Admin
Utente non iscritto
|
|
« inserito:: Agosto 12, 2007, 06:49:21 pm » |
|
Qualcosa si poteva fare
Giancarlo Ferrero
Non sempre il diritto e l’applicazione della legge corrispondono al senso della giustizia dei cittadini.
Va subito chiarito che il magistrato è tenuto, per il sacrosanto principio della divisione dei poteri, ad applicare le leggi vigenti al momento in cui viene commesso il fatto illecito . Secondo il nostro codice di procedura penale per poter ricorrere alle misure cautelari personali, come appunto l'arresto, sono necessari requisiti precisi.
Non solo che sussistano forti indizi di colpevolezza, ma che si sia di fronte ad un grave delitto, vi sia concreto pericolo di inquinamento di prove, di eventuali fughe o di reiterazione di altro reato. La sola gravità di quest’ultimo non è sufficiente, se non ricorra almeno una delle tre condizioni accennate. Così, ad esempio, se un coinquilino iracondo uccida il vicino, ma si costituisca, confessi l’omicidio, si ponga a disposizione dell’autorità e consegni la documentazione che gli consenta l’espatrio non si potrà procedere al suo arresto. Perché il magistrato, senza incorrere in un arbitrio, si comporti diversamente ed ordini, al di fuori delle ipotesi previste, la misura cautelare restrittiva, è indispensabile che il Parlamento vari un’apposita legge.
Nel giro di poche ore si sono verificati tre episodi che comprensibilmente lasciano interdetta l’opinione pubblica. In Piemonte un conducente criminale che guidando in stato di ubriachezza uccide una ragazza di 16 anni, viene accusato di omicidio volontario per dolo eventuale e sottoposto a misura (provvisoria) cautelare coercitiva. Come è suo diritto l’indiziato ricorre al tribunale della libertà che non ravvisa nel caso di specie un omicidio volontario, ma solo colposo (con una pena da sei mesi a cinque anni, ridotta con l’applicazione dell’inevitabile - assicurazione obbligatoria - risarcimento del danno). Di conseguenza non ravvisa sussistente nessuna condizione per applicare la misura cautelare ed ordina la liberazione del conducente.
Sul punto della natura dell’omicidio perpetrato con la conduzione gravemente illecita di un veicolo, molte sono le obiezioni che possono farsi. Non sempre infatti l’incidente stradale è causato da mera negligenza, imprudenza od imperizia, che spiegano il ricorso alla figura giuridica del reato colposo. Quando, e purtroppo non è caso isolato, il conducente si pone volontariamente nella condizione di non percepire più la realtà e di non essere padrone dei suoi riflessi oppure compie coscientemente una trasgressione gravissima, come ad esempio effettuare un sorpasso in curva, di notte, con i fari spenti, parlare di imprudenza e negligenza è veramente riduttivo e contrario al prevalente senso di giustizia. In questi casi soccorre un istituto antichissimo, come giustamente ha ricordato Di Pietro sulle cui spalle evidentemente pesa ancora il ricordo della toga, del dolo eventuale: il soggetto agente non vuole commettere il fatto, provocare l’incidente mortale, ma sa perfettamente che la sua illecita condotta può facilmente provocarlo e ciononostante continua nell’azione delittuosa accettando il rischio dell’incidente. Come è di immediata evidenza, nella fattispecie si va ben oltre all’imprudenza e l’azione relativa acquista, agli occhi della giustizia, prima ancora che del diritto, tutta la sua valenza criminale. Certamente grave è poi che il conducente non fosse alieno dal commettere infrazioni al codice stradale, se, come pare, gli è stata già sospesa la patente.
Il caso del piromane colto in flagranza non può non lasciare adito a qualche dubbio; in un momento in cui l’Italia è in mano a tanti Neroni stupidi e prezzolati, lasciare un loro degno rappresentante libero di continuare, con più attenzione, la sua distruttiva attività appare poco consono al diritto ed al buon senso. Per fortuna secondo le ultime informazioni il piromane di turno sembra essere rientrato in carcere.
Di inaudita gravità è il terzo episodio dell’orrendo omicidio della giovane donna a Sanremo da parte dell’ex fidanzato. Con il solito, deresponsabilizzante senno di poi è ora estremamente facile affermare che l’omicida era persona estremamente pericolosa, forse un psicopatico, di certo con una personalità disturbata, come sembra avesse riconosciuto un medico. Anche in questa ipotesi, peraltro, valgono i limiti già visti per adottare la misura cautelare coercitiva, prima fra tutti, tanto da costituirne il presupposto, la gravità degli indizi di colpevolezza. In proposito vi è un forte contrasto tra la tesi sostenuta dalla questura e quella della procura della repubblica; ovviamente non conoscendo gli atti non sarebbe serio prendere posizione a favore dell’una o dell’altra tesi e bene fa il ministro Mastella ad acquisire tutti gli elementi possibili di prova. Di fronte ad un episodio del genere la chiarezza deve essere massima, non tanto per i risvolti giuridici, ma per l’opinione pubblica e per la pace di quei poveri genitori provati da un dolore immenso. Dovranno altresì essere prese in considerazione e valutate le denunce di minaccia presentate dalla vittima ed i riscontri delle forze dell’ordine. Così come dovrebbe essere spiegato perché di fronte ad una diagnosi medica molto negativa non si sia pensato di adottare delle misure di sicurezza sanitarie.
In ogni caso sono assolutamente da evitare speculazioni di carattere emotivo, non solo moralmente squallide, ma pericolose per una ordinata convivenza civile in cui l’ultima parola (senza che ciò ovviamente significhi irresponsabilità) in tema di delitti spetta esclusivamente ai tribunali che debbono motivare i loro provvedimenti, assumendoli il più rapidamente possibile.
Pubblicato il: 12.08.07 Modificato il: 12.08.07 alle ore 14.36 © l'Unità.
|