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Autore Discussione: CARLO CARRARO Allarme clima quei due gradi di illusione  (Letto 2524 volte)
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« inserito:: Dicembre 10, 2009, 10:27:04 am »

10/12/2009

Allarme clima quei due gradi di illusione
   
CARLO CARRARO*


I leader delle maggiori economie mondiali si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura terrestre causato dall’effetto serra al di sotto dei 2°C. Per raggiungere questo obiettivo, in occasione del meeting del G8 a L’Aquila, hanno proposto un piano di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (GHGs) che mira al dimezzamento nel 2050.

Ma è davvero possibile limitare l’incremento di temperatura nel corso di questo secolo a soli 2 gradi? E se possibile, l’impegno di dimezzare le emissioni di «GHGs» nel 2050 è sufficiente a raggiungere tale obiettivo? E se non sufficiente, come dovrebbe essere disegnata una politica climatica realistica ed efficace?

Sebbene esistano ancora molte incertezze, gli scienziati dell’Intergovernmental Panel for Climate Change (Ipcc) hanno definito degli intervalli di confidenza che mostrano quale sarà il probabile aumento della temperatura in funzione di diversi livelli di concentrazione di «GHGs» nell’atmosfera. Per contenere l’aumento della temperatura al di sotto dei 2°C con sufficiente certezza, le concentrazioni di «GHGs» non dovrebbero eccedere il livello di 380-390 ppm CO2-eq (parti per milione di anidride carbonica).

Poiché le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera hanno ormai raggiunto i 430 ppm CO2-eq, e saranno 450 ppm tra sei anni, qualsiasi siano le decisioni prese a Copenhagen, è divenuto impossibile raggiungere con sufficiente certezza l’obiettivo dei 2°C. Una forte azione di riduzione delle emissioni può contenere l’intervallo entro il quale la temperatura si muoverà, limitando le concentrazioni a 550 ppm CO2-eq per fine secolo. Ma così facendo è probabile un aumento della temperatura pari a 2,5-3°C. E quest’ultimo obiettivo è comunque difficilmente realizzabile. Anche per gli elevati costi che comporterebbe.

La difficoltà di raggiungere livelli di emissioni molto bassi è stata implicitamente riconosciuta a L’Aquila. L’obiettivo di dimezzare le emissioni di «GHGs» al 2050, sebbene molto ambizioso, non garantisce infatti che non si superino i +2°C. Con i tagli delle emissioni programmati a L’Aquila sarà possibile contenere il riscaldamento globale ad un livello pari a +2.5-3°C. Solamente assorbendo su larga scala i «GHGs» già presenti ora nell’atmosfera (riducendo lo stock quindi, non il flusso…) e sotterrandoli per sempre in depositi geologici, si potrà contenere con certezza il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C.

Su piccola scala è già tecnicamente possibile assorbire lo stock di emissioni di «GHGs». Per esempio, se si usassero biomasse per alimentare centrali elettriche equipaggiate con sistemi di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, si potrebbero avere emissioni negative. Durante la crescita, le biomasse assorbono anidride carbonica che viene catturata durante, prima o dopo il processo di combustione, e immessa poi nel sottosuolo. Ma replicare queste operazioni su una scala colossale come quella richiesta per avere un impatto sensibile sulle concentrazioni globali è, allo stato presente della tecnologia, impossibile.

D’altro canto è comunque fondamentale contenere i flussi di emissione. Per riuscirci è necessario uno sforzo cooperativo di tutte le principali economie. India e Cina, in particolare, non potranno essere escluse. Il loro intervento, seppur differenziato per tener conto dei loro bisogni di sviluppo e della loro diversa responsabilità, è necessario sin dai prossimi decenni, pena il non raggiungimento nemmeno dell’obiettivo 550 ppm CO2-eq. Coalizioni di Paesi ampie, che includano Paesi sviluppati e in via di sviluppo, sono però molto difficili da costruire e da mantenere in vita, per i forti incentivi a comportarsi in maniera non cooperativa nel caso, come quello del controllo dei cambiamenti climatici, in cui debba essere fornito un bene pubblico globale. La storia delle negoziazioni sul clima è un evidente prova di queste difficoltà.

Riassumendo, l’obiettivo «non più di 2°C» che i leaders del Mef hanno fissato a L’Aquila non è raggiungibile con certezza a meno di una gigantesca operazione di assorbimento e stoccaggio dei gas serra dall’atmosfera nel sottosuolo. L’obiettivo «non più di 2°C» ha una buona probabilità di essere raggiunto solo attraverso uno sforzo di riduzione delle emissioni praticamente immediato, di notevole entità e globale (e inevitabilmente costoso). Ma queste condizioni sono a loro volta improbabili. Ne consegue che è invece probabile un aumento della temperatura media globale superiore a 2°C e vicino a +2,5-3°C.

Una conseguenza immediata di queste conclusioni è che la politica climatica dovrebbe essere strutturata in modo diverso, dando molto più peso all’integrazione tra misure di mitigazione e di adattamento. La mitigazione dovrebbe mirare ad un obiettivo realistico, circa 550-600 ppm CO2-eq per fine secolo, ma in grado di contenere il cambiamento climatico in corso e i suoi principali effetti catastrofici.

L’adattamento, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, di gran lunga più vulnerabili, sarebbe in grado di neutralizzare gran parte degli impatti negativi dei cambiamenti climatici.

A tal fine, i Paesi sviluppati dovrebbero mettere a disposizione dei Paesi in via di sviluppo risorse finanziare e tecnologiche che rendano possibile il loro adattamento ai cambiamenti climatici. Aiutando così, per lo stretto legame tra adattamento e crescita economica, tali Paesi a svilupparsi. A Copenhagen quindi, più che su futuribili e improbabili obiettivi di lungo periodo, sarebbe necessario concentrarsi su misure di breve periodo, soprattutto a favore dei Paesi in via di sviluppo (ad esempio trasferimenti di tecnologia e investimenti nella gestione delle risorse idriche), che siano al contempo politica climatica e politica per lo sviluppo economico.

* Rettore dell’Università di Venezia e Fondazione Eni Mattei
da lastampa.it
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