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Autore Discussione: LUCA MERCALLI.  (Letto 39218 volte)
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« Risposta #15 inserito:: Luglio 20, 2011, 09:58:25 am »

Cronache

20/07/2011 -

Sole e caldo rifaranno presto capolino

Le previsioni per l'estate

LUCA MERCALLI

Mentre a Bologna ieri il termometro sfiorava i 30 gradi, a Torino raggiungeva appena quota venti, sotto l’ennesimo acquazzone, e la neve imbiancava i pascoli alpini fin verso i 2500 metri. Come mai questa estate 2011, che al centro-sud Italia è ormai partita alla grande - 37 gradi a Bari sempre ieri - snobba completamente l’angolo nord-ovest? Il motivo risiede nella conformazione che hanno assunto fin da inizio giugno le correnti atmosferiche sull’Europa occidentale: l’anticiclone delle Azzorre è ben solido sull’Atlantico ma stenta a prolungarsi verso il Mediterraneo, dove invece si susseguono moderate pulsazioni dell’alta pressione africana, una sorta di bolla calda che dal Marocco o dall’Algeria invade le nostre regioni centro-meridionali.

In un modo o nell’altro, Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia e Liguria rimangono o sotto il flusso di fresche correnti orientali che scorrono sul bordo del timido anticiclone atlantico, oppure sotto le umide e afose correnti da sud-ovest che strisciano sul confine dell’anticiclone africano piegato dal Marocco all’Adriatico. Questo fa sì che i periodi stabili e soleggiati - che distinguono il cuore dell’estate anche sulla Pianura Padana, allorché si è ampiamente protetti su tutti i lati dall’alta pressione - quest’anno, per la posizione «di confine» che il nord-ovest si è trovato ad assumere, non si siano ancora instaurati. Al contrario, particolarmente frequenti sono state le piogge, spesso abbondanti e torrenziali, che hanno ampiamente compensato l’anomala siccità primaverile, scaricando su Torino circa 470 millimetri d’acqua da inizio giugno a ieri, e promettendo così a questa stagione una posizione di rispetto negli annali pluviometrici.

L’impressione di un’estate bacata è legata soprattutto alla frequenza delle piogge più che alla mancanza di caldo: infatti, sempre a Torino, giugno si è chiuso con 0,3 gradi oltre la media nonostante i 17 giorni di pioggia, e luglio, benché abbia fatto cilecca nei suoi giorni centrali che statisticamente dovrebbero essere i più caldi dell’anno, è per ora appena al di sotto del valore normale trentennale, tant’è che la maturazione della frutta e lo sviluppo delle viti si mantengono comunque in netto anticipo.

Dobbiamo dunque metterci il cuore in pace anche sulla seconda metà dell'estate? No, i giochi non sono ancora fatti. Per il momento, dopo altre giornate ancora fresche e variabili, solo negli ultimi giorni del mese si profila un consolidamento delle strutture anticicloniche anche sulle Alpi, con tempo più stabile e asciutto e temperature in aumento su valori diurni probabilmente superiori a trenta gradi in pianura. In seguito agosto, sul quale per ora non si possono ancora fare previsioni affidabili, ha ancora tutte le potenzialità di riprendersi e farci soffrire il caldo. Sempre se la circolazione generale dell’atmosfera, che recentemente mostra non poche novità - come il caldo anomalo che in giugno ha insistito sull’Oceano Artico, Groenlandia e Siberia - si degnerà di rispettare i suoi canoni.

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/412273/
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« Risposta #16 inserito:: Agosto 27, 2011, 04:23:06 pm »

27/8/2011

27/8/2011

Consigli per resistere all'emergenza

LUCA MERCALLI

Costa Est degli Stati Uniti: prima un improbabile terremoto, poi l’attesa per l’arrivo di Irene fino a New York, un uragano poco consueto fino a queste latitudini, il tutto a dieci anni da quel drammatico undici settembre. Cosa si accanisce sull’America? Le tempeste naturali dopo quelle finanziarie hanno almeno un vantaggio: sono un fenomeno fisico potente, pericoloso ma ben identificabile, contro cui ci si può organizzare e preparare. E proprio una concreta e pragmatica «preparedness» formicola febbrile su una striscia di territorio che va dalla South Carolina al New England, un concetto intraducibile in italiano, un misto di prevenzione e prontezza operativa di fronte a un disastro annunciato, sotto il motto «Sperare in bene, prepararsi al peggio». Nulla a che vedere con il catastrofismo né con il fatalismo. Qui sono le immagini satellitari e i modelli di simulazione dell’atmosfera a fornire i dati su cui costruire una strategia delle istituzioni ma soprattutto del popolo. Dopo Katrina nel 2005 gli Stati del Sud hanno metabolizzato questa lezione, per New York è invece meno scontato dover mettere in atto un piano di emergenza uragani, ma c’è sempre una prima volta, vuoi perché la statistica dei fenomeni meteorologici ha sempre nuove sorprese in serbo, vuoi perché i cambiamenti climatici cominciano a truccare le carte delle frequenze di eventi estremi.

Così, allertata dal National Hurricane Center (www.nhc.noaa.gov), la municipalità newyorkese non ha esitato da un lato a pulire i tombini da foglie e detriti, dall’altro a informare con ogni mezzo i propri cittadini su cosa fare di fronte al ciclone tropicale che potrebbe portare piogge torrenziali fino a 380 millimetri, raffiche tempestose di vento fino a 100 km/h e onde di marea alte fino a un paio di metri in grado di allagare vaste aree costiere e urbane. Le istruzioni sono semplici e chiare, stampate fin dal 2006 in undici lingue, italiano incluso (www.nyc.gov). Preparatevi a resistere fino a tre giorni di isolamento in casa con un «emergency kit»: quattro litri d’acqua potabile al giorno per persona, cibo in scatola e ovviamente l’apriscatole, materiale di pronto soccorso, lampada di emergenza con lampeggiante, radio a batterie o meglio con generatore manuale a molla, materiale per igiene personale maschile e femminile, varechina e contagocce per disinfezione acqua, provviste per bambini piccoli o anziani. Poi, in caso di evacuazione, tenete pronto uno zainetto d’emergenza («go bag») contenente: copia dei documenti importanti in busta impermeabile, secondo mazzo di chiavi di casa e dell’auto, bancomat, carta di credito e 50-100 dollari in biglietti di piccolo taglio, acqua in bottiglia e cibi non deperibili come barrette ai cereali o ad alto contenuto energetico, torcia elettrica, radio con pile di riserva, informazioni mediche aggiornate, elenco farmaci assunti e altri oggetti personali essenziali, nomi e numeri di telefono dei medici di famiglia, cassetta di pronto soccorso, informazioni su contatti e luogo di incontro per i membri della famiglia, unitamente a una mappa della zona, provviste per i bambini piccoli e altri oggetti per familiari bisognosi di speciali attenzioni. Ho voluto riportare anche solo una parte di questo elenco che sembra (a noi) ridicolo e banale, ma è fondamentale per difendere la propria vita e garantire un minimo di comfort durante i momenti critici. In Italia ve lo ha mai dato qualcuno? L’avete sentito declamare alla tv? Qui ci si vergogna quasi a dire alla gente di tener pronto un paio di stivali in caso di alluvione e un cambio di mutande pulite, paura di creare panico, di portare sgarro, meglio incrociare le dita, toccare ferro o altro, e poi sperare sui vigili del fuoco e i volontari della protezione civile, loro sì preparatissimi, ma che tuttavia intervengono solo a tragedia compiuta.

La Grande Mela tecnologica e glamour non si è vergognata, per bocca dello stesso sindaco Bloomberg, di ricordare di prendere portafoglio e dentifricio, di consultare la mappa su web dei rifugi collettivi più vicini (lo sapete dov’è il vostro?) e di scendere sotto il decimo piano dei grattacieli, che più in alto il pericolo è maggiore, e senza dimenticare cani e gatti! E’ proprio questa composta e operosa solerzia di tutti, dai politici ai portinai, che stupisce noi latini: qui siam stati rapidi a copiare i mutui subprime, mentre la preparedness è sconosciuta. Ne avremmo tanto bisogno, come patrimonio personale diffuso, non solo degli addetti ai lavori. Vi si sopperisce spesso con una tardiva pietas, da parte dei soccorritori, dei medici, ma più spesso nei cimiteri.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9133
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« Risposta #17 inserito:: Settembre 20, 2011, 05:43:05 pm »

20/9/2011 - LE "ANOMALIE" SPIEGATE DALL'ESPERTO

E il nuovo clima diventa normalità

LUCA MERCALLI

E' appena passata e la si chiama ormai «l'estate più estrema di sempre». Ma cosa vuol dire? Dal punto di vista di chi studia il clima, nulla. È difficile definire il carattere degli estremi climatici, soprattutto su un'area geografica vasta. Su un singolo punto, come un osservatorio meteorologico attivo da duecent'anni, si può ricorrere a una statistica di rango, e dire questo caldo è eccezionale perché non si è mai verificato prima, questa pioggia non s'è mai vista, un vento così forte non ha mai soffiato. Ma non ha senso trasferire questi risultati a un'intera regione, o sul mondo intero. Pochi chilometri più in là la pioggia potrebbe non esser caduta, o il vento esser stato più debole.

Un po' meglio va con la temperatura che è un parametro più omogeneo sul territorio. Per definire un estremo climatico bisogna dunque precisare la scala spaziale: una città, l'Europa occidentale, il globo terrestre... E ancora: cosa vuol dire evento meteorologico estremo? Che ha fatto delle vittime? Distrutto case, strade, ponti? Rovinato le vacanze a un milione di turisti? In genere la percezione soggettiva di estremo meteorologico è mediata dall'interazione dell'evento con la società.

Un temporale può anche non essere estremo, bensì normale, ma può causare enormi guasti se colpisce il centro di Milano piuttosto che la campagna lodigiana. E hai voglia convincere chi ha subito lutti e danni che statisticamente non c'è nulla di anormale. Viceversa un vero inedito meteorologico può svilupparsi in una remota zona priva di abitanti e di stazioni meteorologiche e passare del tutto inosservato. E a livello stagionale, è più estrema l'estate 2003, il cui unico evento saliente è stato costituito dall'ostinata permanenza di giorni torridi, o l'estate 2011, ricca di alternanze meteorologiche contrastanti e di appariscenti tempeste locali?

Consci di questi limiti e della facilità con la quale si può cadere in trappole lessicali, cerchiamo di inquadrare cosa è successo in Italia in questa stagione estiva. Secondo l'Isac-Cnr di Bologna (www.isac.cnr.it) il trimestre giugno-agosto ha registrato un'anomalia di +0,8 gradi, che lo piazza al diciannovesimo posto tra le estati più calde dal 1800. La frescura alpina di giugno e luglio è stata infatti più che bilanciata dalla calura straordinaria che ha invaso tutto il paese in agosto. E nonostante i frequenti nubifragi al Nord, a scala nazionale alla fine è mancato il 20 per cento delle precipitazioni normali.

Se ampliamo lo sguardo a tutto il mondo la stagione è settima nell'elenco delle più roventi dal 1880 con 0,6 gradi oltre media, come indica l'americana Noaa (www.ncdc.noaa.gov), e alla banchisa artica, una settimana fa al suo minimo annuale di estensione, mancavano 2,4 milioni di chilometri quadrati rispetto alla norma, un deficit di superficie marina ghiacciata pari a otto volte l'Italia. Solo nel 2007 andò peggio.

Non è dunque l'estate più estrema di sempre, ma sono le anomalie di un nuovo clima che stanno diventando normalità.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9222
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« Risposta #18 inserito:: Ottobre 01, 2011, 03:21:54 pm »

1/10/2011

E' la febbre del nuovo Ferragosto

LUCA MERCALLI

Un settembre così caldo sul Nord Italia non si era mai visto, almeno da quando si eseguono le misure termometriche. Il predominio sull’Europa centrale di alte pressioni alimentate da aria di origine subtropicale ha determinato un anomalo prolungamento dell’estate, che si mantiene tuttora, giunti ormai al primo fine settimana di ottobre.

Tutti gli osservatori meteorologici storici, da Torino a Modena, da Piacenza a Pontremoli, hanno registrato temperature medie mensili da record. A Torino il valor medio di 23,1 gradi supera di 4 gradi il normale, ed è un primato per settembre dal 1753, superando il precedente massimo di 22,7 gradi stabilito nel settembre 1961. La situazione è stata simile all’osservatorio di Pontremoli, attivo dal 1929 sul fondovalle appenninico della Lunigiana: media di 20,1 gradi, 3 sopra la norma, anche qui un record. Pure al Sud il caldo non è mancato di certo, ma con anomalie meno pronunciate rispetto alle regioni centro-settentrionali. Ben poche perturbazioni sono riuscite a vincere il dominio anticiclonico e a scorrere lungo la penisola, effimere ma violente, come quella che tra il 17 e il 18 settembre ha scatenato nubifragi in Piemonte e Lombardia, e d’improvviso ha portato la neve fino a quota 1000 metri in Alto Adige.

Così, curiosamente, nel settembre più caldo da due secoli si è avuta una nevicata insolitamente precoce sulle Alpi centro-orientali. Bizzarrie della variabilità meteorologica, che talora propone anomalie ravvicinate di segno opposto, ma nello studio del clima contano più le medie di lungo periodo rispetto a episodi brevi e localizzati. E se pure le ondate di calura prese singolarmente non possono essere messe in relazione con certezza al riscaldamento globale, la loro frequenza è inequivocabilmente in aumento.

Dei dodici mesi dell’anno, a Torino ben undici - tutti salvo dicembre - hanno aggiornato il loro record ultrasecolare di caldo, inteso come media mensile, negli ultimi vent’anni, allorché la febbre dell’atmosfera è divenuta più evidente. E la frescura del luglio 2011, che ha disturbato le vacanze sulle Alpi, è stata solo un breve intermezzo in un'annata finora ben più calda del dovuto: se ne sono accorti non solo i ghiacciai, in drastico regresso anche quest’anno, ma anche le piante, le cui fasi di sviluppo stagionale hanno visto anticipi fino a un mese, e che talora stanno esibendo insolite fioriture che contribuiscono a rendere surreale l'atmosfera di questo strano inizio d'autunno.

Ieri pomeriggio, nonostante i cieli lattiginosi per foschie e particolato inquinante presente nell’aria della Pianura Padana, i termometri segnavano 27 gradi a Bolzano, 28 a Torino e Bologna, 29 a Trieste, valori da metà agosto. La configurazione meteorologica rimarrà immutata anche nel weekend, con temperature prossime a 30 gradi in molte città italiane, da Nord a Sud, e solo a metà della prossima settimana correnti dalla Scandinavia dovrebbero riportare le temperature entro la norma stagionale.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9268
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« Risposta #19 inserito:: Ottobre 31, 2011, 05:46:24 pm »

30/10/2011

Il cielo minaccia ancora pioggia

Come difendersi dal disastro

LUCA MERCALLI

Una nuova perturbazione è attesa a partire da giovedì. Le correnti umide da sud apporteranno piogge abbondanti su Liguria, Piemonte e Triveneto, tuttavia a oltre quattro giorni di distanza non è ancora possibile definire i dettagli. Oggi le previsioni meteorologiche a medio termine sono affidabili, ma per diramare un’allerta attendibile in genere tocca attendere le quarantott’ore precedenti, comunque sufficienti a mettere in atto un piano di sicurezza. Alle previsioni del resto non si possono chiedere i miracoli, al momento non sono in grado di stabilire ora e luogo preciso di una piena o di una frana, ma possono concentrare l’attenzione su un’area dove attivare prefetture, Comuni, vigili del fuoco, protezione civile e volontari.

Tuttavia ciò che manca oggi in Italia è soprattutto la sensibilizzazione del pubblico: nel caso delle piene-lampo (flash floods) è fondamentale la conoscenza di elementari norme di autoprotezione, perché le onde di piena su torrenti montani in forte pendenza, le frane e le colate detritiche, sono fenomeni rapidissimi e non permettono di attendere avvisi esterni. La protezione civile interviene in questi casi solo a soccorrere le vittime, quando è troppo tardi, l’unica protezione efficace è quella che si mette in atto da soli. Dopo un primo avviso di attenzione bisogna informarsi costantemente sull’evoluzione meteorologica, e non fidarsi solo delle voci, ma ricorrere alle fonti ufficiali dei servizi meteo. Ogni Comune deve disporre di un piano di protezione civile e dovrebbe informare i cittadini sull’ubicazione dei rifugi, dei centri di raccolta e delle zone a rischio. Pretendete di conoscere queste cose quando si è tranquilli nelle giornate di sole, non in emergenza. Non bisogna farsi prendere dal panico: primo obiettivo è salvare la vita e non farsi male. Mai combattere con l’acqua e i detriti, sono più forti loro, vi travolgerebbero.

Un’automobile galleggia in poco più di 30 centimetri d’acqua e pesa oltre una tonnellata, vi spazza via come fuscelli se tentate di opporvi. Non entrate mai nell’acqua in movimento anche se vi sembra di conoscere la strada, meno che mai in un sottopassaggio allagato: negli ultimi sei anni ci sono state in Italia dieci vittime che potevano essere facilmente evitate. L’incidente peggiore a Prato nell’ottobre 2010 dove tre donne cinesi annegate. Il sottopassaggio è una trappola, sta solo a voi evitare di entrarci. Anche a piedi non si entra mai in acqua in movimento se è superiore a 20 centimetri. Non rimanete in locali bassi, garage, seminterrati, ma trasferitevi ai piani alti, eventualmente chiedendo ospitalità ai vicini. Se la casa è a rischio frana, trasferitevi in luogo sicuro. Preparate uno zainetto di sopravvivenza in luogo facile da raggiungere, pronti prenderlo con voi in caso di evacuazione: bottiglie d’acqua potabile, cibo conservabile, cambio biancheria e oggetti per igiene personale, fotocopia documenti, torcia elettrica, carta e penna, radio (molti telefonini l’hanno incorporata), medicine e pronto soccorso, stivali di gomma.

Poi pensate alla casa: spostate documenti e oggetti di valore da cantine e piani terra ai piani alti, parcheggiate le auto lontane da corsi d’acqua. Ma soprattutto, rimanete vigili: molti incidenti capitano perché nelle giornate a rischio facciamo di tutto per continuare a vivere come nei giorni normali, invece bisogna concentrarsi, ascoltare i rumori sospetti, osservare cosa accade nei fiumi, prepararsi materialmente e psicologicamente a salvarsi con le proprie forze senza aspettare aiuti improbabili: per definizione, un’emergenza è qualcosa nella quale nulla funziona e nessuno potrebbe aiutarvi.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9380
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« Risposta #20 inserito:: Gennaio 31, 2012, 11:30:50 pm »

31/1/2012

L'inverno russo e le primule

LUCA MERCALLI

Mentre si chiude un gennaio molto più mite della norma, che in Svizzera ha superato anche di tre gradi le medie trentennali, e in Italia settentrionale è di un buon paio di gradi al di sopra delle attese, febbraio inizia con un'ondata di gelo che si annuncia straordinaria.

Ci asteniamo qui dal commentare i record prima che si siano verificati: come per una partita di calcio possiamo dire che i fuoriclasse in campo ci sono tutti, e sono i venti gelidi delle steppe russe, ma quanto faranno segnare al termometro possiamo per ora solo stimarlo, di certo numeri negativi a due cifre, attorno ai meno quindici sulla pianura padana, e sempre con segno meno anche al centro-sud. La statistica però la si commenta solo con i dati effettivamente misurati.

Per il momento prendiamo atto dalle carte di previsione che una tale trasferta mediterranea delle correnti siberiane mancava da qualche tempo: ce ne fu una modesta nel febbraio 1991, poi quella ancora nella memoria del gennaio 1985, quindi si va al mitico febbraio 1956 e al più lontano febbraio 1929, nel quale gelò estesamente il Po. Ma i veri record del freddo sono dei secoli scorsi: 1709, 1754-55, quando il naturalista Vitaliano Donati annotava da Torino: «Il freddo insoffribile non mi permette di scrivere».

La seconda metà dell’inverno è propizia a queste ondate glaciali: il continente asiatico ha avuto tre mesi di tempo per raffreddarsi e strutturare grandi anticicloni freddi, e non appena un varco meteorologico si apre sull’Adriatico, ecco precipitarsi su di noi l’inverno russo, proprio quando cominciano a spuntare le primule. Oggi che l'aumento termico globale ha nettamente diradato la frequenza di questi eventi, abituandoci a inusuali tepori invernali, è il caso di ricordare le precauzioni più importanti per evitare rischi e danni: avete controllato le tubazioni dell’acqua esposte all’esterno o nei solai? Gli idraulici del ventunesimo secolo si sono spesso lasciati prendere la mano isolando poco le condotte dimenticando che non siamo ancora ai tropici. Chiudete le valvole dell’irrigazione da giardino e svuotate gli impianti delle case non riscaldate, altrimenti al disgelo l'alluvione domestica colpirà parquet e tappeti. E ovviamente salvate i gerani sul balcone dal congelamento e state attenti a non cadere sul ghiaccio. Banale vero? Ma al pronto soccorso lo sanno bene, puntuali come le vittime da botti di Capodanno arriveranno le fratture da gelo. E’ l'inverno, bellezza!

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9717
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« Risposta #21 inserito:: Febbraio 05, 2012, 03:49:42 pm »

5/2/2012

La colpa dei disagi è sempre degli altri

LUCA MERCALLI

Cinquant’anni fa un’ondata di gelo siberiano ti colpiva alle spalle e basta, perché le previsioni erano quello che erano. Oggi la si individua con una settimana di anticipo. Mercoledì 25 gennaio, nelle città del Nord splendeva ancora il sole, ma già si pensava alla prevenzione.

Comuni e viabilità avevano messo in moto la macchina per far fronte alla nevicata attesa sul Piemonte da sabato 28 e poi in estensione sull’Appennino emiliano-romagnolo. La neve a Firenze e Roma era data per certa, così come le temperature boreali, da giovedì in poi.

Nessuno è stato sfiorato dal dubbio che le previsioni meteo non fossero da prendere sul serio, tanto che nei giorni successivi si è sviluppata una vera tempesta mediatica sull’imminente irruzione dell’inverno russo, al punto che si leggevano i valori dei record meteorologici prima ancora che si fossero verificati! Sarà l’ondata di gelo peggiore dal 1985, nevicherà a Roma, ghiaccio e neve creeranno disagi ai trasporti: nemmeno un condizionale. Più di così per informare istituzioni e cittadini non si poteva fare! Poi neve e gelo sono puntualmente arrivati, e con essi i treni soppressi, le code in tangenziale, le cadute sul ghiaccio e ogni genere di polemiche. Tutto come da copione, una fotocopia di quanto avvenuto dopo il devastante nubifragio di Genova del 4 novembre, anche quello annunciato con congruo anticipo.

Ma se dunque non riusciamo ad attrezzarci di fronte agli eventi meteorologici anomali nemmeno ora che abbiamo la possibilità di prevederli con ragionevolissima affidabilità, cosa non ha funzionato? Non si può scaricare sempre la colpa sulle pubbliche amministrazioni. E’ vero che qualche locale italica manchevolezza ci sarà pur stata, è vero che il traffico ferroviario potrebbe essere migliore anche quando non nevica, ma tutti i mezzi spartineve erano in servizio, condotti da personale addestrato e disciplinato, il sale e la sabbia erano stati sparsi in tempo e la vita è andata avanti dignitosamente anche a Cesena, a Bologna, a Urbino, dove la nevicata è stata imponente, talora superiore al metro. Eppure c’era sempre chi si lamentava che la neve non era stata spazzata anche su quel marciapiede di periferia e alla fermata del bus 39 sbarrato, dimenticando che la macchina sgombraneve ha un costo molto rilevante per le pubbliche casse. Bisogna agire di compromesso privilegiando alcuni assi viari, assegnando priorità agli ospedali, non si può asportare ogni fiocco di neve appena tocca terra, si spenderebbero milioni di euro per un ben effimero risultato.

A Roma una nevicata così abbondante non la si vedeva dall’11 febbraio 1986, quando ne caddero 23 cm. Poi solo un paio di spruzzate subito fuse nel febbraio 1991 e 2010. Per una città con una così bassa frequenza di nevicate tenere in piedi un servizio di sgombero neve come quello di Torino o Milano sarebbe una follia. Una fortezza Bastiani per combattere un sol giorno in 26 anni. E se non hai le armi - e qui era giusto non averle, per ragioni economiche e di buon senso - ritirati! Ma grazie alle previsioni, che sia una ritirata ordinata e programmata.

Invece, e qui sta il nocciolo della questione, l’impressione è che ormai ognuno pensi che il mondo ruoti tutto intorno a sé. Che la bufera soffi solo sugli altri, che il coefficiente di attrito dinamico sul ghiaccio aumenti magicamente sotto le proprie gomme, che le scarpette con i tacchi non si immiseriscano nella fanghiglia gelata, che la neve fonda istantaneamente sotto i propri specialissimi passi, che si possa insomma continuare a fare tutto quello che si sarebbe fatto con il sole anche nella settimana più glaciale degli ultimi trent’anni. Senza cambiare programmi, senza adeguare comportamenti e incolpando sempre gli altri per i disagi subiti. La vera anomalia non sta nei termometri, ma nell’incapacità di leggerli.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9738
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« Risposta #22 inserito:: Marzo 29, 2012, 05:10:47 pm »

29/3/2012 - CALDO ANOMALO

Clima, è già un anno da record

LUCA MERCALLI

Appena iniziata la primavera, siamo già di fronte a un caldo precoce e quasi estivo.

Tutto avviene sotto l’influenza del poderoso anticiclone «Harry», centrato sul Regno Unito ma esteso anche all'Italia, le temperature ieri pomeriggio hanno toccato i 24 gradi a Torino e Viterbo, 25 a Milano e Verona, e 26 a Pontremoli, in Lunigiana, dove si è stabilito un nuovo record per le massime di marzo dal 1929. Valori da mese di maggio, superiori al normale di 8-10 gradi. Eppure solo poche settimane fa, a inizio febbraio, era il freddo straordinario a dominare le cronache, con temperature fin sotto i -20 gradi che in Val Padana non si vedevano dal 1985.

La primavera è dunque esplosa alla grande, e lo testimonia anche il rapido ed esteso sviluppo delle fioriture degli alberi da frutto, in anticipo di circa 10-15 giorni rispetto al consueto sulle pianure del Nord. Ma tutto questo mese è stato caratterizzato da temperature superiori al normale, per la prevalenza di flussi di aria di origine subtropicale e l'assenza di colpi di coda dell’inverno, tanto che in Pianura Padana verrà ricordato come uno tra i mesi di marzo più caldi dall’inizio delle misure meteorologiche circa due secoli fa.

A Torino, ad esempio, si stima che la temperatura media mensile possa giungere attorno a 13,7 gradi, con un’anomalia media di quasi 5 gradi e a un soffio dal primato ultrasecolare di 13,9 gradi stabilito nel marzo 1997. Ancora più inconsueta la situazione in altri osservatori meteorologici del Centro-Nord italiano, come Modena e Pontremoli, dove con ogni probabilità la media termica del marzo 2012 sarà in testa alla classifica, superando il precedente massimo che anche qui spettava al 1997. Ma ora il problema è più che altro la siccità, ancora più esacerbata dall’evaporazione dai suoli che in questi giorni soleggiati inizia a farsi intensa. Molte località dalla Toscana al Settentrione hanno ricevuto meno della metà della precipitazione mediamente attesa negli ultimi 5 mesi, e per ora mancano all’appello le tradizionali piogge primaverili, che soltanto un vigoroso flusso di aria umida atlantica e mediterranea potrebbe avviare in modo significativo, ma tale situazione per ora non sembra all’orizzonte. E, salvo colpi di scena, per i mesi a venire l’agricoltura padana così come gli impianti idroelettrici alpini non potranno nemmeno contare su abbondanti deflussi di fusione nivale, poiché specialmente sul settore centro-orientale della catena, dai rilievi lombardi a quelli giuliani, al momento gli spessori nevosi sono ai minimi talora da un decennio, con valori dell’ordine di appena mezzo metro a quota 2500 metri.

Il tempo sereno, caldo e secco con temperature localmente superiori a 25 gradi soprattutto sulle zone interne delle regioni centro-settentrionali - ci accompagnerà dalle Alpi alla Sicilia ancora fino a sabato, poi da domenica e nei primi giorni di aprile è prevista una discesa di correnti nordorientali più fresche e instabili che dovrebbero dare origine a un calo generalizzato delle temperature - che si riporteranno più in linea con la norma - e a variabilità associata a piogge sparse, tuttavia ancora difficili da localizzare e quantificare, ma che in ogni caso non saranno sufficienti a migliorare la situazione idrica in modo radicale. Per lo meno, nonostante il previsto calo termico, non sono attese brinate tardive che possano penalizzare le fioriture in corso. Ma della primavera è bene non fidarsi: non sarà forse il caso di quest’anno, ma in passato - come nel 1991, 1998 e 2008 - freddo e neve a bassa quota si sono ripresentati improvvisamente perfino in aprile inoltrato.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9936
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« Risposta #23 inserito:: Giugno 17, 2012, 06:48:23 pm »

Cronache

15/06/2012 - MOLTO CALDO MA LE BOLLE DI CALORE RIENTRANO NEI CICLI METEOROLOGICI

I giorni dell'estate africana: mezza Italia verso i 40 gradi

Caldo afoso al Nord con 32°C e punte di 34 sull’Emilia Romagna

Le punte massime all'inizio della prossima settimana

LUCA MERCALLI
Roma

Tranquilli, nulla di eccezionale, è solo un anticiclone subtropicale che porterà sull’Italia, e questa volta anche al Nord, la prima vampata d’estate a scala nazionale. Non è una situazione particolarmente a rischio. Farà semplicemente caldo, soprattutto all’inizio della prossima settimana, con punte vicine a 40 gradi nelle zone interne di Sardegna, Sicilia e Puglia e valori diffusamente sui 33-36 gradi in Pianura Padana.

Di anticicloni africani in espansione sul Mediterraneo nel corso del trimestre estivo se ne vedono alcuni tutti gli anni. Questo in arrivo, che alcuni chiamano «Scipione», ma che risponde al battesimo ufficiale di «Stefan» secondo l’Istituto di Meteorologia dell’Università di Berlino deputato alla meteonomastica, è uno dei tanti. Negli ultimi dieci anni è accaduto ad esempio nel giugno 2002, con «Yannick» che intorno al giorno 20-22 ha spinto i termometri a 38 °C a Grosseto, 37 a Firenze e Foggia, 36 a Linate, Perugia e Viterbo; poi nel 2003 con «Christa» nella seconda decade, e fu solo l’inizio della terribile sequenza di ondate di caldo – quelle sì inedite a livello plurisecolare - di quell’estate rovente: il giorno 14 si toccarono 39 °C a Firenze e Foggia, 36 a Linate, ma le massime rimasero per una decina di giorni sopra i 35 °C in molte località da Nord a Sud. Nel 2005 «Wenke» infiammò tutta la terza decade con culmine di 37 °C a Linate, 38 ad Ancona, 40 a Sigonella. Il 25 giugno 2007 «Yvonne» fece balzare il mercurio addirittura a 44.6 C a Bari, 43.9 a Catania e 44.6 a Palermo, quelli sì valori record. Nel 2008 fu ancora la terza decade a proporre il caldo più intenso per via degli anticicloni «Seba» e «Thomas»: punte di 36 °C ad Aosta, Verona e Ferrara, 37 a Terni, 38 a Foggia. Più indietro nel tempo ci fu anche la grande ondata di caldo del giugno 1996 al Nord Italia, durata circa una settimana e culminata il 10-12 con valori diffusamente sopra i 33-35 °C.

Dunque ogni due o tre anni in giugno un episodio di questo tipo è regolarmente atteso, almeno dalla fine degli anni Ottanta, cioè da quando il riscaldamento globale ha alzato l’asticella della frequenza di calori estivi. E da luglio fino a settembre c’è buona probabilità che se ne verifichino altri, anche se non è possibile formulare ora una previsione attendibile.

Quanto a Stefan alias Scipione non siamo ancora in una situazione di allerta tale da giustificare precauzioni straordinarie rispetto alle consuetudini mediterranee che con il caldo hanno piena dimestichezza. Bere molto, ovvio, non esporsi deliberatamente al sole nelle ore meridiane, ovvio, ma se lo andate a raccontare agli operai che asfaltano le strade vi rideranno in faccia o vi rincorreranno con la pala, e con ragione. Piuttosto è sempre sorprendente la dinamica sociale delle percezioni meteorologiche: fino a ieri nelle regioni settentrionali non si faceva altro che parlare del freddo, della pioggia e dell’estate che non arriva.

Ma sono considerazioni frutto di realtà o di impressioni tanto soggettive quanto imprecise? Prendiamo Torino nel periodo che va da inizio maggio a oggi, se guardiamo alle statistiche il quadro che emerge è ben lontano da ciò che ha percepito la gente: la temperatura media pari a 19 °C è di circa 1.5 °C più elevata della norma, le piogge sono state di 186 mm, circa l’11% oltre il normale ma distribuite in 14 giorni, una frequenza assolutamente normale. E se c’è stata qualche giornata fresca, del tutto coerente con la climatologia primaverile, si deve anche ricordare che l’11 e 12 maggio il termometro era già a 32 gradi. Quindi una tarda primavera e un inizio d’estate 2012 molto miti e appena più piovose della media stagionale.

Memoria umana sempre cortissima, luoghi comuni sempre in gran forma. Per fortuna abbiamo il computer. Andò infatti ben peggio nel 2008: nello stesso periodo ci furono ben 27 giorni piovosi con 299 mm, allora qualche ragione di lamentarsi c’era eccome!

da - http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/458487/
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« Risposta #24 inserito:: Luglio 08, 2012, 10:28:05 am »

8/7/2012

Attenti a non ignorare gli avvisi dell'allarme-stallo

LUCA MERCALLI

La scorsa notte sulla sponda Nord del Mar Nero sono eccezionalmente caduti 280 millimetri di pioggia: una piena-lampo e più di cento vittime.
Washington sperimenta invece il terzo giorno con termometro sui 37-39 gradi, un’ondata di calore che prosegue da giugno, quando il 29 la temperatura toccò i 40 gradi, record da 142 anni, e fu bruscamente interrotta dal passaggio della raffica di temporali a 130 km orari (il «Derecho»): 22 vittime e black-out per milioni. Intanto il Bureau d’Enquêtes et d’Analyses pour la sécurité de l’aviation civile (Bea) rende note in 230 pagine le cause dell’incidente del volo Air France 447 Rio de Janeiro-Parigi, precipitato nell’Atlantico la notte del 1 giugno 2009. Questi tre fatti presentano connessioni istruttive, e conviene partire proprio dall’analisi dell’incidente aereo, frutto della saggia abitudine aeronautica di trarre insegnamenti dalle tragedie.

L’Airbus A330 decolla da Rio senza problemi e verso l’una di notte approccia la zona di convergenza intertropicale sull’Atlantico. A quota 10.000 metri il radar meteo suggerisce un leggero cambio di rotta per evitare la turbolenza di un temporale, ma nulla di più. Poco prima delle due il comandante con oltre 10.000 ore di volo lascia i comandi ai due giovani copiloti. Alle due e dieci minuti alcuni cristalli di ghiaccio otturano i tubi di Pitot che servono a misurare la velocità, non più di un minuto di assenza di dati, ma ciò basta a disinserire il pilota automatico. Il difetto degli anemometri era noto da anni, ma la norma di sostituzione tardava e il training operativo in caso di guasto non era stato sufficiente. I copiloti sorpresi non comprendono il motivo dell’anomalia e, complice il buio, correggono erroneamente l’assetto di volo puntando il muso verso l’alto.

Si accende l’avvisatore di stallo, uno di quegli eventi che su un aereo deve catalizzare tutta l’attenzione, eppure lo ignorano, perché occupatissimi a reagire al primo problema. Dopo un solo minuto di errata manovra l’aereo è ingovernabile, l’avvisatore di stallo suona e ancora una volta viene ignorato. Il comandante rientra in cabina, ma è troppo tardi, l’aereo sta precipitando come una pietra a 270 km/ora. Le duecento tonnellate dell’Airbus impattano sull’oceano andando in pezzi che verranno recuperati due anni dopo, incluse le scatole nere, a 3900 metri di profondità.

Appena quattro minuti per passare da una banale avaria risolvibile con una giusta manovra, alla morte di 228 persone. Capito vero? Le anomalie climatiche mondiali, il picco del petrolio, il sovrasfruttamento ecologico planetario, l’inquinamento di aria e acqua, la cementificazione dei suoli e la deforestazione tropicale risuonano ormai da anni nel cockpit terrestre come la voce metallica «Stall-Stall-Stall». I piloti sono però occupatissimi con la crisi finanziaria, la loro dissonanza cognitiva con i segnali d’allarme è totale, la manovra di correzione a suon di crescita e consumi peggiora l’assetto e apre la strada alla catastrofe. Eppure il manuale dice chiaro come si fa a evitare l’impatto…

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10309
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« Risposta #25 inserito:: Agosto 17, 2012, 06:45:29 pm »

17/8/2012

Ferragosto non fermerà un'estate da record

LUCA MERCALLI

Una nuova pulsazione dell’alta pressione africana si sta espandendo sull’Europa centro-meridionale. Questa volta l’apice del caldo non sarà raggiunto al Sud Italia, bensì tra Spagna e Midi francese, e interesserà dunque maggiormente le regioni alpine, fino ad ora rimaste escluse dai calori più intensi delle scorse settimane. Nei prossimi giorni e fino a martedì 21 agosto lo zero termico si porterà a 4500 metri sulle Alpi occidentali, divorando i ghiacciai, e i termometri indicheranno fino a 38-40 gradi dalle pianure dell’Alessandrino alla Romagna e nella Toscana interna, e valori attorno ai 30-35 gradi sulle regioni centro-meridionali.

Ormai dalle prime anticipazioni statistiche, che saranno definitive a fine mese, si può comunque assegnare all’estate 2012 la seconda posizione dopo quella epocale del 2003, che ancora per durata e intensità mantiene un primato poco invidiabile. Caratteristica di questa stagione estiva 2012, più che il raggiungimento di picchi di caldo estremo, è stata la perdurante continuità: sia giugno sia luglio sono stati mesi termicamente ben al di sopra della media, che ora si avviano a essere completati da un agosto analogo. Eppure si diceva un tempo «Agosto inizio d’inverno». Ed era vero che in genere dopo Ferragosto l’estate italiana manifestava i primi segni di cedimento soprattutto su Alpi e settentrione: temporali frequenti, prime imbiancate di neve sulle vette e notti più fresche e rugiadose.

Da una decina d’anni tuttavia non è più così, l’estate tende infatti ad attardarsi fino ad autunno inoltrato e agosto, da mese subordinato a luglio, è diventato gran protagonista dell’estate meteorologica mediterranea. E’ stata infatti la prima decade dell’agosto 2003 la parentesi più rovente della storia italiana degli ultimi secoli, con la simbolica soglia dei quaranta gradi toccata anche nelle aree urbane di Torino, Milano e Bologna, ma pure nel 2009 l’incursione d’aria africana si rinnovò tardivamente, e nei giorni 20-21 agosto si toccarono 40 gradi a Firenze-Peretola, 37 a Verona e 38 a Bologna. E per chi ha la memoria corta pure il 21 agosto 2011 stabiliva un primato di caldo a Firenze, con 40,8 gradi, e quasi 39 nell’Alessandrino.

Pertanto l’episodio attuale si inserisce pienamente nella tendenza recente verso estati più lunghe e più calde, peraltro previste da decenni dai modelli di simulazione numerica del clima come sintomo inequivocabile del riscaldamento globale. In queste condizioni la siccità giorno dopo giorno conquista posizioni: i temporali hanno interessato negli scorsi mesi in modo rilevante solo le Alpi, mentre a sud del Po il deficit di pioggia si fa sentire e il caldo prolungato non fa che aumentare l’evaporazione e le esigenze idriche agricole e civili. Nei prossimi giorni è probabile che di caldo, di carenza d’acqua e di cambiamenti climatici si parlerà molto, poi dalla prossima settimana, con il ritorno di temporali, aria più fresca, e la chiusura delle vacanze tutto verrà presto dimenticato, come accade di solito per le alluvioni, che si presenteranno poi all’appuntamento autunnale.

Eppure la ricerca scientifica internazionale sta apportando elementi sempre più rigorosi e affidabili agli scenari climatici che ci attendono, di cui questi episodi anomali rappresentano per ora casi relativamente gestibili e isolati destinati a infittirsi. Cosa aspettiamo dunque a intraprendere una seria politica di mitigazione e di adattamento? La crisi economica non è una buona scusa per ignorare la severissima sfida ambientale che abbiamo di fronte e che ha bisogno di un grande sforzo di pianificazione a lungo termine per essere efficace.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10433
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« Risposta #26 inserito:: Agosto 23, 2012, 04:45:06 pm »

23/8/2012

Non si contratta lo spread con la natura

LUCA MERCALLI

Ad aprile è stato inserito nella Costituzione italiana il pareggio di bilancio, ovviamente riferito al denaro. Ma c’è un bilancio estremamente più importante per la nostra vita. Vita che prima di essere soggetta ai capricci dell’economia è ferreamente dominata da flussi di energia e materia: è quello delle valute «fisiche» disponibili sul pianeta Terra. Un dato che, per quanto denso di conseguenze per il futuro dell’Umanità, nessuno considera strategico, né lo si inserisce nelle Costituzioni, salvo forse che in quella dell’Ecuador.

In sostanza, non si possono prelevare dal conto terrestre più risorse di quante i sistemi naturali siano in grado di rigenerare né immettere rifiuti e inquinanti più di quanto la biosfera sia in grado di metabolizzare. L’Overshoot Day di quest’anno, annunciato ieri, definisce la data nella quale il nostro conto corrente con l’ambiente è andato in rosso. Abbiamo speso tutti gli interessi in questi primi 234 giorni dell’anno, e da oggi al 31 dicembre dilapideremo una parte del capitale, con conseguenze talora irreversibili, come il riscaldamento globale o l’estinzione di specie viventi.

Il pareggio di bilancio mondiale è stato rispettato più o meno fino alla metà degli Anni 70, quando l’umanità contava 3,5 miliardi di individui. Oggi siamo 7 miliardi, consumiamo e inquiniamo come non mai e preleviamo l’equivalente di una terra e mezza. La biosfera è un sistema resiliente, e per brevi periodi può sopportare uno stress senza collassare, a patto che si rientri nei limiti imposti dalle leggi universali che governano i cicli biogeochimici, il clima, la riproduzione della fauna ittica, la rigenerazione delle foreste. Ma, come accade a un motore lanciato a folle corsa, quando la lancetta del contagiri entra in zona rossa, per non sbiellare bisogna ridurre la velocità.

Stranamente l’economia mondiale appare preoccupatissima del rallentamento dei giri del motore e invoca un’ulteriore accelerazione che secondo i modelli ecologici porterebbe attorno al 2050 alla necessità dell’equivalente di due pianeti, dei quali evidentemente non disponiamo. Ovvero il motore salta e la macchina si ferma di botto con gravi conseguenze per la società e per l’ecosistema. La «spending review» tanto oggi di moda dovrebbe dunque includere anche le risorse fondamentali da cui dipendiamo, suolo, acqua, energia, biomassa, carico inquinante.

Una riduzione dei giri governata con saggezza per riportarci nei limiti concessi dall’unico pianeta che abbiamo è l’unico atteggiamento razionale a cui ricorrere, e sarebbe assurdo non considerarlo proprio ora che la ricerca scientifica ci mette a disposizione tanti dati affidabili su cui costruire gli scenari futuri, scegliendo quelli più favorevoli ed evitando le trappole del sovrasfruttamento. La sfida è enorme, l’uomo deve completamente mutare il proprio paradigma, da un cieco inseguimento della crescita fine a se stessa a un’economia basata su uno stato stazionario, energie rinnovabili e rifiuti riciclabili. È un obiettivo per nulla facile da perseguire, né esistono ricette preconfezionate, tuttavia ciò che la comunità scientifica invoca invano da anni è una disponibilità all’ascolto del mondo economico e politico, alla ricerca di soluzioni nuove e condivise che tengano conto dell’enorme posta in gioco, ovvero la sopravvivenza della specie per un periodo dello stesso ordine di grandezza del nostro cammino evolutivo precedente, diciamo 200 mila anni. Sotto le isteriche oscillazioni dello spread, c’è un debito con la natura che non si potrà contrattare in nessun Parlamento.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10454
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« Risposta #27 inserito:: Agosto 27, 2012, 05:19:50 pm »

27/8/2012

La (breve) bufera non ferma il termometro

LUCA MERCALLI

Come spesso accade dopo un periodo di gran caldo, al primo sbuffo di aria atlantica più fresca, ecco scoppiare i nubifragi.

È accaduto sabato sera in molte zone dell’Italia nord-occidentale, ma con particolare violenza tra Biellese e Verbano. I temporali, previsti da giorni e invocati specialmente dagli agricoltori penalizzati dalla siccità, hanno però portato più danno che sollievo, soprattutto sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, intorno a Verbania. La stazione meteorologica Arpa Piemonte di Pallanza (www.arpa.piemonte.it), investita in pieno dalla tempesta di pioggia e vento attorno alle 20, ha registrato in totale 94 millimetri d’acqua, di cui 66 in appena un’ora, e raffiche fino a 108 km/h, più che sufficienti a sradicare centinaia di alberi e scoperchiare edifici. Si è talora parlato di tornado, ma in realtà le impetuose folate che hanno squassato il celebre parco di Villa Taranto sono attribuibili alle turbolente correnti discendenti dai cumulonembi - le torreggianti nubi temporalesche - e non a una tromba d’aria con la sua caratteristica nube vorticosa «a imbuto», di cui in questo caso non c’è testimonianza. Non si tratta tuttavia di fenomeni nuovi per la fine di agosto, anzi, ogni anno accade che i contrasti termici tra i calori padani di fine estate e le prime perturbazioni dal Nord Atlantico generino vigorose linee temporalesche che, con movimento solitamente orientato da Sud-Ovest verso Nord-Est, si propagano lungo le zone pedemontane dal Torinese ai grandi laghi prealpini. Questa volta gli effetti sono stati particolarmente vistosi perché il fortunale si è abbattuto su un’area turistica densamente abitata. D’altra parte l’instabilità atmosferica di fine agosto è così ricorrente da essere impressa perfino in un detto popolare locale che ricorda la «bura ‘d San Bartlumé», la piena di San Bartolomeo, 24 agosto. E proprio il 24 agosto 1987, venticinque anni fa, piogge torrenziali da 250 millimetri in 24 ore si abbattevano sul bacino del Toce causando frane ed esondazioni, poi il 5 settembre 1998 la stessa Verbania fu investita da un nubifragio che allagò la città rovesciando in 12 ore ben 352 mm d’acqua. In genere questi episodi segnavano la «rottura» dell’estate e l’avvio dell’autunno, invece quest’anno, passata la breve tempesta, l’estate continua.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10463
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« Risposta #28 inserito:: Ottobre 17, 2012, 04:19:07 pm »

Editoriali
16/10/2012

Troppi codici rossi, così non ci crederà più nessuno

Luca Mercalli


E dunque su Roma i temporali sono arrivati in serata ma non si è trattato dell’annunciato Armageddon pluviale. 

 

Qualche criticità nella notte su Lazio, Campania, Sicilia e Friuli è da mettere in conto, ma i sacchi di sabbia, l’ordine di non uscir di casa e gli annunci esasperati erano di troppo. 

 

è dalla grave alluvione del Po del 15 ottobre 2000 che le informazioni meteorologiche dimostrano attendibilità ottimale per programmare un serio allertamento preventivo. Ma ad oltre dieci anni da allora, ciò che ancora manca è il coordinamento della diffusione degli avvisi, che soffre pure della frammentazione delle fonti, pubbliche e private, moltiplicate dalla rete, nonché la formazione dei comunicatori dell’emergenza e l’educazione al rischio del pubblico. 

 

Tutte operazioni che necessitano di programmazione a lungo termine, di azioni preventive nelle scuole, nei mezzi d’informazione, serenamente pianificate quando splende il sole, e non di affannose improvvisazioni a poche ore dall’emergenza. La perturbazione c’era, è stata correttamente prevista e aveva in sé il potenziale per produrre nubifragi, allagamenti e disagi al traffico. Ma si è preferito coniugare tutto all’indicativo piuttosto che al condizionale, usare i superlativi assoluti invece di quelli relativi, non avere cautela e rispetto per la terminologia, che conta moltissimo nella comunicazione del rischio. 

 

Come per i terremoti, anche in meteorologia si usano scale di pericolo: gli uragani hanno la Saffir-Simpson con intensità crescente da uno a cinque, i tornado hanno la Fujita, da F0 a F5, le grandinate si classificano con la scala Torro, da H0 a H10. Le piogge alluvionali in genere in Europa si suddividono in tre livelli – come in Francia - o cinque – come in Svizzera - con codici colore dal verde al rosso. Il fronte temporalesco di ieri poteva ragionevolmente classificarsi a un livello moderato, un arancione, ovvero non al massimo grado se comparato con altri recenti episodi disastrosi, quali le alluvioni venete del novembre 2010, il nubifragio delle Cinque Terre del 25 ottobre scorso o quello successivo su Genova del 4 novembre 2011. I comunicati dovevano dunque attirare l’attenzione su uno stato di vigilanza attiva delle persone e di preparazione degli organi di manutenzione e di pronto intervento. 

 

Creare aspettative così inquietanti non era giustificato per tale categoria di evento, soprattutto in quanto la natura temporalesca dei fenomeni, a macchia di leopardo e difficili da localizzare, escludeva a priori sia il coinvolgimento contemporaneo di un vasto territorio, come accade nelle piene maggiori sui corsi d’acqua di ordine superiore, sia la certezza di occorrenza su zone fortemente urbanizzate, lasciando un carattere di aleatorietà che non interviene nel caso di perturbazioni più vaste, organizzate e durature per le quali l’allarme può essere più preciso. Come nel caso dell’uragano Irene su New York nell’agosto 2011, che indusse correttamente il sindaco Bloomberg a evacuare parte della città, colpita poi soltanto di striscio. Insomma, ora che le previsioni son fatte, bisogna fare gli utenti e i comunicatori, altrimenti emerge lo spettro - temutissimo da ogni operatore del rischio - del vano grido «al lupo, al lupo». 

 

Alla prossima previsione in codice rosso, chi crederà più ai bollettini?

da - http://lastampa.it/2012/10/16/cultura/opinioni/editoriali/troppi-codici-rossi-cosi-non-ci-credera-piu-nessuno-nnx74uErj8d9X7vLiivtEN/pagina.html
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« Risposta #29 inserito:: Novembre 14, 2012, 05:42:11 pm »

Editoriali
14/11/2012

Previsioni, la terra di nessuno

Luca Mercalli


Le allerte meteorologiche di queste settimane, delle quali l’ultima del tutto motivata sulla Maremma, chiedono a gran voce istruzioni per l’uso per i cittadini e riorganizzazioni istituzionali. Cominciamo dalle previsioni. In Italia il panorama è all’insegna della frammentazione:
l’Aeronautica Militare detiene il ruolo di Servizio Meteorologico nazionale presso l’Organizzazione meteorologica mondiale ma la sua presenza a scala locale è limitata. Per questo sono sorti negli ultimi trent’anni i servizi meteo regionali in genere gestiti dalle Agenzie Regionali per l’Ambiente. La Protezione civile nazionale a sua volta ha costituito una propria struttura previsionale. Su questa complessa meteorologia dei granducati si è sovrapposta la recente esplosione di siti web amatoriali e commerciali la cui attendibilità è più o meno buona ma la cui capacità di relazionarsi con le persone è ben più dinamica delle istituzioni. Sul numero 4/2012 di «Ecoscienza», rivista del Servizio Meteo Regionale dell’Emilia Romagna (www.arpa.emr.it), Stefano Tibaldi, uno dei fisici dell’atmosfera che più si sono spesi per la nostra meteorologia, definisce questa situazione un «disastro nazionale unico in Europa», motivato da «enorme debolezza accademica e totale disinteresse istituzionale statale».

 

Di recente è vero che il Dipartimento della protezione civile ha favorito «la crescita di alcune eccellenze scientifiche e operative», ma la persistente indifferenza dello Stato mantiene l’Italia una «terra (meteorologica) di nessuno», nonostante la legge 100/2012 per il riordino del Sistema nazionale di protezione civile, che dovrebbe realizzare il «Servizio meteorologico nazionale distribuito» richiesto dal decreto legge 112/98 e mai attuato.

 

Nel frattempo i cittadini si arrangiano, pescando le previsioni dove capita ricevendo le allerte non da un’unica e autorevole fonte, diciamo Météo France o Meteo Svizzera, bensì dalle chiacchiere del bar. Poi l’alluvione arriva, anche per via della cementificazione selvaggia e
dell’urbanistica che non si è accordata con l’idraulica, cose ipernote, se ne parla dall’evento di Firenze del 1966. Fiumi di congressi, gruppi di lavoro, commissioni, progetti di ricerca... Eppure le famiglie di Vicenza che in due anni si sono viste invadere la casa dal Bacchiglione, si stanno arrangiando da sole: se ne vanno, cambiano casa. Incredibile che la dinamica di adattamento stia coinvolgendo in modo dirompente e improvvisato le persone senza che vi sia la minima guida di questi delicati processi da parte delle istituzioni! Che cosa giunge di tante dotte riflessioni a chi ora ha l’acqua in salotto?

 

In Francia, dopo la tempesta Xynthia che il 28 febbraio 2010 ha causato 29 vittime nel comune atlantico di La Faute-sur-Mer, l’area residenziale costruita in violazione del rischio è stata dichiarata dalla prefettura «zone noire» con abbattimento e delocalizzazione di 674 case. 

da - http://lastampa.it/2012/11/14/cultura/opinioni/editoriali/previsioni-la-terra-di-nessuno-qXIf4Chmg6mDoIoHE6B73L/pagina.html
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