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Autore Discussione: In 25 parole-chiave l'eredità Padoa-Schioppa  (Letto 3793 volte)
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« inserito:: Agosto 20, 2007, 05:59:16 pm »

Lettera a Repubblica del ministro dell'Economia Padoa-Schioppa

"Le risorse vanno trovate snellendo strutture e stipendi pubblici"

"Austerità strada obbligata investiremo ma senza debiti"
di TOMMASO PADOA SCHIOPPA
 

Caro Direttore, nel suo articolo di ieri Eugenio Scalfari analizza da par suo la condizione in cui le economie del mondo, e in particolare l'italiana, si trovano all'indomani della crisi di Ferragosto. Prendo la penna per rispondere alle domande che egli mi pone, ma anche per esprimere qualche riflessione sul ragionamento di fondo dal quale scaturiscono i suoi interrogativi.

Prima domanda: a quanto ammonta oggi il margine discrezionale di cui l'Italia dispone per effetto del risanamento di bilancio compiuto con la legge finanziaria 2007? Una risposta breve suona così: non vi sono - ad oggi - stime che mutino i termini e i vincoli della nostra politica economica illustrati nel Documento di Programmazione di fine giugno e confermati dalle Risoluzioni approvate da Camera e Senato; la manovra per il 2008, secondo quel documento, non dovrebbe reperire risorse ai fini del risanamento, ma dovrà trovare la copertura per nuove spese che il Governo intendesse fare.

Seconda domanda: a quanto ammonta l'avanzo primario (cioè al netto della spesa per interessi) del bilancio? Risposta: l'avanzo primario, che alla fine della legislatura precedente si era sostanzialmente azzerato, quest'anno dovrebbe risalire al 2,7 per cento del Prodotto interno lordo.

Oggi nessuno dispone di stime sull'effetto che la crisi di Ferragosto avrà sulla crescita: non noi per l'Italia, non il Tesoro americano o la Fed per gli Usa, non la Bce per l'area euro, non il Fondo monetario internazionale per l'economia mondiale. Ma le domande di Scalfari nascono da una valutazione della crisi in atto, dei suoi possibili effetti, dei mezzi per farvi fronte, della particolare condizione dell'Italia su cui si può e si deve ragionare anche in mancanza di nuove cifre. Del resto, in presenza di patologie e anomalie come quelle in atto, le stime divengono ancor più aleatorie del solito e guai se ci facessimo affascinare dall'apparente esattezza di numeri stimati.

Veniamo dunque al ragionamento di fondo. L'argomentazione di Scalfari si riassume così: "da questo momento in poi... la politica economica... deve evitare che flettano i consumi e quindi la domanda globale"; "nel nostro continente la leva ... consiste principalmente nel rilancio degli investimenti"; la politica monetaria ha fatto (molto bene) quanto poteva e doveva, ma ha esaurito le sue munizioni; ora tocca alla politica economica.

Innanzi tutto: la crisi e i suoi possibili effetti. Dobbiamo parlare di "tsunami della crisi mondiale" o dell'attraversamento di una zona di turbolenza? Nessuno può dire con certezza se la calma riportata sui mercati dagli interventi della Bce e della Fed sia duratura. Il passato ci offre esempi di colpi di tuono seguiti da crolli e inondazioni; ma anche di altri, ugualmente fragorosi, senza né pioggia né grandine. Certo, le risposte della politica economica non devono essere tardive; ma le diagnosi devono essere accurate.
Negli ultimi anni la mia valutazione della condizione dell'economia mondiale è stata, per alcuni aspetti, più preoccupata di quella delle istituzioni ufficiali e dei centri di ricerca: giudicavo (e giudico) non sostenibile il disavanzo esterno degli Stati Uniti e poco plausibile che la sua correzione avvenga senza un rallentamento dell'economia americana e perciò mondiale.

Sul conto dell'Asia, invece, sono da tempo convinto che il suo straordinario dinamismo sia destinato a durare. Cina e India non sono piccole economie trascinate dall'export (come Taiwan, Singapore, Hong Kong, la stessa Corea); è un terzo del genere umano che si sta dotando di case, strade, elettrodomestici, scarpe, telefoni, sistemi di trasporto, tipici delle società avanzate. Non riesco a credere che una tale trasformazione degli stili di vita possa fermarsi (non parlo di pause temporanee) prima di essere giunta a compimento.

Se temo che la correzione dello squilibrio americano freni l'economia mondiale, è perché Europa e Asia insieme non mi sembrano poter compensare un rallentamento degli Usa: all'Asia manca, per ora, la dimensione economica; all'Europa mancano la spinta demografica e la volontà di attivare un programma comune di investimenti pubblici.

Ecco, secondo me, lo sfondo degli avvenimenti di oggi. Non so valutare se questi siano l'annuncio di scosse più profonde provenienti da squilibri che una crescita eccezionalmente duratura non ha corretto, e ha forse esasperato; oppure se ai temporali di agosto seguirà un bel tempo, magari prolungato fino all'estate di San Martino.

Certo, come dice Scalfari, anche la politica economica, non solo quella monetaria, deve fare la sua parte. Ma ritengo anche che il rallentamento che accompagnerà la correzione dello squilibrio esterno americano non potrà essere contrastato con i tradizionali strumenti di sostegno della domanda; strumenti che possono forse prolungare la fase espansiva, ma che non sono in grado di surrogare le modifiche dei prezzi (si pensi all'energia) e le trasformazioni produttive necessarie per ridurre la dipendenza dell'economia statunitense dalle importazioni a credito.

Torno all'Italia. Anch'essa, come gli Stati Uniti, ha carenze e squilibri irrisolti. Da noi hanno determinato la mancanza di dinamismo di cui soffriamo da tempo. La legislatura passata non solo ha "interamente dissipato" l'avanzo primario e fatto risalire il debito; ha anche gonfiato la spesa pubblica peggiorandone drammaticamente la qualità. E ha mancato la promessa di ricreare le condizioni essenziali per la crescita: legalità, concorrenza, efficienza amministrativa, riconoscimento del merito, penalizzazione delle posizioni di rendita, giustizia fiscale.

Ma le politiche richieste dalle condizioni di fondo dell'economia italiana non mi paiono suscettibili di essere modificate in modo significativo da un aggiornamento delle stime che si farà nel corso delle prossime settimane. In un momento in cui alla ripresa ciclica potrebbe mancare il sostegno esterno di cui ha goduto in questi due anni, il grave errore da evitare è quello di distogliere lo sguardo da quelle carenze e da quegli squilibri. Solo verso fine settembre il Governo disporrà di nuove stime aggiornate.

La condizione della nostra economia è come quella di un'impresa che sia nello stesso tempo pesantemente indebitata e gravemente sotto-capitalizzata. Al pari di Scalfari, sono convinto che l'Italia abbia un bisogno quasi disperato di investire di più: occorrono treni, posti di ricercatori nelle università, laboratori, strade (soprattutto al Nord), acqua (soprattutto al Sud), discariche, metropolitane, opere di bonifica e consolidamento ambientale. La malavita si estende anche a causa di questo.

Un punto deve essere chiaro: le risorse per investire non possiamo reperirle indebitandoci. Ci siamo già indebitati; e abbiamo usato il credito per consumare e per sprecare. Ora le risorse le possiamo reperire solo spendendo meglio, smagrendo strutture pubbliche ridondanti, spendendo meno in consumi correnti, con una politica di austerità delle retribuzioni pubbliche. È una correzione difficile, che richiederà anni, non mesi o trimestri; che in un primo tempo potrà anche dispiacere, non entusiasmare; che in larga misura si dovrà distendere indipendentemente dagli andamenti del ciclo economico. Richiede uno sforzo, uno sguardo lungo, una ambizione nazionale.

Resto fermamente convinto che gli italiani abbiano voglia di verità, anche scomode, e che non manchi in loro la voglia di partecipare a un serio sforzo di miglioramento delle condizioni del Paese.

(20 agosto 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 05, 2007, 03:59:01 pm »

E sul voto in aula: «Fiducia? Nulla di male. Sono Attento, ma non preoccupato»

Padoa-Schioppa: «La Cdl fa allarmismo»

Il ministro: «Le coperture per la Finanziaria ci sono tutte. Per la sicurezza stanziati fondi per 2 anni»


ROMA - «Credo che le opposizioni facciano dell'allarmismo ingiustificato. Sono esse che hanno scassato i conti e siamo noi che li stiamo rimettendo a posto. Le coperture ci sono tutte. Gli italiani possono essere tranquilli». Lo ha detto il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, in un'intervista andata in onda al Tg1 delle 20, alla vigilia dell'approdo della manovra nell'Aula di Palazzo Madama.

MANOVRA IN AULA - La giornata al Senato si annuncia tutt'altro che tranquilla, perché l'opposizione potrebbe cercare di serrare le fila e di mettere a dura prova la maggioranza già con i voti sulle pregiudiziali di costituzionalità e sulla sospensiva, previsti per il pomeriggio. Al Senato il centrosinistra conta su una maggioranza molto risicata e non è del tutto chiaro quale sarà il comportamento dei due senatori indipendenti Ferdinando Rossi e Franco Turigliatto, che avrebbero già fatto sapere di non essere particolarmente soddisfatti della manovra e che quindi potrebbero decidere di votare secondo coscienza (ovvero, contro).
 
SICUREZZA E STRANIERI - Il tema della legge di bilancio si intreccia in queste ore con quello della sicurezza. Dall'opposizione sono giunte critiche alla maggioranza, accusata di non dare alla materia la giusta considerazione politica e il giusto peso economico. «Già prima della Finanziaria sono stati stanziati nuovi fondi per la sicurezza - ha però spiegato il ministro in tv -, sia per quest'anno che per l'anno prossimo. La sicurezza è un problema molto ampio, le risorse ci sono. Ci sono in Italia - ha poi precisato Padoa-Schioppa - centinaia di migliaia di stranieri che lavorano, che sono onesti, che rispettano le leggi».

«ATTENTO, NON PREOCUCPATO - Alla domanda dell'intervistatore, che gli chiedeva se sarà necessario ricorrere alla fiducia per ottenere il via liebra alla Finanziaria, Padoa-Schioppa ha risposto deciso: «Spero di no, e dipende dall'opposizione. Ma la fiducia è uno strumento previsto dalla Costituzione e, se necessario, non c'è niente di male ad utilizzarlo». Per quanto attiene al passaggio parlamentare della manovra, il ministro si definisce «attento» ma non «preoccupato» «Sul Decreto - ha aggiunto - il governo ha superato 340 votazioni, sono quelle che contano, più dei sette voti» che hanno visto la maggioranza battuta. «Ho fiducia perchè questa è una legge finanziaria che destina risorse alla crescita, all'equità sociale e non ha bisogno di chiedere sacrifici per il risanamento».

FI: «INTERVENTO STRUMENTALE» - Non si è fatta attendere la reazione della Cdl dopo la messa in onda dell'intervista. «L'intervento di Padoa Schioppa al Tg1 è sospetto e strumentale - ha detto il presidente dei senatori di Forza Italia, Renato Schifani - perchè denota la debolezza e la preoccupazione del governo alla vigilia di un percorso difficile di una finanziaria palesemente scoperta, bocciata dagli organismi internazionali e dalla Banca d'Italia e che rinvia a dopo il risanamento che si poteva attuare ora grazie all'utilizzo dell'extragettito». «La pressione fiscale - ha aggiunto- rimane immutata perchè si è voluto utilizzare l'extragettito per fare shopping di senatori di maggioranza in commissione, dove sono state elargite mancie elettorali. Se questo governo ricorrerà alla fiducia lo farà soltanto perchè non avrà la forza di far approvare la finanziaria in aula serenamente dai suoi senatori, perchè il numero limitato di emendamenti presentato dalla Cdl, che non ha precedenti nel passato, vuole sottrarre l'alibi all'esecutivo di avvalersi di questo strumento. Se lo farà verrà meno all'appello del Capo dello Stato e ne risponderà alla nostra democrazia».

04 novembre 2007

da corriere.it
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« Risposta #2 inserito:: Maggio 03, 2008, 04:01:17 pm »

In 25 parole-chiave l'eredità Padoa-Schioppa

di Dino Pesole
 

Due anni alla guida dell'Economia, vissuti in bilico tra le pressanti esigenze di risanamento dei conti pubblici e le spinte concentriche di una coalizione a dir poco eterogenea, dominata da «impulsi autodistruttivi», con il respiro corto di una legislatura tra le più brevi e travagliate della nostra storia repubblicana. Con un'iniziativa insolita, il ministro dell'Economia uscente Tommaso Padoa-Schioppa ha condensato in un nutrito dossier di 234 pagine, costruito sotto forma di glossario (disponibile da oggi sul sito del ministero), l'intera attività svolta tra il maggio del 2006 e l'aprile 2008.

Venticinque parole-chiave che, come osserva lo stesso Padoa-Schioppa nella prefazione, si configurano come una sorta di antologia che va ora anche «a beneficio del Governo che si insedierà tra pochi giorni».

La priorità assoluta, ben chiara del resto già dalle prime azioni intraprese dal governo Prodi, è stata la finanza pubblica. Padoa-Schioppa si affida ai numeri: il deficit è sceso dal 4,2 all'1,9% del Pil, l'avanzo primario è risalito dallo 0,3 al 3,1%, il debito pubblico è passato dal 106,5 al 104%, e il «recupero delle imposte evase è stato dell'ordine di 20 miliardi». Risanamento, dunque, e poi "sviluppo", con l'abbattimento di Irap e Ires e spese per infrastrutture per 40 miliardi, "equità" attraverso la riduzione dell'Ici e dell'Irpef, il bonus agli incapienti. Risultati - osserva Padoa-Schioppa - ottenuti «nel contesto di una temperie politica e mediatica infuocata, della quale non ricordo l'eguale negli ultimi decenni».

Occorrerà del tempo per valutare a pieno gli effetti di quanto effettivamente è stato realizzato in questi due anni. Tra breve, la «due diligence» sullo stato dei conti a metà anno annunciata dal prossimo governo Berlusconi ne renderà conto nel dettaglio. Padoa-Schioppa riconosce che il ruolo di titolare dell'Economia è scomodo, per usare un eufemismo. Per i ministri «con portafoglio» il guardiano dei conti è una sorta di «ficcanaso e un bastian contrario istituzionale». Molto spesso, il suo è un «no, non si può fare». Il luogo che presidia «non è solo quello dove la somma degli interessi particolari e settoriali si rivela incompatibile con l'interesse generale». È anche quello dove «la speranza stessa di realizzare tutto l'interesse generale incontra il limite della scarsità delle risorse».

Concessioni, suo malgrado, Padoa-Schioppa ha dovuto concederle. Si pensi alla conclusione della lunga e tormentata vicenda contrattuale nel pubblico impiego. Da diversi suoi colleghi gli è stato rimproverato un approccio esclusivamente tecnico alla gestione delle risorse pubbliche. Una distinzione, questa tra governanti politici e tecnici, che il ministro, ormai quasi ex, definisce «priva di senso»: l'azione di governo «è politica sempre e per definizione, chiunque la eserciti». A suo avviso ha invece più senso la distinzione tra il politico "eletto" e il politico "chiamato", e la «forza della chiamata si mette alla prova nei momenti difficili». Il tempo - conclude - «riconoscerà ancora una volta al presidente Prodi di aver regalato all'Italia, anche se solo per due anni, il bene raro del buongoverno».

Il glossario parte da uno dei dossier più caldi, l'Alitalia, e si chiude con le tasse e l'Università. Il nodo è la crescita, e nel dossier si conferma che uno sviluppo prolungato e sostenibile «è possibile solo se la produttività, in stallo da anni, riprende ad aumentare con continuità». Ci ha provato, il governo Prodi con le "lenzuolate" di liberalizzazioni, ma evidentemente su questo fronte il cammino appare ancora lungo.

Quanto alla lotta all'evasione, nel dossier si sostiene che tutti gli indici di compliance «sono migliorati per la prima volta. In pratica, sembra essersi messo in moto un rilevante processo di emersione di base imponibile e gettito». Ora la palla è al nuovo governo, con un'avvertenza: «Solo un impegno costante di indirizzo politico, di azione amministrativa e legislativa potrà garantire che i recuperi di base imponibile oggi acquisiti durino nel tempo».

da ilsole24ore.com
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« Risposta #3 inserito:: Maggio 07, 2008, 03:58:33 pm »

  L’intervista Tommaso Padoa-Schioppa

«Servono 10 anni di azione coerente.

Su Alitalia il sindacato ha fallito»

«I redditi online? Misura estrema e dirompente. Capisco le reazioni»

 

ROMA — Nel governo di Romano Prodi era considerato il ministro «tecnico » per eccellenza. Questa definizione, t u t t a v i a , a Tommaso Padoa- Schioppa non è mai piaciuta. Lui considera la distinzione fra ministri politici e tecnici «priva di senso, una manifestazione dell’immaturità con cui si guarda alla politica italiana». E invece sottolinea il peso di un’altra distinzione, quella fra «politico eletto e chiamato».

Avrebbe potuto mai diventare un politico «eletto»?
«Se vuole sapere se mi hanno proposto una candidatura la risposta è: sì. Però non ho mai concepito questi due anni di lavoro come l’inizio di una carriera politica».

E come due anni di politica?
«Sono venuto qui senza essermi candidato a nulla. Ho molto esitato prima di accettare. E ho deciso di tornare alle condizioni di prima, quelle di pensionato ex funzionario pubblico. Ma questo non significa che non abbia svolto una funzione fortissimamente politica».

La soddisfazione più grande?
«Essere ancora ministro nel giorno in cui la Commissione europea decide di abrogare la procedura d’infrazione a carico dell’Italia per deficit eccessivo. Per la prima volta amemoria d’uomo il giudizio di Bruxelles sulla finanza italiana è addirittura migliore del nostro».

Roba da stropicciarsi gli occhi.
«Ma non significa che i problemi siano finiti. Anzi. Anche se un conto è essere considerato un Paese che non rispetta le regole e un conto diverso è essere tornati nella normalità. Rientrare nei vincoli del patto di stabilità è stato difficile, non meno difficile sarà il cammino verso il pareggio di bilancio».

Un benvenuto per il suo successore Giulio Tremonti.
«Nel nostro primo Dpef si è impostata la politica economica su tre binari: risanamento, crescita, equità. È falso che il governo Prodi abbia perseguito solo il primo. Ma credo che i tre elementi siano più legati ora che due anni fa. Bisogna far ripartire l’economia, aumentare la produttività, ridurre l’obesità delle strutture pubbliche...»

Lo sa che siamo gli ultimi in Europa nell’uso di Internet per i rapporti con gli uffici pubblici?
«Purtroppo è vero. Le pratiche si possono anche avviare via Internet. Poi però dietro c’è ancora la penna d’oca».

Buono a sapersi.
«Ma sbaglia chi dà la colpa di questo alla prepotenza della politica. La responsabilità, al contrario, va imputata alla debolezza della politica, spesso pigra e carente. C’è una carenza di cultura, capacità, determinazione. In due anni non si riesce a fare quasi nulla».

Troppi bastoni fra le ruote, come ha detto anche Berlusconi?
«C’è stato sempre chi ha sperato che la nostra azione venisse stroncata dalla fine della legislatura».

Per esempio il sindacato?
«In certi casi ha assecondato il cambiamento. In altri ha frenato. Aggiungo che negli ultimimesi ha clamorosamente fallito».

Si riferisce all’Alitalia, vero? Le brucia la sconfitta?
«Si. È stata una sconfitta: ma soprattutto per la nostra economia. Il raggiungimento dello scopo non dipendeva solo da noi governo. E abbiamo fatto tutto il possibile. Alitalia ha 175 aerei e Air France proponeva di metterne a terra 30, con 2.500 esuberi. Di gran lunga il ridimensionamento più modesto che si potesse sperare».

Ma di fronte al niet sindacale gli avete dato altri soldi.
«Non farlo sarebbe stato da irresponsabili: il futuro premier ha detto di avere pronta una soluzione e il governo doveva credergli, dando il tempo per metterla in pratica».

E se Prodi non fosse caduto?
«Il sindacato non avrebbe fatto saltare il tavolo. Se no la legge Marzano sarebbe stata inevitabile».

Forse non è un caso che la vicenda Alitalia, una rogna che nessuno è stato mai in grado di risolvere, scandisca il passaggio di maggioranza. Ci ha mai pensato?
«Chiunque oggi incontrerebbe difficoltà a governare. Avremo davanti anni in cui l’economia mondiale crescerà molto meno che negli ultimi 10 anni e le pressioni sui prezzi saranno molto più forti, per la crescita dell’economia asiatica e il conseguente rincaro dei prodotti primari. E non è che chiudendosi in un guscio protezionistico ci si metta al riparo dalle difficoltà».

Tremonti è avvertito.
«Poi c’è la questione dell’Italia: Paese indebitato e sottocapitalizzato, con diseguaglianze fra Nord e Sud. Affrontare queste difficoltà senza continuare la lotta all’evasione fiscale sarà impossibile».

Crede che la lotta agli evasori giustifichi la pubblicazione on line di tutte le denunce dei redditi?
«La pubblicità delle dichiarazioni prescritta dalla legge può essere assicurata in molti modi. Questo è unmodo estremo e dirompente. Posso solo dire che comprendo le reazioni che ha generato».

Lasciate il bilancio in ordine?
«Mi pare giusto che chi viene qui voglia vederci chiaro. Osservo che due anni fa il Tesoro prevedeva un deficit al 3,8% mentre Bruxelles lo stimava nel 4,1%. Ora lo prevediamo al 2,4% e la Ue al 2,3%».

Quindi i conti sono a posto?
«Questo significa uscire dalla sala rianimazione e andare in corsia, restando però in ospedale. Verremo dimessi quando avremo i conti pubblici in pareggio e la convalescenza sarà finita quando il debito pubblico scenderà sotto il 60% del Pil. Lasciamo un aggiustamento strutturale superiore a quello richiesto da Bruxelles, un avanzo primario ricostituito, un debito in diminuzione. Abbiamo virato: bisogna proseguire su questa rotta».

Per quanto tempo?
«Resto convinto che per curare i mali dell’Italia ci vogliano almeno dieci anni di azione coerente. E pur avendo fatto per assurdo più di quanto ci viene riconosciuto, purtroppo abbiamo fatto molto meno di quello che era necessario».

Tremonti ha detto che non si cura una malattia grave con l’aspirina.
«Credo che Tremonti parlasse di aspirina a proposito del rapporto di Mario Draghi. Per quanto mi riguarda, questa imagine l’avevo usata, riferendomi ai problemi dell’Italia, già nel giugno 2006. In queste condizioni l’Europa è un riferimento vitale. Tutte le cose di cui c’è bisogno vanno portate avanti in quella sede e in quel quadro, come contributo all’azione europea. Anche il modo in cui l’Italia affronterà la globalizzazione».

Lei ha appena scritto: «Il tempo riconoscerà ancora una volta a Prodi di avere regalato all’Italia il bene raro del buongoverno». Quanto dovrà passare?
«Contrariamente a ciò che si pensa e si rappresenta, sono moltissimi gli italiani che hanno capito. Il giudizio su questi due anni è molto meno umorale di quanto si crede. Esco da questa esperienza con lo stesso entusiasmo che avevo all’inizio. Sono stato convinto che per la storia d’Italia avesse un senso la partecipazione al governo di forze politiche che l’avevano sempre rifiutata, e lo considero un lascito importante per il futuro».

Anche se la sinistra vi ha complicato un po’ la vita, lo ammetta.
«Non ho mai fatto qualcosa dovendola ritenere inaccettabile».

Sergio Rizzo
07 maggio 2008


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