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Autore Discussione: Loretta Napoleoni Se la propaganda terroristica fa comodo agli Usa e a Bin Laden  (Letto 2272 volte)
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« inserito:: Gennaio 02, 2010, 12:28:01 am »

Se la propaganda terroristica fa comodo agli Usa e a Bin Laden

di Loretta Napoleoni


Alla fine del 2009 Al Qaeda torna a comparire sulle prime pagine dei quotidiani in relazione ad alcuni attentati e rapimenti. Il presidente Obama rilascia dichiarazioni sulla minaccia terrorista ed Osama Bin Laden torna a far circolare dichiarazioni anti-americane. Ci troviamo di fronte ad una ripresa del terrorismo transnazionale che tanto piace ad Al Qaeda, oppure si tratta della solita propaganda che tende ad ingigantire in casa nostra la minaccia del famigerato saudita? La risposta va ricercata nello strano rapporto che da quasi un decennio lega i due nemici: gli Stati Uniti d’America e Al Qaeda.
Verso la fine del 2003, quando in Iraq scoppia la violenza settaria tra sciiti e sunniti e le forze di coalizione si ritrovano a combattere contro un nemico elusivo e micidiale, cioè i jihadisti di Al Zarqawi, Osama Bin Laden rilascia una dichiarazione storica. In uno dei tanti video che arrivano alla redazione di Al Jazira afferma che all’apparenza George W. Bush e Al Qaeda cooperano perché mirano a raggiungere lo stesso obiettivo: creare un clima di paura globale. Dall’11 settembre in poi terrorizzarci fa infatti comodo ad entrambi.

L’amministrazione Bush usa l’arma della paura per giustificare l’attacco preventivo in Iraq. Nel febbraio 2003, durante il famoso discorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, Colin Powell, l’allora segretario di Stato americano, crea dal nulla il mito di Al Zarqawi, che diventa un superterrorista. Lo presenta al mondo come il legame che esiste tra Saddam Hussein e Osama Bin Laden, è questa infatti la prova che i due sono alleati, e tutti naturalmente ci credono. Oggi sappiamo che si trattava soltanto di menzogne, Al Zarqawi non faceva neppure parte di Al Qaeda e Saddam Hussein addirittura temeva Bin Laden.
La propaganda della paura è anche l’arma che subito dopo l’intervento armato contro l’Afghanistan, che distrugge sia Al Qaeda che il regime talebano, il saudita usa per trasformare quest’organizzazione nel primo marchio terrorista internazionale. I video, le dichiarazioni ed i comunicati che come un nubifragio allagano le redazioni dei giornali e delle televisioni hanno lo scopo di tenere alta la tensione. L’Al Qaedismo diventa così un ombrello ideologico che dà vita ad una nebulosa di gruppuscoli armati che vogliono emulare la madre di tutti gli attentati, l’11 settembre. A motivarli è naturalmente la presenza delle forze di coalizione in Afghanistan ed in Iraq, non certamente la propaganda di Bin Laden, che per i giovani potenziali jihadisti suona sempre più assurda ed incomprensibile.

Caratteristica comune di questi gruppi è l’assenza di professionalità e la faciloneria con la quale pensano di poter riprodurre, anche se su scala ridotta, la tragedia delle due torri. A parte l’attentato di Madrid nel marzo del 2004 e quello di Londra a luglio dell’anno dopo nessuno va in porto. C’è poi un ulteriore elemento che accomuna i jihadisti del dopo 11 settembre, tutti operano all’interno di gruppi compartimentalizzati, sono cioè indipendenti e privi di contatti tra di loro o con il nucleo storico di Al Qaeda, che dopo la sconfitta a Tora Bora si è rifugiato in Waziristan.
La poca professionalità e l’isolamento sono la chiave di lettura del fallito attentato aereo di questa settimana, quello che ha suscitato le dichiarazioni del presidente Obama e che ha risvegliato dall’apatia dell’esilio Bin Laden. A quanto ci viene detto a progettarlo è un gruppo ubicato nello Yemen, Al Qaeda nella Penisola Arabica, appartenente quindi alla nebulosa dell’Al Qaedismo. E’ questa l’ennesima sigla contenente il marchio di Bin Laden e composta di gente esaltata, indottrinata che non possiede la professionalità necessaria per portare a termine con successo un attacco. Sebbene l’intenzione fosse quella di far esplodere sui cieli dell’America un aeroplano con 300 persone a bordo, l’attentatore non solo cerca di far esplodere l’esplosivo mentre è circondato dai passeggeri ma finisce per darsi fuoco. La tragedia è stata evitata perché fortunatamente ci troviamo ancora una volta di fronte a terroristi incompetenti.
Sull’altra faccia della medaglia troviamo i servizi di sicurezza americani, anche loro non hanno dato prova di grande professionalità. Il giovane attentatore nigeriano, Umar Farouk Abdulmutallab, compare su una delle tante liste del terrore ciononostante riceve il visto d’ingresso negli Stati Uniti. Non finisce neppure nella no-flying list, l’elenco di coloro a cui è vietato volare perché sospettati di avere qualche legame con organizzazioni armate. Nessuno poi bada al fatto che il padre, un ricco banchiere, poco tempo fa aveva allertato i servizi segreti nigeriani che il figlio era caduto nella rete dell’indottrinamento di un gruppo che progettava attentati contro le ambasciate statunitensi nel mondo mussulmano, Al Qaeda nella Penisola Arabica appunto.

Falliti attentati, incompetenze, dubbia professionalità sembrano caratterizzare il comportamento sia di chi ci vuole distruggere e di chi invece dovrebbe difenderci. Questo il sunto di quanto sta accadendo. Eppure il mancato attentato aereo diventa una sorta di scampato secondo 11 settembre. La macchina propagandistica statunitense e quella di Bin Laden si mettono subito in moto e tornano ad usare la paura quale arma principale.
Il marchio Al Qaeda permette a Bin Laden di legarlo agli attentati di dicembre ed al rapimento di due italiani avvenuti in Mauritania, anche questi rivendicati da un appartenente alla nebulosa del terrore: Al Qaeda nel Magreb. E nel giro di pochi giorni si parla di ripresa dell’attività di Al Qaeda vicino a casa nostra, nel Magreb, appunto. Eppure tutti i rapimenti avvenuti negli ultimi 12 mesi in questa regione, tra Mauritania e Mali, tra cui tre sauditi e due canadesi che lavoravano per le Nazioni Unite, sono stati tutti orchestrati da gruppi criminali e non da Al Qaeda.
La dicotomia Usa-Al Qaeda è dunque tornata prepotentemente alla ribalta senza una vera base, senza cioè che ci siano prove inconfutabili della sua esistenza, sulla base della paura. Domandiamoci perché ciò avviene ed a chi fa comodo. La risposta alla prima domanda rientra nella tipologia classica del bene e del male: in un momento in cui l’Occidente ancora si lecca le ferite della recessione creata dalla scelleratezza di Wall Street far quadrato contro un nemico diabolico come Al Qaeda, un avversario che vuole distruggerci ci tonifica e ci distrae dalle conseguenze disastrose della crisi economica.
Per rispondere alla seconda domanda bisogna fare un salto in Pakistan, dove negli ultimi tre mesi gli attentati terroristici sono diventati una ricorrenza quasi quotidiana. Dall’inizio di settembre ce ne sono stati ben 25, tutti con un numero considerevole di vittime. La causa si chiama Afghanistan, la rimonta dei Talebani sotto il naso delle truppe di coalizione, sta destabilizzando il Pakistan.
Gli attentati non portano il marchio Al Qaeda ma quello Talebano. E questo è un durissimo colpo non solo per gli americani ma per Osama Bin Laden, la cui organizzazione è passata ormai in seconda linea.

Naturalmente Barack Obama non è Bush, ma come Bush deve giustificare una guerra che l’America non riesce a vincere, una guerra che altro non e’ che la risposta all’11 settembre. Ebbene a buttar giù le due Torri non è stato un commando di talebani ma Al Qaeda. Obama, come il suo predecessore sfruttata qualsiasi opportunità, come appunto il fallito attentato aereo, per ricordare agli americani che si combatte in Afghanistan una guerra che altrimenti imperverserebbe in America, una guerra contro Al Qaeda. Nello stesso modo, anche Osama Bin Laden sfrutta qualsiasi attacco rivendicandolo per giustificare il suo ruolo di icona contro la minaccia statunitense nei territori del Califfato. E a facilitare questa propaganda è proprio il marchio Al Qaeda.

Il vero pericolo non è un nuovo 11 settembre, né le mille imitazioni di Al Qaeda, ma l’effetto destabilizzante della guerra in Afghanistan nell’Asia centrale e l’avanzata dei Talebani. È in questa regione che gli occidentali continuano a morire ed è in questa parte del mondo che l’America rischia di riprodurre l’altra grande tragedia nazionale del dopoguerra: la guerra del Vietnam.

30 dicembre 2009
da unita.it
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