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Autore Discussione: JACOPO IACOBONI. -  (Letto 62630 volte)
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« Risposta #90 inserito:: Luglio 24, 2017, 05:00:15 pm »

La sindaca M5S di Anguillara: “Avvisai la Raggi del disastro, non è mai venuta alle riunioni”

Sabrina Anselmo: «C’erano tutti, Acea, Regione, comuni lacustri, tranne la Città Metropolitana. Il Movimento? Vogliono cacciarmi solo perché ho difeso il lago»

La sindaca Sabrina Anselmo rischia l’espulsione per aver omesso di aver subito una condanna 9 anni fa, poi estinta per indulto.

Del caso si è occupato il blog di Grillo e il M5S ha aperto un procedimento disciplinare

Pubblicato il 24/07/2017 - Ultima modifica il 24/07/2017 alle ore 07:14

JACOPO IACOBONI

«La Raggi? Alle riunioni sul lago di Bracciano non è mai venuta». Sabrina Anselmo è la sindaca, M5S, di Anguillara Sabazia, uno dei tre comuni lacustri assieme a Bracciano e Trevignano che formano, con Roma Capitale, il Consorzio del lago. Anselmo è una grillina convinta, ambientalista, e sta facendo da molto tempo una battaglia affinché Acea e il Comune di Roma (che ne detiene il 51%) stoppino le captazioni di acqua dal lago. In coincidenza con questa battaglia, è spuntata giovedì una lettera anonima spedita in comune che ricorda una vicenda cui fin qui i vertici M5S non avevano prestato attenzione: Anselmo omise nel suo curriculum di candidata di aver subito una condanna per calunnia nove anni fa. La pena fu condonata e estinta per indulto, non compare sul casellario giudiziale, ma ora la storia è stata fatta tornare a galla, e il M5S ha motivo per espellerla. «È fango contro di me».
 
È un pretesto? Il vero motivo per cui vogliono espellerla è lo scontro con Roma sul lago di Bracciano? 
«Sì, è inutile negarlo. E non le nascondo che non è il primo che fa questa riflessione. I fatti parlano chiaro. Pago la battaglia per fermare le captazioni di acqua dal lago, battaglia che ho fatto assieme agli altri due sindaci del lago».
 
Acea cosa ha risposto a questa richiesta? 
«Intanto Acea non ci ha mai fornito i dati reali».
 
Parlano di un mero 8% dei prelievi dal lago. Questo però non quadra con l’ira di Paolo Saccani, il presidente di Acea Ato 2, per lo stop imposto da Zingaretti. Saccani parla di «atto abnorme e illegittimo». Ma perché Acea è così adirata per lo stop? 
«È quello che gli abbiamo detto anche noi. Solo che Acea non ci ha mai dato i dati; il monitoraggio ce l’hanno solo loro. Anche Zingaretti, che stimo per ciò che ha fatto, glieli chiede, nell’ordinanza. Perché Acea parla sempre solo di “media di captazione”? Non c’è chiarezza. Anche noi abbiamo scienziati e geologi. Acea dice che il lago sarebbe solo trenta centimetri sotto, in realtà lo zero idrometrico va calcolato in riferimento al fiume Arrone: il lago è sotto di 1 metro e 70».
 
Sul disastro ecologico le chiederò dopo. Quali sono esattamente i passi che avete fatto? Da quando, e in quali sedi, denunciate il disastro, che ormai è arrivato? 
«Da novembre abbiamo allertato i tavoli con i rappresentanti di Acea sul territorio. Poi a marzo sono cominciate le riunioni periodiche in regione. Gli attori c’erano tutti, Acea, la Regione, l’unico sempre assente è stato la Città Metropolitana, che non si è mai presentata»
 
Stiamo parlando della Raggi? Non è mai venuta? 
«Non ho problemi a dirlo».
 
Scusi, ma perché non veniva? E comunque, siete dello stesso partito, lei non l’ha avvisata direttamente del disastro? 
«Sì. Io ho avuto occasione di parlarle in un paio di occasioni di quello che stava succedendo sul lago. La situazione era visibile, c’erano anche le foto. L’ho invitata a venire a vedere con i suoi occhi».
 
E lei non è mai venuta? 
«Se è venuta, io non l’ho mai saputo. Non so se la cosa sia stata presa sottogamba, o se sia stata delegata Acea a gestire la situazione. Fatto sta che è stata gestita malissimo. Se da novembre si fossero presi i provvedimenti giusti, magari si sarebbero salvati quei 40 centimetri che a noi avrebbero fatto la differenza. Questo non prendere mai in considerazione la realtà dei fatti mi amareggia. Acea a volte è venuta ai tavoli anche con arroganza».
 
Raggi cosa le disse quando ne parlaste? 
«Disse che conosceva bene il problema, che si sarebbe attivata per risolverlo. Capisco perfettamente che un sindaco sale su un treno in corsa. Però un piano più tempestivo non avrebbe portato a questi risultati».
 
Voi avete fatto anche un esposto alla procura di Civitavecchia per disastro ambientale. 
«Sì, abbiamo chiesto alla Procura di aprire un’indagine per accertare le responsabilità. L’acqua sta finendo. Sta morendo un’alga rara, che abbiamo salvato per miracolo espiantandola in un laboratorio. C’è l’ipotesi di disastro ambientale, e archeologico».
 
Sindaco, lei sarà espulsa dal M5S? 
«Io non mi tiro indietro. Dovessi scontrarmi con tutto e tutti. Ero entrata nel Movimento proprio per fare battaglie come questa per l’ambiente».
 
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Da - http://www.lastampa.it/2017/07/24/italia/politica/la-sindaca-ms-di-anguillara-avvisai-la-raggi-del-disastro-non-mai-venuta-alle-riunioni-33VwOXA0uqKG58IgYPIFxJ/pagina.html
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« Risposta #91 inserito:: Agosto 16, 2017, 07:35:22 am »

Mannino: “Il voltafaccia di Cancelleri a favore degli abusivi è la fine del Movimento per cui ho lottato”
La deputata sospesa dal M5S dopo le parole del candidato governatore: «Grillo e molti attivisti dovrebbero rileggersi un post di 11 anni fa contro l’abusivismo di necessità»

Pubblicato il 13/08/2017

JACOPO IACOBONI
PALERMO

Claudia Mannino è una grillina che ha creduto davvero alle battaglie che sbandierava Beppe Grillo sul blog, in un’altra epoca rispetto al Movimento attuale. Siciliana, impegnata da anni a Palermo in una lotta vera, pericolosa, contro l’abusivismo e la mafia dei rifiuti, Mannino è poi finita coinvolta in una vicenda che sa di faida interna nel Movimento, la guerra delle firme false. Rinviata a giudizio a Palermo, si è sempre dichiarata estranea a quella vicenda, in cui è accusata dalla rea confessa Claudia La Rocca. In attesa «fiduciosa» delle decisioni della magistratura, la Mannino - che non ha mai attaccato i giudici, e mai concesso interviste polemiche - ha rifiutato di autosospendersi, come chiesto da Grillo e Casaleggio, perché riteneva di non aver fatto nulla di male, e così è attualmente nel gruppo misto. Ormai si considera una ex grillina.

Mannino, lei è stata l’unica a criticare Giancarlo Cancelleri per le parole sull’«abusivismo di necessità» pronunciate dal candidato governatore del Movimento in tv. Cosa ha pensato quando le ha sentite? 
«Sono rimasta allibita. È un voltafaccia elettorale, clamoroso per il Movimento. Sembrano ormai giustificare l’illegalità o almeno concedere delle scappatoie a chi non ha rispettato la legge. Questo è del tutto incompatibile con il Movimento cinque stelle in cui ho creduto io».
 
Di Grillo, se non erro, si ricordano celebri post sul blog proprio contro «l’abusivismo di necessità», i condoni, la piaga del cemento selvaggio. 
«Infatti. Beppe e molti attivisti e portavoce dovrebbero rileggersi quello che scrisse proprio Beppe in un post di undici anni fa contro l’abusivismo di necessità. Vede, non possiamo metterci a esaminare il lato umano della questione delle case abusive, e degli affari che ci ruotano intorno. Dobbiamo affrontarla secondo le leggi e con metodo, perché altrimenti è chiaro che molti possono essere in condizioni difficili, e avere le loro giustificazioni. C’era una signora che aveva la casa abusiva a Palermo, si staccò un pezzo del Monte Pellegrino, investì la sua casa e la donna, che aveva rifiutato di lasciare quella casa, è morta. Ecco, è anche una questione di sicurezza. E poi il Movimento era nato per dire basta al meccanismo tutto italiano delle sanatorie, o della legge che va rispettata se riguarda i nemici, mentre si chiude un occhio con gli amici o per bieche ragioni elettorali».
 
Cancelleri a chi sta parlando, a gruppi di interessi siciliani o a singole persone, secondo lei? 
«Si sta chiaramente rivolgendo a tante persone che vogliono regolarizzare le loro case, o magari neanche vogliono, perché non hanno mai fatto neppure richiesta di regolarizzazione quando sono state varate delle sanatorie in passato. Ma non è questo il metodo».
 
Cancelleri propone un regolamento tipo quello di Bagheria: dove peraltro, piccola parentesi, c’è un sindaco grillino che fu al centro di un caso perché le Iene denunciarono che aveva la casa abusiva. 
«Ma non c’è solo a Bagheria questo tipo di regolamento. La Campania di De Luca - che il Movimento tanto attacca - eccelle in questo genere di “regolarizzazioni”. In numerosi paesi sono stati emanati questi regolamenti o sanatorie, chiamiamole come vogliamo. Posso fornirle la lista (effettivamente, me la fornisce, nda.). Anche tantissimi paesi siciliani. Tra l’altro, è curioso che il sindaco di Licata, che oggi passa da eroe contro l’abusivismo, non sia stato altrettanto rigoroso quand’era vicesindaco dell’amministrazione precedente. Comunque sia, la strada sarebbe totalmente un’altra rispetto a quella indicata da Cancelleri. Lui e i suoi dicono che rispetteranno la magistratura: ma sanno che le ordinanze di demolizione possono farle anche i comuni? Vogliono per caso intimare ai sindaci di non fare ordinanze? Che spieghino nel dettaglio come vogliono fare».
 
Lei come farebbe? 
«Intanto non rendi gli abusivi proprietari della casa abusiva. Fai un censimento serio; se esistono delle persone che sono davvero bisognose puoi consentire di restare, ma devono pagare l’affitto, e la casa viene acquisita al patrimonio comunale. Un’altra opzione potrebbero essere delle convenzioni con i proprietari dei palazzi invenduti e su cui non pagano l’Imu, per colpa del governo, in questo caso. Sarebbe un modo virtuoso da entrambi i lati per affrontare la cosa. O ancora, confiscare i beni, o fare la mappatura degli immobili della pubblica amministrazione e destinarne alcuni ad abitazione per quei nuclei familiari che non hanno dove andare a vivere. Nelle frasi di Cancelleri non vedo invece nulla di virtuoso».
 
Lei ha detto di sentirsi ormai sola, in questa battaglia. Da chi si aspettava una parola, nel Movimento? 
«Intanto un post sul blog con la posizione ufficiale del Movimento. E poi mi aspettavo qualche parola dai campani, che conoscono benissimo questo problema. La Nugnes, o Micillo. Ma anche gli altri che lavorano nelle commissioni sull’ambiente e gli appalti, Federica Daga, Massimo De Rosa, la Terzoni o Zolezzi... E ovviamente Di Maio, che tra parentesi è campano, e questi problemi dovrebbe conoscerli».
 
Non ha detto niente? 
«Niente, il silenzio più assoluto. È in tour elettorale con Cancelleri e Di Battista».
 
Com’è possibile che al candidato in una Regione come la Sicilia venga consentito di prendere una posizione politica di questo tipo su una materia come l’abusivismo? L’avesse presa un altro, come minimo avrebbe rischiato l’espulsione. 
«Evidentemente la struttura interna con cui si sono organizzati consente a Cancelleri di dire tutto. Sono allibita».
 
Mannino, può spiegare qual è la sua posizione dopo l’inchiesta della Procura di Palermo sulle firme false? 
«Io non c’entro nulla e solo dopo ho scoperto che evidentemente qualcosa non è andata come io sapevo. Per questo quando Grillo mi ha chiesto a novembre di sospendermi, non l’ho voluto fare: non ho fatto nulla per cui debba sospendermi. Grillo fece allora una richiesta di assemblea che votasse l’allontanamento dal gruppo. Ma alcuni dei colleghi non hanno voluto che si facesse quest’assemblea, e sono passata al gruppo misto. Roberto Fico mi pregò, il giorno di Pasqua, di non fare l’assemblea, promettendomi che la comunicazione mi avrebbe supportato per il mio lavoro, ma purché me ne fossi andata di mia volontà, altrimenti “ne esci con le ossa rotte”, disse. Il che, detto a una siciliana come me, fa uno strano, brutto effetto».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/08/13/italia/politica/mannino-il-voltafaccia-di-cancelleri-a-favore-degli-abusivi-la-fine-del-movimento-per-cui-ho-lottato-JgYFEmUjaPZuPAEBfTTd5H/pagina.html
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« Risposta #92 inserito:: Novembre 12, 2017, 12:21:37 pm »

L’uomo di Putin per il web: “Perché ci interessa il M5S”
Parla Robert Shlegel, ex leader dei giovani putiniani di Nashi: “Di Battista e Di Stefano? Ci sono piaciuti. Loro il primo partito-Internet”
«Loro sono il primo vero partito-Internet»: Robert Shlegel con Di Stefano, Sergej Zheleznyak e Di Battista, in un incontro di fine marzo 2016. Lo scopo, «format per ulteriore cooperazione, e esperienza nelle campagne elettorali»

Pubblicato il 09/11/2017
JACOPO IACOBONI

«Alessandro Di Battista e Manlio Di Stefano? Ci hanno fatto in generale un’impressione positiva, quando ci siamo incontrati. Se l’accordo poi è stato formalizzato? Se c’è stata una forma di aiuto, politico o finanziario? Questo deve chiederlo a Zheleznyak». Il quale, per ora, non ci ha ancora risposto.
 
Per la prima volta in Italia parla un testimone diretto di alcuni dei contatti russi tra il Movimento cinque stelle e uomini della cerchia stretta di Vladimir Putin. Si tratta di Robert Shlegel, neanche trentacinquenne, fino al 2016 deputato della Duma, dov’è stato capo dell’Expert Council della Commissione parlamentare per le politiche sull’informazione, l’information technology e le comunicazioni, e ex membro influente del gruppo della Duma per la creazione di un parlamento elettronico. Per la prima volta siamo in grado poi di pubblicare anche una foto di uno degli incontri dei grillini con gli uomini di Putin, incontri sempre o negati o estremamente minimizzati, e comunque mai adeguatamente pubblicizzati in Italia (l’incontro qui è con Di Battista e Di Stefano, avvenuto a fine marzo 2016 a Mosca, assieme al potentissimo e discusso Sergej Zheleznyak, uomo nella lista di politici e finanzieri russi sottoposti a sanzioni dall’amministrazione Obama).
 
Se i contatti dei grillini con Zheleznyak hanno cominciato ad emergere perché rivelati un anno fa dalla Stampa, la presenza e la testimonianza che ci rende Shlegel sono del tutto nuove. Anche Shlegel, sebbene non svolga più ruolo ufficiale, è un uomo assai influente, nel suo ramo. Benché ancora molto giovane, in Russia ha fatto parlare molto di sé perché fu a lungo il capo di Nashi, la gioventù putiniana, impegnata con tecniche sperimentali anche nel costruire eserciti di attivisti online pro Putin. Nel 2006 costruì uno studio di produzioni video dal basso, che faceva agit prop su Internet per Putin, con il meccanismo di video non sempre riconducibili direttamente a qualcuno, ma potentemente virali.
 
Fu lui a suggerire alla Commissione centrale del partito di formare un elenco di blog e siti per condurre operazioni di agitazione su Internet. Sempre lui a creare, in tandem con i vertici di VKontakte – il più grande social network in cirillico – gli account di tutti i deputati del partito di Putin. Il Guardian scrisse che, nell’agosto 2015, Anonymous International pubblicò un carteggio di mail hackerate ai danni di vari politici russi vicini a Putin, tra cui Shlegel, riguardanti «un attacco troll coordinato ai siti web di importanti organizzazioni giornalistiche americane e inglesi, tra cui New York Times, Cnn, Bbc, Usa Today, Huffington Post». Shlegel ha sempre negato questo tipo di critiche; e ha tra le altre cose tenuto contatti per i russi con Afd, il partito di estrema destra tedesco, e lo Jobbik. «In questo momento non faccio più politica in quanto tale, non sono più al partito», ci dice Shlegel. «Gli incontri col Movimento fanno parte di una serie di meeting internazionali. Non pianificammo un lavoro specifico. Noi eravamo interessati molto al loro lavoro perché sono diventati il primo di questi Internet-party, partiti nati con Internet».
 
Ci viene in aiuto, paradossalmente, un comunicato ufficiale reperito nelle pieghe del web in cirillico. Lo pubblica il sito di Russia Unita, il partito di Putin. In un incontro coi grillini si è parlato, si legge, di «format per una ulteriore cooperazione tra M5S e Russia Unita, esperienza nelle campagne elettorali e agenda internazionale». Il terzo punto riguarda, chiaramente, il no alle sanzioni a Mosca, noto caposaldo geopolitico grillino. Il primo spiega che - nel marzo 2016 - la cooperazione era così avviata da poter mettere a scopo di un meeting un «ulteriore» rafforzamento. Il secondo punto - esperienze, ossia (traduciamo noi) know how, di campagne elettorali - è ciò di cui la Russia di Putin è stata a modo suo maestra, la propaganda in questi anni dark.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/09/italia/politica/luomo-di-putin-per-il-web-perch-ci-interessa-il-ms-dui6bxd4Qcpiyu8cydmpjM/pagina.html
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« Risposta #93 inserito:: Novembre 16, 2017, 09:10:50 pm »

Dal web spariscono post della propaganda grillina a favore di Putin e anti-vax

Così la rete pro M5S sta mischiando le carte. Svaniscono pagine di siti o di gruppi Facebook, o sono spostati in siti più defilati i testi più imbarazzanti o apertamente falsi

Pubblicato il 14/11/2017

JACOPO IACOBONI

Con regolarità inquietante stanno sparendo, dai siti della rete pro M5S (a volte siti ufficiali della Casaleggio, altre volte siti non ufficiali simpatizzanti) pagine, post, video che hanno rappresentato contenuti fondamentali della propaganda pro Putin, o no vax, apparsa nel mondo grillino nel biennio cruciale 2015-2017. Perché questi testi o video adesso scompaiono, risultando assai spesso non accessibili? 
 
Ne abbiamo scoperti e testati numerosi, con aiuto diffuso anche da utenti sui social network, per giorni e giorni: e questi sono i risultati al momento in cui scriviamo (tutto è sempre possibile, dopo: anche che riappaiano). Proviamo a indicarne alcuni. Su La Fucina - sito registrato dalla Casaleggio il 25 luglio 2013, che ha come admin Davide Casaleggio - compariva fino all’inizio di quest’estate un post più video antivaccinista che fu viralissimo, dal titolo: «Vaccini, è scesa la censura». Nel video il medico Giuseppe Di Bella attacca: «Si sono lamentati perché in Italia fanno pochi vaccini, però non hanno considerato la quantità documentatissima di danni gravissimi, di bambini autistici, di cui non bisogna parlare. Se c’è lo choc immunitario dei vaccini polivalenti, addirittura sei in una volta, per bambini piccoli, piccolissimi, ecco, non se ne deve parlare».
 
LEGGI ANCHE - Di Maio vola a Washington: “Fedeli agli Usa, non a Mosca” (I. Lombardo) 
 
Beppe Grillo a maggio polemizzò ferocemente col New York Times che aveva criticato il Movimento per la propaganda antivaccinista in un articOlo dal titolo “Populismo, politica e morbillo”. Grillo gridò che a sostegno dell’accusa «non c’è nulla, neppure un link, un riferimento, una dichiarazione. Nulla». In realtà i link furono prodotti. Anche La Stampa ne offrì numerosi. Il fatto è che alcuni poi spariscono: per esempio la pagina citata della Fucina, che correla vaccini e autismo (indirizzo originario: http://www.lafucina.it/2015/03/16/medico-e-paziente/). La possiamo tuttavia mostrare grazie a webarchive.org, a una serie di screenshoot, e avevamo scaricato il video.
 
Altro esempio, utile a capire anche alcune dinamiche: una pagina facebook seguitissima (piace a 494 mila persone), Silenzi e falsità dei media italiani, legata all’omonimo sito di cui risulta admin Marcello Dettori (Pietro Dettori, ex social media manager alla Casaleggio, è oggi responsabile editoriale dell’Associazione Rousseau), embedda un video con il logo della Cosa, canale “goviral”. Si tratta di un canale virale della tv del blog di Grillo, con un piccolissimo disclaimer che ne indica la natura teoricamente satirica. Tuttavia quei video, caricati su altri siti, divengono virali in una rete su Facebook dove il disclaimer non c’è più. E girano contenuti di questo tenore: «Putin salva migliaia di operai tirando fuori gli attributi». Il video si riferisce a Putin che ordina in malo modo ai dirigenti di una fabbrica di pagare gli stipendi arretrati ai poveri operai ridotti alla fame. La fabbrica chiuderà di lì a poco, ma questo non viene detto. Il video, reso virale tramite il canale facebook di Silenzi e falsità, non è più accessibile al momento in cui scriviamo (e da vari giorni) da quel canale, dopo che La Stampa ne ha scritto (compare ancora invece dalla pagina Facebook di Tze Tze).
 
Risulta inaccessibile, da La Fucina, un link storico (http://www.lafucina.it/2014/07/29/pilota sparato-aereo malese/) della propaganda pro Putin in Italia, la cui sparizione ci viene segnalata dal debunker David Puente. Il volo MH17 della Malaysia airline si schiantò in Ucraina il 17 luglio 2014. La information war russa impiantò notizie fabbricate in vari luoghi, accusando gli ucraini. Uscì un’intervista, poi smontata, a un pilota ucraino che diceva di aver sparato, e era ripresa da un sito alternativo di destra tedesco, spesso all’origine di contenuti falsi. Divenne un titolo della Fucina: «Il pilota ucraino che confessa di aver sparato sull’aereo malese». Oggi la pagina è sparita.
 
Sul blog di Grillo, a dicembre 2014 apparvero un testo di Manlio Di Stefano e un video apologetico di Putin che dice «vogliono incatenare l’orso russo». Il video reca da settimane il messaggio «Error loading player: No playable sources found» (sia da Chrome, sia da Explorer, sia da Mo zilla/Firefox). Sappiamo però che era un video de La Cosa (la tv ufficiale del blog di Grillo) perché resta embeddato (continua dunque il caricamento pubblicitario) in un altro sito della galassia grillina, defilato, rispetto al blog di Grillo. Pagine vanno, pagine vengono, video appaiono, video spariscono, poi magari ricompaiono, più periferici. Putin, come la militante grillina dissidente Stefania Batzella, viene sbianchettato dalla foto di famiglia in un interno.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/italia/cronache/dal-web-spariscono-post-della-propaganda-grillina-a-favore-di-putin-e-antivax-KjTwXA1HdeszeQsgFdLlHN/pagina.html

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« Risposta #94 inserito:: Novembre 20, 2017, 05:51:47 pm »

Il candidato M5S in Sicilia arrestato per estorsione che diceva: “Da una parte gli onesti, noi, dall'altra tutti i partiti”
Fabrizio La Gaipa, imprenditore, aveva corso con i grillini nella lista di Cancelleri
Pubblicato il 14/11/2017 - Ultima modifica il 14/11/2017 alle ore 15:59

JACOPO IACOBONI
Fabrizio La Gaipa, 42 anni, imprenditore alberghiero di Agrigento, candidato alle scorse regionali con il M5S nella lista di Giancarlo Cancelleri, è stato arrestato per tentata estorsione ai danni di alcuni suoi dipendenti, e è ora agli arresti domiciliari. Secondo l’inchiesta - che nasce da sei esposti in Procura e, fanno sapere gli inquirenti, ha trovato riscontri solidi - avrebbe costretto alcuni dipendenti a firmare false buste paga, e in più avrebbe commesso seri illeciti nelle dichiarazioni al fisco. Non male, per un uomo del partito che gridava «onestà onestà» e vantava una sorta di presunta diversità morale.

Ma chi è La Gaipa? Il personaggio merita di essere raccontato meglio, amante di Pirandello e dei film di George Clooney, tutto dedito all’arte, al turismo colto e alla promozione della Sicilia «e del bello», proprietario di un albergo agrigentino di lusso, il “Costazzurra Museum&Spa”, dove facevano massaggi con antichi strumenti in terracotta, già presidente del Consorzio turistico Valle dei Templi. La Gaipa deve aver intrattenuto un buon rapporto con Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, ritratti in foto - ci viene in aiuto il profilo Facebook (attenti, a queste foto su Facebook) di La Gaipa - sorridenti e abbronzatissimi accanto a lui e a Giancarlo Cancelleri. La foto è stata pubblicata nell’ottobre scorso, quando i big del Movimento si sono felicemente fermati a chiacchierare con lui e a immortalarsi, a margine di un buffet, segno di una certa vicinanza di La Gaipa al gruppetto leader del Movimento, quello di Di Maio e Cancelleri, che ha ottenuto un buonissimo risultato in termini di voti in Sicilia ma non è riuscito a portare Cancelleri alla presidenza della Regione.
 Meloni commenta l’arresto di La Gaipa: “Del M5S i più impresentabili”

La notizia del suo arresto, con gravissime accuse, stride un po’ - va detto - col quadretto di La Gaipa che tendevano a consegnarci le sue patinate e pensose interviste pubbliche. Prendiamone una rilasciata ad “Agrigento Oggi”, di neanche un mese fa. La Gaipa vi appariva come l’imprenditore in camicia bianca tutto dedito a creare posti di lavoro «per il bene dei nostri figli»: «Assistiamo - diceva - a un gravissimo impoverimento sociale causato dalla fortissima emigrazione. Ormai praticamente ogni famiglia ha uno o più figli che sono dovuti andare a cercare una prospettiva migliore lontano da questa terra. Dobbiamo tornare a dare opportunità ai nostri figli. Bisogna creare posti di lavoro ed oggi l’unica opportunità è offerta dalle aziende, specie quelle piccole e medie che rappresentano la spina dorsale dell’economia dell’Isola». La Procura ritiene però che i metodi da lui usati non fossero il massimo bene dei nostri figli. La Gaipa si scagliava contro «decenni di malgoverno» che hanno costretto «tutta la Sicilia si trova a vivere una condizione di profonda crisi». Arringava contro «il totale abbandono» della provincia agrigentina. Sosteneva che solo il programma M5S, e il suo in particolare, avrebbero potuto risollevarla: si rinasce solo «ridando dignità ai cittadini dell’agrigentino attraverso il completamento delle opere pubbliche e il ritorno ad una cultura del bello. Solo in questa maniera si creeranno i presupposti per una rinascita sociale ed economica vera e duratura».
 
Ma è negli slogan finali, che La Gaipa si superava, mettendo da una parte gli onesti, lui e il M5S, dall’altra tutti gli altri: «Mi pare evidente che in queste elezioni si combatta una battaglia in cui da una parte ci sono i cittadini e dall’altra la vecchia politica che ci ha portato alla situazione insostenibile in cui siamo». Concludeva che «l’unico alleato del Movimento 5 Stelle sono i cittadini onesti e liberi». Parole onestamente profetiche.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/14/italia/politica/candidato-ms-in-sicilia-arrestato-per-estorsione-y3l2YnPt07JNMar2pTvBBJ/pagina.html
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« Risposta #95 inserito:: Novembre 28, 2017, 11:26:39 pm »

Leghisti e grillini, ecco i siti e le pagine Facebook imparentate
Il report informatico citato dal Nyt: “Hanno lo stesso codice”. Il social manager di Salvini: lo cambierò
Il legame tra Salvini e Mosca è sempre stato dichiarato apertamente dalla Lega. Ora emergono siti di sostegno ufficiale leghisti che condividono codici di Google con siti del mondo pro M5S
Pubblicato il 26/11/2017 - Ultima modifica il 26/11/2017 alle ore 07:23

JACOPO IACOBONI

Mentre il Movimento smentiva furiosamente la notizia di un incontro con Matteo Salvini, un sito web che sostiene in modo ufficiale Salvini risultava condividere i codici analytics di Google e l’Id di Google Adsense (con cui viene monetizzata la pubblicità online) con siti pro M5S, e siti pro Putin. L’analisi, resa nota dal New York Times, è in un report della società dell’informatico Andrea Stroppa, consulente tra gli altri di Matteo Renzi, che La Stampa ha potuto consultare, e aggiunge importanti dettagli sull’esistenza nei social italiani di sovrapposizioni de facto tra aree politiche diverse in Italia, all’insegna di un nemico comune: il governo, le élite liberal, il Pd, Renzi, la Boschi, la Boldrini, ma anche Monti, Napolitano, la Bonino, Gentiloni, gli immigrati, la società multietnica, gli Stati Uniti, l’euro, l’Europa. Una propaganda spesso xenofoba, sempre anticasta, centrata sull’idea che i politici siano tutti corrotti tranne grillini e leghisti, o sull’esaltazione di Putin. Oggi possiamo fare alcuni passi avanti, fornendo i nomi dei due siti grillini citati nel report. 

Si tratta, ci ha confermato Stroppa, di Videoa5stelle.info (ha una relativa pagina Facebook da 21 mila follower) e infoa5stelle.info (e relativa pagina Facebook da 95 mila follower). Luca Morisi, il social media manager di Salvini, che inizialmente aveva declinato ogni commento al Nyt, in serata ha riconosciuto che i codici coincidono per i diversi siti. Ha spiegato però che un ex attivista M5S ha lavorato assieme a lui alla costruzione del sito ufficiale “Noi con Salvini”, e ci ha copiato gli stessi codici informatici dei siti grillini e putiniani; «ma non abbiamo nulla a che fare con i siti pro M5S o pro Putin», dice Morisi. Ha promesso che tutto sarà bonificato nel weekend. A una richiesta di ulteriore chiarimento inviata da La Stampa non ha risposto. In alcuni paesi, come l’Inghilterra, la coordinazione delle propagande è illegale secondo la legge elettorale (in Uk c’è un’inchiesta su presunto coordinamento illegale tra la campagna per la Brexit di Farage e quella di Cameron). In Italia non lo è, non si è mai neanche ben capito il problema. Per ora, continuiamo a non sapere - Google non aiuta - chi sia l’intestatario dell’account Adsense. 
 
Un’analisi dei contenuti, di questi siti, aiuta a capire alcuni “mediatori", tra network diversi (i mediatori sono come i tubi di un impianto idraulico): usando il grafo di Facebook scopriamo che i post di un sito grillino in questione, “Infoa5stelle”, vengono rilanciati alacremente (quattro volte nei primi quattro post della colonna ordinata per ampiezza delle condivisioni) dal Fan club Luigi Di Maio, una pagina non ufficiale di 75 mila seguaci, di cui abbiamo scritto in passato, molto centrale nel network pro M5S su Facebook, e gestita da personaggi intrecciatissimi (nelle amicizie Facebook) a profili di big grillini. La Stampa scrisse un anno fa di un vero network pro M5S, ben costruito, 550 pagine, sei grossi cluster, profilati per temi.
Traduzione: la sovrapposizione Lega-mondo M5S, dai codici coincidenti, entra facilmente nei rispettivi network.
 
La seconda storia di questi giorni riguarda un caso di falso interessante perché anche qui c’è un errore, della catena, che fa venire alla luce connessioni: Maria Elena Boschi ha denunciato giorni fa un profilo Facebook (tale Mario De Luise) e una pagina (Virus5stelle) che postavano diffamazione violenta contro lei e Boldrini, tra gli altri, accostandole a Riina (oltre a cose come foto di Renzi in una bara, e foto di Napolitano schiacciato in un pozzo; così, per fare due soli esempi). Uno dei due gestori della pagina, Adriano Valente, esibisce nei suoi post sui social una foto con Di Maio a una marcia grillina (la foto è stata ritrovata e pubblicata su twitter da Lorenzo Romani, un social consultant che ad agosto aveva per primo lanciato l’allarme documentato su sovrapposizioni di codici tra siti leghisti e grillini). Valente indossa il laccio nero da badge riservato agli organizzatori del corteo. La foto è vera? Nardelli, reporter di Buzzfeed, ha poi pubblicato che Di Maio dal suo profilo ufficiale Facebook, in passato, ha taggato Valente. Boschi aveva sfidato Di Maio a dire qualcosa; ieri nel suo post sulle fake news il candidato premier M5S non ha detto nulla sui due casi specifici, ha solo condannato in generale le fake news. Valente dice di cadere dalle nuvole: «Giusto per chiarire, gestisco sei pagine numerose in rete (sic) assieme ad altri ragazzi, un certo Mario De Luise pare abbia postato ieri dal suo profilo una bufala del funerale di Riina. Pare poi l’abbia pure pubblicata sulla pagina Virus 5 stelle. Io personalmente sono estraneo». Ma è lui il gestore di quella pagina. E poi: chi sono gli «altri ragazzi» di cui parla? Esistono persone che fanno gli intestatari di pagine e gruppi?
 
Infine, il profilo di De Luise: è stato chiuso su Facebook, ma ne aveva almeno un altro identico (col nome scritto attaccato) che posta contenuti da pagine o gruppi Facebook del network pro M5S: Tutti con il M5S (146.114 seguaci), Adesso basta (473 mila), Noi sosteniamo il M5S (99.870). È una guerra; che, senza nessun problema, raggiunge più di tre milioni di profili di italiani. 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/11/26/italia/politica/leghisti-e-grillini-ecco-i-siti-e-le-pagine-facebook-imparentate-eD0mUA5EwRTdAKaRONE8BJ/pagina.html

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« Risposta #96 inserito:: Dicembre 17, 2017, 08:57:17 pm »

Il Pd accusa: “Di Maio chiarisca su quei siti di disinformazione”.
A quali personaggi portano le impronte su Facebook
Il primo report annunciato da Renzi sulle fake news.
Gli incroci attorno al “Club Luigi Di Maio” su Facebook, che posta violenza, antisemitismo e casi di presunta diffamazione
Il report del Pd inizia tracciando la storia web di una singola fake news su «L’incontro segreto Renzi-Zuckerberg», accompagnata dal titolo strillato «VERGOGNA!»: nella «villa» di Renzi a Firenze il leader Pd e il CEO di Facebook avrebbero parlato di come censurare informazione e libertà di opinione sul web.
Ovviamente non andò così

Pubblicato il 13/12/2017
Ultima modifica il 13/12/2017 alle ore 07:36

JACOPO IACOBONI
Alcuni siti e pagine Facebook pro M5S, alacri nel diffondere disinformazione e campagne di demonizzazione virali, presentano un evidente coordinamento nei post, e sono gestiti, sì, da personaggi privi di cariche ufficiali, che però risultano più volte taggati su Facebook da profili ufficiali del Movimento, a partire da quello di Luigi Di Maio. Sono alcuni dei punti nodali contenuti nel primo report pubblicato dal Pd sulla Disinformazione. Il report inizia tracciando la storia web di una singola fake news su «L’incontro segreto Renzi-Zuckerberg», accompagnata da titolo strillato «VERGOGNA!»: nella «villa» di Renzi a Firenze il leader Pd e il Ceo di Facebook avrebbero parlato di come censurare informazione e libertà di opinione sul web. Ovviamente non è andata così, il post originario è su una pagina pseudosatirica, ma post e video vengono quasi all’istante (soprattutto, a un minuto di distanza tra loro) rilanciati da tre siti del network pro M5S: Virus5Stelle, M5SNews, Vogliamo il Movimento 5 Stelle al Governo. Già solo così raggiungono 230mila utenti. Chi sono i gestori?

I primi due sono amministrati dalle stesse persone: Daniele Ferrari e Adriano Valente. Ferrari è anche admin di «M5SNews». Uno di questi siti mise in circolo la foto in cui si faceva passare il concetto di Boschi e Boldrini mafiose (in quanto immortalate al funerale di Riina; cosa naturalmente mai avvenuta). Nardelli, reporter di Buzzfeed, aveva fatto notare come Valente fosse stato taggato dal profilo Facebook ufficiale di Di Maio. Ma anche l’altro gestore Ferrari - dice il report Pd - «admin di tutte e tre le pagine, è taggato in alcuni post di Luigi Di Maio (del 14 gennaio e del 9 gennaio 2016)». Di Maio sa di taggare gente che tiene pagine con ripetute, presunte diffamazioni seriali? Ferrari, mostra il report, è anche taggato da un’altra pagina Facebook ufficiale, quella di Riccardo Fraccaro.

Nel report si racconta poi un caso diverso: un sito e pagina Facebook di destra con 400 mila fan, Adesso basta, il cui proprietario risulta essere all’estero, un ricco texano che ha una catena di siti della rete alt-right Usa, spesso xenofobi. «Adesso basta» condivide parti sorgenti con pagine leghiste, ha scoperto David Puente, e risulta intrecciata col network rivelato dall’inchiesta del New York Times nelle settimane scorse: pagine ufficiali leghiste e non ufficiali grilline (gestite dal social media manager ufficiale di Salvini, e da un tale di Afragola che si dice «attivista M5S», e ha l’amicizia Facebook ricambiata con diversi big grillini).

Forse merita aggiungere qualcosa sul «Club Luigi Di Maio» su Facebook, quello che pubblicò la foto di Emanuele Fiano, parlamentare Pd di religione ebraica, assimilato a un maiale. Enrico Mentana, in un’altra occasione, aveva chiesto a Di Maio che diffidasse una pagina di tale tenore dall’usare il suo nome. Di Maio rispose: «Abbiamo chiesto a Facebook di cambiare il nome. Qualcuno a me estraneo pubblica delle foto insultando il deputato Pd Fiano». Ma il nome del “Club” resta uguale, come anche il tenore dei post. Facciamo due esempi degli ultimi giorni: uno, un post con tante foto segnaletiche di politici del Pd, o Monti, o Fornero, o Bonino, e la scritta «che ne pensate?». Il commento più civile è: «li cospargerei col kerosene». Due, il «Club Di Maio» pubblica post di Daniele Tizzanini, ultrà del Genoa, personaggio oggetto di attenzioni giudiziarie, raccontato bene da Ferruccio Sansa sul Fatto, già autore del minaccioso blitz alla redazione del Secolo XIX, che in passato scortò Grillo nella passeggiata a Genova dopo l’alluvione (Grillo disse poi di non conoscerlo).

Il «Club Di Maio» «non ha nessun legame con me né col M5S», scrisse Di Maio. Ma il Club pubblica (l’ultimo ieri l’altro) post del profilo “Dario De Falco”, il quale a sua volta fino al 2016 (abbiamo gli screenshot) posta contenuti del «Club». È lo stesso De Falco amico d’infanzia di Di Maio, consigliere M5S di Pomigliano, oggi un personaggio ufficiale importante del Movimento? È entrato infatti nei tre membri del Comitato elettorale M5S per le elezioni 2018 (gli altri due sono Spadafora e Dettori). Il profilo “De Falco” condivise sulla pagina del «Club» la foto di un compleanno di Di Maio di anni fa. “De Falco” si tagga con “Nicola Iovinee”, uno degli admin del «Club». Siamo in una sfera non ufficiale, naturalmente il Movimento e Di Maio nulla hanno nulla a che fare con tutto ciò. 

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Da - http://www.lastampa.it/2017/12/13/italia/politica/il-pd-accusa-di-maio-chiarisca-su-quei-siti-di-disinformazione-jaAkRHxqmJlrs9EyNFAZuK/pagina.html
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« Risposta #97 inserito:: Dicembre 22, 2017, 04:09:26 pm »

L’ambasciata britannica riceve Casaleggio.
Il Movimento osservato speciale a Londra

Mostrato il feeling con Davide, contro le tentazioni russe 5S
Jill Morris, ambasciatore britannico a Roma, ha ricevuto Davide Casaleggio «per capire meglio il programma e gli obiettivi del M5S»

Pubblicato il 21/12/2017 - Ultima modifica il 21/12/2017 alle ore 10:51

JACOPO IACOBONI

Nella giornata di martedì Davide Casaleggio - presidente della Casaleggio associati - è stato ricevuto dall’ambasciatore britannico a Roma Jill Morris. Lo ha comunicato lei stessa su twitter, spiazzando un po’ i riservati ambienti milanesi dei cinque stelle, che non avevano dato pubblica comunicazione dell’incontro. Morris ha postato una bella foto sorridente del colloquio, accompagnata dal seguente commento: «Lieta di incontrare ieri a Roma Davide Casaleggio per capire meglio il programma e gli obiettivi del M5S».

L’incontro è stato cordiale e, a quanto risulta a La Stampa, è andato molto bene. Non è la prima volta che la rappresentanza diplomatica di Sua Maestà si vede in forma ufficiale con esponenti importanti dei cinque stelle, Movimento che molto incuriosisce oltremanica, ma è anche un osservato speciale e un oggetto misterioso, per tante ragioni. Solo per stare al passato più recente, sono stati ricevuti due dei giovani leader parlamentari più in vista del gruppo grillino. Alcune circostanze di questo incontro con Casaleggio jr meritano tuttavia un approfondimento.

Se è vero che l’ambasciata è solita intrattenere rapporti cordiali anche con altre forze politiche italiane, è altrettanto un fatto che il Foreign Office - il ministero degli Esteri britannico - ha una lunga tradizione di discreta, benché attiva presenza in alcune dinamiche della politica italiana. Non è sfuggita la circostanza che sia stata proprio l’ambasciata a render pubblico questo incontro con Davide Casaleggio, uomo che non ricopre ruoli ufficiali nel Movimento, e anzi ha sempre detto di essere solo un consulente per la piattaforma online «a titolo gratuito». Se è stato ricevuto «per capire meglio gli obiettivi del M5S», e se questo ci viene fatto sapere direttamente dall’ambasciatore, ha un valore.

Non era certo sfuggito al Foreign Office - da sempre su posizioni atlantiche, e forte di un orientamento filo Nato mai messo in discussione neanche nella stagione della Brexit - il posizionamento geopolitico del Movimento, l’allenaza con Farage, gli incontri dei grillini con emissari del partito di Vladimir Putin, e più in generale una evidente narrativa anti Nato e filorussa del M5S, che si è speso per abolire le sanzioni a Mosca, ed è arrivato a evocare la possibilità di rivolgersi ai cittadini italiani - con un referendum - sulla stessa adesione italiana alla Nato. Davide Casaleggio agli occhi degli inglesi è la persona ideale per ricordare al Movimento le sue origini: ha un legame speciale con l’Inghilterra, è figlio di madre inglese, è bilingue e ha la doppia cittadinanza, tutti elementi che sembrano riassumere in sé, anche simbolicamente, l’antico lavoro svolto da Gianroberto in una joint venture inglese-italiana che si occupava di telecomunicazioni.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/12/21/italia/politica/lambasciata-britannica-riceve-casaleggio-il-movimento-osservato-speciale-a-londra-i7DJtiSrAHkCmLzaZgrIVI/pagina.html
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« Risposta #98 inserito:: Marzo 24, 2018, 11:33:45 am »

Guccifer 2.0, che hackerò le mail della Clinton, è un agente ufficiale dei servizi militari russi

Nell’operazione del GRU alcuni errori rivelatori. La rivelazione del Daily Beast, su analisi forensica incorporata dall'indagine Usa, chiude il capitolo della contro-narrativa «non c’è prova che sia stata Mosca»

Pubblicato il 23/03/2018 - Ultima modifica il 23/03/2018 alle ore 17:51

JACOPO IACOBONI

Un piccolo ma evidente errore lasciato nel manufatto dell’hackeraggio ha consentito di individuare, a questo punto in maniera sostanzialmente definitiva, l’identità di Guccifer 2.0 - l’account accreditato di aver passato a Wikileaks le mail hackerate al DNC, i democratici Usa: si ha la conferma definitiva, sostiene il Daily Best, che Guccifer 2.0 è un ufficiale del GRU, il servizio segreto militare russo.

Il procuratore speciale Robert Mueller ha immediatamente acquisito la prova, e portato nel suo team gli agenti che hanno prodotto l’ultima analisi forensica. Nei primi passi dell’indictment, Mueller aveva puntato su 13 attori russi non ufficiali, ma esordito con cautela, con la tecnica di un avvicinamento sempre molto graduale ai bersagli più grossi. Il più importante dei russi dell’indictment era un personaggio intermedio, un oligarca, ma non dei più potenti, “il cuoco di Putin”, Evghenij Prigozhin, proprietario dell’Internet Research Agency, la cosiddetta troll factory di San Pietroburgo. Mueller non aveva puntato direttamente al Cremlino, o agli apparati - civili e militari - della Russia. Richiesto di un commento dal giornale americano, Mueller ha declinato.

L’attribuzione forensica è però quella cruciale; e potrebbe alzare di molto il tiro dell’indagine, passando da una sfera di attori non ufficiali russi alla sfera dei servizi, direttamente controllati dal Cremlino. Nel gennaio del 2017 un documento ufficiale dell’intera comunità dell’intelligence americana (Cia, Fbi, Nsa) aveva reso noto «con probabilità molto alta» che il GRU aveva usato Guccifer 2.0 e Dcleaks per disseminare le mail hackerate a Hillary Clinton e John Podesta, ma non aveva direttamente considerato Guccifer un agente dei servizi segreti militari. È il passaggio che sta avvenendo in queste ore in America, e dovrebbe spazzar via in modo definitivo argomenti tipo quelli che si sono sentiti all’inizio di questa storia («eh ma non c’è prova che sia stata la Russia ad hackerare la Clinton», oppure «Guccifer è una false flag, in realtà un attore rumeno, che si finge russo»).

Guccifer ha sempre preteso di presentarci come «hacker solitario», qualcuno che aveva agito senza scopo politico e senza collegamenti statuali. Una pretesa che appare ormai sostanzialmente insostenibile. Peraltro, Guccifer polemizzava sarcasticamente con Crowdstrike - la prima azienda di cybersecurity che ricondusse l’hackeraggio ai russi: «Davvero credete che siamo stati dentro il sistema del DNC per un anno e abbiamo preso solo due documenti?».

Tecnicamente, Guccifer si connetteva con una VPN (un network privato), Elite VPN, che aveva un punto di uscita apparente in Francia, ma il quartier generale in Russia. In almeno un’occasione, scrive però The Beast, Guccifer si connette senza VPN, il che porta abbastanza facilmente a tracciare il suo IP in Grizodubovoy Street, a Mosca, una delle sedi ufficiali del GRU. Partita finita. I leaks cominciano da DCleaks nel giugno 2016, il giorno di apertura della convention dei democratici. Il 22 luglio Wikileaks inizia a pubblicare 19mila mail e 8000 allegati, rubati nell’hackeraggio dai russi. Nel frattempo Roger Stone, uno dei consiglieri di Donald Trump, è ripetutamente in contatto con Guccifer, via messaggio diretto. Wikileaks ha sempre reclamato di non aver mai comunicato con Stone; Stone ha testimoniato - alla Commissione Intelligence della Camera, - di aver comunicato con Wikileaks attraverso «un intermediario», da lui identificato come «un giornalista». The Atlantic ha qui documentato che Stone e Wikileaks comunicarono direttamente il 13 ottobre 2016 [Stone confermò la veridicità dei messaggi di cui parla The Atlantic, pur definendoli «fuori contesto»; messaggi in cui si dice «amico» di Wikileaks; ma non volle fornire la sua schermata della conversazione, utile eventualmente a correggere The Atlantic].

Thomas Rid, professore di forensica politica alla Johns Hopkins Sais a Washington, spiega: «L’errore [lasciato dall’ufficiale del GRU] è molto rivelatore. Ma è solo uno di numerosi errori. Noi ne notammo alcuni il primo giorno, molti dei quali ancora non sono usciti. A questo punto non ci aspettiamo più grandi sorprese. Non abbiamo a che fare col loro miglior team». A meno che ovviamente non abbiano voluto disseminare di firme l’operazione, ma le firme sono davvero troppe: possibile che abbiano puntato al bersaglio senza preoccuparsi granché neanche del tradecraft, e del nascondimento dell’operazione. 

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DA - http://www.lastampa.it/2018/03/23/esteri/guccifer-che-hacker-le-mail-della-clinton-un-agente-ufficiale-dei-servizi-militari-russi-TLNJlIhYtjMXV9SmWXQOQK/pagina.html
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« Risposta #99 inserito:: Aprile 04, 2018, 12:51:24 pm »


Facebook rimuove più di 250 pagine e profili che erano operati dalla troll factory di San Pietroburgo
Erano rivolti soprattutto a target interni russi.
Thomas Rid: “Manca una coordinazione tra l’attività dell’IRA e gli hacker di Apt28 e gli altri attori russi impegnati in hackeraggi e leaks”.
E Caroline Orr fa notare: “Convenientemente, la rimozione arriva poco prima che Zuckerberg vada a testimoniare davanti al Congresso”

Pubblicato il 04/04/2018 - Ultima modifica il 04/04/2018 alle ore 08:42

Jacopo Iacoboni
La notizia è importante, ma anche tardiva e lacunosa: Facebook ha rimosso 70 account di Facebook e 65 account di Instagram, assieme a 138 pagine Facebook, che erano controllati direttamente dalla troll factory di San Pietroburgo, la famigerata Internet Research Agency (IRA). Sono pagine soprattutto russe, Facebook dice che il 95% delle pagine era in russo e agiva su scenari interni russi, ma bisognerebbe comunque poter studiare attività ed engagement di queste pagine e profili, per capire se hanno operato - per esempio dal punto di vista pubblicitario - in scenari americani o europei. E soprattutto per capire le date nelle quali hanno agito. Cosa che non ci viene concessa.

La prima evidenza è che, per quanto riguarda l’interferenza russa nei processi elettorali occidentali (il referendum sulla Brexit in Grand Bretagna, le presidenziali americane che hanno portato all’elezione di Donald Trump, il referendum costituzionale italiano del 5 dicembre 2016, le elezioni presidenziali francesi, con il ballottaggio tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen), queste pagine e dunque questa operazione di Facebook ci dicano relativamente poco, se non che il problema delle ops della Russia c’è stato eccome, anche se non riusciamo a circoscriverlo e quantificarlo con precisione. Marshall Cohen, analista della Cnn, ritiene che questa chiusura di pagine confermi «quanto mi ha detto un giornalista top a Mosca: l’IRA ormai ha spostato le disinfo ops verso audience interne russe». È possibile che ciò sia avvenuto dopo il cruciale biennio elettorale 2016-2017. 

Alex Stamos, il capo della sicurezza di Facebook dato in uscita da molti rumors, ha firmato il comunicato e si dice «orgoglioso di lavorare con un grande team che sta combattendo la Misinformation in tutte le lingue e tutte le nazioni. Questo è un passo importante, ma c’è molto ancora da fare». In realtà, raccontano che Stamos - che ha rischiato, unico, di pagare per lo scandalo Cambridge Analytica - sia forse il più determinato dentro Facebook a combattere le ops russe e l’interferenza di Mosca nei processi elettorali occidentali, ma non tutti abbiano sostenuto l’intensità della sua battaglia. Il che spiega in parte ritardi e lentezze.

Tra l’altro la mossa di Menlo Park arriva con una tempistica non neutrale, come ha fatto notare Caroline Orr: «Convenientemente, proprio prima che Zuckerberg vada a testimoniare davanti al Congresso, Facebook finalmente rimuove pagine e account legati alla troll Factory di San Pietroburgo». Volendo lo si poteva fare prima?


Dal punto di vista dell’intelligence, è una mossa che può inasprire il contraccolpo dal governo russo contro gli Usa «molto più di qualunque altra rivelazione, perché è una mossa focalizzata all’interno della Russia», spiega Thomas Rid, professore di informatica e analisi forense alla Johns Hopkins Sais. «Storicamente abbiamo sempre visto una buona quota di targeting rivolto a audience interne russe da parte di attori molti più grandi come Apt28. Storicamente, i servizi russi sono stati sempre più aggressivi verso i target interni, inclusi i target russi all’estero». Eppure, spiega Rid, «finora non abbiamo visto collegamenti forensi diretti tra l’attività dell’IRA - troll, amplificazione, eccetera - e attori malevoli ben conosciuti e potenti impegnati nell’hacking e leaking. Questa assenza di coordinazione tra le due sfere non è qualcosa di inaspettato». È come se fossero esistite due mani, una soft e l’altra hard, mani piuttosto compartimentate e separate. 

Dal punto di vista europeo, il comunicato di Stamos non dice molto di più di quello che sappiamo. Conferma però assertivamente che «l’IRA ha ripetutamente usato network complessi di account inautentici per ingannare e manipolare persone che usano Facebook, compreso prima, durante e dopo le elezioni presidenziali americane». Nelle prossime settimane Facebook permetterà a utenti autentici del social network di sapere se hanno interagito, messo like o seguito le pagine o i profili russi dell’IRA. Non sarebbe male anche venire a sapere se qualcuna di queste pagine o account facesse disinfo ops anche attraverso attività pubblicitaria relativa alla politica, in America e non solo. E soprattutto, bisognerebbe avere tutte le specifiche sulle operazioni di account inautentici russi avvenuto tra il 2015 e il 2017: dati preziosi ma in larga parte, ormai, probabilmente inattingibili.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/04/04/esteri/facebook-rimuove-pi-di-pagine-e-profili-che-erano-operati-dalla-troll-factory-di-san-pietroburgo-q3cOtZ0FosZG5UxjesCfOJ/pagina.html
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« Risposta #100 inserito:: Aprile 07, 2018, 12:19:12 pm »

Premier terzo, con la Lega. La via d’uscita di Casaleggio

Dietro l’addio di Giannuli la presa d’atto dell’intesa.

Il leghista Giorgetti, che tiene i contatti: opzione possibile, a patto sia un politico

Doppio mandato: la regola resta, lo ha deciso Grillo, in un recentissimo vertice M5S. E questo costringe Di Maio nella posizione di doversi giocare il tutto per tutto in questo giro.

Casaleggio intanto attende, facendo in giro discorsi sovranisti in economia, che entusiasmano il mondo leghista.

Pubblicato il 06/04/2018 - Ultima modifica il 06/04/2018 alle ore 08:05


Jacopo Iacoboni

Il Movimento è una macchina in leasing, la guida Luigi Di Maio, ma le chiavi sono nelle mani di un’altra persona, colui che detiene la presidenza della piattaforma online su cui gira tutta la vita di questa forza politica: i dati, gli iscritti, le votazioni online, i link ai social network, le candidature. Ecco, qual è la strategia dell’uomo che ha queste chiavi, Davide Casaleggio, in questa difficile crisi per formare una maggioranza?

Casaleggio jr ripete in questi giorni: «Il Movimento ormai è una forza di governo, e deve governare». È finito il tempo dell’opposizione. In questo c’è una differenza anche caratteriale con Beppe Grillo, che non s’è mai tanto posto il problema di andare al governo, mentre invece Davide marcia in sintonia con Di Maio. Tuttavia, mentre Di Maio gioca il tutto per tutta in una partita ormai solitaria, Davide ha un’altra strada davanti più che buona. Per capirlo dobbiamo seguire tre passaggi.

Il primo è una discussione, avvenuta molto di recente, tra Grillo, Casaleggio jr e Di Maio. Tema: il limite del doppio mandato, la regola fondativa del Movimento, voluta da Casaleggio sr e da Grillo, non amatissima dai leader parlamentari, più volte messa nel mirino (si arrivò anche a proporre di interpretare il vincolo del doppio mandato nel senso di dieci anni pieni nelle istituzioni). Bene, il confronto ha avuto questo esito: la regola del doppio mandato resiste. È stato Grillo in persona a decidere che «questa cosa non si tocca, non possiamo cambiare anche questo». A Casaleggio la cosa torna utile, gli consente di tenere a bada un’eccessiva presa di potere di Di Maio. E qui veniamo al secondo punto.

L’irrigidimento di Di Maio in questi ultimi giorni - lui come unico premier possibile - è stato in parte conseguenza diretta della conferma del limite del doppio mandato: Di Maio sa di doversi giocare tutte le sue carte adesso. Anche se ieri, all’uscita dal colloquio con Sergio Mattarella, è parso più flessibile; magari solo per opportunità.

Qui arriviamo al terzo tassello del puzzle: come si muove Casaleggio jr in tutto questo? Attende, senza slanci, molto concreto. Sostiene Di Maio; ma se la situazione si dovesse piantare sul suo nome, la sua consonanza con la Lega ha fatto enormi passi avanti, e lui potrebbe accettare «un premier terzo», indicato da M5S-Lega, ne sono convinti anche dentro il M5S, al di là delle smentite di facciata. Ciò che è solido è l’intesa sua con la Lega. Già c’era un’affinità, storica, tra il Carroccio e Casaleggio sr: Roberto diceva ai suoi dipendenti: «Sapete perché la Lega ebbe il successo che ebbe? Perché era nei bar, all’inizio c'erano quattro gatti a sentire Bossi. Ve lo dico perché uno di questi quattro gatti ero io». Ora la sintonia è evidente anche nei temi.

Casaleggio jr sa che i sondaggi parlano chiaro: metà dell’elettorato grillino (il 46%, fonte Demopolis) vuole un accordo con la Lega, solo il 18% col Pd, e appena il 25% vuole tornare alle urne. E fa in giro discorsi sovranisti in economia: in un forum recente a porte chiuse ha proposto in Italia, sul modello francese, la creazione di una Banca Pubblica di Investimento che faccia ordine tra tutte le finanziarie statali locali: «Il nostro Paese possiede già tutte le soluzioni al problema del finanziamento dell’innovazione. Ma il coinvolgimento di attori esteri come advisor, il finanziamento statale di soggetti esteri e gli investimenti all’estero e non in Italia da parte dei fondi istituzionali italiani sono sicuramente parte di questo problema». Musica per Salvini. In più, gira il mondo presentando la piattaforma Rousseau nell’ipotesi che possa diventare commercialmente appetibile anche in altri Paesi, per altri partiti.

Rivelatrice, in questo scenario, l’uscita dello storico Aldo Giannuli, che ha abbandonato il M5S. Giannuli - che era amico di Roberto, ed era davvero interno ai meccanismi dell’azienda, e anche di recente pranzava con Davide - ha osservato: «Il M5s delle origini si diceva “né di destra né di sinistra”, ma in realtà ospitava nel suo seno sia destra che sinistra, oggi quella ambiguità è sciolta e, pur continuando a dirsi né di destra né di sinistra, il Movimento sta imboccando una strada decisamente di destra». Dove, al di là della ricostruzione opinabile, ciò che conta è la sicurezza con cui Giannuli, che sa le cose, ci sta dicendo, assertivamente, che il M5S è andato a destra. Destra significa, qui: intesa di fondo con la Lega.

L’uomo che più sta tessendo i contatti tra mondo leghista e il mondo milanese del M5S è Giancarlo Giorgetti. L’opzione di una premiership affidata a un terzo rispetto ai due leader di partito, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, in un governo della Lega con i 5 Stelle, «può avere un senso», ha spiegato; a condizione che «la persona che guida il governo abbia una legittimazione da parte degli italiani: non può essere un tecnico o un professore». Non pare possa essere Franco Bernabè, pure stimatissimo, in Casaleggio.

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DA - http://www.lastampa.it/2018/04/06/italia/politica/premier-terzo-con-la-lega-la-via-duscita-di-casaleggio-mhOMfoJXUEESHIaaEF0DeO/pagina.html
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« Risposta #101 inserito:: Aprile 19, 2018, 01:45:44 pm »

Sulla Siria rialza la testa l’ala filorussa del M5S: Luigi si ricordi dei comizi di Grillo contro le guerre Usa
Teorie complottiste, malumori tra eletti di spicco, il ruolo di Di Battista. E la rivista.
L’antidiplomatico spinge online la narrazione della Difesa russa: l’attacco chimico a Douma una fake news

Pubblicato il 17/04/2018 - Ultima modifica il 17/04/2018 alle ore 07:31

JACOPO IACOBONI

Se c’è qualcuno, nel Movimento, che non apprezza le ambizioni di premiership di Di Maio, ha un’occasione d’oro: la Siria, e poi l’atteggiamento da tenere sulle sanzioni alla Russia. L’altro giorno il capo politico M5S ha scritto un post che voleva dare una svolta filo-atlantista e europeista, un post di rassicurazione indirizzato a diversi ambienti il cui senso si riassumeva in questa frase: «Restiamo al fianco dei nostri alleati, soprattutto perché in questa fase delicatissima credo che l’Ue debba avere la forza di farsi vedere compatta e unita». Bene: dire che nel M5S questa mossa di Di Maio non sia piaciuta a tutti è dire poco.

Il primo segnale chiaro l’ha mandato Carla Ruocco - la parlamentare tuttora più in filo diretto con Beppe Grillo - che ha postato sui suoi social: «Una coalizione a guida Usa questa notte ha bombardato degli obiettivi in Siria, in questo spettacolo Beppe Grillo ci spiega perché gli Americani sono in guerra permanente dall’inizio della loro storia». E subito dopo, il link di uno spettacolo di Grillo in cui il garante M5S fa tutta un’invettiva anti-americana: «Chi pagherà il debito americano, un trilione? Gli americani fanno le guerre a chi? A quegli stati che nel 2002 sono passati dalla sfera del dollaro alla sfera dell’euro. Hanno capito, gli americani, che il mondo può fare a meno di loro». Il secondo messaggio è arrivato da Stefano Vignaroli, assai vicino politicamente a Paola Taverna, la nuova vicepresidente del Senato. Vignaroli ha postato pari pari lo stesso testo della Ruocco, lei alle 10,24, lui alle 10,46. Questa coincidenza testuale e temporale fa pensare a un’area del dissenso che ha condiviso un messaggio da lanciare, non ad azioni isolate di due parlamentari, sia pure critici.

Terzo indizio rivelatore è Vito Petrocelli, il più filorusso dei grillini, uomo dai mille contatti moscoviti, grande critico del Tap, il gasdotto azero-salentino, gasdotto non amatissimo a Mosca. Petrocelli commenta: «Un attacco evidentemente sferrato senza il via libera dell’Onu». E ieri ha rilanciato un articolo di Megachip, sito filorusso, osservando: «Se tra Roma e Damasco nulla è come appare, è forse perché vale lo stesso tra Washington e Mosca». Di chi è l’articolo? Di una nuova star nel firmamento pro Mosca del Movimento, il neodeputato sardo Pino Cabras, collaboratore di Giulietto Chiesa per Pandora tv, collaboratore anche per Sputnik Italia, in buoni rapporti con Pietro Dettori (il braccio destro di Davide Casaleggio). Cabras scrive: «(in Siria) Si è trattato di un’aggressione - l’ennesima - a carico di un paese sovrano che fa parte dell’Onu, con effetti indiretti in grado di generare comunque pericolose ripercussioni». Gli effetti indiretti sarebbero, anche, sabotare un possibile governo del Movimento.

Esiste, ritiene Megachip, «una lettura del modo in cui si vorrebbe usare l’intervento di alcune potenze nella crisi siriana per giustificare in Italia un governo che annacqui i risultati del 4 marzo». Cabras a sua volta cita Debora Billi, e chi è Debora Billi? A lungo responsabile della comunicazione web M5S alla Camera, famosa per un tweet choc contro Giorgio Napolitano (alla morte di Giorgio Faletti, la Billi twittò: «Se ne è andato Giorgio. Quello sbagliato»; poi si scusò), Billi oggi va sostenendo questo: «La nuova crisi in Siria càpita proprio a fagiolo, un’occasione d’oro per chi non desidera cambiare un bel nulla. I media come sempre fanno la loro parte, che è poi quella del leone. Remano con forza nella direzione del governo “responsabile”, con la speranza che le leve del comando siano riconsegnate a chi le ha tenute saldamente finora, tradendo così la volontà popolare del 4 marzo».

E il capo politico ombra, Alessandro Di Battista, assieme a Di Stefano il più amico dei russi, cosa dice? Appena un anno fa, prendendo spunto dall’attacco Usa contro la base militare siriana di Shayrat, Di Battista si scagliò contro il premier Pd: «Le parole di Gentiloni sono sconvolgenti. Doveva richiamare alla pace ma un vassallo evidentemente non è libero di farlo». Oggi invece è Di Maio che cerca di attestarsi su una posizione non così distante dal Gentiloni di allora. Di Battista tace, ma parla - eccome - la rivista a lui molto vicina, L’antidiplomatico, snodo della geopolitica filorussa e filo-Assad di tanto M5S. Lantidiplomatico.it spinge in rete la tesi che l’attacco con armi chimiche di Douma (che ha causato la reazione Usa-Gb-Francia) sia una fake news; e spinge online un video diffuso dal portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashénkov, in cui due medici smentiscono che ci siano pazienti con sintomi di avvelenamento da armi chimiche.

Nel frattempo, Di Battista martella Berlusconi, così complicando anche sul fronte interno la vita a Di Maio. Lo fa da solo, o appoggiato da Davide Casaleggio? Un’ottima fonte ci risponde: iniziativa solitaria dello scrittore di Mondadori.

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Da - http://www.lastampa.it/2018/04/17/italia/sulla-siria-rialza-la-testa-lala-filorussa-del-ms-luigi-si-ricordi-dei-comizi-di-grillo-contro-le-guerre-usa-8CSvkQLiOAOaeh8yn0txiK/pagina.html
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« Risposta #102 inserito:: Maggio 06, 2018, 06:36:28 pm »

Grillo e il ritorno pericoloso dell'urlo “al golpe al golpe!”
Un classico del leader M5S diventato sempre più rischioso, dalla minacciata marcia su Roma nel 2013 alla celebre intervista-svolta a RT, il network legato al Cremlino
Pubblicato il 04/05/2018 - Ultima modifica il 04/05/2018 alle ore 18:44

Jacopo Iacoboni

C’è come un teorema ormai costante, nella politica italiana ai tempi dell’Esperimento-M5S: quanto più il Movimento cinque stelle si mostra incapace di tradurre in realtà la sua straordinaria forza di macchina della propaganda - e della formazione e manipolazione del consenso - tanto più Grillo torna a tuonare al «colpo di stato» e alla democrazia deprivata. Naturalmente non accade nulla, quasi sempre (e per fortuna), ma lo spasmo permanente lavora in profondità sulla democrazia e sul consenso, quasi sulla psiche di massa, e qualche effetto duraturo lo produce, non contando il fatto che prima o poi qualcosa potrebbe davvero accendere, oltre che la miccia dell’urlo e il ritorno al vaffa. Da quel celebre 21 aprile 2013, quando il comico leader del Movimento scrisse sul blog «Colpo di stato, tutti a Roma», per protestare contro l’elezione di Giorgio Napolitano, è stato un susseguirsi di sue grida di «golpe», «colpo di stato intelligente», «colpo di stato permanente». Un al lupo al lupo che naturalmente non trova nessun appiglio giuridico e costituzionale, ma torna a farsi sentire ciclicamente, quando è necessario aumentare i giri - o semplicemente riaccendere il motore - della propaganda, e del partito-propaganda. Ogni volta più cupa e pericolosa, però, perché meno forte e sempre più disponibile è la struttura dell’amministrazione dello stato che lo accoglie, ormai, anziché fronteggiarlo.

È difficile, anzi impossibile, fare un elenco esaustivo di queste frasi abbastanza distanti dalla «responsabilità» evocata in questa fase dal Quirinale; valgano qui alcun casi spot, tutti però in tornanti cruciali nella storia dell’esperimento-Movimento. Il 7 giugno 2013, parlando vicino a Roma, Grillo comiziò: «Abbiamo un presidente della Repubblica che s’è raddoppiato il mandato, in tre hanno fatto un colpo di stato, e hanno fatto l’inciucione degli inciucioni, cercando di dare la colpa noi. Noi diciamo di no a questa organizzazione criminogena». Il 4 febbraio 2014 la variante era: «In Italia è in corso, ora, un colpo di Stato. Non puoi più far finta di nulla»: anche stavolta (come succede oggi) ce l’aveva contro la riforma elettorale, ma pure contro il decreto Imu-Bankitalia e la “ghigliottina” decisa alla Camera dalla presidente Boldrini. «Questa è la negazione della democrazia. Laura Boldrini deve dimettersi. Ha violato le leggi della democrazia. Il M5S farà in modo d’invalidare il decreto Imu-Bankitalia. In alto i cuori!». 

Pochi giorni dopo tornava a lavorare sul nuovo nemico dopo Giorgio Napolitano, Laura Boldrini, appunto, allora presidente della Camera, dipinta come una traditrice della legalità e delle pratiche parlamentari democratiche. Grillo osservò, il 14 febbraio 2014: «In Italia è in corso, ora, mentre tu leggi questo articolo, un colpo di Stato, non puoi più far finta di nulla. Non è il primo, potrebbe essere l’ultimo. In questi anni ci sono stati molti colpetti di Stato dall’adozione del Porcellum che ha creato un Parlamento di nominati dai partiti, all’uso indiscriminato dei decreti-legge che ha spossessato il Parlamento della funzione legislativa con il beneplacito del Presidente della Repubblica. La scorsa estate c’è stato un tentativo di colpetto di Stato per scardinare la Costituzione modificando l’articolo 138, ma è stato sventato dal M5S». Per concludere: «La volontà popolare viene rappresentata dagli eletti in Parlamento e l’Italia, secondo la Costituzione, è una Repubblica parlamentare. Così dovrebbe essere, ma non è così. Il passo successivo è l’eliminazione dell’opposizione. Finora non era necessario».

È un acuto permanente, un’isteria continua, un’ansia iniettata scientemente nel circuito sanguigno della politica e dell’opinione pubblica: con esiti di volta in volta imprevedibili, ma comunque via via più pericolosi, e imprevedibili, non più dominabili, né nella realtà né nei social network (nel frattempo, peraltro, il vero autore dell’Esperimento è morto). Nicola Biondo ha raccontato in Supernova (in uscita l’edizione aggiornata il 10 maggio) che fu un miracolo se nell’aprile 2013 riuscì a convincere, da Roma, il gruppetto che scendeva con Grillo nella Capitale a non arrivare in piazza Santi Apostoli in serata, dove chissà cosa sarebbe potuto succedere con la massa indistinta in subbuglio (si notava, scrive Biondo, un allarmante attivismo e predisposizione di pezzi di apparato). Dario Franceschini, in quei giorni, fu avvistato da torme di popolo inferocite e sobillate, e quasi umiliato a suon di insulti mentre cenava in un ristorante del centro di Roma. Franceschini che fino a pochi giorni fa pareva aver obliato il fatto. Grillo però ci ricadde e ci ricade. Comunque sia, non dimentica la parte. Per lui, immemore di pericoli e sprezzante dei rischi delle piazze arringate, è sempre golpe, colpo di stato o almeno colpetto, senza mai farsi venire il dubbio che forse, è in questo modo la democrazia muore davvero, drogata e isterizzata.

L’accordo raggiunto a Bruxelles dall’Eurosummit sul piano di aiuti per la Grecia, che evitò l’uscita di Atene dalla moneta unica? Fu ovviamente visto come un complotto di poteri forti e aristocrazie più o meno oscure (immancabili i riferimenti a George Soros). Grillo commentò su twitter: «La strategia dell’eurogruppo, quella del terrore: colpirne uno per educarne 19#ThisIsACoup, questo è un colpo di Stato». Facendosi intervistare da RT, in un’intervista-svolta che apriva la stagione filorussa e filoputiniana del Movimento, Grillo utilizzò invece la locuzione del «colpo di stato intelligente», assai gradita alla propaganda del Cremlino: «Il colpo di Stato sta già avvenendo, ma non è un colpo di Stato a cui siamo stati abituati. È un colpo di Stato intelligente. È basato sul causare una divisione in Parlamento, infiltrarsi al governo e piazzare un leader forte che andrà a prendere i pieni poteri, e gli italiani sono molto sensibili a questo tipi di leader».

Non è neanche possibile, né utile, una ricerca definitiva, perché i database impazziscono e le frasi di Grillo, a volte clamorosamente identiche, vengono riadattate a tutto e tutti. Ritornano. Il discorso politico diventa canovaccio, i cloni verranno poi chiamati, nelle tv, sui social, in aula, a ripeterlo. Senza tregua, e senza governo di tregua. 

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Da - http://www.lastampa.it/2018/05/04/italia/grillo-e-il-ritorno-pericoloso-dellurlo-al-golpe-al-golpe-kWIEgPqzMqi9HVamls68AP/pagina.html
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« Risposta #103 inserito:: Maggio 17, 2018, 12:28:41 pm »

Il rilancio del patto Salvini-Di Maio: via libera del M5S a un euroscetticismo forte, e un grillino per primo a Palazzo Chigi nella staffetta.

Così i due leader hanno rimesso in piedi un accordo che sembrava finito.

Intanto Di Maio ha convinto Grillo, che dice a Newsweek: «Il governo M5S-Lega? Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma accadrà».

E Beppe elogia di nuovo Putin e Trump

Pubblicato il 16/05/2018 - Ultima modifica il 16/05/2018 alle ore 10:31


Jacopo Iacoboni

La notizia è che entrambi i contraenti del potenziale patto M5S-Lega, ieri sera tardi, sono tornati a dire che ci saremmo quasi, «siamo a un passo» (parole di Di Maio). Nonostante in realtà l’atteggiamento pubblico della Lega sia stato molto, molto critico e quasi pessimista per due giorni interi, lunedì (il giorno delle consultazioni al Quirinale) e ieri, e Salvini ripeta ancora che «se proprio non si riesce, si va al voto». Ma è successo qualcosa, è innegabile, e ce lo racconta una fonte molto bene informata su questa vicenda, che ha potuto avere accesso pieno ai ragionamenti in corso, e possiamo provare a ricostruire così. Di Maio ha accettato di spostarsi di nuovo - anche pubblicamente - su posizioni più radicali e critiche sull’Unione europea e i trattati, posizioni sostanzialmente euroscettiche. Salvini in cambio ha concesso che, nell’ipotesi di staffetta, il primo ad andare a Palazzo Chigi sarebbe un nome, «politico», grillino. E non è detto che siano i nomi dei due leader, potrebbero benissimo essere i numeri due, diciamo così.

Naturalmente si tratta di un accordo embrionale, non scritto col sangue, che può cambiare e è esposto ai venti, come avete visto fortissimi, di queste ore. Ma è un’intesa di fondo tra i due, che fino a oggi non c’era stata. Assieme a tutto questo, c’è un pacchetto di nomine su cui la quadratura si può trovare abbastanza facilmente, le nomine sono tante e, solo per fare un esempio, il M5S potrebbe avere una preminenza nel dettare tempi e nomi in Cdp, Cassa depositi e prestiti, mentre la Lega conquisterebbe una parola decisiva sul Tg1 Rai.

Nell’ipotesi di rilancio del patto che vi stiamo raccontando, ognuno cede qualcosa all’altro. Di Maio lo ha reso manifesto ancora in serata quando, lasciando la Camera, ha detto «io mi preoccupo degli italiani. Se c’è qualche eurocrate non eletto che si preoccupa è un problema suo». Non è una frase marginale, perché significa due cose. La prima rivolta alla Lega: che Di Maio condivide (sia pure con qualche diversità di toni) le critiche di Salvini alle intrusioni europee, e il governo che eventualmente dovesse partire comincerebbe proprio da qui: da una ridiscussione di trattati e clausole. La seconda, rivolta al mondo del Movimento, e soprattutto a Beppe Grillo: perché così facendo Di Maio spedisce un messaggio di forte rassicurazione a un Grillo inquieto, che era attanagliato da forti perplessità sulla natura di un governo che gli sembrava politicante e anodino, dettato solo dalla voglia di potere. Grillo sarà certamente contento di vedere un Di Maio di nuovo così ingrillato sull’euro e sulla Bce. A tanti simpatizzanti M5S non dispiace affatto l’alleanza con la Lega, anzi: semmai gli dispiaceva il moderatismo eccessivo, e l’aria da eterno compromesso. [update. Grillo in un’intervista a Newsweek che esce proprio oggi dice: «Il M5S al governo? Ci vorrà ancora un po’ di tempo, ma accadrà. Se puntiamo a ridurre le imposte per le piccole e medie imprese, se puntiamo a un reddito di cittadinanza, se vogliamo migliorare la vita delle persone, allora possiamo trovare un accordo». Nell’intervista Grillo di nuovo elogia ampiamente Putin: «È certamente una persona che ha idee chiare. Non temo affatto Putin. La Russia vuole fare commercio, non la guerra. L’antiputinismo ci costa miliardi in sanzioni». E parla bene di Trump e Brexit, assimilandoli alla vicenda del M5s: «Ho osservato che i media mainstream erano così totalmente contro Trump che, alla fine, lo hanno aiutato. Lo stesso è accaduto con il Movimento Cinque Stelle. I media hanno ottenuto l’opposto di quello a cui miravano. Lo stesso è accaduto con la Brexit»].

 In questo quadro è assai rilevante anche la bozza di contratto svelata da Huffington Post ieri sera, con cose come procedure per mettere in discussione l’euro, la richiesta alla Bce di congelare il debito italiano di 250 miliardi (debito che in realtà è in grande parte nelle mani di Banca d’Italia, ma che volete che siano questo dettagli), l’abolizione immediata delle sanzioni alla Russia, e un comitato parallelo - organo del tutto fuori dalla Costituzione, che prevede la partecipazione anche di organi costituzionali - al consiglio dei ministri, per dirimere eventuali controversie. La smentita M5S-Lega (non è più la bozza attuale) è poco rilevante politicamente: importa che un testo del genere (datato lunedì mattina, peraltro, non un secolo fa) ci sia stato, che ci sia stato questo, nella discussione: il totale no euro e pro Russia. Che un testo di questo tenore sia uscito proprio ieri - il giorno delle bordate di Bruxelles contro il potenziale asse M5S-Lega - ha influito sulle dinamiche in corso, ha cioè prodotto l’effetto di ricompattare i due contraenti del patto, e di farlo in chiave fortemente euroscettica. Non è da escludere che si sia realizzato così uno dei desiderata di Salvini.

Ma anche Di Maio sblocca, con questo passo, un tassello chiave: Salvini sarebbe disponibile a far partire a palazzo Chigi un premier «politico», e grillino: è l’identikit appunto di Di Maio, o magari del suo delfino Vincenzo Spadafora? Il destino di questa scelta, forse per la prima volta, è nelle mani dell’abile leader di Pomigliano d’Arco, e del suo mentore Davide Casaleggio.

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« Risposta #104 inserito:: Giugno 01, 2018, 04:08:12 pm »

Un network di account sospetti ha spinto la campagna sui social contro Mattarella

Satira pesante, insulti e anche minacce di morte contro il presidente della Repubblica.

Secondo il report di due informatici, “contro la presidenza della Repubblica un’azione coordinata di digital propaganda”

Pubblicato il 30/05/2018 - Ultima modifica il 30/05/2018 alle ore 20:26

Jacopo Iacoboni

Un network di “account sospetti” su twitter, strutturato e con movenze organizzate, ha prodotto una forte spinta artificiale a tre hashtag di propaganda (a volte con contenuti anche di propaganda pesante e di minacce) contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nei due giorni più caldi della crisi per la formazione del nuovo governo, di domenica e lunedì scorso. Sono i giorni in cui il Movimento cinque stelle gridava all’impeachment contro Mattarella, anche se gli account di questo network non presentano evidenze riconducibili a un partito ufficiale. Gli account non mostrano neanche segni di interferenza straniera, appaiono piuttosto frutto di farm italiane. La sostanza, comunque inquietante, è che dei network si muovono per attaccare online la presidenza della Repubblica, contribuendo a invelenire e esasperare una situazione politica già molto difficile.

È quanto emerge da un report di due informatici, Andrea Stroppa e Danny di Stefano, che hanno utilizzato un algoritmo per individuare la propaganda digitale (da loro già impiegato - quasi identico - durante il World Economic Forum di Davos 2018) per analizzare tre hashtag: #mattarelladimettiti, #impeachment e #impeachmentmattarella. L’analisi ha individuato 360 account. È stata condotta dal 27 maggio (alle ore 21.50) al giorno successivo (alle 14.30). «Non parliamo di bot o troll - scrivono gli autori - ma di “account sospetti”: questo perché in uno scenario così altamente complesso, indicare un account come bot o troll è difficilmente dimostrabile, in particolar modo in un ecosistema di propaganda digitale molto discusso». La ragione principale è semplice: «Se indichiamo l’account @marioRossi232323 come bot, perché le sue caratteristiche del profilo e i suoi contenuti o azioni dimostrano automazioni, chi gestisce il presunto bot, un essere umano, potrebbe prenderne il controllo all’istante e iniziare a usarlo in prima persona, provando quindi a dimostrare l’infondatezza di una ricerca». Account generati da un software possono poi tranquillamente “animarsi”, ossia essere operati da umani.

[Update: proprio ieri, tra l’altro, nell’ambito di un’altra vicenda che non ha a che fare col network di cui qui parliamo, tre persone sono state iscritte nel registro degli indagati dopo le minacce e gli insulti comparsi sui social nei confronti del Capo dello Stato. La Procura di Palermo li accusa di attentato alla libertà del presidente della Repubblica e offesa all’onore e al prestigio del presidente della Repubblica, reati puniti fino a 15 anni di reclusione]. 

I due informatici hanno usato quattro criteri in questa analisi, confermata alla Stampa anche da una terza parte: composizione del nickname e caratteristiche del profilo, proporzione (ratio) tra following e followers, argomenti trattati, analisi di network. Per esempio, un account normale di solito tende ad avere più follower rispetto ai following, o almeno non in modo sproporzionato. Il report dunque considera solo gli account che, per ogni follower, hanno invece seguìto almeno 5 persone. Le conclusioni a cui arrivano i due informatici sono queste: è stata in corso contro la presidenza della Repubblica «un’azione coordinata di digital propaganda, ben studiata in modo da potersi agevolmente nascondersi in mezzo agli account legittimi. Non ci sono evidenze che questi account appartengano ufficialmente a partiti politici come Lega Nord e M5S». Né che la campagna provenga dall’estero. «È però allo stesso modo evidente che in Italia esiste una rete in grado di manipolare eventi politici e sociali, con capacità di poter amplificare fenomeni e farli diventare virali».

L’analisi non si sofferma volutamente su «account importanti» (il numero di follower di per sé non dice granché, sono molto più interessanti il network, e eventualmente i livelli e il tipo di engagement), ma su quella che è - diciamo così - la loro «base sottostante» di piccoli account sospetti. Da questo punto di vista, le disinfo ops o le ops di black propaganda stanno lievemente mutando forma, nell’ultima stagione, almeno in Italia, cercando di polverizzarsi e mimetizzarsi il più possibile con account naturali dei social. Eviteremo quindi di citare gli account del report Stroppa-Di Stefano, ma solo alcuni dei loro contenuti, che vanno dalla satira pesante («Mattarella ha un würstel al posto del cuore #impeachment») all’insulto («traditore della patria» è il più tenue) o alla violenza verbale («Così #Mattarella butta nel cesso il voto di 15 milioni di italiani. Perché secondo lui la sovranità in Italia appartiene alla #UE e alla #Merkel e non al popolo italiano»), alla minaccia («Don’t Fear The Reaper» - «non temere la Grande Mietitrice», cioè la morte, e sotto, una foto di Mattarella in camice ospedaliero e la scritta «do not intubate do not reanimate»). Inutile procedere oltre, era solo per dare una vaga idea. Augurano o minacciano di morte Mattarella.

Il punto centrale - bisogna ripeterlo - è che secondo i due informatici si tratta di un preciso network: il sample analizzato è relativamente piccolo, ma potrebbe essere più largo (i criteri per l’inclusione sono stati molto selettivi, spiegano gli autori). Molti account del network sono sotto «limitazione temporanea» da parte di twitter, o subiscono restrizioni: segno che sono stati oggetti di ripetute segnalazioni, o sono sotto l’attenzione della cybersecurity dell’azienda. Altri presentano, anche a prima vista, una congiunzione di interessi politici che è poi alla base di alleanze reali attuali, tra sovranismo, ultranazionalismo, tematiche sociali (nazionali e sociali), temi anti-establishment. Una politica parallela è insomma pronta a essere scatenata e rialzata, se davvero si andasse al voto bisognerà tener d’occhio le reti, dove contenuti sovranisti, fortemente nazionalista e anticasta si sono sposati ormai da tre anni, e invocano con modi brutali la rivoluzione legastellata.

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