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Autore Discussione: Ricordate?: quando si parlava di "Sistema Italia".  (Letto 2525 volte)
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« inserito:: Dicembre 30, 2009, 05:32:05 pm »

Franco Astengo,   29 dicembre 2009, 10:22

C'era una volta il sistema Italia

Ricordate?: quando si parlava di "Sistema Italia".


Era l'era del craxismo rampante, della "Milano da bere", dei distretti del "Made in Italy", delle vertiginose scalate finanziarie; proseguì nel periodo in cui Montezemolo ricoprì l'incarico di presidente della Confindustria, lasciato con qualche velleità iniziale di prosecuzione in politica

Ebbene, qual'è alla fine il bilancio di quell'avventura, al di là anche del turbine suscitato dal rapporto di corruzione instaurato tra economia e politica, che sicuramente "Tangentopoli" non ha debellato?
Vediamo le cronache di questi giorni: fine Dicembre 2009, al centro di una crisi economico - finanziaria internazionale che dura ormai da due anni e che non analizziamo in questa sede se non per dire che sono tornati di moda due "ferrivecchi" che la globalizzazione (per tutti, pro o contro: global e no-global. Wall Street e Porto Alegre) avrebbe dovuto spazzar via. Lo "Stato Nazione" e l'intervento pubblico in economia.

Andiamo per ordine, tralasciando anche l'esame del ritorno al keynesismo, invocato da molti, anche da imprevisti "pentiti" del liberismo globale, già aficionados dei "Chicago Boys".
"Keynesisimo" che, in quell'ottica finisce con il riempire di soldi quanti hanno provocato lo sonquasso.
Partiamo dal "Sistema Italia": appare completamente saltato il complesso delle infrastrutture che dovrebbero servire la mobilità del Bel Paese.
E' stato sufficiente un accenno di "generale Inverno" per bloccare tutto: ferrovie, strade, autostrade, aeroporti, traghetti.
Particolarmente colpite le ferrovie, dove più la privatizzazione ha lavorato per distruggere il sistema, ma nel complesso l'esito è stato omologo: materiale obsoleto, nessun ricambio, personale scarso, risorse concentrate nella visibilità.

Questo bilancio mi pare incontestabile e fa scaturire una prima domanda: in tempi in cui la stessa "competizione europea" reclama una struttura dell'economia nazionale adeguata ai livelli di scontro, è possibile arrivare a risultati almeno sufficienti con un sistema di infrastrutture come questo?
In secondo luogo va esaminato l'assetto del territorio: si tratta di un discorso vecchio, legato anche (e molto) alle scelte di carattere locale, alla cementificazione, alla distruzione dell'ambiente: ebbene dall'assetto idrogeologico, alla realtà paesaggistica, alle condizioni dei centri urbani, agli acquedotti, alle reti dei servizi, alla raccolta dei rifiuti, alla risposta alle emergenze che pure affliggono il nostro territorio con drammatica regolarità , tutto appare legato ad un filo, alla buona volontà dei singoli capaci di contrastare, là dove può essere possibile, la corsa sfrenata al profitto negli ambiti più delicati della vita dei cittadini.

Scuola, Sanità, Università, Ricerca: sarebbe lungo entrare nel merito di ciascun aspetto che meriterebbe di essere trattato a fondo; si sono creati disparità pesantissime; si sono agiti aspetti di "federalismo" del tutto incongrui; anche in questo caso vanno segnalate enormi concentrazioni di risorse per favorire profitti privati, anche se, in mezzo ad una situazione di questo genere c'è chi fa miracoli e realizza punte di eccellenza.
La Pubblica Amministrazione, nella quale la maggior parte dei servizi si sta "esternalizzando" con il risultato di far crescere la precarizzazione degli operatori e la difficoltà a rispondere concretamente alle esigenze dei cittadini, cui si cerca di far corrispondere una falsa "modernizzazione".
Il bilancio si fa ancora più negativo se guardiamo alla situazione della produzione industriale: gli operai ci sono ancora, e, come nel caso di Termini Imerese, fanno parlare soltanto per la loro disperazione.

Ma non c'è più l'industria italiana: la siderurgia consegnata ai privati attraverso scelte sbagliate e miopia anche sotto l'aspetto dell'individuare tempestivamente tempi e modi dell'innovazione tecnologica; chimica, divorata dalla corruzione ben prima di Tangentopoli e dall'incapacità di affrontare seriamente il nodo del rapporto ambiente/lavoro; elettronica, abbandonata per dedicarsi alle attività editoriali; perfino l'agroalimentare divorato dalla corruzione.

Quanto all'energia, adesso non si trova di meglio che rilanciare l'idea del nucleare, senza aprire un dibattito serio sulle condizioni reali della tecnologia in questo campo e della sua applicabilità nelle condizioni date del nostro paese.

Intanto il lavoro più umile e utile è svolto in gran parte da immigrati, cui si tende a rendere la vita sempre più difficile e gli infortuni sul lavoro continuano a rappresentare una piaga eccessiva da sopportare, in particolare in settori come l'edilizia e la portualità.

Tutto questo elenco della spesa, sicuramente sommariamente stilato, per dire una cosa soltanto: ecco di cosa dovrebbe occuparsi un'idea di alternativa politica capace di leggere i dati della crisi, verificare le condizioni reali in cui è necessario si muova ancora adesso lo Stato - Nazione, acquisire una capacità programmatoria complessiva e di ripresa di intervento diretto in alcuni settori.

Il Sindacato? La CGIL appare sulla via dell'isolamento. Questo è il dato più importante, sotto questo aspetto. L'obiettivo deve essere quello di recuperare la capacità contrattuale, comprendendo appieno che le condizioni materiali di lavoro sono - appunto - materiali e non "post-materialiste" e che non si tratta di difendere soltanto i più "garantiti".

In queste condizioni presunti "garantiti" e presunti "non garantiti" sono dalla stessa parte: quella di dover lottare all'interno di quella che rimane la "contraddizione di classe".

da aprileonline.info
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