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« inserito:: Novembre 22, 2009, 05:29:35 pm » |
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L’intervista | Il responsabile della Pubblica Amministrazione: finché bastava dire no, il rigore conservatore ha funzionato. Ora si cambi passo
«Basta veti ciechi da Tremonti
Tutti i ministri la pensano così»
Brunetta: il Tesoro è una iattura, governo commissariato dal suo egemonismo opaco
ROMA — «La nave va. L’Italia ha attraversato i marosi della crisi meglio degli altri. Nella burrasca abbiamo avuto meno morti e feriti, sono cadute meno suppellettili. Ora abbiamo uno slot spazio-temporale d’eccezione: un’occasione straordinaria. Possiamo uscire dalla crisi con le riforme, con la modernizzazione. Ma dobbiamo aprire una fase nuova. Cambiare cultura e filosofia. Darci una nuova politica economica ».
Ministro Brunetta, sicuro che la crisi sia finita? Le cronache ci parlano di gravi sofferenze sociali, di aziende in difficoltà, di operai senza lavoro.
«Non abbiamo avuto una crisi bancaria, una crisi sindacale, e neppure una vera crisi sociale. I lavoratori dipendenti hanno mantenuto se non aumentato il loro potere d’acquisto, tranne alcune frange; ma gli ammortizzatori sociali hanno funzionato. Tutti i comparti della nave sono in sicurezza. La politica economica e finanziaria fatta nell’attraversamento della crisi è stata efficace. Il 'rigore conservatore' di Tremonti ha funzionato. Del resto, bastava dire no: non fare, non spendere, bloccare tutto; chiudere i boccaporti. Ora però bisogna cambiare passo. Passare da un metodo all’altro. Sciogliere le vele, far ripartire i motori».
Ricominciare a spendere, a costo di far saltare i conti pubblici?
«No. Passare dal rigore conservatore al rigore selettivo, modernizzante, intelligente, capace di decidere. Sbloccare gli investimenti. Il piano per il Sud. La green economy. La banda larga. Le riforme: perché le riforme della scuola e della giustizia non possono funzionare senza risorse. Ogni componente del governo deve poter esplicare le proprie potenzialità: l’ambiente, l’università, la sicurezza, il welfare, la sanità, lo sviluppo economico, le infrastrutture. Invece il ministro Tremonti esercita un potere di veto sulle iniziative di tutti i ministri. Un blocco cieco, cupo, conservatore, indistinto. Incapace di distinguere, ad esempio, tra i Comuni indebitati e i Comuni virtuosi, che potrebbero spendere ma non possono a causa dell’interpretazione rigida del patto di stabilità interno».
Tutti i ministri la pensano come lei?
«Sì. Tutti soffrono per il potere di veto di Tremonti. Un po’ meno quelli della Lega, per ragioni non filosofiche ma opportunistiche: sono trattati un po’ meglio, anche se non benissimo».
Dice così per lo scontro che avete avuto nello scorso Consiglio dei ministri? Cos’è accaduto veramente?
«Dopo che il Consiglio dei ministri ha approvato il testo della Carta dei doveri della Pubblica Amministrazione, Tremonti, anziché limitarsi ai rilievi tecnici, ha rimesso in discussione l’intero impianto. Così ha straripato rispetto alle sue competenze. Io non ho mai detto nulla su provvedimenti di sicuro populismo ma dal dubbio impatto economico, come la Social card o la Robin Hood tax. Ma Tremonti ha di fatto commissariato, sia pure a fin di bene, l’intero governo. Con la ripresa, però, non può più sostituirsi al Consiglio e al presidente Berlusconi: non è questo che vogliono gli italiani. I disegni di legge si approvano in Consiglio dei ministri, non nelle segrete stanza del ministero dell’Economia. È per questo che abbiamo litigato, ed è per questo che porterò avanti la Carta dei doveri, nella versione approvata dal Consiglio».
È sicuro che non costi nulla?
«Certo. La cortesia, la semplicità del linguaggio, la lotta alle molestie amministrative non costano, e sanzionare le omissioni aumenta la produttività, non gli oneri. Si è voluto ridicolizzare l’obbligo della cortesia. Ma non credo che un sorriso in più a un cittadino che fa la fila allo sportello possa compromettere il funzionamento della Pubblica amministrazione, tanto meno il bilancio dello Stato. A me sembra piuttosto che il ministro Tremonti voglia difendere la sua scortesia».
Non è che lei ne fa una questione personale?
«No. Ho aspettato dieci giorni a parlare proprio per depurare tutto. Conosco Tremonti da una vita. Il problema non è un carattere più o meno iracondo, non è che abbia minacciato di 'prendermi a calci': quelle sono sovrastrutture, che su di me incidono pochissimo. Il problema è politico. Ne va del bene del governo e del Paese. Oggi, ogni provvedimento di qualsiasi ministro deve avere il 'bollino' del Tesoro.
Ma la legge impone che la ragioneria dello Stato eserciti un controllo tecnico e oggettivo. Invece mancano regole su metodi, dati e fonti della verifica. Ti rispondono sì o no senza vincoli di tempo né giustificazioni. Il Tesoro esercita un egemonismo leonino, opaco, autoreferenziale. Una iattura. E lo dico convinto di interpretare lo spirito dell’interno governo».
E Berlusconi?
«Percepisce questo come un problema. E ne vede le due facce: quella positiva, la tenuta nella tempesta; e quella negativa, l’inerzia nella quiete. Invece il governo deve procedere subito, a 360 gradi. Il primo test sarà il piano per il Sud, concepito con il sistema hub and spokes, con un centro forte — il mozzo della ruota: Palazzo Chigi, il ministro Scajola — e tanti raggi quanti sono i ministeri, che finora hanno subito pesanti discriminazioni. Invece è il momento di suscitare ogni energia. Di aprire una grande discussione nel Paese, che coinvolga tutte le intelligenze. Comprese quelle, tanto vituperate, degli economisti».
Diranno che lei attacca Tremonti per prenderne il posto.
«Io sto bene qui, dove combatto una battaglia epocale per la modernizzazione dello Stato. Non ho ambizioni personali. Gli riconosco il merito di aver tenuto la barra. Ma il perdurare della chiusura ora diventa un blocco. Per le banche, le imprese, le famiglie, la burocrazia. Il governo è stato commissariato; ma quando esci dalla bufera questo non è più possibile. Non è più tempo di Social card, banca per il Sud, Tremonti bond, grattaevinci antievasione: tutte strutture di vario successo, che ormai appartengono al passato. Prima della crisi, l’Italia aveva un differenziale di crescita del 30% rispetto al resto d’Europa: se gli altri crescevano di 3 punti, noi di 2. Nella crisi siamo scesi come gli altri: il differenziale è stato azzerato in negativo. Ora dobbiamo crescere come gli altri, azzerare il differenziale in positivo. E il federalismo fiscale da solo non sarà la soluzione. Anzi, rischia di peggiorare le cose».
Vale a dire?
«Se lo vareremo senza aver fatto le riforme economiche e quelle istituzionali, senza aver modernizzato le burocrazie e il sistema politico, non faremo che creare altri centri di spesa».
Vede elezioni anticipate?
«Non ci credo. Sarebbero l’unica soluzione se venisse meno la maggioranza. Ma il Paese vuole il contrario. Sessanta milioni di italiani ci chiedono il cambio di passo, lo sviluppo, il cambiamento. Le elezioni anticipate sarebbero un ulteriore blocco».
22 novembre 2009 da corriere.it
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