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Autore Discussione: YOANI SANCHEZ  (Letto 17626 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Agosto 16, 2012, 06:53:09 pm »

15/8/2012

Cuba e la musica, il divieto cade perché già caduto

YOANI SANCHEZ

D’ora in poi Celia Cruz, Bebo Valdés e Willy Chirino potranno essere ascoltati alla radio e in tv a Cuba. Per decenni, più di cinquanta artisti, critici nei confronti del regime, sono stati censurati dalla programmazione radiofonica e televisiva di Cuba. Ma questa settimana è stato fatto trapelare a diversi media stranieri, fra cui la Bbc, che questi artisti stavano per uscire dalla lista nera. La lista è un elenco di nomi proibiti che non è stato mai reso pubblico, né ora viene ufficialmente annunciata alcuna cancellazione.

Oltre all’ormai defunta Celia Cruz, svariati artisti sono stati vietati per molti anni, compresi la cantante di bolero Olga Guillot, il sassofonista Paquito D’Rivera e il pianista Bebo Valdés. Anche il celebre artista spagnolo Julio Iglesias ha subìto la censura, come conseguenza della sua posizione critica nei confronti del governo de L’Avana. Presto la musica di tutti costoro dovrebbe cominciare a risuonare dalle emittenti cubane, dopo che varie generazioni di cubani se la sono persa. Comunque, quest’apertura non sembra ancora aver iniziato a influenzare la programmazione musicale. Da questo giornale ho telefonato a diverse emittenti nazionali e locali: i dipendenti sondati si sono detti sorpresi dalla notizia e non ne sapevano nulla.

Sul mercato clandestino, le produzioni musicali di questi artisti sono state commercializzate per anni. Nelle feste private era un fatto comune sentire Willy Chirino e Gloria Estefan. A volte la loro musica risuonava anche, furtivamente, nelle attività e negli eventi istituzionali. E le nuove tecnologie hanno dato ai cubani la possibilità di sentire quelle voci vietate, grazie a riproduzioni fatte circolare attraverso cd, dvd e chiavette usb. Quindi, questo rilassamento delle norme del regime segue la stessa logica di altre «riforme» del regime di Raul Castro, costretto ad accettare ciò che non può più essere impedito, ad autorizzare ciò che sta già accadendo in una dimensione che non si può bloccare. La censura a 360 gradi pretendeva di tenere i cancelli sprangati, mentre questa nuova misura riconosce l’impossibilità di subordinare i gusti musicali a considerazioni ideologiche.

Ma, come detto, la fine del divieto non significa che questi artisti possano suonare immediatamente. Adesso le emittenti radio e tv dovranno acquistare i loro album, e molti direttori di programmi preferiranno attendere (con cautela) per essere sicuri che la decisione non sia suscettibile di ripensamento a livello politico. Si attende inoltre di sapere se certe singole canzoni del repertorio di un artista non più vietato resteranno proibite, come è sicuro che avverrà per quelle che alludono al tema della libertà o di una possibile transizione politica a Cuba. Ad esempio la popolarissima canzone «La nostra giornata sta arrivando», interpretata da Willy Chirino.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10430
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« Risposta #16 inserito:: Settembre 30, 2012, 02:03:56 am »

 28/09/2012

Non tornerò più…

 
YOANI SANCHEZ

Festival di Varadero, Girasoles Opina, Bossa Nova all’Avana… una sfilata di artisti progressisti e talentuosi percorse il paese negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Io seguivo i loro temi più contagiosi, imitavo come si pettinavano e come vestivano. Canticchiavo quel motivetto “Chi le disse che ero solo sorrisi, mai pianto…”, “Che sarà, che sarà, che vanno sospirando per le alcove”, “Pedro Navaja, le mani sempre dentro la giacca”. Ricordo che mia sorella rideva di me, diceva che avevo “capelli da brasiliana” perché il mio profilo ricordava una lampada da tavolo, come il profilo di María Betania e di altre dive che andavano per la maggiore in quel periodo. Mi piaceva così tanto quel paragone! Erano tempi in cui si potevano vedere spesso Ana Belén e Víctor Manuel calcare i palcoscenici nazionali. Persino “La Negra”, Mercedes Sosa, intonava “Grazie alla vita” di fronte ai microfoni di casa nostra. 

Ma quegli artisti abituali smisero di farci visita. Alcuni morirono, altri finirono per restare delusi dagli abusi e dagli eccessi della Rivoluzione, mentre molti semplicemente smisero di inserire Cuba tra le piazze imprescindibili dei loro itinerari. Dai cartelli promozionali dove prima si leggeva “Parigi, Berlino, New York, Buenos Aires… L’Avana”, scomparve la maggiore delle Antille. Da tappa obbligata dei tour canori finimmo per trasformarci in un posto frequentato soltanto da artisti ideologicamente convinti. La politica mise le mani su tutto, determinò arpeggi, tonalità, ritornelli. La musica venne ripartita tra artisti “legati alla causa” e “traditori” che non meritavano di presentarsi davanti al pubblico cubano. L’ultima volta che ascoltai Joaquín Sabina in un teatro avanero, un’amica salì sul palcoscenico e gli dette un bacio su una guancia. “La carezza dell’addio”, avremmo chiamato in seguito quel gesto, perché dopo non vedemmo più né i capelli né la bombetta dell’artista andaluso. Il personaggio (o alter ego) di una delle sue storie in musica dirà in merito al suo viaggio a Cuba: “non tornerò più, non mi andò bene”. 

Gli assidui ospiti di quei decenni si sommarono alla lista di altri musicisti che non avremmo più visto dal vivo. Così, abbiamo perso la bocca impudica di Mick Jagger, l’ancheggiare di Shakira, l’eccentricità di Lady Gaga e il soave movimento di Willy Chirino. Siamo cresciuti senza sperimentare direttamente la grazia di Celia Cruz, la luce del palcoscenico che cade su Ricardo Arjona e la confusione di un teatro mentre si esibisce Freddy Mercury. Madonna non è venuta mai all’Avana, Michael Jackson è morto senza calpestare il suolo cubano e, se andiamo avanti di questo passo, diverse generazioni di artisti concluderanno le carriere senza aver cantato davanti a noi. Per fortuna abbiamo avuto la visita di Juanes, Olga Tañón e Miguel Bosé per un concerto indimenticabile che si è tenuto nel 2009.

Essere un cittadino del secolo XXI vuol dire potersi collegare a Internet, avere il diritto di associazione e di libera espressione. Non solo. Tra questi diritti rientra pure un contatto culturale e musicale in sintonia con la propria epoca. Purtroppo, ciò che evidenzia il nostro cartellone internazionale è che siamo rimasti al secolo passato, arenati in un’epoca in cui Milton do Nascimento e Fito Páez cantavano a pochi metri da noi. 

 
Traduzione di Gordiano Lupi 
www.infol.it/lupi 

da - http://lastampa.it/2012/09/28/blogs/generacion-y/non-tornero-piu-Y85clVihuxaEe6TKfRtOsN/index.html
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« Risposta #17 inserito:: Ottobre 06, 2012, 11:48:16 am »

esteri

05/10/2012 - il caso

Cuba, arrestata Yoani Sanchez

La blogger fermata a Bayamo insieme al marito Reinaldo Escobar per aver cercato di assistere al processo contro lo spagnolo Ángel Carromero.

In manette anche Fariñas

Gordiano Lupi

La blogger Yoani Sánchez e suo marito, il giornalista indipendente Reinaldo Escobar, sono stati arrestati ieri a Bayamo, dove si erano recati per cercare di assistere al processo contro lo spagnolo Ángel Carromero, accusato di omicidio colposo per la morte dei dissidenti Oswaldo Payá e Harold Cepero.

 

Yoani Sánchez “è venuta a Bayamo per mettere in scena una provocazione e danneggiare il processo a Carromero. E’ stata arrestata dalle autorità locali”, ha scritto su Twitter il giornalista di regime Yunior Garcia Ginarte, corrispondente della Televisione dalla provincia di Granma, qualificando la blogger come “filostatunitense”. García Ginarte ha accusato Sánchez ed Escobar di seguire gli ordini della Sezione di Interessi degli Stati Uniti all’Avana, per creare uno show mediatico. 

 

In realtà, Yoani Sánchez è corrispondente da Cuba per El Pais, quindi era suo preciso dovere di giornalista recarsi a Bayamo per reperire informazioni sul processo. Cuba la considera una “corrispondente illegale”, non accreditata, perché il regime dei fratelli Castro vuole scegliere i giornalisti autorizzati a parlare del Paese. Il blog della Sicurezza di Stato conferma l’arresto di Yoani, “per impedire il teatro in occasione del processo” e la “manipolazione della realtà”. 

 

Ieri, intanto , la polizia cubana ha arrestato a Santa Clara Guillermo Fariñas, Premio Sacharov 2010 del Parlamento Europeo, e altri 21 dissidenti, colpevoli di aver organizzato una riunione per dibattere argomenti politici. Il tema fondamentale: “Domanda civica per un’altra Cuba”. 

 

Le detenzioni arbitrarie per motivi politici sono in forte aumento a Cuba, secondo la Commissione per i Diritti Umani, che negli ultimi sei mesi ha denunciato ben 533 arresti immotivati. Le autorità cubane accusano i dissidenti di essere mercenari al servizio degli Stati Uniti. Nelle ultime settimane la televisione di Stato sta dedicando grande attenzione al problema dissidenza, visto secondo l’ottica del regime. I media parlano di finanziamenti stranieri per distruggere la rivoluzione cubana. 

 

Un tribunale di Bayamo sta giudicando lo spagnolo Ángel Carromero, accusato di omicidio colposo per la morte degli oppositori Oswaldo Payá e Harold Cepero nel corso di un incidente stradale accaduto a luglio nell’oriente di Cuba. Carromero guidava l’auto. Il pubblico ministero chiede una condanna a sei anni di reclusione. Secondo la versione ufficiale l’incidente sarebbe accaduto a causa di un eccesso di velocità e per altri errori del conducente che non avrebbe prestato attenzione alle condizioni dei luoghi. La famiglia di Payá insiste per ottenere un’indagine indipendente e - per bocca della figlia - ribadisce di non credere alla spiegazione ufficiale. Tra l’altro non si è costituita parte civile contro Carromero. Le autorità cubane hanno diffuso un video dove Carromero si prende ogni responsabilità e chiede alla comunità internazionale di fare il possibile per farlo uscire da Cuba e di non usare l’accaduto per scopi politici. L’altro sopravvissuto, lo svedese Modig, ha fatto rientro al suo paese ma ha dichiarato di non ricordare niente sul sinistro perchè stava dormendo.

 

I media cubani accusano Carromero e Modig di essere entrati a cuba con visto turistico, ma di essersi occupati di attività politiche a carattere controrivoluzionario, tra queste la consegna di denaro al movimento dissidente diretto da Payá. Il Governo spagnolo ha chiesto massima discrezione sul caso e spera di poter rimpatriare in tempi brevi il proprio cittadino. 

 ---

Gli ultimi tweet 

Gli ultimi tweet postati da Yoani Sanchez sulla sua pagina raccontano il viaggio dall’Avana verso Bayamo, includendo la notizia dell’arresto di Guillermo Farinas, un altro dei volti più noti dell’opposizione al governo dell’isola.

«Mi informano che Farinas è stato arrestato. Non ho altri dettagli. La copertura dei cellulari sulla strada è pessima», poco prima del suo tweet finale (segnato come trasmesso oltre 18 ore fa) nel quale Sanchez osservava, includendo una foto, i «chilometri e chilometri di marabu», una pianta invasiva considerata una piaga a Cuba, che vedeva dal suo finestrino.

«Verso est, la situazione epidemiologica si deteriora, Poliziotti ci fermano a Camaguey per fumigare la macchina», racconta la blogger e tre ore dopo aggiunge «ci fermano un’altra volta per fumigare la macchina. Chiedo al poliziotto se è per il dengue e non mi risponde».


da - http://www.lastampa.it/2012/10/05/esteri/cuba-arrestata-yoani-sanchez-Zuo0ygxiuwzOdSL7pl1aKM/index.html
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« Risposta #18 inserito:: Ottobre 06, 2012, 11:49:02 am »

CUBA

Liberata la blogger cubana Yoani Sánchez

Era stata fermata insieme al marito perché voleva seguire il processo contro Carromero, accusato della morte dei dissidenti Payá e Cepero.
La denuncia si Twitter: «In carcere non ci hanno dato acqua né cibo per 30 ore»


La nota blogger cubana Yoani Sánchez è stata liberata venerdì notte dopo trenta ore di detenzione. Lo ha annunciato lei stessa su Twitter, ringraziando «tutti quelli che hanno alzato al loro voce e i loro tweet». Poi la denuncia: «Siamo stati tenuti senza acqua né cibo - scrive - Il primo bicchiere d’acqua che ho bevuto, a casa, è stato come fuoco nell’esofago».

La blogger era stata arrestata giovedì sera a Bayamo, Cuba, insieme al marito, il giornalista Reinaldo Escobar, e altri attivisti, mentre andava in tribunale. Voleva coprire il processo al giovane attivista politico spagnolo Angel Carromero, accusato di omicidio dopo la morte in un incidente stradale dei dissidenti Oswaldo Paya e Harold Cepero.

AL PROCESSO DA GIORNALISTA - «Avevo intenzioni unicamente giornalistiche», ha spiegato via twitter la blogger, che in Italia scrive per Internazionale. «Volevo assistere al processo di Angel Carromero» e «raccontare» il processo di Bayamo «su twitter», ha sottolineato. Riferendosi sempre al processo Carromero, la blogger ha aggiunto che Granma, quotidiano del Pc cubano, «dice bugie quando afferma che il processo a Carromero era pubblico... non lo era». Angel Francisco Carromero Barrios, cittadino spagnolo e membro del movimento dei giovani del Partito popolare (conservatore) al potere a Madrid, è accusato di omicidio per un incidente automobilistico nel quale lo scorso 22 luglio sono morte 2 persone, tra cui un dissidente cubano. Il giornalista cubano Garcia Ginarte ha twittato che Sanchez aveva in programma di compiere azioni illegali per disturbare il processo, in programma al Tribunal Provincial y Popular de Granma.

«ISOLATA IN COMMISSARIATO» - Yoani Sanchez e il marito sono rimasti per 30 ore «irraggiungibili in quanto i loro cellulari sono in mano alla polizia segreta cubana», aveva detto il dissidente Elizardo Sanchez, che ha riferito di aver avuto conferma degli arresti a Bayamo attraverso «familiari della Sanchez». «A Bayamo sono d'altra parte stati arrestati - ha aggiunto l'oppositore cubano - almeno sei dissidenti locali per impedire loro di avvicinarsi al tribunale. «A quanto pare, solo la stampa internazionale potrà seguire il processo grazie a un circuito tv allestito in una sala vicino alla sede del tribunale», ha commentato alla Cnn in spagnolo Sanchez, della Commissione cubana dei diritti umani (Ccdhrn, organismo illegale ma tollerato dalle autorità).

I TWEET PRIMA DELL’ARRESTO - Gli ultimi tweet prima della liberazione raccontavano il viaggio della sociologa dissidente dall'Avana verso Bayamo, includendo la notizia dell'arresto di Farinas, un altro dei volti più noti dell'opposizione al governo dell'isola. «Mi informano che Farinas è stato arrestato. Non ho altri dettagli. La copertura dei cellulari sulla strada è pessima», poco prima del suo tweet finale nel quale Sanchez osservava, includendo una foto, i «chilometri e chilometri di marabù», una pianta invasiva considerata una piaga a Cuba, che vedeva dal suo finestrino. «Verso est, la situazione epidemiologica si deteriora, Poliziotti ci fermano a Camaguey per fumigare la macchina», racconta la blogger e tre ore dopo aggiunge «ci fermano un'altra volta per fumigare la macchina. Chiedo al poliziotto se è per il dengue e non mi risponde».

LIBERATO UN ALTRO DISSIDENTE- La Sanchez, aveva anche annunciato l'arresto di un altro dissidente cubano, Guillermo Faras, Premio Sakharov del Parlamento europeo per i diritti umani. Dopo essere stato trattenuto alcune ore, Faras è stato liberato dalla polizia cubana insieme a una trentina di militanti dell'opposizione: erano stati arrestati mentre si preparavano a dare inizio a una riunione politica a Santa Clara, nel centro dell'isola.

Redazione Online

5 ottobre 2012 (modifica il 6 ottobre 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/esteri/12_ottobre_05/arrestata-sanchez-attivista-cuba_2758b87e-0ee3-11e2-8205-e823db4485d4.shtml
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« Risposta #19 inserito:: Ottobre 13, 2012, 03:59:48 pm »

 Tre elezioni, un paese

Così Chávez ha vinto

 
Yoani Sanchez

Com’è la voce di Henrique Capriles? Mi ha chiesto alcuni giorni fa un vicino. Non ho saputo dire se sia dolce o ferma, soave o energica, perché i mezzi di diffusione cubani evitano di trasmetterla. Al suo posto abbiamo avuto solo la possibilità di ascoltare l’agitato clamore di Hugo Chávez, gli attacchi verbali scagliati contro il suo giovane contendente durante la campagna presidenziale. Così questa mattina abbiamo visto il presidente, da 13 anni al potere, celebrare il suo nuovo trionfo elettorale. Va da sé che altri sei anni di presidenza per lui rappresentano anche una garanzia di sopravvivenza per il governo dell’Avana. 

Il governo di Raúl Castro si è giocato molto nel corso dei comizi elettorali di questo 7 ottobre. Avrebbe potuto perdere il sostegno imprescindibile del suo alleato più generoso. Il sussidio venezuelano ha permesso al generale Presidente di implementare, in maniera molto tiepida e lenta, cambiamenti che riguardano solo la sfera economica. Ma questo tipo di dipendenza, una volta che si stabilisce, finisce per diventare una situazione cronica. La consegna di terre in usufrutto e un maggior numero di licenze per i lavoratori privati non sono riusciti a far muovere a Cuba i primi passi verso l’autonomia materiale e la sovranità finanziaria. La necessità di farsi mantenere dall’estero non è tanto una congiuntura, quanto parte fondamentale del castrismo, frutto diretto della sua incapacità a gestire con profitto l’economia nazionale. Non dimentichiamo la gran messe di aiuti inviati dal Cremlino… adesso sostituito da Miraflores. Piazza della Rivoluzione si è vista firmare ancora una volta un assegno in bianco, per altri sei anni. 

Il 54% dei venezuelani ha confermato Hugo Chávez come leader del paese, per questo motivo il raulismo tira un sospiro di sollievo. Ma la patria di Bolívar ha fatto registrare un voto molto polarizzato, che renderà più difficile sostenere pubblicamente il mantenimento di Cuba. Si avvicinano mesi complicati per il governo dell’Avana. Quella del Venezuela è stata la prima di un ciclo di tre elezioni che influenzeranno in maggiore o minor misura la nostra vita nazionale. Le presidenziali degli Stati Uniti vengono immediatamente dopo nella lista dei procedimenti elettorali che ci attendono. Mitt Romney ha annunciato mano dura con le autorità dell’Isola, ma anche Barack Obama potrebbe risultare deleterio per il sistema cubano se approfondisse la sua politica di avvicinamenti familiari, accademici e culturali. 

Il primo mandato di cinque anni di Raúl Castro si concluderà nel febbraio del 2013. Pochi scommettono che pensi di ritirarsi dall’incarico per lasciare il passo a una figura più giovane. Quelle elezioni, le terze che ci riguardano nei prossimi mesi, sono anche le ultime in ordine d’importanza e per aspettative generate. È già cominciato il procedimento per nominare i delegati al Potere Popolare e tutto finirà con l’obbediente Assemblea Nazionale, che approverà la candidatura per il Consiglio di Stato. Se nelle urne venezuelane è stato deciso un sussidio di migliaia di milioni e nelle schede nordamericane sono in gioco i rapporti della nostra Isola con il potente vicino del Nord, i comizi elettorali cubani sanno di giochi già fatti. Non serve neppure fare inchieste e sondaggi sulle intenzioni di voto. Non esiste alcuna possibile sorpresa.

da - http://lastampa.it/2012/10/09/blogs/generacion-y/tre-elezioni-un-paese-cosi-chavez-ha-vinto-QTXV9WjSQXlUbkR348wLXJ/pagina.html
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« Risposta #20 inserito:: Ottobre 19, 2012, 06:07:41 pm »

Esteri

06/10/2012 - la testimonianza Yoani racconta il suo arresto “Ecco le mie ore in prigione”

La blogger collaboratrice della Stampa: «Hanno cercato di denudarmi, ma ho resistito e ho pagato per questo»

Yoani Sànchez

Hanno voluto impedire che raggiungessi il luogo dove si teneva il processo ad Ángel Carromero. Erano le cinque della sera del 4 ottobre, un ampio spiegamento di forze di polizia nei pressi della città di Bayamo ha fermato l’auto sulla quale viaggiavo insieme a mio marito e a un amico. «Voi volete boicottare il processo», ci ha detto un uomo in divisa verde oliva poco prima di arrestarci. Sembrava che stessero fermando una banda di narcotrafficanti o che fosse la cattura di un pericoloso serial killer. In realtà eravamo solo tre individui interessati a seguire un processo, entrando da spettatori in un’aula giudiziaria. Credevamo che l’udienza fosse davvero pubblica, come aveva scritto il Granma. Ma dovevamo saperlo che il Granma non dice mai la verità. 

 

Nonostante tutto, arrestandomi, finivano per regalarmi l’altro volto della storia. Vivere le stesse sensazioni di Ángel Carromero e la pressione che circonda un detenuto. Conoscere sulla propria pelle le macchinazioni di un Dipartimento del Ministero degli Interni. Prima di tutto si sono avvicinate tre donne in uniforme e mi hanno tolto il telefono mobile. Fino a quel punto si trattava di una situazione confusa, aggressiva, ma non aveva ancora niente di violento. Dopo, quelle stesse robuste signore mi hanno fatto entrare in una stanza e hanno provato a denudarmi. Ma esiste qualcosa di intimo che nessuno può toglierci di dosso. Non so, forse è l’ultima foglia di fico alla quale ci aggrappiamo quando si vive sotto un sistema che sa tutto delle nostre esistenze. Potrei citare quel cattivo e contraddittorio verso che dice «potrai avere la mia anima… non il mio corpo». Per questo ho resistito e ne ho pagato le conseguenze. 

 

Dopo quel momento di estrema tensione è arrivato il turno del poliziotto “buono”. Uno che si è presentato dicendo di portare il mio stesso cognome - come se significasse qualcosa - e di amare il dialogo. Ma l’inganno è fin troppo noto, si è ripetuto così spesso, che non ci sono caduta. Mi è venuto subito in mente Carromero sottomesso alla stessa tensione composta da un mix di minacce e “atteggiamenti comprensivi”… non è facile sopportare a lungo una simile situazione. Nel mio caso, ricordo di aver fatto un respiro profondo e dopo una lunga discussione sulla illegalità del mio arresto ho cominciato a ripetere per più di tre ore una sola frase: «Esigo che mi facciate fare una telefonata, è un mio diritto». Avevo bisogno di certezze e ripetere le stesse parole mi tranquillizzava. Il ritornello mi faceva sentire forte di fronte a persone addestrate in accademia su come distruggere la volontà umana. Tutto quello di cui avevo bisogno per affrontarli era un’ossessione. Ed è così che ho finito per ossessionarmi. 

 

Sembrava che la mia insistente cantilena fosse stata inutile, ma dopo le una del mattino mi è stato permesso di fare la chiamata. Poche frasi con mio padre, anche se la linea era sicuramente controllata, e avevo già detto tutto. Potevo passare alla tappa successiva della mia resistenza, che ho definito “ibernazione”, perché quando si dà un nome a una cosa significa classificarla e crederci. Ho rifiutato di mangiare e non ho voluto ingerire nessun tipo di liquidi; ho rifiutato di sottopormi ai controlli medici di alcuni dottori che volevano visitarmi. Ho rifiutato di collaborare con i miei aguzzini, dicendoglielo chiaro. Non potevo cancellare dalla mia mente la resa di Carromero in oltre due mesi di lotta con quei lupi che ogni tanto recitavano il ruolo delle pecore. 

 

Per buona parte del tempo tutto quel che facevo veniva filmato dalla telecamera maneggiata da un sudaticcio paparazzo. Non so se un giorno o l’altro trasmetteranno qualche sequenza alla televisione ufficiale, ma ho impostato le mie idee e la mia voce in modo tale che non potessero essere usate per colpire le mie convinzioni. Possono scegliere tra mantenere le immagini con l’audio originale che contiene la mia domanda o ripetere il trucco di sovrapporre la voce di un doppiatore. Ho cercato di rendere il più difficile possibile il montaggio successivo di quel materiale. 

 

Ho fatto solo una richiesta in 30 ore di detenzione: devo andare al bagno. Io ero pronta a dare battaglia fino alla fine, ma la mia vescica no. Dopo mi hanno condotta in una cella di lusso. Avevo passato diverse ore in una prigione con le tende alle sbarre e all’interno faceva un caldo terribile. Per questo trovarmi in una sala più ampia, con televisore e diverse sedie, che terminava in una camera munita di un letto confortevole è stato davvero un colpo basso. Osservando il tessuto delle tende, ho avuto il presentimento che fosse lo stesso posto dove era stata fatta la prima registrazione circolata in Internet delle dichiarazioni di Ángel Carromero. 

 

Ho capito subito che non mi trovavo in una camera, ma in un set cinematografico. Per questo non ho voluto sdraiarmi su quelle lenzuola pulite e ho rifiutato di mettere la mia testa su quei cuscini tentatori. Ho raggiunto una sedia in un angolo della stanza ed è lì che mi sono raggomitolata. Due donne vestite con abiti militari sorvegliavano ogni mia mossa. Stavo vivendo il dejà-vu di un’altra persona, il ricordo dello scenario dove Carromero aveva trascorso i primi giorni di detenzione. Non era facile, non tanto per le botte o per la tortura, ma perché ero convinta che non mi potevo fidare di ciò che stava accadendo tra quelle pareti. L’acqua poteva non essere acqua, il letto sembrava una trappola e il premuroso dottore aveva le sembianze di una spia. Non restava che immergersi negli abissi dell’“io”, chiudendo le porte al mondo esterno. È proprio quello che ho fatto. La fase “ibernazione” si è conclusa in un letargo auto provocato. Non ho più detto una parola. 

 

Quando mi hanno riferito che stavano per trasferirmi all’Avana, mi è costato fatica aprire le palpebre e la lingua sembrava uscirmi dalla bocca per colpa della sete prolungata. Ma sapevo di aver vinto. In un gesto finale, uno dei miei aguzzini mi ha teso la mano per aiutarmi a salire sul pulmino dove si trovava anche mio marito. «Non accetto cortesie dai repressori», gli ho detto, fulminando con lo sguardo. Il mio ultimo pensiero è stato per il giovane spagnolo che in quel 22 luglio ha visto cambiare la sua vita e ha dovuto lottare contro tutta quella serie di inganni. 

 

Arrivata a casa ho saputo degli altri detenuti e che la stessa famiglia di Oswaldo Payá non è stata ammessa nella sala del tribunale. Ho saputo anche che il pubblico ministero ha chiesto sette anni di detenzione per Ángel Carromero e che il processo di questo venerdì era ormai “concluso in attesa di sentenza”. Il mio era stato solo un incidente, il vero dramma continua a essere la morte di due uomini e la reclusione di un altro. 

 

Traduzione di Gordiano Lupi 

www.infol.it/lupi 

da - http://lastampa.it/2012/10/06/esteri/yoani-racconta-il-suo-arresto-ecco-le-mie-ore-in-prigione-YmSrN27rgoqxCDGPxrxnRP/index.html
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« Risposta #21 inserito:: Ottobre 24, 2012, 03:55:03 pm »

 22/10/2012

L’urna, la barella

Yoani Sanchez

Mattonelle alle pareti, un paravento ricoperto di tela verde, un tavolo metallico sul quale di solito si dispongono siringhe e cotone.
Era proprio così il luogo dove questa mattina ho votato per eleggere il delegato all’Assemblea Municipale del Potere Popolare. Questa domenica un ambulatorio medico ha fatto le veci di un collegio elettorale per i residenti del quartiere. “Premonizione”, ho pensato soltanto a restare sola con la mia scheda accanto al grande lavandino dove si lavano gli strumenti ospedalieri. “Premonizione”, perché il mio paese è in pieno “coma” di abulia e apatia, e serve una rianimazione profonda - quasi una defibrillazione - capace di dare ai cittadini un effettivo potere decisionale. In 36 anni, da quando è stato creato il sistema elettorale vigente, non ci ha mai fatto capire di rappresentare il popolo di fronte al potere, ma ci siamo abituati all’esatto contrario. 

Per questo, tra l’odore di formalina e una barella che spuntava in un angolo, ho annullato la mia scheda. Dopo anni di astensionismo, questa volta mi sono decisa a partecipare a dei comizi elettorali che non cambieranno proprio niente. Nessun delegato ratificato dal voto popolare potrà minimamente influire sui temi più scottanti della nostra realtà. Non conosciamo neppure il loro pensiero sulle grandi problematiche quotidiane, perché la legge elettorale ci permette soltanto di accedere a biografie munite di foto. E così oggi nel mio quartiere siamo stati convocati a scegliere tra due volti, tra due nomi, tra due curriculum… Proprio per questo motivo, diversi vicini e amici - consapevoli di quanto sia inutile riempire la scheda - hanno scelto di astenersi. Ma io volevo curiosare e tornare a esperimentare il nonsense di un pezzo di carta che non cambia niente, non decide, non smuove le acque. 

Per prima cosa ho scritto la lettera “D”. Enorme, come un grido senza voce, abbozzando l’iniziale di un’idea a lungo desiderata: “Democrazia”.
E l’ho fatto nel bel mezzo di una scenografia clinica in piena sintonia metaforica con il mio gesto di annullamento, con l’urgente riforma di cui in questo paese necessita l’istituzione del Potere Popolare. Una chirurgia profonda, un’estirpazione totale della docilità dell’Assemblea Nazionale, un electroshock di libertà affinché i parlamentari cessino di approvare all’unanimità e di applaudire senza pensare.

Abbiamo bisogno di resuscitare, di rinascere come società e dobbiamo cominciare a comportarci da cittadini. 

 
Traduzione di Gordiano Lupi 

www.infol.it/lupi 


da - http://www.lastampa.it/2012/10/22/blogs/generacion-y/l-urna-la-barella-FByaDvodYRniueCy5l2xQN/pagina.html
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« Risposta #22 inserito:: Ottobre 30, 2012, 05:37:20 pm »

 27/10/2012

Sette proposte dopo il passaggio di Sandy

 
Yoani Sánchez


Migliaia di persone che vivono nell’Oriente cubano non dimenticheranno mai le prime ore del mattino di giovedì scorso. Il vento, i tetti che volano, le forti piogge, gli alberi che cadono su strade e case, saranno il ricordo perenne dell’uragano Sandy. Non riusciranno mai a togliersi di mente la prima notte, dopo il disastro, quando da un letto malconcio o da un divano a pezzi si sono resi conto che tra i loro volti e la notte stellata non c’era più separazione. Alcuni hanno perso tutto, anche se non avevano molto. Altri si sono visti portare via dall’uragano le modeste proprietà messe da parte con i sacrifici di una vita. Un dramma umano si è abbattuto su una zona già segnata da carenze materiali, emigrazione costante verso occidente e da epidemie di dengue e colera. Per i danneggiati piove sul bagnato, letteralmente e metaforicamente. La natura inasprisce il collasso economico e i problemi sociali di una regione del paese. Per questo dobbiamo moltiplicare la solidarietà, rimboccarci le maniche per aiutare a rimettere in piedi un’abitazione, dividere un pezzo di pane e farci in quattro per dare una mano agli sfortunati cubani che Sandy si è lasciato alle spalle. 

 

Credo che tutti sappiamo ciò che possiamo dare e quel che siamo in grado di fare, ma nonostante tutto provo a rivolgere alcune proposte alle autorità cubane. Le decisioni che verranno prese nei prossimi giorni saranno determinanti per ridurre le dimensioni della tragedia. Spero che le autorità riescano a mettere da parte le differenze ideologiche e diano ascolto anche a noi cittadini che vogliamo contribuire al recupero del nostro paese. La solidarietà non deve essere monopolio istituzionale, non lo è mai stato, ed è proprio quella convinzione a far nascere proposte solidali, come le seguenti: 

 

- Eliminare le tasse doganali per favorire l’ingresso nel paese di alimenti, medicinali, elettrodomestici e materiali da costruzione. 

 

- Fare in modo che la cittadinanza si organizzi per raccogliere, trasportare e consegnare vestiti, medicine e altre risorse necessarie alle zone colpite. 

 

- Stimolare e autorizzare la raccolta di fondi e risorse da parte degli emigrati cubani da portare sull’Isola, sia in maniera individuale che tramite gruppi e istituzioni.

 

- Sollecitare accertamenti e collaborazione da parte di organismi internazionali che forniscano aiuti, crediti e consulenze per fronteggiare il disastro. 

 

- Semplificare nelle province più danneggiate tutte le pratiche per ottenere licenze edilizie e anche per l’assegnazione di terre in usufrutto. 

 

- Decretare una moratoria nella riscossione delle imposte dai lavoratori privati delle regioni dove Sandy ha distrutto una parte importante delle infrastrutture economiche e agricole. 

 

- Rinunciare al monopolio istituzionale sulla somministrazione della solidarietà, favorendo e rispettando l’esistenza di canali civici per distribuire gli aiuti.

 

Traduzione di Gordiano Lupi 

www.infol.it/lupi 

da - http://lastampa.it/2012/10/27/blogs/generacion-y/sette-proposte-dopo-il-passaggio-di-sandy-IhxXkLUpBNK7eQR1z5O92N/pagina.html
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« Risposta #23 inserito:: Novembre 11, 2012, 03:52:11 pm »

Esteri
10/11/2012

Libertà di stampa, Yoani Sánchez vicepresidente della commissione


L’incarico per la blogger cubana arriva dalla Società Interamericana della stampa, che riunisce 1.300 testate di tutto il continente

Miami

La blogger dissidente cubana Yoani Sanchez, il cui blog per l’Italia è ospitato da LaStampa.it, è stata scelta come vicepresidente regionale della Commissione per la libertà di stampa della Società Interamericana della Stampa (Sip), associazione che riunisce gli editori di oltre 1.300 testate di tutto il continente americano.

Sanchez, nota in tutto il mondo per il suo blog «Generazione Y», ha detto di aver accettato l’incarico «perché ho sofferto sulla mia pelle cosa sono le limitazioni della libertà d’espressione e la persecuzione di chi vuole soltanto fare il giornalista».

La blogger, che due giorni fa è stata fermata ed interrogata per otto ore per «disturbo dell’ordine pubblico», ha aggiunto che «appartenere alla Sip e trovarmi in questa commissione per me sarà una protezione. Da una parte mi creerà dei problemi, ma probabilmente me ne eviterà degli altri». 

da - http://lastampa.it/2012/11/10/esteri/liberta-di-stampa-yoani-sanchez-vicepresidente-della-commissione-tcJwf8HRUPVeczkEgowqkN/pagina.html
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« Risposta #24 inserito:: Novembre 26, 2012, 12:15:20 pm »

 24/11/2012

Pechinese albino

 
Yoani Sanchez

Si potrebbe fare una storia sociale della Cuba degli ultimi anni a partire dai suoi cani, da quegli animali che popolano le nostre strade e le nostre case. Non solo per le attenzioni o i maltrattamenti ricevuti, ma anche per le razze canine che la gente ha scelto per condividere il quotidiano. Ricordo che alcuni anni fa arrivò la moda dei dalmata - scatenata da Disney con i suoi 101 cuccioli - e dopo comparve la predilezione per i chow chow che praticamente non si trovano più. Confesso che a me piacciono molto i meticci, i bastardini e i cani privi di lignaggio. Forse perché la mia mancanza di pedigree e di alto lignaggio mi porta a simpatizzare con mascotte che come me sono prive di albero genealogico. Nonostante tutto seguo con attenzione come l’attenzione sociale prenda in considerazione anche questi esseri muniti di quattro zampe, olfatto acuto e latrato. 

 

Dietro le alte inferriate delle ville di Miramar ringhiano i Rotweilers. Avere un cane così è un simbolo di potere e di eccellente status economico. Alimentarlo, portarlo a passeggio e allenarlo perché metta in fuga il ladro che salti il muro compongono parte dei passatempi dei loro benestanti proprietari. In questo periodo sono quello che i pastori tedeschi rappresentarono negli anni ottanta: una razza energica per un settore che vuole mostrare la sua scalata al potere. Dopo arrivano i labrador, con padroni che possiedono giardino o piscina e che comprano cibo in scatola per animali. Cani che vanno dallo stilista e qualcuno che li porta a correre di mattina; li vedono spesso sulla Quinta Avenida e a far bagni di mare. Cani fortunati. 

 

Ma non credete che a ogni zona della città o a ogni settore sociale corrisponda un tipo di mascotte o un’altra. Nel condominio più deteriorato di Centro Habana può usciere al guinzaglio del padrone uno splendido cocker spaniel color champagne o un rapido doberman con espressione poco amichevole. Abbondano esempi di enormi levrieri afghani che vivono in appartamenti senza balcone, ho visto persino un grande danese sporgersi tra i pezzi di latta di una casa improvvisata in un “llega y pon”* dell’Avana. I cani prescelti dicono molto di ciò che vogliamo diventare, rivelano le nostre ansie di grandezza… o della nostra piccolezza. È proprio una razza piccola che fa furore in questi giorni sull’Isola, i pechinesi con il naso schiacciato e il collo corto. I più valutati sono gli albini, che si vendono al prezzo di tre salari mensili: attorno ai 50 USD per ogni cucciolo. 

 

Ieri ho incontrato una di quelle “palle di cotone” all’uscita di un quartiere in Cayo Hueso. Mi sono messo a ridere per il contrasto causato dal suo pelo bianchissimo proprio accanto a una tubatura fognaria rotta. E sono uscita di lì riflettendo sulla storia che potremmo raccontare tramite i cani, il percorso nazionale che possiamo narrare contemplando i loro musi e le loro zampe. Una realtà di contrasti che vanno dal forte torace di un boxeur del Vedado, fino a vedere un meticcio abbandonato in una strada qualsiasi. 

 

*Quartieri improvvisati con appartamenti precari fatti di materiale di scarto. 

Traduzione di Gordiano Lupi 

www.infol.it/lupi 

da - http://www.lastampa.it/2012/11/24/blogs/generacion-y/pechinese-albino-Uzg4OW1FfUUtXkSnFBFtZL/pagina.html
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« Risposta #25 inserito:: Dicembre 29, 2012, 07:46:19 pm »

 Burro della Nuova Zelanda

 
Yoani Sanchez

Il pollo proviene dal Canada, l’etichetta del sale indica l’origine cilena, la salsa creola è “made in USA” e lo zucchero arriva dal Brasile.
Il latte mostra una vacca olandese dipinta sulla confezione, il succo di limone è di produzione messicana e gli hamburger annunciano a caratteri cubitali che sono “Cento per cento carne argentina”. Nella confezione del formaggio si dichiara che è un prodotto proveniente da terre germaniche, nei biscotti alcuni caratteri cinesi rivelano la loro origine, mentre il riso risulta coltivato in zone umide vietnamite.
Siamo sommersi dai prodotti stranieri! 

 

E così ho chiesto a un’amica economista perché il burro in vendita nel chiosco del nostro quartiere provenga dalla Nuova Zelanda.
Non possiamo produrre a Cuba un alimento così basilare? - ho aggiunto - Non abbiamo un posto più vicino dal quale importarlo? La ragazza, laureata all’Università dell’Avana, mi ha risposto con la stessa frase che dà il titolo a un programma umoristico: “Lascia che ti racconti…”.
Mi ha narrato che quando ha terminato gli studi è stata mandata a svolgere il Servizio Sociale presso una dipendenza del Ministero dell’Industria Alimentare. Quando si è resa conto del pesante esborso per importare merci da paesi così lontani, ha portato al direttore una lista di fatture, tra quelle una riguardava l’acquisto di latte in polvere in un lontano paese dell’Oceania. L’uomo, imbarazzato, ha risposto: “Non ti occupare di queste cose, perché si mormora che quella fabbrica sia proprietà di un gerarca cubano”. 

 

Non mi sorprenderebbe che individui ben inseriti nei centri di potere di questa Isola possedessero industrie straniere intestate a semplici prestanome. In ogni caso sarebbe inaccettabile che privilegiassero le importazioni da quelle imprese al posto di altre più vicine e più economiche. In questo modo, parte del denaro delle casse nazionali finirebbe nelle tasche di pochi privilegiati cubani, di fatto coloro che decidono da chi dobbiamo fare acquisti. Come se un abile illusionista facesse passare, senza farsi vedere, un mazzo di banconote dalla mano sinistra alla mano destra. Forse questo è uno dei motivi per cui certe marche - davvero cattive e con prezzi esorbitanti - occupano gli scaffali dei nostri negozi. Il vecchio trucco di “comprare da se stesso” starebbe causando nel paese un eccesso di spesa e la scomparsa dei prodotti nazionali qualitativamente migliori e meno costosi. 

 

Lo so, amico lettore, tutto questo può essere frutto soltanto di una paranoia esagerata della mia amica… e anche mia; ma spero che un giorno o l’altro verremo a sapere tutta la verità. 

 

Traduzione di Gordiano Lupi

www.infol.it/lupi

da - http://www.lastampa.it/2012/12/28/blogs/generacion-y/burro-della-nuova-zelanda-hQO8TFqUv9hTUxMJimdTuL/pagina.html
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« Risposta #26 inserito:: Gennaio 02, 2013, 05:19:08 pm »

 02/01/2013

In questo 2013: motivi per restare

 
Yoani Sanchez

Qualcuno deve salire sulla scaletta dell’aereo, sta per dire addio, aprire il fazzoletto e muoverlo da un lato all’altro. Qualcuno deve ricevere lettere, cartoline dai colori brillanti, chiamate telefoniche da molto lontano. Qualcuno deve prendersi cura della casa che un tempo è stata piena di bambini e parenti, innaffiare le piante che altri hanno lasciato e alimentare il vecchio cane che è sempre stato fedele. Qualcuno deve conservare i ricordi familiari, l’armadio di mogano della nonna, il largo specchio provvisto di abbondante mercurio agli angoli. Qualcuno deve conservare quelle battute che non fanno più ridere, i negativi delle fotografie che non sono mai state stampate. Qualcuno deve restare per il solo fatto di restare.

 

Questo 2013, nel quale molti confidano per il potenziamento della Riforma Migratoria, può diventare un anno che ci farà dire molte volte “addio”. Anche se rispetto la decisione di ognuno sul fatto di stabilirsi in un luogo o in un altro, non finisce di rattristarmi il salasso costante di persone talentuose e creative di cui soffre il mio paese. Fa spavento sapere quanti cubani non vogliono più vivere qui, né crescere figli in questa Isola, né realizzare progetti professionali nel territorio nazionale. Una tendenza che negli ultimi mesi mi ha fatto salutare colleghi e amici che sono andati in esilio, vicini che hanno venduto case per pagarsi un volo in direzione di un luogo qualsiasi; conoscenti che una settimana dopo averli visti mi sono resa conto che abitavano a Singapore o in Argentina. Persone stanche di attendere, di rimandare i loro sogni. 

 

Ma qualcuno deve restare per chiudere la porta, spegnere la luce e accenderla di nuovo. Molti devono restare perché questo paese deve rinascere con idee fresche, con gente giovane e proposte per il futuro. Almeno l’illusione deve restare, la capacità di rigenerarsi deve rimanere qui; l’entusiasmo deve restare aggrappato a questa terra. In questo 2013, tra i molti che decideranno di restare deve esserci soprattutto la speranza. 

 

Traduzione di Gordiano Lupi 

www.infol.it/lupi 

da - http://www.lastampa.it/2013/01/02/blogs/generacion-y/in-questo-motivi-per-restare-vnJ4JBbgrEdz3BIzw8XHpJ/pagina.html
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« Risposta #27 inserito:: Marzo 06, 2013, 12:18:35 pm »

 05/03/2013

Proibizioni

 
Yaoni Sanchez


Cosa c’è di diverso? Gli odori e la temperatura, penso in un primo momento. In seconda battuta vengono i rumori che sono così peculiari in ogni luogo, il grigiore del cielo in inverno, il colore oscuro delle acque di un fiume che attraversa una parte d’Europa. Ma qual è la vera novità? Continuo a chiedermi mentre gusto un sapore sconosciuto e stringo per la prima volta una mano. Forse la musica, il rumore del tram mentre si arresta alla fermata, la neve che si ammucchia ai lati del marciapiede, i fiori di primavera che lottano per uscire fuori anche se sono attesi da una terribile gelata. Dove sento qualcosa di strano? Nelle campane delle Chiese che sembrano gareggiare per suonare puntuali a ogni ora, o in certe case così antiche da far sembrare recenti le costruzioni dell’Avana vecchia? 

 

Per me la vera novità non sta nel gran numero di auto moderne o nel segnale wifi che mi permette quasi ovunque di collegarmi a Internet. Neppure nei chioschi pieni di periodici, negli scaffali dei negozi ricolmi di prodotti o nel cane che in mezzo al corridoio della metropolitana viene trattato da signore e sembra il vero padrone della situazione. La cosa strana non è l’amabilità dei dipendenti, la quasi assenza di code, le gronde fatte di artigli e denti affilati che sporgono dalle facciate o il vino fumante che si beve più per scaldare il corpo che per soddisfare il palato. Nessuna di queste sensazioni nuove o quasi dimenticate da un decennio trascorso senza viaggiare, sono quelle che segnano la differenza tra l’Isola che adesso vedo da lontano e i paesi che sto visitando. 

 

Il contrasto principale sta nelle cose permesse e in quelle vietate. Da quando sono scesa dal primo aereo sto aspettando che mi rimproverino, che qualcuno si presenti per intimare: “questo non si può fare”. Cerco con lo sguardo il custode che verrà a dirmi: “non è consentito scattare foto”, il poliziotto dal volto ombroso che mi griderà: “cittadina, mi dia i documentii!”, il funzionario che in qualche corridoio mi taglierà la strada per affermare: “qui non si può entrare”. Nonostante tutto non incontro nessuno di questi personaggi così comuni a Cuba. Ecco perchè per me la grande diversità non sono i deliziosi pani di segale, la perduta carne di manzo che finalmente rivedo nel piatto o il suono di un’altra lingua nei miei orecchi. No. La grande diversità è che non sento in ogni istante sopra di me il segnale rosso del vietato, il fischio che mi sorprende in qualcosa di clandestino, la costante sensazione che qualunque cosa faccia o pensi potrebbe essere proibita. 

Traduzione di Gordiano Lupi - www.infol.it/lupi

da - http://www.lastampa.it/2013/03/05/blogs/generacion-y/proibizioni-Ut9fqajJJ2JN8yCWY0XDhP/pagina.html
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« Risposta #28 inserito:: Marzo 15, 2013, 06:35:41 pm »

 15/03/2013

Piccante, piccante

 
Yoani Sanchez


Il Messico non consente mezze misure, non ammette indifferenza. È come il cibo piccante nella lingua, la tequila che scorre in gola e il sole negli occhi. Ho trascorso cinque giorni nella terra del serpente piumato e mi è costato fatica salire sull’aereo, un desiderio intenso mi spingeva a restare per continuare a esplorare una realtà affascinante e complessa. Ho visto edifici moderni a pochi metri dalle rovine del Templo Mayor; tremendi imbottigliamenti nelle strade, mentre sui marciapiedi le persone camminano con la calma tipica di chi non ha fretta di arrivare. Mi sono resa conto che i simboli funebri si alternano senza problemi alle tele dai colori vivaci in mezzo alla folla de La Ciudadela. Il Messico mi ha affascinato con la sua risata sarcastica, il cappello piumato e i fianchi in bella mostra. Qualcuno mi ha fatto provare una ghiottoneria, molto dolce, cosparsa di abbondante zucchero velato; ma quando ho assaggiato un tamal, il chili a contrasto con il palato mi ha fatto versare qualche lacrima. Il Messico non ammette sentimenti tiepidi, puoi soltanto amarlo. 

 

Tra tutti questi contrasti ho cominciato il mio viaggio azteco. Da Puebla a Città del Messico, ho incontrato amici e visitato diverse redazioni di periodici, emittenti radiofoniche e - soprattutto - ho parlato con molti colleghi giornalisti. Ho voluto conoscere da fonti di prima mano le soddisfazioni e i rischi che si corrono per fare informazione in questa società. Ho incontrato molti professionisti preoccupati, ma in ogni caso persone che lavorano. Gente che rischia la vita - specialmente al nord del paese - per produrre notizie, gente che come me crede necessaria una stampa libera, responsabile e aderente alla realtà. Ho imparato molto da loro. Al tempo stesso mi sono persa nel dedalo di negozietti e chioschi del centro città ed è lì che ho sentito pulsare la vita. Una vita che già percepivo nell’aria prima di atterrare, quando nella prime ore di sabato mattina ho notato quel gran formicaio di Città del Messico - le molte città che contiene - in piena ebollizione, nonostante fosse così presto. 

Per un momento ho avuto l’impressione di vivere un frammento del romanzo I detective selvaggi di Roberto Bolaño. Solo che non stavo cercando - come i protagonisti del libro - una poetessa di culto, smarrita nell’oblio. Stavo solo cercando di vedere e di scoprire il mio paese attraverso gli occhi dei messicani. E l’ho trovato. Un’Isola reinterpretata e molteplice, ma vicina; che scatena passioni ovunque e non lascia indenne nessuno. Un amico mi ha chiesto prima di partire: “Come trovi il Messico?”. Non ci sono stata tanto a pensare: piccante - ho risposto - come il gusto piccante che scuote il corpo e fa sgorgare lacrime di piacere e tormento. “E Cuba?” - ha incalzato - “Come la trovi?”… Cuba, Cuba è agrodolce…

 

Traduzione di Gordiano Lupi 

www.infol.it/lupi 

da - http://lastampa.it/2013/03/15/blogs/generacion-y/piccante-piccante-CiMHDzLroLWKjudrwNwpjM/pagina.html
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« Risposta #29 inserito:: Agosto 23, 2013, 11:40:43 pm »

 17/08/2013

Nobiltà e servitù

 
Yoani Sanchez


Mia nonna lavava e stirava per strada. Quando morì, a metà degli anni Ottanta, sapeva soltanto scrivere le tre lettere del suo nome: Ana. Per tutta la sua vita lavorò come collaboratrice domestica di una famiglia, persino dopo il 1959 quando la propaganda ufficiale si vantava di aver emancipato tutte le donne di servizio. In realtà, molte donne come lei, continuarono a lavorare nel servizio domestico senza copertura legale. Per me e per mia sorella, Ana passava parte delle sue giornate nella “casa di calle Ayestarán”, non dicevamo mai a voce alta che in quel posto la pagavano per pulire il pavimento, lavare i piatti e preparare il pranzo. Non la vidi mai lamentarsi, né venni mai a sapere che l’avessero maltrattata. 

Un paio di giorni fa ho udito una conversazione che contrasta con la storia di mia nonna. Una tronfia signora vestita con abiti costosi, raccontava alla sua amica - mentre bevevano vino bianco - come andavano le cose con la sua giovane domestica. Trascrivo qui, senza aggiungere neppure una parola, quel dialogo che mi ha lasciato un senso di repulsione e tristezza:
 

- Secondo quel che mi dici hai avuto fortuna.

- Sì, non mi posso lamentare, è vero. Susy ha cominciato a lavorare da noi quando aveva 17 anni e ne ha appena compiuti 21. 

- Il problema è che se adesso partorisce, la dovrai licenziare.

- No, lei conosce bene la situazione. Le ho già detto che se resta incinta perde il lavoro. 

- Sì. Ma tu sai che “la capra tira verso la montagna”. Può darsi che vada dietro a qualche uomo che vive nel paesino dove è nata. 

- Nemmeno per idea! In quel posto sperduto non ci va neppure in vacanza. Pensa che non hanno nemmeno la luce elettrica, il pavimento della casa dei genitori è di terra e ben quattro famiglie usano la stessa latrina. Lei ha visto un altro mondo da quando vive con noi. Inoltre non le manca niente. Deve solo ubbidirmi, non le chiedo altro. 

- Cominciano così, ma dopo si fanno altre idee e pretendono di più.

- Per il momento non potrebbe andare meglio. Ha mezza giornata libera la domenica sera per fare quel che crede, ma deve rincasare prima di mezzanotte. Nella maggior parte dei casi non esce neppure, perché non conosce nessuno all’Avana. Meglio così, perché non mi piacciono le cattive compagnie.”.

- Sì la strada è molto pericolosa. E poi è meglio che queste campagnole non la frequentino, perché imparano un sacco di cose.
- Apprendono troppo. Per questo controllo anche le chiamate telefoniche. Non vorrei che alla fine si rendesse conto di quel che non deve capire.

- Mi dicesti che aveva un fidanzato? Che fine ha fatto? 

- No, è tutto finito. Le abbiamo chiarito che non vogliamo visite di uomini in casa nostra. E lei, in verità, non può permettersi di innamorarsi, i miei figli le assorbono molto tempo. Il parco, i compiti per scuola, la pittura prima di andare a letto, la lettura di un racconto, un film da guardare insieme. Poveretta, quando va a letto deve essere matta.

- Caspita… puoi dirti davvero soddisfatta. Io non ho avuto fortuna, ogni volta che assumo una persona, non dura più di un mese.

- Se vuoi ti presento la sorella minore di Susy che sembra molto seria. 

- Quanti anni ha? 

- 15 anni, così la puoi educare come credi. 

- Sì, dai pure il mio telefono e dille che mi chiami. Ah…falle capire che se la assumo, le compro tutto: vestiti, scarpe. Ma se un giorno se ne va, non esce dalla mia casa neppure con una spilla. Fai in modo che lo comprenda bene, perché quando si montano la testa è impossibile domarle! 


Le due donne continuano a parlare e la bottiglia di vino è ormai arrivata oltre la metà. Riesco ad ascoltare una vanteria sulle oltre sessanta paia di scarpe che possiede il marito. Ridono tra loro e io sento alla bocca dello stomaco un tremito che conosco, l’ira repressa che mi provocano i prevaricatori. Esco in strada a prendere un po’ d’aria e vedo l’auto da dove sono uscite le “signorone”. Ha una targa verde che risalta sullo splendente color grigio metallico dell’auto. È la nuova classe aristocratica, la nobiltà in verde oliva, senza scrupoli né prudenza. Sputo sul parabrezza, per Susy, per Ana e per me. 

 

Traduzione di Gordiano Lupi 

www.infol.it/lupi 


da - http://lastampa.it/2013/08/17/blogs/generacion-y/nobilt-e-servit-dY8r1n7lKlVLAbSCHHK9SO/pagina.html
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