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Autore Discussione: Leonardo Sciascia, il dolore e la ragione  (Letto 2739 volte)
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« inserito:: Novembre 06, 2009, 09:44:12 am »

Leonardo Sciascia, il dolore e la ragione

Gli inediti a vent'anni dalla morte
 
                       
di Renato Minore

E’ dedicato a Leonardo Sciascia a venti anni dalla sua scomparsa il Dossier che Pietro Milone ha curato per “Il Caffè Illustrato”, il bimestrale diretto da Walter Pedullà. La rivista, nel numero doppio a giorni in libreria, pubblica undici scritti dispersi o inediti (ne anticipiamo due) del narratore saggista e intellettuale siciliano. Si va da due racconti a relazioni di convegni, dal commento politico a un’intervista inedita sul “Gattopardo”. Seguono saggi di Nino Borsellino, Pietro Milone e Walter Pedullà. Il Dossier è completato da una ricchissima fotobiografia di Leonardo Sciascia, raccontata dalla figlia Anna Maria. Sempre in occasione dell’anniversario è uscito un numero monografico de “Il Giannone” dal titolo “Leonardo Sciascia vent’anni dopo”, a cura di Antonio Motta, edito dal Centro Documentazione Leonardo Sciascia e dall’Istituto omonimo di San Marco in Lamis. Oltre i saggi di Maria Luisa Spaziani, Alberto Manguel, Massimo Squillacioti, Caterina De Caprio, Salvatore Giarrizzo, Salvatore Silvano Nigro, Giovanni Russo, Erasmo Recamio, Bruno Pischedda, Filippo La Porta, Claude Ambroise, Domenico Scarpa, Massimo Quaini, pubblica le lettere inedite tra Anna Maria Ortese e Leonardo Sciascia nei giorni del rapimento di Aldo Moro, le testimonianze di Andrea Camilleri (di cui pubblichiamo alcuni stralci) Luisa Adorno, Gianfranco Dioguardi, Goffredo Fofi, Emilio Greco, Salvatore Nigro, Piero Ostellino, Vittorio Sgarbi, Andrea Vilardo; fotografie e disegni di Ferdinando Scianna.


di Leonardo Sciascia
Qualche anno addietro, chiedendo a un libraio an­tiquario parigino se avesse libri italiani, uno me ne offrì di estrema rarità e di non lieve prezzo. S'intitola Trattato degli instrumenti di martirio, e delle varie maniere di martoriare usate da' gentili contro christiani, descritte et intagliate in rame. Stampato a Ro­ma nel 1591, ne è autore un Antonio Gallonio, sacer­dote della romana Congregazione dell'Oratorio. Ma il pregio del libro non è dato dal testo del Gallonio; sono le tante tavole intagliate in rame - e insomma le acqueforti - che lo rendono prezioso. Molto attendi­bilmente, sono del Tempesta: o di sua mano intaglia­te o, in d'après, da altri di provetto mestiere. Certo è, comunque, che anche se non suo è l'intaglio, sua è l'invenzione: come si può facilmente riscontrare negli affreschi della chiesa romana di Santo Stefano Roton­do, sicuramente suoi.

A proposito dei quali affreschi che, secondo i chio­satori francesi, erroneamente attribuisce a un più tar­do pittore olandese soprannominato Tempesta, Stendhal dice che gli orrori che rappresentano - non ri­scattati dall'eleganza - sono talmente insopportabili che soltanto lui, di tutta una comitiva di viaggiatori, ha avuto il coraggio di esaminarli dettagliatamente. E aggiunge: «La nostra simpatia ci dà l'idea di un dolore che in realtà non è stato mai sentito: quasi tutti i martiri sono più o meno in uno stato di estasi». Tocca così un punto, Stendhal, che mi pare essenziale in un discorso sul dolore. Per dirla approssimativamente: il rapporto tra il fanatismo e il dolore. E se ne può estremamente dedurne che, nella sfera del fanatismo che lo infligge e del fanatismo che lo soffre, il dolore non esiste, che il dolore è un'invenzione della ragio­ne, un'invenzione laica, un'invenzione primamente suscitata dall'idea della libertà e ad essa legata: e quindi anche all'idea della giustizia che ne discende. Stendhal mirabilmente, con quella rapidità e sotti­gliezza che son peculiarmente sue, lo dice in una sola frase, in una sola impressione: il dolore dei martiri come «dolore che non è mai stato sentito». E prima aveva detto: «Gli uomini d'oggi non sono più in grado di sentire la passione che faceva correre al martirio i primi cristiani»; per poi aggiungere: «Dal 1820 al 1825 seicento donne del Bengala si sono bruciate vive sul­la tomba dei mariti che non amavano affatto. Ecco un sacrificio veramente sentito, un dolore veramente atroce», stabilendo così che il dolore veramente esiste là dove il fanatismo, il potere, la tirannia ce lo inflig­gono: là dove ce lo infliggono, insomma, le cose che non amiamo. Per dirla sartrianamente: là dove ce lo infligge "la cosa", tutto quel che è fuori di noi, che su di noi si abbatte. E in definitiva: la più atroce e spa­ventosa immagine del dolore, del dolore fisico che si intride al dolore esistenziale, è per noi quella del dolore che colui che non pensa, che coloro che non pensano, che interi sistemi di negazione del pensiero infliggono a colui che pensa, a coloro che pensano.

Ecco: io non posso che fermarmi all'aneddoto e al paradosso, intendendo però il paradosso come for­ma, magari difficoltosa e tracotante, della verità. Dal vostro lavoro verrà una più vasta e articolata nozione del dolore che s'accompagna alla vita degli uomini, alla storia dell'umanità, alla storia di ogni uomo.

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Relazione di apertura al VII Congresso internazionale di studi antropologici su “Il dolore. Pratiche e segni”. Palermo, 1986
 
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