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Autore Discussione: YOANI SANCHEZ  (Letto 17639 volte)
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« inserito:: Febbraio 07, 2010, 06:34:48 pm »

3/2/2010

Due monete e quattro mercati
   
YOANI SANCHEZ

Ha otto anni e una confusione enorme. Questa mattina suo padre gli ha messo in mano una moneta da 25 centesimi dopo aver detto: “Qui ci sono cinque pesos”. Ha osservato la superficie brillante che da un lato raffigura lo scudo della repubblica e sul dorso la torre slanciata della città di Trinidad. Anche se è nata in un paese economicamente schizofrenico, ancora non è abituata ad alternare i pesos cubani con i suoi parenti convertibili. A scuola la maestra non ha mai affrontato l’argomento, anche perché per spiegarlo a dovere servirebbe un intero corso semestrale. Neppure in casa le forniscono chiarimenti, come se per gli adulti fosse normale tenere in tasca due diversi tipi di monete. A Cuba esistono quattro forme di mercato e due tipi di denaro per pagare. Ogni mattina le donne di casa escogitano - senza tante storie - un piano su quale tipo di moneta convenga usare per fare acquisti in un determinato luogo. Si tratta di un’operazione aritmetica che porta via qualche secondo, dietro i quali si nascondono tre lustri di dollarizzazione economica e del suo “fantasma” successivo: il peso convertibile. La conversione viene fatta continuamente, esistono venditori che accettano sia i simbolici biglietti con cui ci pagano il salario, che gli altri dal valore 24 volte maggiore. Per un ananas possiamo pagare sia 10 pesos in moneta nazionale - la paga di una giornata di lavoro - che cinquanta centesimi del cosiddetto “chavito”. Alcuni turisti non sono al corrente di un tale imbroglio e acquistano la regina della frutta con una decina di pesos convertibili. Se capita una cosa simile, il venditore chiude in fretta il negozio e rientra a casa felice dell’equivoco.

La generazione di mio figlio non riesce a comprendere come si possa vivere con una sola moneta. Credo che i giovani abbiano uno speciale sviluppo cerebrale che permette di accettare le assurdità e connessioni neuronali che inoltrano l’inammissibile. Realizzano le conversioni di valute con la facilità di chi ha imparato due lingue da piccolo e le alterna senza grande sforzo. Soltanto che apprendere diverse lingue è un arricchimento culturale, mentre considerare naturale la dualità finanziaria significa accettare che esistono due esistenze possibili. Una vita è piatta e grigia come i centesimi nazionali, mentre l’altra - vietata in tutta la sua estensione a buona parte della popolazione - sembra piena di colori e filigrane, come un biglietto da venti pesos convertibili.

Traduzione di Gordiano Lupi www.infol.it/lupi


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5/2/2010

Angeli custodi
   
YOANI SANCHEZ

Vedo poliziotti ovunque. Non so se la loro immagine è ormai fissa nelle mie retine o se negli ultimi mesi sono aumentati di numero in maniera allarmante. Circolano sopra camionette Mercedes Benz, si fermano agli angoli delle strade e in diversi luoghi della città mostrano persino i loro cani lupo. Mentre centinaia di moderne e tondeggianti telecamere ci osservano dall’alto, questi uomini in divisa ci controllano a livello della strada e dei suoi marciapiedi dissestati. Escono fuori dal niente e scompaiono quando più servirebbero. Sono abili a individuare un sacco di cemento trasportato senza documenti, ma è raro vederli di notte in un quartiere marginale dove il numero dei delitti è in continuo aumento. Ci sono anche i poliziotti in abiti civili, certi “angeli custodi”, vere e proprie presenze immancabili nelle file, nei centri culturali e ovunque si formi un gruppo di persone. Adesso non è così facile distinguerli perché non indossano più magliette a righe, camicie a quadri e non sfoggiano pettinature dal taglio militare, ma travestimenti che vanno dalle treccine con palline colorate fino alle mutande che escono fuori dai pantaloni. Adesso portano telefoni cellulari, occhiali da sole, sandali di cuoio, ma si continua a capire che sono fuori posto, perché hanno l’espressione di chi non c’entra niente con il luogo in cui si trovano. Si recano al festival del cinema ma non hanno mai visto una pellicola di Fellini, frequentano le gallerie d’arte, ma sono incapaci di distinguere un quadro figurativo da uno astratto. Hanno imparato a camuffarsi, ma non sono stati capaci di perdere il tipico atteggiamento di disprezzo davanti a certe “debolezze piccolo borghesi” come l’arte e le sue manifestazioni. Tuttavia, quel che temo maggiormente non sono i poliziotti che indossano il distintivo di metallo numerato sul petto né gli agenti segreti che redigono rapporti, ma il poliziotto coercitivo che tutti portiamo dentro. Quello che suona il fischio della paura per avvisarci di non osare e che scuote le manette dell’indifferenza ogni volta che tra di noi aumentano le critiche e le opinioni. È passato per l’Accademia dell’autocensura ed è un soldato sveglio a indicare percorsi che non portano difficoltà. Il suo codice penale comprende soltanto un paio di brevi articoli: “Non ti mettere nei guai” e “Tutto quello che farai non cambierà le cose”. Se un giorno ci alziamo decisi a far tacere il rumore dei suoi stivali nella nostra testa, allora lui ci ricorda le sbarre, i tribunali e la freddezza di una prigione di provincia. Non ha bisogno di alzare il manganello contro le nostre costole, perché sa toccare le molle della paura ed eseguire le mosse di karate che lasciano il nostro corpo sofferente in anticipo, immobilizzato, davanti alla frase: “Stai tranquillo, è meglio aspettare”.

Traduzione di Gordiano Lupi - www.infol.it/lupi

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« Ultima modifica: Maggio 12, 2011, 10:46:49 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 24, 2010, 10:30:57 pm »

24/2/2010

Chi ha ucciso Orlando Zapata
   
YOANI SANCHEZ

All’ingresso del dipartimento di medicina legale di Ciudad Habana, dove giaceva il corpo ormai privo di vita del prigioniero politico Orlando Zapata Tamayo, Reina mi ha detto che suo figlio era stato vittima di un assassinio premeditato.

I fatti che hanno portato alla morte questo cubano di 42 anni non hanno avuto fino a oggi una versione ufficiale. Sappiamo per bocca dei suoi familiari che Orlando si era dichiarato in sciopero della fame per protestare sulle condizioni carcerarie di cui soffriva da quando - nella primavera del 2003 - era stato privato della libertà. Nessuna autorità ha confermato o smentito che il prigioniero abbia passato quasi un mese in una cella priva di luce, o che abbia tascorso 18 giorni senza poter bere acqua, fino a quando i comandanti della prigione kilo 8 della provincia di Camaguey hanno deciso di internarlo in un ospedale perchè non morisse sotto la loro giurisdizione. Orlando Zapata è stato ucciso da diverse mani: quella del triste ufficiale che ha messo il catenaccio alla cella di punizione. Non conosco il suo nome, non so se sarà punito per la sua indolenza o premiato per la prodezza. Orlando è stato anche vittima di un negligente trattamento ospedaliero, perchè nella sala dell’ospedale Hermanos Ameijeiras non è giunto soltanto un paziente disidratato, ma un corpo maltrattato sino all’estremo di una persona che aveva sofferto oltre i limiti della sopportazione. Orlando è stato lasciato morire dal governo di un paese dove far trapelare un pensiero anticonformista può condurre un uomo tra le sbarre.

A mezzogiorno in punto di questo mercoledì 24 febbraio, giorno in cui celebrava il suo secondo anno come Presidente, il generale Raúl Castro ha fatto sapere alla stampa che era rammaricato dell’accaduto. Probabilmente nessuno verrà condannato da un tribunale, nessuno verrà destituito o criticato pubblicamente. Ma se questo accadesse, o se si superasse la sottile frontiera che esiste tra rammaricarsi del decesso e chiedere scusa, la morte di Orlando assumerebbe un significato nuovo.

Traduzione di Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

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« Risposta #2 inserito:: Marzo 16, 2010, 10:36:05 am »

16/3/2010

Mafia tropicale
   
YOANI SANCHEZ

Una pioggia di avvenimenti sta cadendo su Cuba. Le prime gocce sono giunte all’inizio di gennaio, con la morte per freddo e denutrizione di diverse decine di pazienti all’interno dell’Ospedale Psichiatrico avanero. La pioggia di problemi è aumentata con la morte di Orlando Zapata Tamayo, spinto verso la fine dalla negligenza dei carcerieri e dalla testardaggine dei nostri governanti. A questo punto è cominciato lo sciopero della fame del giornalista Guillermo Fariñas e le nostre esistenze sono finite al centro di un tornado politico - sociale i cui venti tempestosi crescono ogni giorno.

Parallelamente a queste burrasche, una sequenza di probabili scandali per corruzione ha messo in crisi il sistema di potere cubano. Corrono voci insistenti di persone vicine ai ministri con valigie piene di dollari nascosti nelle cisterne, di voli commerciali con dividendi nelle mani di pochi e di fabbriche di succhi di frutta con enormi profitti portati a gran velocità fuori dal paese. Pare che tra i coinvolti ci siano uomini che sono scesi dalla Sierra Maestra per arricchirsi concedendo licenze a impresari stranieri in cambio di sostanziose commissioni. Lo Stato si è visto saccheggiare dallo stesso Stato. La deviazione delle risorse ha raggiunto livelli tali che rubare un po’ di latte in un negozio sembra un gioco da bambini. I gerarchi del potere cubano si riempiono le tasche in gran fretta, come se intuissero che la pioggia di oggi finirà per distruggere il tetto sopra le nostre teste. Pare proprio che il paese sia in stato di liquidazione e molti approfittano di un’uniforme verde oliva per cercare di trafugare quel poco che resta.

Intanto la stampa imbavagliata racconta glorie passate e ricorda anniversari da festeggiare, mentre afferma che la Rivoluzione non è mai stata così solida e forte. Dietro il sipario, si verificano una serie di epurazioni mentre i revisori dei conti tastano le viscere delle nostre finanze per verificare che l’avanzata della corruzione è inarrestabile. La generazione che ha fatto la nostra storia ci ha indicato il percorso della simulazione e ha diffuso l’idea che le finanze nazionali debbano essere amministrate come le proprie risorse. Le acque nere delle miserie etiche e morali, che loro stessi hanno alimentato e favorito, finiranno per annegarci tutti.

Traduzione a cura di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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« Risposta #3 inserito:: Luglio 04, 2010, 09:03:29 am »

3/7/2010

L'orrore dalla dolcezza
   
YOANI SANCHEZ

Per uno di quei casi della vita mi sono imbattuta nelle “Lettere dalla Birmania” di Aung San Suu Kyi in una libreria avanera.
Non le ho trovate in uno di quei luoghi - amministrati da privati - dove si vendono libri usati, ma in un locale statale che vende edizioni colorate in moneta convertibile. Il piccolo esemplare con la sua foto in copertina, era confuso tra manuali pratici e volumi con ricette di cucina. Ho guardato su entrambi i lati degli scaffali per verificare se qualcuno aveva messo quel libro là proprio per me, ma le impiegate sonnecchiavano nel torpore del mezzogiorno e una di loro si scacciava le mosche dal volto senza prestarmi la minima attenzione.
Ho comprato la preziosa raccolta di testi scritti da questa dissidente tra il 1995 e il 1996, ancora sotto l’effetto della sorpresa che mi produceva l’averla incontrata nel mio paese, dove ci troviamo - proprio come lei - sotto un regime militare che impone una forte censura alla libertà di parola.

Le pagine con le cronache di Aung San Suu Kyi, dove possiamo leggere riflessioni, quotidianità, discorsi politici e semplici domande, hanno avuto appena il tempo di riposarsi nella biblioteca di casa mia. Tutti vogliono leggere le sue serene descrizioni di una Birmania segnata dalla paura, ma anche immersa in una spiritualità che rende più drammatica la sua situazione attuale. In pochi mesi - da quando ho incontrato le Lettere… - la prosa limpida ed emotiva di questa donna ha condizionato il modo in cui osserviamo il nostro fallimento nazionale. Un filo di speranza che riesce a intrecciare insieme alle sue parole, porta come risultato una previsione ottimista per la sua nazione e per il mondo. Nessuno come lei ha potuto descrivere l’orrore dalla dolcezza, senza che il grido si impadronisse del suo stile e il rancore le salisse agli occhi.

Non ho smesso di chiedermi come hanno fatto i testi di questa dissidente birmana ad arrivare nelle librerie del mio paese. Forse l’innocente copertina con una donna dagli occhi a mandorla intenta a esibire alcuni fiori - belli come il suo volto - disposti dietro le orecchie è finita in un acquisto all’ingrosso. Forse hanno pensato che si trattava di un’autrice di romanzi o di una poetessa che riproduceva i paesaggi della sua terra con estetismo e nostalgia. Probabilmente chi ha disposto il libro su quello scaffale non sapeva niente dei suoi arresti domiciliari, né del premio Nobel per la Pace che ha meritatamente ottenuto nel 1991. Preferisco immaginare che almeno qualcuno sia stato consapevolmente responsabile del fatto che la sua voce sia giunta fino a noi. Un volto anonimo, due mani frettolose hanno messo il libro alla nostra portata, perché avvicinandoci a lei potessimo sentire e riconoscere il nostro stesso dolore.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/generaciony/grubrica.asp?ID_blog=272&ID_articolo=261&ID_sezione=597&sezione=
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« Risposta #4 inserito:: Marzo 19, 2011, 11:07:17 am »

18/3/2011

Amici delle salamandre

YOANI SANCHEZ

Poco dopo aver appreso che le caramelle erano dolci e che il fuoco bruciava mi sono resa conto che a noi cubani non era consentito iscriversi nelle organizzazioni create dal governo, ma che venivamo castigati a fini educativi se decidevamo di creare nostri gruppi.

Per questo, i bambini entravano automaticamente a far parte della unione dei pionieri, le donne si trasformavano in federate dopo i 14 anni, i vicini di casa andavano a rafforzare i comitati di difesa della rivoluzione, mentre i lavoratori venivano inseriti nell’unico sindacato autorizzato del paese. Al tempo stesso, gli studenti si univano nella loro confederazione e i contadini si associavano in un solo gruppo a livello nazionale. Tutti sembravamo affiliati a un raggruppamento. Ogni volta che qualcuno presentava domanda per un posto di lavoro, per intraprendere una carriera universitaria oppure pretendeva di ottenere il diritto a comprare un elettrodomestico, doveva riempire moduli dove si chiedeva l’appartenenza alle organizzazioni consacrate dal potere, cominciando - ovviamente - dalle più importanti: il Partito Comunista e l’Unione dei Giovani Comunisti.

Adesso sorrido mentre mi rivedo con un lapis in mano segnando crocette accanto alle sigle OPJM (Organizzazione dei Pionieri José Martí, ndt), CDR (Comitati di Difesa della Rivoluzione, ndt) o FMC (Federazione delle Donne Cubane, ndt). Lo facevo in automatico, senza convinzione, per far credere che ero una cittadina integrata, rivoluzionaria, “normale”. Sono molti anni che non ripeto uno slogan e che non faccio parte di nessuna delle associazioni autorizzate nel paese. Quando mi chiedono qualcosa, rispondo che sono una cittadina indipendente o un elettrone libero e che la mia piattaforma si limita a esigere la depenalizzazione del pensiero non conforme. Ma sono consapevole che siamo molto lontani dal raggiungere questo obiettivo. Nonostante i cambiamenti e le aperture promesse, ancora non è ben visto avanzare critiche, sia al comportamento di un ministro, come all’orario di insegnamento in una scuola. Al tempo stesso non è possibile pensare di poter fondare autonomamente un partito, ma neanche l’innocente club degli amici delle salamandre.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Note dal Twitter di Yoani:
Wellcommunity (http://www.well-comm.es/wellcommunity/100-mujeres-con-talento-digital/) ha inserito Yoani Sánchez in un elenco di 100 donne al mondo dotate di talento digitale. Yoani Sánchez denuncia un forte operativo di polizia attorno alla casa di Laura Pollán - coordinatrice delle Dame in Bianco - per impedire di commemorare l’anniversario della Primavera Nera del 2003. La blogger Katia Sonia è stata arrestata dalla polizia alle cinque del mattino mentre cercava di raggiunger la casa della Pollán.


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« Risposta #5 inserito:: Marzo 24, 2011, 05:10:55 pm »

18/3/2011

Amici delle salamandre

YOANI SANCHEZ

Poco dopo aver appreso che le caramelle erano dolci e che il fuoco bruciava mi sono resa conto che a noi cubani non era consentito iscriversi nelle organizzazioni create dal governo, ma che venivamo castigati a fini educativi se decidevamo di creare nostri gruppi.

Per questo, i bambini entravano automaticamente a far parte della unione dei pionieri, le donne si trasformavano in federate dopo i 14 anni, i vicini di casa andavano a rafforzare i comitati di difesa della rivoluzione, mentre i lavoratori venivano inseriti nell’unico sindacato autorizzato del paese. Al tempo stesso, gli studenti si univano nella loro confederazione e i contadini si associavano in un solo gruppo a livello nazionale. Tutti sembravamo affiliati a un raggruppamento. Ogni volta che qualcuno presentava domanda per un posto di lavoro, per intraprendere una carriera universitaria oppure pretendeva di ottenere il diritto a comprare un elettrodomestico, doveva riempire moduli dove si chiedeva l’appartenenza alle organizzazioni consacrate dal potere, cominciando - ovviamente - dalle più importanti: il Partito Comunista e l’Unione dei Giovani Comunisti.

Adesso sorrido mentre mi rivedo con un lapis in mano segnando crocette accanto alle sigle OPJM (Organizzazione dei Pionieri José Martí, ndt), CDR (Comitati di Difesa della Rivoluzione, ndt) o FMC (Federazione delle Donne Cubane, ndt). Lo facevo in automatico, senza convinzione, per far credere che ero una cittadina integrata, rivoluzionaria, “normale”. Sono molti anni che non ripeto uno slogan e che non faccio parte di nessuna delle associazioni autorizzate nel paese. Quando mi chiedono qualcosa, rispondo che sono una cittadina indipendente o un elettrone libero e che la mia piattaforma si limita a esigere la depenalizzazione del pensiero non conforme. Ma sono consapevole che siamo molto lontani dal raggiungere questo obiettivo. Nonostante i cambiamenti e le aperture promesse, ancora non è ben visto avanzare critiche, sia al comportamento di un ministro, come all’orario di insegnamento in una scuola. Al tempo stesso non è possibile pensare di poter fondare autonomamente un partito, ma neanche l’innocente club degli amici delle salamandre.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Note dal Twitter di Yoani:
Wellcommunity (http://www.well-comm.es/wellcommunity/100-mujeres-con-talento-digital/) ha inserito Yoani Sánchez in un elenco di 100 donne al mondo dotate di talento digitale. Yoani Sánchez denuncia un forte operativo di polizia attorno alla casa di Laura Pollán - coordinatrice delle Dame in Bianco - per impedire di commemorare l’anniversario della Primavera Nera del 2003. La blogger Katia Sonia è stata arrestata dalla polizia alle cinque del mattino mentre cercava di raggiunger la casa della Pollán.


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« Ultima modifica: Maggio 09, 2011, 06:27:47 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #6 inserito:: Aprile 20, 2011, 04:42:29 pm »

20/4/2011

Ora il sistema può franare

YOANI SANCHEZ

Sono ottimista, sono convinta che i cambiamenti decisi dal Congresso faranno cadere il sistema.

Fidel in tuta sportiva e Raúl in guayabera sono la triste immagine di due leader al tramonto che non vogliono uscire di scena. Fidel ha partecipato al conclave del Partito tra applausi scroscianti, ma ha confermato la decisione di non voler ricoprire incarichi direttivi e di governo. Il fratello ha elogiato l’esempio, affermando che anche per lui sarà l’ultimo incarico. In ogni caso resta la concentrazione del potere nelle mani di una sola persona, perché Raúl - già capo del governo - è stato eletto alla guida del Partito Comunista. Il secondo segretario del Partito sarà José Ramón Machado Ventura, un ottantenne al governo dal 1959. È sconcertante come il Partito Comunista Cubano non riesca a esprimere un giovane dotato di capacità direttive.

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« Risposta #7 inserito:: Maggio 09, 2011, 06:27:27 pm »

9/5/2011

La cronaca non pubblicata


YOANI SANCHEZ

Oggi avrei dovuto pubblicare un testo sulla Festa della Mamma, un breve bozzetto dove avrei raccontato che le mani di mia madre profumano di cipolla, aglio e comino… perché passa troppo tempo in cucina. Volevo narrare la gioia che mi dava vederla arrivare alla porta del mio liceo di campagna, portando con sé generi alimentari reperiti con difficoltà dopo un settimana di duro lavoro. Ma proprio mentre stavo dando gli ultimi ritocchi alla mia piccola cronaca materna, si è verificata la morte di Juan Wilfredo Soto a Santa Clara e i miei progetti non sono più stati importanti.

Le aggressioni dei poliziotti arrivano improvvisamente dalle nostre parti. La crescente violenza degli uomini in uniforme viene mormorata a voce bassa e molte persone la descrivono nei minimi dettagli, ma non osano denunciarla pubblicamente. Noi che siamo stati rinchiusi qualche volta in una cella, sappiamo bene che la propaganda edulcorata a base di slogan come “Poliziotto, poliziotto tu sei il mio amico!” che ripete la televisione è ben diversa dalla reale impunità di cui godono questi energumeni in divisa. Se poi il detenuto ha idee diverse dalla ideologia dominante, allora il trattamento sarà ancora più duro. Cercheranno di convincerlo a suon di pugni, visto che i poveri argomenti non sono sufficienti.

Non so come le autorità del mio paese spiegheranno l’accaduto, ma dubito che riusciranno a persuaderci che questa volta la colpa non è stata dei poliziotti. Non è possibile capire come un uomo disarmato, seduto in un parco della zona centrale, possa rappresentare una grave minaccia. Il problema è che quando si stimola l’intolleranza, si alimenta la mancanza di rispetto nei confronti del cittadino e si concede mano libera ai corpi di polizia, si verificano tragedie come questa. Oggi una madre di Santa Clara non siede davanti a una tavola imbandita dalla sua prole, ma in un’oscura sala mortuaria, vegliando il corpo di suo figlio.

Traduzione di Gordiano Lupi www.infol.it/lupi

...

La notizia

Muore il dissidente cubano Juan Wilfredo Soto García, colpito selvaggiamente da agenti di polizia nel Parque Vidal di Santa Clara

Il dissidente cubano Juan Wilfredo Soto García, 46 anni, è morto nelle prime ore del mattino di domenica 8 maggio, a Santa Clara, provincia di Villa Clara, vittima di un arresto respiratorio, causato dalle percosse ricevute, il 5 di maggio, da agenti della polizia. La presidentessa della Coalición Central Opositora, Idania Yánez Contreras, ha dichiarato a martinoticias.com che Soto, ex membro dell’organizzazione e del Foro Antitotalitario Unido è stato picchiato e ammanettato all’interno del Parque Vidal. L’oppositore soffriva di ipertensione, insufficienza renale e di altri problemi di salute, per questo motivo è stato condotto alla sua residenza invece che in prigione. Yanez ha aggiunto che nelle prime ore del mattino i familiari di Soto lo hanno portato all’ospedale Arnaldo Milián Castro, ma il dissidente versava già in condizioni disperate. La dissidente ha concluso che dopo la sepoltura di Soto - avvenuta domenica - l’opposizione deciderà che cosa fare per denunciare pubblicamente gli abusi della polizia castrista. “Dobbiamo dare una risposta al Governo per questo omicidio commesso ai danni di Wilfredo Soto”, ha esclamato. Diversi dissidenti hanno reso omaggio al corpo di Soto presso la Funeraria Camacho, a Santa Clara, sotto la stretta sorveglianza della polizia e della Sicurezza di Stato. Il premio Sacharov 2010 per la Libertà di Coscienza, Guillermo Fariñas, ha dichiarato a Radio Martí: “Si tratta di una perdita dolorosa, ma crediamo che sia un’altra vittima del discorso di Raúl Castro durante le conclusioni del Sesto Congresso del Partito Comunista, quando ha dato via libera ai militari e ai paramilitari che lo seguono per compiere aggressioni fisiche”. Il presidente dell’organizzazione Cuba Democracia ¡Ya!, Yuniel Jacomino, ha detto che la morte del dissidente di Santa Clara, Juan Wilfredo Soto García “è un atto ulteriore di barbarie della polizia, compiuto dai corpi di repressione della dittatura castrista”.

Gordiano Lupi

(Fonti: Radio Martí, martinoticias.com, Penultimos Días)
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« Risposta #8 inserito:: Maggio 12, 2011, 10:42:24 am »

Generación Y è un Blog ispirato alla gente come me, con nomi che cominciano o contengono una "y greca".
Nati nella Cuba degli anni 70 e 80, segnati dalle scuole al campo, dalle bambole russe, dalle uscite illegali e dalla frustrazione.
Per questo invito a leggermi e a scrivermi soprattutto Yanisleidi, Yoandri, Yusimí, Yuniesky e altri che si portano dietro le loro "y greche".


LA NATURA DI GENERACIÓN Y
Le risposte alle domande più frequenti sul blog di Yoani Sanchez


18/3/2010

La natura di Generación Y

Per rispondere a frequenti domande

YOANI SANCHEZ


Generación Y è un progetto personale e indipendente senza fini di lucro. Questo blog ha come spesa fondamentale il costo del server, ubicato

in Spagna a causa dell’impossibilità per noi cubani di avere un dominio indipendente nei server del nostro paese. GY non produce utili,

tutto il contrario, per farlo funzionare devo collegarmi a Internet - da un hotel - alcune ore a settimana per spedire tramite posta

elettronica i testi che dopo verranno pubblicati. Le numerose traduzioni di GY, sono merito della solidarietà dei cittadini di numerosi

paesi, ma nessuno di loro è stipendiato, né ottengono benefici materiali per rendere i miei testi in altre lingue. Si tratta di un rapporto

basato sulla simpatia e il sostegno personale, che non ha niente a che vedere con vincoli commerciali e lavorativi. Queste traduzioni

potenziano la diffusione dei miei scritti, chi se ne occupa migliora le conoscenze linguistiche e al tempo stesso aiuta una cittadina che

vuole soltanto esprimersi e raccontare la sua vita quotidiana.

Questo blog non riceve finanziamenti né aiuti da partiti politici, governi e organizzazioni di carattere ideologico. La sua natura è

indipendente e autonoma, si è sviluppato e si mantiene grazie alla solidarietà cittadina e alla mia spinta personale, per questo sarà online

fino a quando avrò storie da raccontare e voglia di continuare a pubblicarle nel ciberspazio. Anche se GY non mi procura benefici personali,

mi ha consentito di scrivere articoli di opinione su riviste di tutto il mondo. Tra queste riviste e periodici dove pubblico in maniera

frequente o sporadica posso citare Internazionale, La Stampa, Nuevo Día, El Mercurio, Poder, Política Internacional, TAZ, Die Welt,

Impressa, Letras Libres e Gatopardo. I rimborsi per queste collaborazioni costituiscono il mio contributo all’economia familiare e si

trasformano in schede prepagate di connessione a Internet e in ricariche per il mio cellulare e per i telefoni degli altri blogger cubani,

che usiamo fondamentalmente per inviare messaggi su Twitter. Generación Y è organizzato sul software libero Wordpress, scaricato

gratuitamente da http://www.wordpress.org e anche il server dove è ubicato è basato sul programma a licenza libera Linux. La home page di

Desdecuba.com è costruita su un altro sistema aperto e gratuito chiamato Joomla. In questo periodo sta cercando ovunque un grafico disposto

a regalarci un po’ del suo tempo e del suo talento per ricostruirla. Sono molto gradite donazioni di privati, fondazioni di carattere

culturale, giornalistico o accademico che vogliono collaborare al mantenimento di questo blog e permetterci di affrontare i costi

esorbitanti che esistono a Cuba per accedere a Internet. Invece non si accettano fondi da parte di governi e di partiti politici. Gli aiuti

ricevuti da privati non condizionano, né condizioneranno la mia voce e i miei argomenti, continuo a essere l’elettrone libero che gestisce

questo spazio virtuale dall’aprile del 2007. Se volete dare una mano siete i benvenuti, se volete controllare ciò che scrivo perdete il

vostro tempo. Yoani Sánchez

Traduzione di Gordiano Lupi
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« Risposta #9 inserito:: Settembre 20, 2011, 05:46:03 pm »

19/9/2011



YOANI SANCHEZ

Non vado a dormire, passo la notte in bianco e attendo che il telefono squilli. Aspetto di essere chiamata dalla Radio Nazionale Spagnola e di poter parlare in diretta. Mi affaccio al balcone per svegliarmi, è notte fonda, vedo una città immersa nel buio, tra luci fioche, ombre e silenzio. Un mendicante fruga nel bidone dell’immondizia all’angolo della strada, contende ai gatti qualche scatoletta e i resti d’un pasto. In lontananza si vede la fiamma della raffineria Ñico López mentre un’auto della polizia compie un giro di ronda. Non si è svegliata neppure l’avenida Rancho Boyeros, i pochi lampioni di Piazza della Rivoluzione fanno assumere alla torre una forma strana e insolita. Sono quasi le 4 e 30 del mattino: presto la distanza tra Madrid, Ciudad Juárez e L’Avana mi sembrerà molto breve.

Ogni lunedì condivido storie, apprensioni e sogni con Judith Torrea  e Juan Ramón Lucas  nel corso del programma radiofonico “En días como hoy”. Parliamo come se ci trovassimo nel salotto di una casa, senza bere caffè, ma con molta familiarità. Cerchiamo di affrontare alcune tematiche secondo la diversa ottica di persone che vivono in Messico, nel Caribe o nella Penisola Iberica. Judith ha una voce dolce, ma i suoi aneddoti parlano di giornalisti assassinati, persone uccise per strada, donne scomparse. Questa giornalista spagnola, che vive a Juaritos da diversi anni, pubblica un blog nel quale denuncia la violenza incontrollata tipica della zona di frontiera tra Messico e Stati Uniti, rischiando ogni giorno di essere messa a tacere nel modo peggiore.
 
Juanra, da parte sua, fa molte domande e imbastisce un dialogo partendo dalle differenti visioni. È un anfitrione paziente, sa quello che dice e parla con proprietà di linguaggio. E io da qui, dalla mia alba reale e metaforica, cerco di raccontare ciò che è accaduto a Cuba durante l’ultima settimana. Alcuni fatti possono apparire surreali, come se narrassi eventi remoti ed episodi d’un tempo che nessuno di loro può capire. A volte sorridiamo e prima di salutarci proviamo a fare qualche previsione ottimista. Quando la nostra chiacchierata finisce, in Spagna sono già le 10 e 40 del mattino, ma Judith e io siamo ancora avvolte nella penombra. Attacco la cornetta del telefono, torno a percepire la fiammella rossa della raffineria e guardo verso il bidone dell’immondizia all’angolo della strada, per vedere se finalmente il mendicante è riuscito a dividere il suo pasto con i gatti.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/generaciony/grubrica.asp?ID_blog=272&ID_articolo=444&ID_sezione=597
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« Risposta #10 inserito:: Ottobre 07, 2011, 04:58:56 pm »

7/10/2011

Il genio di Jobs e il mio primo Frankenstein

YOANI SANCHEZ

Avevo bisogno soltanto di un piccolo congegno di aereazione per rendere meno rovente il microprocessore, poi un insieme di cavi e di circuiti avrebbe preso vita e sarebbe diventato il mio primo computer. Ma era quasi impossibile trovare un simile congegno all’Avana, nel 1994, in una situazione caratterizzata dalle mancanze del Periodo Speciale. Senza il meccanismo di ventilazione, il mio Frankenstein, assemblato da circa sei mesi, si riscaldava troppo e si spegneva repentinamente. In quei giorni, pensavo spesso a Steve Jobs a al garage dei suoi genitori adottivi dove aveva creato Apple Computer. Il suo genio ispiratore mi aveva fatto capire che l’innovazione dà maggior piacere rispetto al consumo tacito di una cosa creata per gli altri. Pochi giorni dopo, un impianto composto da un ventilatore casalingo e da alcuni dissipatori di alluminio mi avrebbe permesso di scrivere in WordPerfect 5.1 e di creare un bollettino universitario chiamato Letra a Letra (Parola per Parola). A centinaia di chilometri di distanza dal mio improvvisato laboratorio, era stata chiusa da poco la divisione hardware di NeXT e mancavano ancora diversi mesi prima che la Pixar lanciasse il film Toy Story.

A partire da quel momento, il ricordo di Jobs mi ha sempre accompagnato prima di ogni sperimentazione informatica, a volte intrapresa per curiosità, altre per necessità. Intorno a me c’era molta gente come l’inquieto Steve; adolescenti ingegnosi che, privi di spazio - persino di un garage - e della possibilità legale di fondare un’impresa, avevano deciso di emigrare, portando talento e idee lontano da Cuba. Nonostante la fuga di massa, sono rimasta qui insieme a diversi amici, alimentando il culto di questo guru in maglione nero e jeans scoloriti. Volevamo essere un po’ come lui: brillanti, svegli e intelligenti. Quando ci sentivamo bersagliati dalla mediocrità della censura tecnologica, pensavamo a quel bambino adottato divenuto un punto di riferimento mondiale, ai suoi colpi di genio e agli auricolari bianchi che coprivano gli orecchi. Con tutta probabilità, lui non sapeva che per noi cubani sarebbero dovuti passare ancora dieci anni prima di poter comprare legalmente un computer in un negozio.

L’alunno mai laureato, che frequentava l’Università Reed Collage del Portland (Oregon), è morto ieri all’età di 56 anni. Ci ha lasciato una mela morsicata dipinta sopra un’infinità di meccanismi tecnologici e il dubbio di quante cose avrebbe potuto ancora creare se il tumore al pancreas non se lo fosse portato via così presto. A noi che non abbiamo mai scambiato una parola con lui e che non sopportavamo i suoi atteggiamenti da amministratore delegato, ci resta soltanto il mito, l’edulcorata leggenda della sua genialità. Mi consola credere che il mio ridicolo Frankenstein - costruito 18 anni fa - si sarebbe riscaldato ancora di più senza l’aria fresca e ispiratrice che Steve Jobs è riuscito a emanare su tutti noi.

Traduzione di Gordiano Lupi
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da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/generaciony/grubrica.asp?ID_blog=272&ID_articolo=450
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« Risposta #11 inserito:: Ottobre 24, 2011, 05:12:15 pm »

22/10/2011

Momenti terminali

YOANI SANCHEZ

Ceausescu voleva scappare con il suo elicottero, Saddam Hussein si nascondeva in una buca, il tunisino Ben Alì era andato in esilio, Gheddafi era fuggito con una carovana e alla fine si è nascosto in un tubo di scarico. Gli autocrati scappano, se ne vanno, non si immolano nei palazzi dai quali dettavano leggi arbitrarie; non muoiono seduti nei seggi presidenziali con la fascia di tela rossa che scende sul petto. Hanno sempre una porta nascosta, un passaggio segreto da imboccare per svignarsela quando si sentono in pericolo. Hanno impiegato decenni per costruire un bunker segreto, un “punto zero” blindato o un rifugio sotterraneo, perché temono che lo stesso popolo che li applaude nelle piazze possa ribellarsi, non appena finirà la paura. Negli incubi dei dittatori, i demoni sono gli stessi sudditi, gli abissi prendono forma di turbe che vogliono abbattere statue e sputare sulle loro foto. Questi dispotici signori hanno il sonno leggero perché devono fare attenzione alle grida e ai colpi contro la porta… spesso vivono in anticipo la loro stessa morte.

Mi sarebbe piaciuto vedere Muammar Gheddafi davanti a un tribunale, messo in stato d’accusa per i crimini commessi contro il suo paese. Credo che la morte violenta conceda ai dittatori un’aureola di martirio che non meritano. Devono restare vivi per ascoltare la testimonianza pubblica delle vittime, vedere i loro paesi andare avanti senza l’intralcio che rappresentavano e rendersi conto di quanto siano volubili gli opportunisti che un tempo li avevano sostenuti. Devono sopravvivere per essere presenti quando verrà riscritta la storia che avevano falsificato, per rendersi conto come le nuove generazioni cominceranno a dimenticarli e per subire accuse, scherno e critiche feroci. Linciare un despota significa salvarlo, concedere un’uscita di scena quasi gloriosa che evita il castigo eterno di essere giudicato di fronte alla legge.

Continuare il ciclo dell’esasperazione che questi tiranni hanno seminato nelle loro nazioni è estremamente pericoloso. Ucciderli perché hanno ucciso, aggredirli perché ci hanno aggredito, manda avanti una spirale di violenza e ci rende simili a loro. Adesso che le immagini di un Gheddafi insanguinato e balbettante fanno il giro del mondo, non esiste un solo dittatore che non si veda riflesso con terrore nello specchio di quei momenti terminali. In questi giorni, gli ordini di rinforzare tunnel segreti e di studiare nuovi piani di fuga circolano senza sosta all’interno di molti palazzi presidenziali. Facciamo attenzione, perché i dittatori hanno molte vie di fuga e tra queste c’è la morte. Meglio che sopravvivano. Restando in vita si renderanno conto che né la storia né i loro popoli li assolveranno mai.

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/generaciony/grubrica.asp?ID_blog=272&ID_articolo=458
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« Risposta #12 inserito:: Gennaio 01, 2012, 06:40:05 pm »

28/12/2011

Cancellare Fidel al ritmo lento dell'altro Castro

YOANI SÁNCHEZ


Viviamo un fine anno senza freddo, un Natale di maniche corte e un po' di sudore, con degli alberelli pieni dappertutto di festoni. A Cuba, con molti alti e bassi, sono trascorsi i dodici mesi di questo 2011, incorniciati da avvenimenti che - come due parentesi - hanno rinchiuso la realtà nazionale tra le scarcerazioni e gli arresti, i controlli e la flessibilità. Ancora a gennaio sono stati liberati - con il contagocce - i prigionieri della «Primavera Nera» del 2003 e proprio in questi giorni hanno ricevuto l'indulto 2900 prigionieri per diversi reati. Quello che è cominciato con la discussione delle linee guida del Sesto Convegno del Partito Comunista, celebrato ad aprile, si conclude ora con i preparativi per una Conferenza Nazionale nella quale pochissimi sperano. Forse è stato questo il periodo durante il quale le nostre autorità hanno avviato il maggior numero di cambiamenti economici e, tuttavia, mai come ora l'impazienza dei cittadini è arrivata a un livello così alto. Sono stati fatti molti passi, ma la strada, come un tapis roulant, procede all'indietro e ci ha lasciati a pochi centimetri del punto di partenza.

Raúl Castro ha intrapreso l'arduo compito di smantellare il fidelismo, di sotterrare in vita il Comandante in Capo. Senza confessarlo, senza neanche fare la critica che ci vuole verso il governo del fratello, il Generale Presidente ha fatto crollare parte dei programmi concepiti dal suo predecessore. Ha cancellato completamente le cosiddette «scuole in campagna», ha aumentato il numero di terreni consegnati in usufrutto ai contadini e ha dato il via al lavoro in proprio. Ha anche cancellato altri deliri come il gigantesco esercito dei «lavoratori sociali», ha messo fine all'«Operazione Miracolo» che importava pazienti da tutta l'America Latina per praticare interventi a Cuba e ha anche smantellato il ministero dello Zucchero, il cui bilancio presenta numeri ogni volta più ridicoli. In una mossa audace e a colpi di decreto, ha permesso la compravendita di automobili e ha aperto il mercato immobiliare in un Paese con decenni d'immobilità in entrambi i settori. Si è addirittura vestito con abiti civili per assistere al vertice della Comunità di Stati Latinoamericani e Caraibici (Celac) e ha firmato la lettera finale dell'evento con un paio di punti sulla democrazia e il rispetto dei diritti umani. L'erede al trono della Rivoluzione ha cercato in tutti modi di ottenere legittimità nell'ambito regionale durante tutto questo 2011.

Ma il raulismo e le sue mosse economiche non hanno dato gli esiti attesi. Un kilogrammo di fagioli continua a costare il salario di tre giorni e per il 2012 il Paese dovrà spendere 1700 milioni di pesos per importare cibo. Nonostante il silenzio della stampa ufficiale, in questi ultimi mesi alcuni casi di corruzione hanno alimentato le voci popolari. Nel suo discorso all'ultima sessione dell'Assemblea Nazionale, il primo segretario del Pcc ha anche affermato che «la corruzione è oggi uno dei nemici principali della Rivoluzione, molto più pericoloso dell'attività sovversiva». Ha indicato l'alto profilo di coloro coinvolti nelle rapine, definendoli «reati commessi dai "colletti bianchi"», ma in realtà sembrerebbero «reati imputabili ai colletti verde militare».

Ogni ispezione ha portato alla luce deviazioni e sottrazioni per cifre allucinanti. Se continua a scavare in quella direzione, Raúl Castro potrebbe guadagnarsi molti nemici nelle proprie file. Come se non bastasse già la fibrillazione e la crescita che si registra tra i dissidenti e altri movimenti civili molto critici con la sua gestione.

Ottobre ha portato una prova difficile sia per gli oppressi che per gli oppressori, con la morte di Laura Pollán, leader delle «Damas de Blanco», e l'agitazione scatenatasi. In quei giorni, la polizia politica ha messo a punto quello che sarebbe stato il suo marchio sul terreno della repressione dell'attuale governo. Arresti brevi, a scopo «pedagogico», senza tracce legali, diversi dai grandi show giudiziari che tanto amava Fidel Castro. Gli attivisti hanno dovuto lottare anche con l'intensificarsi delle campagne mediatiche contro di loro e con la paramilitarizzazione degli organi della Sicurezza di Stato. Di notte, in un angolo, tre sconosciuti si lasciano cadere su un oppositore e lo fanno salire con la forza su una vettura, senza identificarsi, senza portare una divisa, senza indicare il reato che si sta commettendo. La Cuba raulista, pertanto, è più imprevedibile per quanto riguarda le punizioni, perché l'incertezza della pena si erge come il suo miglior metodo di coazione.

L'insicurezza è anche generata dalla lentezza e dall'esitazione nell'avvio di certe riforme sociali e politiche. La cancellazione delle restrizioni migratorie è rimasta fuori del bilancio annuale, con la conseguente frustrazione di tutti coloro che la aspettavano. Il Generale non ha avuto neanche il coraggio di autorizzare la creazione di altri partiti e, invece di aprire il dibattito nazionale, continua a ripetere che si tratta di un tema «tra rivoluzionari». Per lui, questo 2011 è stato una prova dura, perché ha dovuto fare dei cambiamenti che irrimediabilmente gli toglieranno del potere e, tuttavia, percepisce che la sua popolarità diminuisce giorno dopo giorno. Questo non è stato per niente l'anno di Raúl Castro: la sua testardaggine e la propria salute glielo hanno rovinato.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9592
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« Risposta #13 inserito:: Gennaio 28, 2012, 06:20:39 pm »

La storia

Dilma, Yoani e lo sgarbo ai Castro

Il Brasile concede il visto alla Sánchez la blogger che critica il regime cubano.

Ma serve l'autorizzazione del regime


RIO DE JANEIRO - «Quando ho visto quella foto, la giovane e fragile Dilma Rousseff davanti ai militari senza volto che la interrogavano, mi sono riconosciuta. Ora spero che lei (oggi presidente del Brasile, ndr ), possa fare qualcosa per me». Nuovo capitolo del braccio di ferro della blogger attivista Yoani Sánchez con il governo cubano, ennesimo tentativo della ragazza di ottenere un permesso per viaggiare all'estero. Mai come stavolta, a quanto pare, la possibilità è concreta. Il governo brasiliano ha rilasciato alla Sánchez un visto di ingresso, per partecipare a un evento a Bahia alla quale è stata invitata. E lei, come decine di altre volte, ha presentato i documenti alle autorità dell'Avana per ottenere la tarjeta blanca, la lettera indispensabile ai cubani per poter lasciare l'isola, anche solo per un breve viaggio. «Mi hanno detto che la risposta arriverà venerdì della prossima settimana», ha scritto lei ieri pomeriggio su Twitter.

Il passaporto di Yoani è un caleidoscopio di visti. Inutili. Da anni riceve inviti all'estero, porta il documento alle rispettive ambasciate a Cuba e ottiene il timbro. Poi si infila nella burocrazia del proprio Paese e aspetta. Finora non ha mai funzionato. O le negano l'autorizzazione al viaggio, oppure la lasciano aspettare a vuoto per settimane. Per un totale di diciotto «no» dal 2004 a oggi. Stavolta le circostanze potrebbero invece giocare a suo favore. L'invito a partecipare al lancio di un documentario girato tra Honduras e Cuba (dove la blogger viene intervistata) segue di pochi giorni la visita ufficiale che la leader brasiliana effettuerà sull'isola. La Rousseff arriverà lunedì prossimo, accompagnata da vari ministri. Incontrerà Raúl Castro e forse anche Fidel. Il tema del viaggio è di carattere economico, il nuovo porto di Mariel che verrà finanziato con capitale pubblico brasiliano. Su parole e gesta della Rousseff sono puntati gli occhi, soprattutto in Brasile. Si cercherà di capire se l'erede di Lula è più sensibile al tema dei diritti umani di quanto lo fosse l'ex presidente, amico storico della Revolución; se anche su Cuba la diplomazia brasiliana confermerà l'aggiustamento dell'ultimo anno, che l'ha allontanata da posizioni troppo amichevoli con l'Iran o il Venezuela di Chávez. Nell'ultimo viaggio a Cuba, nel 2010, Lula ignorò gli appelli dei dissidenti e fu molto criticato in patria.

Ispirata dal parallelo con Dilma, che da giovane fu vittima della dittatura militare del suo Paese, la Sánchez le ha prima scritto una lettera aperta via Internet, che il governo brasiliano ha definito freddamente «non protocollata»; poi ha fatto domanda per il visto, con successo. Negli ultimi giorni appelli alla leader brasiliana sono arrivati da altre organizzazioni di dissidenti, come le Damas de Blanco. Chiedono un incontro durante la permanenza della Rousseff sull'isola. O almeno una parola sulla repressione del dissenso che continua, alternando aperture (le recenti scarcerazioni) e nuovi drammi, come la morte per sciopero della fame di un altro detenuto, pochi giorni fa. Il Brasile mantiene la formula di rito di queste occasioni - non vogliamo interferire negli affari interni di un altro Paese - e si esclude che la Rousseff possa incontrare dissidenti durante la sua permanenza. Come peraltro nessun capo di Stato estero ha mai fatto durante una visita ufficiale. Mentre non si può escludere che a Yoani Sánchez venga finalmente concesso un permesso di viaggio, e proprio in Brasile, nei giorni successivi. Ai due governi basterà parlare di «coincidenza», per evitare imbarazzi. Il braccio destro della Rousseff sugli affari esteri, Marco Aurelio Garcia, assai vicino a Cuba, ha detto ieri a O Globo che la Sánchez sarebbe la benvenuta in Brasile, «e non credo che voglia venire per restarci, per chiedere asilo politico». Anche perché «chi ottiene l'asilo non può svolgere attività politica».

Rocco Cotroneo

28 gennaio 2012 | 10:11© RIPRODUZIONE RISERVATA

da - http://www.corriere.it/esteri/12_gennaio_28/crotoneo-dilma-yoani-sgarbo-ai-castro_1d79e38e-497a-11e1-a339-d42b0f14f392.shtml
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« Risposta #14 inserito:: Marzo 25, 2012, 11:57:28 am »

25/3/2012

"Giovanni Paolo II ci aveva fatto sperare. Non ci crediamo più"

La dissidente cubana: troppi compromessi della Chiesa col regime

YOANI SANCHEZ

Gennaio 1998 fu un momento di scoperta e di creatività, di scene inedite e di preghiere a voce alta. Giovanni Paolo II ci fece visita e in Piazza della Rivoluzione - punto rosso della Cuba atea - recitò un’omelia durante la quale pronunciò parecchie volte la parola libertà. Ma oltre il rito e la liturgia, per strada e tra la gente, anche la vita era in ebollizione.

La produzione di barzellette andò alle stelle. Una valanga di battute e di storie satiriche vedevano protagonisti sia il Papa che l’allora presidente Fidel Castro. Proprio quando credevamo che il gusto per la battuta ci avesse abbandonato e i rigori economici del «periodo speciale» avessero trasformato il nostro sorriso in un ghigno, risorgeva la canzonatura e la risata fragorosa. Persino Pepito (il Pierino italiano, ndt), l’eterno bambino terribile dei nostri racconti, riapparve tra lo stupore di chi pensava che avesse preso il largo durante le fughe dei balseros. Alla destra del bastone papale e alla sinistra del guerrigliero in verde oliva, una testolina con i capelli irsuti si burlava delle cose umane come di quelle divine.

Tuttavia, adesso, a poche ore dall’atterraggio di Joseph Ratzinger, il fiume del nostro sarcasmo sembra esaurito. Soltanto una ridicola e banale barzelletta sta passando di bocca in bocca. Una battuta rozza che indaga sulle somiglianze tra il ministero dell’Agricoltura e il Vaticano. Senza meditarci troppo, la risposta: «Sì… lo so. Pure loro in 50 anni hanno prodotto solo quattro papi…» (il termine in spagnolo significa papa e patata, ndt). Chiara allusione alla mancanza di quel tubero, che in questi giorni genera conversazioni, voci e persino lunghi reportage sui canali tv ufficiali. Mi chiedo se questo impoverimento satirico sia un indice delle poche aspettative generate dalla visita del massimo rappresentante della Chiesa cattolica. Potrebbe essere anche un senso di stanchezza tipico della nostra società e che si riassume nella frase «non cambierà niente, nessuno ci riuscirà».

Alla fine degli Anni 90, Karol Wojtyla ci fece sperare nel cambiamento. Ma in questo 2012, il cinismo nazionale cospira contro l’entusiasmo. Sappiamo già, per esempio, che la frase «Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba» è rimasta soltanto una stupenda intenzione di un Papa polacco. Sono passati quasi tre lustri, la Chiesa ha guadagnato spazi nella vita pubblica. Ma per ottenerli, la sua gerarchia ha dovuto fare concessioni che hanno deluso parte dei fedeli, molti laici e persino alcuni atei. Quando si indaga tra i sacerdoti sui passi in avanti, lenti e prudenti, che ha compiuto la Chiesa cubana, rispondono sempre: «Siamo sopravvissuti due millenni nonostante difficoltà peggiori, non possiamo avere fretta proprio adesso». Ma la vita di un Paese, l’esistenza di diverse generazioni non può essere costruita in migliaia di anni, al ritmo di un eterno incensiere che oscilla.

Giovanni Paolo II affermò che «l’uomo è il primo compito della Chiesa» e la difesa dei diritti umani è la pietra angolare di quella premessa. Nel caso di Cuba, di fronte all’evidenza che altri spazi di libertà civica sono proibiti e demonizzati, i templi e i seminari dovrebbero assumere un ruolo meno prudente. Il negoziato tra il governo e il cardinale Jaime Ortega per la scarcerazione dei prigionieri politici della Primavera Nera non si è concluso - come si sperava - con un aumento del prestigio della Chiesa. Tutt’altro. Ci sono state discussioni e critiche, persino tra i familiari degli stessi liberati. Prima di tutto perché al tavolo dove è stato siglato quel patto è mancata la voce delle Damas de Blanco, che per sette anni avevano fatto pressione dalla strada per riportare a casa i loro mariti condannati nel marzo 2003. Il governo ha scelto l’interlocutore meno scomodo per consegnare gli ostaggi, senza curarsi di chi si era fatto portavoce della denuncia.

Il Papa arriverà in un Paese dove la gerarchia ecclesiastica è riuscita a ottenere un numero maggiore di chiese, ha aperto un nuovo seminario, ha creato una cattedra di discussione su temi sociali per invitati molto selezionati. A Cuba nessuno viene più espulso dal lavoro o dallo studio per aver recitato il Padre nostro, inoltre la tv ufficiale trasmette la messa domenicale e altre omelie. Il Papa incontrerà un cardinale che ha oltrepassato l’età della pensione, un presidente che da un lustro ha superato gli 80 e un popolo dove scarseggiano i giovani, sia per l’emigrazione che per la bassa natalità. Arriverà in un momento segnato da un’economia più flessibile, da un discorso politico più radicale, ma anche da molte aspettative economiche e dalla disillusione ideologica. La sua visita, senza dubbio, non sarà preceduta da quel vortice di speranza, curiosità e umorismo che scatenò Giovanni Paolo II. Ma chi può saperlo? Forse nemmeno lo stesso Pepito è riuscito ad anticipare le sorprese che ci porterà Ratzinger. Da parte mia, sogno che l’atea e comunista Piazza della Rivoluzione proponga che «Cuba si apra a Cuba».

Il blog di Yoani Sanchez www.lastampa.it/generaciony

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9924
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