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Autore Discussione: Non siamo più nel medioevo  (Letto 2637 volte)
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« inserito:: Novembre 04, 2009, 03:22:53 pm »

4/11/2009

Non siamo più nel medioevo
   
EUGENIA TOGNOTTI

E ora, davvero, occorrerebbe cominciare a smorzare i toni. A tenere a bada l’emotività. A finirla con la conta delle vittime, del genere «tutti i morti minuto per minuto».
A restare saldamente ancorati all’«intelligenza della ragione». Ad addomesticare la paura. Diciamolo pure. Non siamo di fronte alla peste polmonare e alla «Morte nera».

O ad un virus letale, subdolo, aggressivo per il quale non esistono cure e vaccini, come Ebola o Marburg o qualche altra misteriosa febbre emorragica, di terrificante virulenza, arrivata, all’improvviso, dalla foresta africana a seminare terrore e morte. Sia pure sotto specie pandemica, per così dire, trattasi di influenza, una delle malattie più antiche della storia dell’umanità, che, infatti, porta un nome coniato in Italia nel XVI secolo, diffuso in buona parte del mondo, e legato alle antiche dottrine mediche che facevano derivare dai corpi celesti l’origine di questa patologia dovuta, dicevano gli antichi trattati, «all’occulta influenza degli astri».

Eppure, è un quadro ben cupo quello che ci restituiscono le cronache di questi giorni scritte e parlate - tra immagini, resoconti di funerali, allarmi incrociati e prese di posizione contrastanti su tutto o quasi (vaccinazioni, classi di età a rischio, tassi di mortalità, numero dei colpiti). Uno scenario confuso, ambiguo, di fronte al quale sarebbe ben disorientato e privo di punti fermi, lo storico che, nel 2109, intento ad un ipotetico studio sulla gestione delle emergenze epidemiche di influenza del XXI secolo, cominciasse la sua ricognizione dai giornali - un’insostituibile fonte per la ricostruzione delle reazioni emotive, dell’impatto sanitario e sociale, dei comportamenti e degli atteggiamenti collettivi.

E’ comprensibile, naturalmente, che l’allarme per la morte tra i bambini sia capace di provocare qualcosa che si avvicina ad una psicosi collettiva. Dopo un secolo di risonanti vittorie contro le malattie infettive che per tutta l’età moderna sono state responsabili di stragi di innocenti, siamo ormai così felicemente abituati ad un regime di «ordine e prevedibilità» della morte, che non possiamo neppure concepire una spada di Damocle sospesa sui bambini; una cosa che faceva parte della vita quotidiana in un passato - di cui si è persa persino la memoria - dominato da una mortalità capricciosa e imprevedibile, in cui giovani e bambini morivano prematuramente e improvvisamente con terrificante frequenza - per l’arrivo improvviso e inaspettato di peste, colera, febbre tifoide, vaiolo, e di una schiera di malattie infantili, allora mortali, come scarlattina, difterite, crup.

Ma quel mondo e quel passato sono lontanissimi dal nostro tempo di miracolosi successi della Medicina. Questa pandemia non ha niente di imprevisto, di ignoto. Si può senz’altro dire che è la più annunciata della storia. Sapevamo - sulla base dei cicli e dei calcoli sulle pause interpandemiche - che sarebbe arrivata. Gli annunci e i falsi allarmi, alla comparsa di ogni ceppo «sospetto» -, sono stati così tanti, dall’ultima - la Hong Kong del 1968-69 - da produrre, di tempo in tempo, l’effetto «al lupo al lupo». Dal 2005, dalla comparsa alla ribalta del virus H5N1 (ben più temibile se avesse fatto il salto di specie e «imparato» a diffondersi da uomo a uomo), organismi internazionali, governi, esperti di sanità pubblica, ricercatori hanno lavorato alla ricerca su vaccini e antivirali, alla costruzione di un sistema di monitoraggio dei virus, alla preparazione di faraonici e dettagliatissimi «preparedness Plans» contro l’influenza.

Piani, che in molti Paesi prevedevano non solo i modi di affrontare una serie di complessi e ardui problemi di etica medica, come i doveri degli operatori sanitari nel caso di una grave pandemia influenzale, le eventuali limitazioni delle libertà individuali, le responsabilità amministrare nei programmi di vaccinazione; l’allocazione di risorse mediche limitate, l’obbligo dei Paesi ricchi a condividere tali risorse con quelli poveri. Ma disegnavano anche - col ricorso a sofisticati modelli matematici - scenari diversi, secondo il vario combinarsi di un ventaglio di variabili: dal tipo di virus all’andamento delle epidemie passate, al tipo di popolazione, alla velocità di diffusione del virus, alla capacità di contagio da uomo a uomo, e a quella di reazione immunitaria da parte dell’organismo; e, ancora, l’aggressività del virus e le possibili mutazioni. Il virus H1N1 - a quanto sembra - presenta alcuni caratteri particolari: ha girato il mondo in due mesi, ad una velocità tripla di quella dell’Asiatica, la pandemia influenzale del 1957, e sembra adattarsi assai bene alle temperature miti, contrariamente a quanto avviene con la maggior parte dei virus influenzali. Ma non è diventato più «cattivo». Niente, al momento, lascia intravedere, dunque, scenari drammatici o minacciose spade di Damocle. Nessuna paura, dunque. Anche se la storia della paura, da sempre a sempre, non comprende solo reazioni emotive, irrazionali e incontrollate, ma anche interventi e risposte operative.

da lastampa.it
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