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Autore Discussione: Parla il neo-ministro della Salute. Ma conosce suoi problemi e le opportunità  (Letto 2661 volte)
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« inserito:: Gennaio 30, 2010, 09:53:41 am »

Non mi lascerò influenzare

di Daniela Minerva


La tutela dei malati non tocca al ministero ma alle Regioni. Il flop del vaccino era inevitabile.

Parla il neo-ministro della Salute.

Che espone il suo piano
 
Si è aperto tutto in salita il dicastero di Ferruccio Fazio chiamato a ricoprire il ruolo di ministro della Salute del IV governo Berlusconi. Fazio ha giurato davanti al presidente Napolitano il 15 dicembre del 2009 mentre il capo del governo giaceva colpito dalla statuetta del duomo di Milano. Così il giuramento è passato in sordina, con gli addetti ai lavori a sibilare che il professore milanese si trova a capo di un ministero che non c'è: Tremonti ha tenuto sotto la sua tutela la gestione economica della sanità, e Maurizio Sacconi ha ritenuto che la bioetica non fosse materia per la Salute ma per il suo Welfare. E per giunta a Fazio è caduta subito in testa la tegola Influenza A: è stato lui da viceministro a guidare la brigata antiepidemica lo scorso autunno, ha opzionato e comprato, per un totale di 184 milioni di euro, 24 milioni di dosi di un vaccino che solo 870 mila italiani hanno deciso di farsi inoculare nonostante i molteplici appelli e lo spot con Topo Gigio, che per suo conto è costato altri 2,5 milioni.

E così, oggi, l'influenza A appare per quello che è: un incongruo allarme costato milioni di euro, coronato da un rilievo della Corte dei conti che, controllando il contratto con Novartis Vaccines, si è chiesta come mai prevedesse di pagare anche se il prodotto non avesse ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio. È vero che la stessa Corte concludeva che «vista la somma urgenza dell'intervento, non procederà alla disamina dei punti sollevati dall'ufficio di controllo», ma resta il dubbio che quel contratto sia un po' troppo favorevole alla multinazionale svizzera. E Fazio è l'imputato numero uno.

È indubbio che la campagna vaccinale sia stata un costoso flop.
«Tutti, Oms e altri paesi europei, hanno preso questo virus nuovo molto seriamente. Un agente patogeno sconosciuto è sempre una cosa inquietante, proprio perché è sconosciuto. In base al principio di precauzione non potevamo fare altrimenti: la gente costruisce le case antisismiche e poi nessuno protesta se il terremoto non arriva. L'influenza è stata molto più leggera del previsto, per fortuna; e gli italiani hanno deciso che non valeva la pena di vaccinarsi. E se poi fosse stata forte?».

Per quanto nuovo, questo è un virus influenzale, possibile che non si potesse prevedere nulla?
«Guardi che noi abbiamo comprato molti meno vaccini di altri paesi. La Francia ne ha presi il doppio di noi».

Alla Corte dei conti non è piaciuto il contratto con Novartis.
«La Corte è serenissima. Il contratto lo hanno fatto i miei funzionari, io non so neanche come si fa un contratto. E per quanto riguarda i costi: bisogna giudicare alla fine».

L'epidemia è finita.
«E da 24 milioni di dosi dobbiamo arrivare ad averne in magazzino qualche milione, che è quanto normalmente resta dopo una campagna per l'influenza stagionale».

Come fa: li restituisce a Novartis? Non ritira quelli opzionati?
«Le possibilità sono tante. Vedremo».

L'affaire Novartis è solo una delle rogne che ha dovuto affrontare appena arrivato. Penso ai casi di malasanità che hanno investito le cronache a inizio anno. Il ministero della Salute non dovrebbe essere il garante del buon funzionamento del servizio sanitario nazionale?
«Non vorrei, rispondendo, andare a interferire con l'autonomia delle regioni che mi potrebbero dire "stai al tuo posto, tu non sei garante di niente". Il ministero può dare atti di indirizzo, ma l'autonomia delle regioni in materia di sanità è totale».

Se un cittadino calabrese o siciliano non vede soddisfatto il suo diritto alla cura, il ministro della Salute non c'entra?
«Finché non c'è il commissariamento, il governo non ha alcun tipo di autorità. Ce l'hanno le regioni. E senza una reale collaborazione con le regioni non è possibile fare buona sanità».

Ma un ministero senza denari, senza la leva del bilancio che serve a raddrizzare le regioni, come fa a garantire il corretto funzionamento del sistema?
«Cosa vuol dire senza denari? Noi lavoriamo di concerto con l'Economia che ha la responsabilità delle questioni di bilancio. Ma ci sono 1.400 milioni a disposizione del ministero della Salute da attribuire alle regioni per iniziative vincolate. Poi ci sono i piani di rientro che sono di nostra competenza».

A oggi non è che i piani per le regioni in rosso (Abruzzo, Sicilia, Campania, Lazio, Liguria e Molise) si siano tradotti in un miglioramento della sanità.
«In termini economici certamente sì: l'incremento della spesa in percentuale sul Pil è sceso al 2,8».

E in termini di qualità dell'assistenza?
«La buona sanità costa meno della cattiva sanità. Non serve buttare soldi in un sistema sbagliato, bisogna cambiarlo. Deve essere chiaro che nell'operazione piani di rientro ci sono due aspetti distinti: il conto economico e la ristrutturazione della rete di assistenza. Un esempio pratico sono i due subcommissari che abbiamo creato in Abruzzo: uno ha il compito di controllare il rigore della spesa, e l'altro deve invece fare il progetto per rimodulare il sistema. L'obiettivo è arrivare a una rete virtuosa, diminuendo il numero delle Asl, tagliando i posti letto inutili e utilizzati male, eliminando gli sprechi».

E i cittadini saranno contenti? Non c'è il rischio che i tagli siano di fatto tagli all'assistenza e basta?
«Sono contenti i cittadini di Cividale del Friuli? O quelli di tutte le regioni, dalla Lombardia al Veneto all'Emilia-Romagna alla Toscana, che hanno fatto la rivoluzione necessaria a modernizzare la sanità? Magari allora hanno protestato, si sono sentiti maltrattati, ma oggi sono contenti. Abbiamo modelli di buon governo e dobbiamo applicarli nelle parti del paese dove la sanità è in crisi. Saranno lacrime e sangue, ma ci si deve riuscire».

A questo serve il ministero? A proporre e implementare soluzioni per la modernizzazione del Paese?
«Sì. E ci stiamo riuscendo: abbiamo, per questo, trasformato l'Agenas (l'Agenzia per i servizi sanitari regionali) dandole la funzione di controllo, mettendola in grado, grazie alla informatizzazione delle Asl, che è in corso, e al fascicolo elettronico personalizzato che a breve istituiremo con un decreto legge, di avere tutti i dati in tempo reale».

E di tutti questi dati cosa ce ne facciamo?
«Li usiamo per migliorare i servizi. Se vediamo, ad esempio, che in un certo ospedale si fanno ricoveri impropri, la regione può intervenire. Il malato non deve andare troppo in ospedale, e per questo vogliamo cambiare il percorso del cittadino che si ammala, a partire dal gate keeper, il medico di base che deve arrivare a gestire gran parte della vita sanitaria di ognuno. Gli studi saranno operativi 24 ore su 24, dotati di tutta la strumentazione possibile per la prima diagnostica di modo da evitare il più possibile il ricorso all'ospedale».

Ma la realtà è quella dei medici di base che fanno studio pochi pomeriggi a settimana, che scrivono ricette senza sapere che faccia ha il paziente...
«Sono convinto che queste sono eccezioni».

Professore, è un peccato che non le abbiano dato la delega alla bioetica.
«È stata una decisione del Consiglio dei ministri. Deve chiedere a chi ha preso questa decisione, per me rispettabilissima ».

Non le interessa più di tanto: forse perché lei è un uomo moderno e in questo Paese la bioetica è premoderna?
«Postmoderna, anche. Mi vengono in mente quei film di fantascienza che mischiano alieni, viaggi nel tempo. E sono tutti in costume medioevale»

(27 gennaio 2010)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/non-mi-lascero-influenzare/2119930//1

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Il costo della salute
Incremento percentuale della spesa sanitaria pubblica, (tra parentesi la spesa corrente in milioni di euro)

Fonte: Relazioni Generali sulla situazione economica del Paese, ministero della Salute

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