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Autore Discussione: FRANCESCO LA LICATA Ma nessun processo breve  (Letto 2060 volte)
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« inserito:: Febbraio 12, 2010, 02:14:58 pm »

12/2/2010

Ma nessun processo breve
   
FRANCESCO LA LICATA

Le indagini sul potere in Italia hanno la facoltà di mettere in moto un automatismo autistico di autodifesa basato sull’affermazione di innocenza del potente di turno, senza neppure conoscere gli elementi che ne hanno originato l’inchiesta.

Secondo un meccanismo ormai collaudato, ad ogni indagine della magistratura - sia dirette all’accertamento della corruzione o di trame oscure sul groviglio di politica e sistemi criminali - si contrappone immediatamente un fuoco di sbarramento fatto di dichiarazioni il più delle volte avventate, offensive nei confronti di chi è deputato al controllo della legalità. Fuoco di sbarramento che si conclude con l’immancabile evocazione di una qualche riforma che «rimetta le cose a posto», riducendo i poteri dei magistrati, ovviamente a vantaggio del primato della politica.

Anche nel «caso Bertolaso» è andata così. Per la verità, l’inchiesta dei magistrati toscani non dovrebbe essere «intitolata» al padrone della Protezione civile, in quanto la sua posizione sembra essere più defilata (Bertolaso è indagato) rispetto a quella degli imprenditori che, infatti, sono finiti in carcere. Ciò vuol dire che la stessa magistratura ha distinto i ruoli, come si dice, penalmente rilevanti, per sottolineare che quello di Bertolaso non è così definito da poterlo sanzionare con un provvedimento grave come la privazione della libertà.

Epperò è lui, Bertolaso, ad aver acceso lo scandalo. Perché è lui l’indagato vicino al premier e averlo coinvolto viene considerato l’ennesimo attacco della magistratura a Silvio Berlusconi. Che ha subito reagito gridando alla congiura: «Siamo in presenza di un imbarbarimento della vita civile difficile da sopportare». Sembra assai probabile che il presidente del Consiglio non abbia gran contezza delle carte processuali che riguardano Bertolaso. Su cosa si fonda, allora, la sua difesa? Dice Berlusconi: «Sono convinto che la maggioranza delle persone la pensa come me. Bertolaso è una persona che ha fatto tanto per l’Italia e per gli italiani e contro di lui vanno a sollevare un problema di questo genere. Si vergognino». Con tutto il rispetto, se dovesse valere il principio che sia il potere politico ad emettere sentenze giudiziarie si potrebbero anche abolire codici e tribunali.

C’è chi può obiettare che neppure i forcaioli colpevolisti hanno elementi per giudicare. È vero, ma proprio per questo lasciamo che le indagini della magistratura e dei carabinieri facciano il loro corso naturale, come vogliono le regole della vita civile e la legge. Qualsiasi altra «soluzione breve» - le accuse di complottismo ai magistrati - non fa che acuire uno scontro bisognoso, semmai, di approcci sereni per raffreddarne la temperatura eccessiva. E francamente, ancor prima delle risse di principio per l’indagato eccellente, ai cittadini farebbe piacere conoscere le responsabilità esatte di imprenditori tanto cinici da fregarsi le mani pensando al business che sarebbe venuto dal terremoto. I colloqui intercettati fanno gelare il sangue: «Bisogna partire subito in quarta per i lavori - dialogano - non c’è un sisma al giorno». Una frase che ha provocato la giusta reazione di Stefania Pezzopane, presidente della Provincia di L’Aquila: «Mentre stavamo a scavare tra le macerie con le mani, loro ridevano». Un cinismo a cui si ribella lo stesso Guido Bertolaso: «Non sono amici miei e se mai me li dovessi trovare di fronte, non esiterei a contestare loro quanto hanno detto».

Ma della vicenda processuale già si parla di meno a favore della rissa mediatica: nei salotti televisivi ospiti ignari del lavoro investigativo vanno a discettare non sui costi della corruzione, sugli sprechi delle risorse già contratte per via della crisi, ma sui rimedi atti a «riequilibrare» i poteri «sbilanciati» nella direzione del controllo di legalità.

da lastampa.it
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