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Autore Discussione: CARLO D'INGHILTERRA La natura si vendica  (Letto 2564 volte)
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« inserito:: Dicembre 16, 2009, 03:13:53 pm »

16/12/2009

La natura si vendica
   
CARLO D'INGHILTERRA


Il vertice di Copenhagen costituisce, credo, uno dei passi più importanti del nostro tempo perché, se non limitiamo l’impatto sull’atmosfera del pianeta, ci aspettano conseguenze terribili.

La sfida da raccogliere non è semplicemente politica e tecnologica, ma coinvolge anche la nostra volontà di cooperare e la capacità di cambiare modo di pensare.

Attualmente noi riteniamo di dover scegliere tra sviluppo economico e protezione degli ecosistemi. Il riscaldamento climatico è un tipico esempio del nostro modo sbagliato di affrontare il problema: esso non è un’alternativa allo sviluppo economico, ma un «moltiplicatore di rischi», un fattore che diminuirà la nostra capacità di migliorare il benessere dell’umanità.

Per esempio, mettere fine alla povertà affinché ciascuno abbia la possibilità di condurre una vita decente costituisce già una sfida ambiziosa. Ma la rapidità del riscaldamento climatico la renderà ancora più difficile. La sicurezza alimentare è già minacciata dall’erosione dei suoli e dalla fiammata dei prezzi del petrolio e del gas che alimentano l’agricoltura industriale, mentre la domanda aumenta per l’aumento della popolazione e l’evoluzione delle abitudini alimentari. Ma il riscaldamento climatico non farà che esacerbare questa situazione insostenibile.

Per tutte queste ragioni mi pare si debba adottare un nuovo approccio, partendo da una visione del mondo com’è davvero, accettando anche il fatto che l’economia dipende dalla natura e non viceversa. Dopotutto la natura costituisce il capitale su cui si fonda il capitalismo, come dimostrano le foreste vergini tropicali, rifugio di più della metà della biodiversità terrestre, dalla quale, ci piaccia o no, dipende la nostra sopravvivenza. E’ per questo che il mio progetto «Rainforests» (foreste tropicali) si è tanto speso negli ultimi due anni per un accordo internazionale contro la deforestazione. Lo scorso aprile, a margine del G20 di Londra, ho invitato i capi di Stato e di governo a una riunione a St James, dove si è deciso di creare un nuovo gruppo informale che studi il modo di combattere le radici economiche della deforestazione.

Ricompensando finanziariamente i Paesi che riescono a far regredire il disboscamento (o lo evitano), faremmo in modo che i Paesi ricchi di foreste primarie attuino strategie di sviluppo sostenibile, senza dover dipendere dalle attività economiche che le sfruttano.

Ricorrendo - oltre che ai finanziamenti pubblici - a strumenti finanziari innovativi e a investimenti a lungo termine sostenuti dalla banche multilaterali di sviluppo, grandi superfici già degradate potrebbero essere recuperate e accrescere la produzione alimentare. Parallelamente verrebbero liberati fondi per finanziare nuovi programmi di salute e di istruzione, come pure modelli di sviluppo rurale integrato. Il mondo finanzierebbe così i servizi vitali resi dagli ecosistemi, sui quali contiamo tutti per assicurarci la sopravvivenza economica, materiale e spirituale. L’idea che il mondo debba pagare questi servizi (nonostante già si paghino acqua, gas ed elettricità) non è nuova. Sembra comunque che finalmente molti siano d’accordo, considerandolo un modo per ridurre le emissioni di gas serra e guadagnare tempo prezioso nella nostra battaglia contro la catastrofe del riscaldamento climatico.

Iniziative di questo genere, comunque, non sono che una parte della soluzione e da sole non basterebbero. Quanto più ci allontaniamo dalla natura ricorrendo alla tecnologia per risolvere i nostri problemi, tanto meno vediamo le nostre difficoltà così come sono, cioè il risultato della perdita dell’equilibrio e dell’armonia con i ritmi della natura, i suoi cicli e le limitate risorse. Il fatto che consideriamo l’economia separata dalla natura non è che uno dei segni di questo squilibrio.

Riannodare i fili con la natura, riallineare le nostre società e le nostre economie alle sue possibilità: questa, secondo me, è la vera sfida. Il vertice di Copenhagen contribuirà, spero, a un cambiamento profondo, con un piano di transizione verso un’economia pulita, con obiettivi ufficiali e tecnologie ben definite. Non è di queste che il mondo manca, ma dello stato d’animo necessario per fronteggiare la situazione.

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