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Autore Discussione: Luigi MANCONI -  (Letto 2920 volte)
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« inserito:: Gennaio 08, 2010, 07:03:17 pm »

La doppia forza di Emma

Luigi Manconi


Qui – e grazie al cielo, non solo qui, anzi... - ci auguriamo con tutte le forze che Emma Bonino sia la candidata dell’intero centrosinistra alla presidenza della regione Lazio. Può vincere, la Bonino? Certo, può vincere pur in una competizione che si annuncia assai difficile. La Bonino ha due vantaggi: a) può raccogliere i consensi più ampi all’interno della sinistra fino alle componenti estreme, sollecitando al voto settori tentati dall’astensionismo o spazientiti (e come potrebbero non esserlo?) dalle infinite vicissitudini che travagliano il Pd; b) può attrarre i voti di tutti coloro che “ma la Polverini non è poi così male”. Sì, la Polverini “non è poi così male”: ed è il miglior frutto dell’ormai avvizzito campo della destra italiana. E allora? La fine delle ideologie e la crisi delle categorie classiche di destra e di sinistra solo ai superficiali, o agli imbroglioni, può apparire come il declino di qualunque differenza tra due aree che restano in conflitto, quella di centrodestra e quella di centrosinistra. E solo i neofiti di tutte le mode  possono credere che “trasversale” sia un concetto da enfatizzare acriticamente, quasi fosse, che so, la Transavanguardia di Achille Bonito Oliva. Certo, le posizioni della Polverini sull’immigrazione o sugli ammortizzatori sociali non sono incomparabilmente diverse dalle mie: ma so che è la candidata di uno schieramento, dove le sue opzioni sono irreparabilmente minoritarie e le posizioni lì prevalenti sono, su altre questioni, nemiche (sì, nemiche) delle mie. E quelle posizioni del centrodestra hanno a che fare con il governo della regione? Hai voglia che ce l’hanno. Dunque, cosa si aspetta a indicare Emma Bonino come candidata? Si decida, insomma.

A proposito di Radicali. Qualche tempo fa Nichi Vendola, li definì “incompatibili” con il proprio schieramento. È un giudizio che sento ripetere da decenni all’interno della sinistra. Chi lo formula, in genere, contesta le posizioni dei Radicali in materia di politica estera oppure in materia di politica economica. Queste ultime sono le posizioni che una certa sinistra - come scrive Daniela Preziosi in una bella intervista a Emma Bonino sul Manifesto - definisce ultraliberiste. Confesso di aver avuto anch’io qualche pregiudizio in tal senso, ma ho dovuto ricredermi analizzando più a fondo le scelte dei Radicali, che sono semplicemente liberali, ma collocate all’interno di una concezione che prevede un sistema di welfare non solo più moderno (più adeguato alla nuova composizione sociale), ma soprattutto più universalistico di quello attuale. In ogni caso, che vi siano differenze rilevanti è un elemento naturale, e ineludibile, di tutte le coalizioni. Ma c’è il rischio che quelle differenze siano frutto esclusivo di stereotipi.

Si prenda la questione dell’immigrazione. L’intera sinistra e, in particolare, le sue componenti estreme, sono state completamente assenti e silenziose di fronte alle radicali (in tutti i sensi) vertenze sul tema, condotte nello scorso anno dai Radicali. In ultimo, lo sciopero della fame, attuato da centinaia di immigrati regolari, perché i tempi previsti dalla legge (45 giorni) per il rilascio o il rinnovo del titolo di soggiorno, siano rispettati (oggi l’attesa arriva fino a 15 mesi). Come si vede, si tratta di una battaglia tipicamente di sinistra, anche secondo i più classici canoni: e questo consente di leggere il repertorio di obiettivi e di metodi dei Radicali sotto una luce diversa. Si può scoprire, così, che forse si tratta proprio della più efficace e coerente, matura e intransigente politica di sinistra oggi praticabile: e proprio perché affonda le sue radici nelle contraddizioni più acute e qualificanti del sistema di cittadinanza contemporaneo e delle attuali relazioni tra individuo e Stato.

Testamento biologico e diritti dei detenuti, condizione dei migranti e critica dei proibizionismi sono altrettanti temi che rimandano direttamente alle questioni cruciali del rapporto tra autodeterminazione individuale e diritto alla cura, tra libertà personale e sicurezza collettiva, tra inclusione e marginalità, tra proibizione e responsabilità. Queste contraddizioni unitamente a quelle derivanti dalla nuova stratificazione del lavoro e del non lavoro, pongono su basi diverse le questioni di sempre dell’eguaglianza e della libertà.

E allora, delle due l’una: o si rinuncia a qualunque idea di sinistra, oppure dove altro mai fondare quell’idea se non sui temi radicali dei Radicali?

In una prossima rubrica argomenterò perché, a mio avviso, la candidatura di Emma Bonino non allontana “il voto dei cattolici”. Anzi.

08 gennaio 2010
da unita.it
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« Risposta #1 inserito:: Marzo 20, 2010, 08:51:40 am »

L’arte di non essere Berlusconi


Antonio Di Pietro rivolto a Ignazio La Russa: «Perché non guardate la trave nel vostro occhio invece di guardare lo stuzzicadenti?».
Lo stuzzicadenti? Ma in che razza di vangelo apocrifo il leader dell’Italia dei Valori ha imparato il catechismo?

***

Non è la prima volta che mi capita, ma in questa occasione il dubbio si è manifestato più insidioso: e se avessero ragione gli altri? Ovvero quelli che, all’interno della sinistra, coltivano un’idea della lotta politica totalmente diversa dalla mia. Ripeto: mi accade di pensarlo frequentemente, ma stavolta l’idea che sia io a sbagliare tutto si è fatta più incalzante. Mi spiego. Parto da due fatti accaduti la scorsa settimana. Il primo: la sentenza della Corte di Cassazione che ha affermato come l’interesse alla sicurezza (identificata con l’espulsione degli immigrati irregolari) debba prevalere su quel bene pubblico che è il diritto dei minori stranieri a frequentare una scuola e a ricevere un’istruzione. Il secondo: il presidente del Consiglio ha esercitato pressioni per ottenere la chiusura di Annozero. A scanso di equivoci: considero quest’ultima azione a dir poco gravissima (oltre che un po’ ridicola) e mi auguro, di cuore, che quelle e altre simili pressioni non abbiano alcun esito. Ma, se dovessi stilare una gerarchia di importanza tra i due fatti e, dunque, scegliere quello su cui concentrare maggiori energie e risorse, iniziativa e mobilitazione, non avrei il minimo dubbio: scelgo il primo.

Il mio smarrimento, e la sensazione che mi sto sbagliando di brutto, nasce dalla constatazione che praticamente tutti, ma proprio tutti, all’interno della sinistra nelle sue diverse articolazioni, e tutti i giornali, ma proprio tutti, nella pluralità delle posizioni (Unità, Repubblica, Europa, Manifesto, Liberazione, Fatto...), scelgono come largamente prevalente il secondo episodio. Dunque, forse hanno ragione loro. Eppure, gli sforzi di autoconvincimento fatti nel corso di tutta una settimana non sono bastati a persuadermi del mio torto, e i dubbi restano. La prima risposta che mi viene offerta, e che dovrebbe tranquillizzare, la trovo zoppicante. Si dice: ma se non ci fosse Berlusconi, le cose andrebbero meglio anche per gli immigrati. Dunque, per contrastare gli effetti velenosi di quella sentenza della Cassazione, il primo e principale bersaglio rimane sempre Berlusconi. Contesto proprio l’assioma: senza l’attuale premier, non è detto che la condizione degli stranieri in Italia migliorerebbe (io li ricordo bene, gli anni precedenti il 1994). E, in ogni caso, siamo proprio sicuri che – per sconfiggere il governo Berlusconi – non si debba aggredire preliminarmente l’ideologia della discriminazione etnica, alimentata dal centro destra e che finisce col rafforzare e legittimare il centro destra stesso? Pertanto, nella mia personale gerarchia delle priorità è quella sentenza della Cassazione la prima preoccupazione e il primo obiettivo. A questo punto mi si può obiettare: la politica affronta gli avversari politici e non le sentenze della magistratura. Ma questo, lungi dal tranquillizzarmi, inquieta ancora di più. La sinistra, noi, questa congrega che siamo - di sbandati e irriducibili, di masochisti e sconfittisti, di speranzosi e pugnaci, e anche di molte cose buone – abbiamo maturato un atteggiamento tutto rispettabile e benpensante, bacchettone e codino, in ragione del quale “le sentenze non si discutono”. Ma quando mai! E poi, quelle sentenze fanno parte intimamente di un clima sociale dove, se ti capita di litigare con un immigrato, la sera dopo gli organizzi un bel raid, per fargliela vedere.

Ciò che voglio dire, insomma, è che il berlusconismo come senso comune e cultura condivisa precede il movimento politico Forza Italia e, in larga misura, ne prescinde, penetrato com’è nei comportamenti quotidiani e nelle opzioni ideologiche delle istituzioni e delle amministrazioni, degli operatori della giustizia e di quelli dell’ordine pubblico, dei facitori di opinione e delle agenzie della socializzazione (dalla scuola al sindacato). E allora, davvero crediamo che una migliore qualità della vita collettiva e una tutela rigorosa dei diritti (da quelli civili, correlati all’autonomia individuale, a quelli sociali, come la formazione e il lavoro) possano dipendere dalla sconfitta di Silvio Berlusconi? Quella sconfitta è condizione ineludibile, ma se nel frattempo non siamo stati in grado di vincere - come recita la battuta di Gian Piero Alloisio, riportata da Giorgio Gaber - oltre che il Berlusconi in sé, “il Berlusconi in me” (e in tutti noi), l’esito sarà fatale. A Berlusconi Primo succederà Berlusconi Secondo.

19 marzo 2010
Luigi Manconi

da unita.it
« Ultima modifica: Gennaio 20, 2013, 11:15:22 pm da Admin » Registrato
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