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Autore Discussione: Ciampi: «Il premier venne a implorarmi di accettare un secondo mandato»  (Letto 2449 volte)
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« inserito:: Dicembre 11, 2009, 04:41:55 pm »

L'INTERVISTA

Ciampi: «Il premier venne a implorarmi di accettare un secondo mandato»

«L'ho ricevuto con Letta nel 2006. A parte un biennio nel Partito d'azione sono sempre stato uomo delle istituzioni»

   
ROMA - Presidente Ciampi, ci risia­mo: Berlusconi rinnova gli attacchi a magistratura, Csm, Consulta e soprat­tutto al Quirinale, comprendendo pure il periodo in cui lei ne fu inquilino. La sua tesi è che queste istituzioni sarebbe­ro infestate dalla sinistra e dunque ne­miche del governo.
«Faccio fatica a commentare sortite co­sì inqualificabili, che riflettono tempi molto tristi. Certo, ognuno è responsabi­le di ciò che fa e dice e, nel caso di un politico, sta ai cittadini esprimere un giu­dizio. Ma stavolta ci sarebbe quasi da va­lutare anche se chi lancia questo genere di accuse sia davvero 'compos sui', vale a dire pienamente padrone di sé. Per quel che mi riguarda, poi, mi verrebbe voglia di rivolgere una domanda al premier: per­ché mai venne nel mio studio, il pomerig­gio del 3 maggio 2006, accompagnato da Gianni Letta, a implorarmi di accettare il rinnovo del mandato da capo dello Stato? Perché lo fece, se mi considerava un uo­mo di parte, di sinistra?».

Non ha pensato che fosse magari un platonico omaggio alla sua popolarità, allora ai massimi secondo tutti i son­daggi? O, chissà, una mossa per verifi­care se ci poteva essere la spiazzante sorpresa di una sua candidatura?
«Tutto è possibile, ma io preferisco re­stare ai fatti. E insisto: perché Silvio Berlu­sconi si è sgolato per più di un'ora, quel giorno davanti a me, per scongiurarmi di restare al Quirinale, promettendomi il suo pieno appoggio, quando avevo già fatto sapere con chiarezza di considerare sbagliata l'idea stessa di un secondo set­tennato, nella forma-Stato repubblica­na?».

La recriminazione è sempre la stes­sa: da Scalfaro in poi il Colle avrebbe «infiltrato» delle toghe ros­se nella Corte Costituziona­le.
«Bisogna guardare le cose con senso del limite e con buona fede. Chi ho nominato, io? Il primo fu Giovanni Ma­ria Flick, e dopo di lui Franco Gallo, Sabino Cassese, Maria Rita Saulle e Giuseppe Tesau­ro. Tutti giuristi stimatissimi e di chiara fama, scelti non per un gioco di bilancino poli­tico e dopo un'inchiesta inter­na sulle ideologie sulle quali si erano for­mati, ma soltanto in base a criteri di com­petenza tecnica. Si spulci pure il curri­culum di ciascuno di loro per vedere se possono sul serio essere definiti dei pa­sionari di una fantomatica sinistra».

Di sinistra sarebbe comunque lei, se­condo il premier Berlusconi.
«Anche per me vale ciò che ho appena detto per i membri della Consulta. A par­te un biennio nel Partito d'Azione di Li­vorno subito dopo la guerra, sono sem­pre stato un uomo delle istituzioni. E lo testimoniano i miei 47 anni alla Banca d'Italia, che lasciai nel 1993 per guidare un governo con un orizzonte di pochi me­si, un governo tecnico e di transizione e interpartitico, che doveva affrontare l'emergenza economica. Quando poi ho fatto il ministro dell'Economia, c'era di mezzo il traghettamento dell'Italia nell' euro, una partita sulla quale non mi par­ve giusto tirarmi indietro. Dove stanno le prove di militanza che declasserebbero la mia stagione al Quirinale dal ruolo sopra le parti che mi sono sempre sforzato di interpretare?».

Come si ferma una simile rincorsa a delegittimare le autorità di garanzia? Che cosa si può fare per civilizzare il confronto?
«A questo punto non lo so proprio e c'è da essere scoraggiati. Abbiamo tanti problemi da risolvere - dalla crescente di­soccupazione ai debiti delle famiglie, dal gap nella crescita industriale a quello sul­la produttività - eppure dissipiamo le no­stre energie in un conflitto permanente. Bisognerebbe ormai che tutti si impe­gnassero a unire gli italiani come ho ten­tato di fare quand'ero presidente, spen­dendo parole di pacificazione dai campi di battaglia di El Alamein alla foresta di Tambov, in Russia. Sono un uomo di pa­ce, ma anche di verità. E oggi più che mai, per smontare queste nuove mistifi­cazioni, ciò che conta è solo raccontare la verità».

Marzio Breda

11 dicembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
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