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Autore Discussione: Padovani: «L’insostenibile leggerezza delle nostre Mafie»  (Letto 2470 volte)
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« inserito:: Novembre 29, 2009, 06:43:29 pm »

Padovani: «L’insostenibile leggerezza delle nostre Mafie»


Abbiamo assistito in questi giorni a un’iniziativa quasi disperata: far circolare in tv le riprese di un’esecuzione camorristica nella speranza di una reazione, di un gesto, almeno uno, di denuncia, da parte di uno dei tanti che hanno visto il volto dell’assassino.
Abbiamo guardato il video con sconcerto, incapaci di capire come un passante possa inciampare in un morto, scavalcarne la salma, tornare a verificarne l’identità e andarsene senza scomporsi, come tutto fosse normale. Per capire la normalità del fenomeno è utile leggere un recente libretto uscito in Francia, da Gallimard, di Marcelle Padovani, Mafia, mafias.

L’autrice (autrice di tre documentari sulla mafia e nota per alcune celebri interviste sul tema, con Sciascia e con Falcone, queste ultime raccolte in un volume già pubblicato in Italia da Rizzoli, Cose di cosa nostra), in un centinaio di pagine, ampiamente illustrate da un apparato iconografico notevolissimo, senza perdersi fra i dibattiti storico-scientifici su «che cos’è la mafia», riesce a spiegare con rapidità ed efficacia come le mafie siano un fenomeno che intreccia potere e società civile, ricchi e poveri, uomini e donne, e che proprio per questa sua capacità di inclusione, infiltrazione e traduzione di istanze sociali diverse riesce a ottenere il consenso omertoso che le consente lunga vita. La mafia, le mafie, non riguardano solo i criminali, ma la società tutta e lo Stato; non sono solo un problema del Sud ma del mondo intero, tanto più di quello globalizzato.

La mafia (nelle varianti: Cosa nostra siciliana, la camorra napoletana, la ’ndrangheta calabra e la Sacra Corona Unita pugliese) va pensata come un mondo altamente organizzato e coeso, dotato di tutto ciò di cui un mondo ha bisogno: strutture di potere, gerarchie, strutture simboliche, strutture economiche, tessuto sociale e valori. Eh sì, perché per quanto possa suonare paradossale anche il mondo mafioso ha dei valori: il rispetto, la solidarietà, la famiglia, perfino Dio (e un capitolo interessantissimo del libro focalizza proprio questa tema: il modo in cui la religione è stata integrata dai mafiosi nel proprio sistema)... valori positivi e necessariamente condivisi, solo resi compatibili – nel mondo mafioso – con la violenza, il sangue, il ricatto, l’interesse. La forza delle mafie sta anche in questa capacità di fagocitazione del mondo «normale» in un universo rovesciato, i cui membri non sembrano consapevoli dell’orrore in cui vivono e che alimentano. Un po’ come nella notissima serie tv dei Sopranos: brava gente quasi, che si dà da fare, ci tiene alla famiglia (pur fra umani cedimenti adulterini), ha sempre un prete fra gli invitati nelle feste importanti...

Anche per questo il video dell’esecuzione di Napoli non ha presa nella sua stessa Napoli. Come la Padovani nota, citando un altro esperto di mafia (Piero Grasso) in chiusura di volume, le mafie stanno diventando un fenomeno sempre più ordinario, invisibile. Dopo l’attacco delle grandi operazioni antimafia degli anni ’80 e ’90, la mafia ha scelto una strategia di immersione nella società che cerca di evitare i gesti eclatanti. Molto spesso basta non usare i termini mafia, camorra, ’ndrangheta e usare ad esempio «sistema», come scrive Saviano in Gomorra (in un brano antologizzato nel volume della Padovani) e l’abitudine, poi, fa il resto: normalizza tutto e autorizza tutto. Sta perfino autorizzando il senso comune ad accettare che si parli di mafia in termini turistici (avevamo letto questa estate che su qualche guida della Sicilia si indicavano come mete di interesse dei luoghi caldi della mafia ed esiste in commercio in Italia, in traduzione francese, giapponese, tedesca, russa, spagnola, inglese, un libro che si intitola "La mafia spiegata ai turisti").

28 novembre 2009
da unita.it
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