Favelas e natura, Jasmine in Amazzonia "Viaggio magico per scoprire me stessa"
La Trinca racconta la sua esperienza sul set di "Un giorno devi andare" di Giorgio Diritti, ambientato quasi interamente tra le comunità di indios brasiliani: "Ho lasciato a casa la presunzione del cinema e sono sbarcata lì con gli occhi spalancati di un bambino.
Tra prove fisiche estreme e spiritualità"
di CLAUDIA MORGOGLIONE
ROMA - Jasmine Trinca, la protagonista di Un giorno devi andare, non usa giri di parole: "Già solo progettando - e poi realizzando - questo film, Giorgio Diritti ha dimostrato grande coraggio. Un desiderio di osare raro, tra i nostri registi". E in effetti la sfida c'era tutta: una pellicola girata quasi interamente in Brasile, tra le zone fluviali amazzoniche del Rio Negro e le palafitte della favela di Manaus, con parte degli interpreti reclutati tra gli indios del luogo. Per raccontare temi come la ricerca della felicità al di là del consumismo e delle catene occidentali, la voglia di risvegliarsi alla vita attraverso il contatto con una natura selvaggia e con una popolazione molto povera e molto semplice, anche se insidiata dal progresso e dalla curruzione. E al centro di questo viaggio - esistenziale, spirituale, in parte religioso - c'è il personaggio interpretato da lei, Jasmine. Che oggi confessa come l'esperienza fatta "quasi alla fine del mondo" (per parafrasare le prime, ormai celebri parole di Papa Francesco) l'abbia cambiata per sempre: "Siamo arrivati lì - racconta - non con la presunzione del cinema, ma con occhi spalancati, completamente innocenti, come fanciulli. Rispettando i luoghi, e accogliendoli dentro di noi: pronti ad aprirci agli incontri con la gente".
E il risultato è un film pronto a sbarcare nelle sale il 28 marzo in circa cento copie, distribuito dalla Bim. Opera dalla gestazione lunga e complicata, rifiutata (secondo alcuni rumors) dalla Mostra di Venezia 2012, e poi presentata all'ultimo Sundance Festival. E che insieme alle due prove precedenti del suo autore - il fenomeno Il vento fa il suo giro e il pluripremiato L'uomo che verrà - forma, pur nei temi fra loro diversissimi, una sorta di trilogia intorno all'idea di comunità: "E' proprio così - conferma Diritti - sono profondamente convinto dall'idea che il bene del singolo passa per il bene della comunità in cui è immerso. E che quando si perde il senso del vivere insieme, qualsiasi felicità è impossibile". Nella natura selvaggia del Sudamerica, però, lui ha scoperto qualcosa di più: "La semplicità di un bimbo che ti corre incontro, ti abbraccia e ti sorride: ti fa sentire l'emozione della vita". Con la sua dimensione spirituale: "Che poi lo attribuisci al Dio a al caso, non ha importanza".
La vicenda del film ruota intorno al personaggio di Augusta (Jasmine Trinca), trentenne che dopo aver perso il figlio e aver saputo di non poter averne più "scappa" in Brasile con una suora (Pia Engleberth) amica di sua madre (Anne Alvaro), che aiuta ed evangelizza le tribù degli indios. Ma poi finisce per fuggire anche dalla missione religiosa della sua compagna di viaggio per stabilirsi nel poverissimo villaggio tutto palafitte di Manaus, integrandosi perfettamente. Ma dietro la semplicità e la bontà dei residenti si agitano ombre minacciose, che arrivano a corrompere anche la famiglia presso cui è ospite. E allora sceglie la solitudine...
Una pellicola che per la Trinca non è stata una semplice occasione professionale. Come si capisce dall'enfasi che lei, spesso timida e refrattaria agli incontri coi cronisti, mette nel raccontare l'esperienza: "E' stata incredibile, faticosissima sul piano fisico: le piogge che vedete sullo schermo sono tutte vere: ma a me le situazioni e le prestazioni estreme esaltano". E poi ovviamente ci sono state le scoperte umane: "Siamo stati in villaggi con gente che non ha mai visto un film, ma che si è subito entusiasmata, anche adattandosi ai tempi del cinema. Arrivando, l'unica cosa che avevo in mente è 'io devo conoscere davvero questo posto'. E ci sono riuscita: quando ho incontrato le comunità delle palafitte ho capito fin dal primo momento perché vivono lì. Quello di magico e di potente che il luogo custodisce".
Ma ci sono anche altre cose che l'hanno colpita. Ad esempio, quando ha girato in una sequenza in cui il suo personaggio, mentre vive da eremita su una spiaggia, riceve l'inaspettata visita di un bambino indio, e riesce a ridere, giocare e comunicare con lui al di là delle barriere linguistiche e sociali: "In questo devo ringraziare mia figlia, che ora ha quuatro anni - rivela - il piccolo con cui ho recitato non parlava nemmeno il portoghese, e per entrare in contatto ho usato esattamente gli stessi giochi che faccio con la mia bambina. E' incredibile che le stesse cose funzionino a Roma come sul Rio Negro".
Per l'attrice, poi, questo viaggio ha avuto anche, e inevitabilmente, una dimensione spirituale: "Sono partita dopo aver subito una grossa perdita: per questo ho compiuto anche un percorso dentro me stessa, passando per il dolore e per la comprensione della persona che sono. La natura lì fa capire come noi tutti apparteniamo a una dimensione più profonda, e fa sentire pieni di energia. E' stata come una rieducazione; e sì, anche un riavvicinamento alla spiritualità". Con un unico rimpianto finale: "Quando si torna qui restano le memorie, anche sensoriali, dell'esperienza; ma in qualche modo si finisce per essere 'contaminati' di nuovo".
(25 marzo 2013) © Riproduzione riservata
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