Cecilia, non si sa ancora: tardo-gollista o che cosa?

Piace ai britannici quest’uomo serio e compunto. La sua assenza di carisma arriva dopo l’eccesso di carisma di Blair, e diventa quindi un rassicurante punto di forza. Piace il suo modo di esercitare il potere: narrano le cronache che dentro il governo si discute, che il premier ascolta e talvolta cambia idea, che lascia volentieri la scena ai suoi ministri. Piace l’intenzione di allargare i poteri del Parlamento, in particolare di consentire ai deputati di votare o meno l’entrata in guerra del paese. Era stato Gordon Brown, dieci anni fa, a rendere indipendente la Banca d’Inghilterra, cosa della quale tutti gli sono grati ancora oggi. Piace il modo in cui ha giostrato finora tra continuità e rottura, mantenendo e incrementando, per una volta, l’unità del New Labour. Le virulente passioni che suscitava Tony Blair sembrano un lontano ricordo, eppure era solo due mesi fa. Ciò detto, non è affatto scontato che Gordon Brown giochi la sua carta nel prossimo ottobre. Prudente com’è, e determinato a sottoporsi al suffragio universale solo sapendo di avere la vittoria in tasca, potrebbe aspettare almeno la prossima primavera. Ma è interessante notare che fin d’ora il laburista sta facendo mangiar polvere al conservatore rampante, e che in caso di duello potrebbe metterlo definitivamente a terra.

Pubblicato il: 20.08.07
Modificato il: 20.08.07 alle ore 9.33   
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