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Autore Discussione: La poesia è un'arma caricata di futuro  (Letto 4640 volte)
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« inserito:: Giugno 08, 2007, 05:28:35 pm »

La poesia è un'arma caricata di futuro

 

di Gabriel Celaya

 

Quando non ci si aspetta più nulla di personalmente esaltante,

ma si palpita e si va più in là della coscienza,

fieramente esistendo, ciecamente affermando,

come un polso che palpiti nelle tenebre,

 

quando si guarda negli occhi

il vertiginoso sguardo bianco della morte

le verità si fanno avanti

le barbare, terribili, amorose crudeltà:

 

si dicono poesie

che allargano i polmoni di quanti, asfissiati,

chiedono di essere, chiedono ritmo,

chiedono legge per quello che sentono è troppo.

 

Con la velocità dell'istinto,

col lampo del prodigio,

come magica evidenza, il reale ci diventa

identico a se stesso.

 

Poesia per il povero, poesia necessaria

come il pane quotidiano,

come l'aria che pretendiamo tredici volte al minuto,

per essere e per affermarlo, per affermare

che siamo uomini, affermare che siamo uomini.

 

Perché viviamo appena, e a malapena ci lasciano

dire chi siamo,

i nostri canti non saranno senza macchie, pura forma.

Stiamo toccando il fondo.

 

Maledico la poesia concepita come un lusso

culturale per i neutrali

che, lavandosene le mani, si disinteressano ed evadono.

Maledico la poesia di chi non prende partito fino a macchiarsi.

 

Faccio miei gli errori. Sento in me quanti soffrono

e canto respirando.

Canto e canto, e cantando al di là delle mie pene

personali, mi espando.

 

Vorrei darvi vita, provocare nuovi atti,

e calcolo per questo, con tecnica, che cosa posso fare.

Mi sento un ingegnere del verso e un operaio

che forgia con altri la Spagna nei suoi acciai.

 

Tale è la mia poesia. Poesia-arnese

al tempo stesso che palpito di ciò che è unanime e cieco.

Tale è, arma carica di futuro espansivo

con cui miro al tuo petto.

 

Non è una poesia goccia a goccia pensata.

Nemmeno un bel prodotto. Non un frutto perfetto.

È un po' come l'aria che tutti respiriamo

ed è il canto che effonde quanto dentro portiamo.

 

Son parole che tutti ripetiamo, sentendole

come nostre, e che volano. Son più di quanto è detto.

Sono il più necessario: quello che non ha un nome.

Sono grida nel cielo e, in terra, sono atti.
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Admin
Utente non iscritto
« Risposta #1 inserito:: Giugno 13, 2007, 12:11:16 pm »

13/6/2007 (8:42) - INEDITO

Alicia Giménez-Bartlett: acqua santa e aria condizionata

Un racconto della scrittrice spagnola ospite a Roma.

Due genitori non credenti e un bambino tentato (forse) dalla religione


Alicia Giménez-Bartlett sarà ospite domani sera del Festival Letterature di Roma con racconto inedito dal titolo «L’aria sacra».

Ne anticipiamo uno stralcio.


Nessuno aveva parlato di Dio a suo figlio, mai. Tanto lui quanto sua moglie erano professionisti di successo, godevano di un livello di vita invidiabile, erano colti e progressisti. Avevano iscritto il figlio a una scuola laica molto moderna, dove i bambini venivano educati al rispetto dei valori democratici e umani, alla tolleranza e alla solidarietà. Se mai a David fosse stata presentata l'idea di Dio, ciò sarebbe avvenuto entro una cornice adeguata, non dogmatica, né tantomeno influenzata dalle idee reazionarie solitamente connesse con la religione. Questa era una cosa che avevano stabilito insieme. Se poi in futuro il ragazzo avesse espresso il desiderio di abbracciare un credo religioso, non si sarebbero opposti, una volta che fosse stato in grado di prendere decisioni autonome. Questo pareva loro l'atteggiamento più sensato, anche se in realtà non ci avevano riflettuto troppo, forse perché l'idea di Dio era sempre stata assente dalle loro vite.

Quella sera, quando rientrò a casa, trovò suo figlio già in pigiama. «David, la mamma mi ha detto che l'altro giorno, mentre eri da solo qui in soggiorno, ti è venuta voglia di pregare l'impianto dell'aria condizionata».

Il bambino tenne lo sguardo fisso sul televisore. Dopo qualche secondo, rispose: «Sì, è vero».
«Mi puoi spiegare com'è andata?».
«Niente, ero qui da solo e a un certo punto mi è venuta voglia di pregare l'aria condizionata».
«Questo lo so già. Ma, dimmi, tu lo sai cosa vuol dire pregare?».
«Certo, l'ho visto nei film. Ti metti in ginocchio, con le mani giunte, e dici: "Dio mio proteggimi e fa' che non mi succeda niente di male. Amen"».
«Avevi paura? Non ti sentivi bene?».
«No».
«Ti sentivi solo? Eri triste? Ti era successo qualcosa di brutto a scuola?».
«No, niente».

Seduto alla scrivania, nel suo studio di architetto, tornò a rimuginare sulla faccenda. Non dare peso alla cosa e lasciare che il piccolo dimenticasse da sé quella fantasia gli pareva la soluzione migliore. E se invece, così facendo, avesse sottovalutato un sintomo di disturbo mentale? Di una nevrosi, per esempio, di un delirio paranoide, volendo essere pessimisti? Insomma, ora che avevano preso in considerazione il problema, forse era il caso di arrivare fino in fondo. Avrebbe proposto a sua moglie di consultare uno specialista in psichiatria infantile. Il più prestigioso, naturalmente. «Vostro figlio è perfettamente normale», disse. Un duplice sospiro di sollievo si levò nella stanza. «Devo precisare che ho avuto quest'impressione fin dall'inizio, ma ho voluto accertarmene, cosa che ho fatto nel corso di questo mese. David è un bambino sano, allegro, dotato di un elevato quoziente intellettivo e molto maturo per la sua età. Prima di conoscerlo potevo attribuire gli episodi che mi avete descritto a un senso di solitudine patologico, o a una crisi matrimoniale fra voi due. Ma devo dire che ho scartato ogni ipotesi di questo tipo. Un bambino magnifico e splendidamente equilibrato, questo è il vostro David».

Il padre si lanciò in un'entusiastica conclusione: «Allora si è trattato di una sciocchezza infantile».
«Vede, architetto Serra, io non la definirei così. Non so come spiegarmi senza apparirle troppo teorico o distaccato, ma ci proverò. Il fatto è che Jung, uno dei padri della moderna psicologia, sostiene che l'equilibrio mentale dell'uomo si realizza pienamente quando avverte la necessità del concetto di Dio».
«Capisco, e allora?», domandò la madre.
«E allora, se applichiamo questa teoria al caso di David, ne risulta che forse il bambino sente il bisogno della presenza di Dio nella sua vita».
«D'accordo, professore. E l'aria condizionata? Non mi dirà che qualche padre della patria o come lei vorrà definirlo ha elaborato una spiegazione anche per questo», si spazientì lei.
«Si tratta di un simbolo, un simbolo qualunque. Immagino che David, nella sua mente infantile, abbia proiettato l'idea di Dio su qualcosa che sta in alto, al di sopra della sua testa. Il condizionatore che avete in casa emette anche aria calda?».
«Sì».
«È chiaro. Rappresenta una fonte di calore d'inverno e di confortante frescura d'estate. Diciamo che agisce come un elemento protettore».

In un tono che tradiva la sua crescente irritazione, Marta replicò: «Tutto questo va benissimo, professore. Ma il problema come si risolve? Perché una cosa è fuori discussione: non possiamo permettere che nostro figlio si trasformi in una specie di squilibrato che se ne va in giro a pregare tutti i condizionatori d'aria che trova sulla sua strada».
«Io questo non lo so, signora. Parlategli di Dio, spiegategli quello che sapete, come lo sentite voi… Fate in modo che le sue curiosità si orientino verso l'astrazione…». \ Prima di tornare al lavoro, presero un caffè in un bar vicino allo studio del medico. Era difficile per entrambi nascondere lo sconcerto. In silenzio, giravano il cucchiaino con lo sguardo fisso nella tazzina. Di colpo, lei esplose: «Ma cosa avrà voluto dirci quel tizio con la storia dell'astrazione? E per partorire una simile idiozia si è preso tutti quei soldi?». Il marito si grattò la testa, guardò in aria e poi disse, come senza intenzione: «Forse se avessimo un altro figlio con cui David potesse giocare…».

«Non credo che c'entri. Eppure non lo so, non ci capisco più niente, Tomás, te lo assicuro. Che cosa dobbiamo fare? Portare il bambino alla scuola coranica? Vestirlo da Hare Krishna e rapargli la testa? Raccontargli dei sette giorni della creazione e dell'arca di Noè? Se lo sa mia madre, docente di Diritto romano, militante della sinistra radicale…».
«Tua madre è già rimasta abbastanza delusa quando ti sei messa a lavorare per l'impresa privata. Alla fine, questo è un male minore. Il problema è quell'hippy di mio padre. Lui che negli Anni 70 portava i fiori nei capelli…». Rimasero di nuovo in silenzio. Bevvero il caffè. Lei disse: «Me lo vedo già il nostro David col clergyman e una croce appesa al collo. Che disastro».
Lui rispose: «Be', magari diventerà missionario e andremo a trovarlo in qualche paese caldo, a Santo Domingo o ad Haiti, durante le vacanze di Natale. Potrebbe essere divertente».

«Sì, forse ne verrà fuori un santo o qualcosa del genere». Allora si guardarono negli occhi e si lasciarono sfuggire una piccola risata, in cui c'era tutta la loro perplessità, il loro reciproco affetto e la loro accettazione del mondo, sempre mutevole e sempre uguale a se stesso. La loro sincera fascinazione per la vita.

Traduzione di Maria Nicola

da lastampa.it
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