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Autore Discussione: Una lezione di buona cultura dall’«Italietta» del 1911  (Letto 2577 volte)
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« inserito:: Novembre 02, 2009, 03:54:42 pm »

Una lezione di buona cultura dall’«Italietta» del 1911


Il Comitato nazionale per i 150 anni dell’Unità d’Italia, presieduto da Carlo Azeglio Ciampi, ha, per fortuna, ribaltato il documento di base presentato dal ministro Bondi (altra brutta figura) redatto sotto influenze leghiste, quindi anti-unitarie, e neo-guelfe. Vediamo ora cosa combinerà il governo che con storia e cultura non ha buoni rapporti. Certo, il confronto col 1911 rischia di risultare schiacciante. Per noi, ovviamente rispetto all’Italia giolittiana, chiamata, con una certa sprezzatura, «Italietta». Lo era forse nei numeri: soltanto 35-36 milioni di abitanti; una capitale, Roma, con 520.000 residenti appena. Ma quella «Italietta» è capace, nel 1911, di organizzare almeno due manifestazioni internazionali per il 50° dell’Unità d’Italia, a Roma e a Torino, che fanno arrossire l’Italia di oggi. La enorme superiorità dell’«Italietta» non sta soltanto negli stanziamenti messi in campo (su quelli odierni, già modesti, la Lega Nord – che notoriamente sa guardarsi l’ombelico padano – promette combattiva «vigilanza»). Sta nel respiro sovranazionale che il presidente del Consiglio, Luigi Luzzatti, succeduto a Giovanni Giolitti, e il sindaco mazziniano di Roma, Ernesto Nathan, ebreo e gran maestro della Massoneria, il più grande della storia amministrativa della capitale, sanno dare all’evento. Sta nella ricchezza oggi impensabile di progetti interessanti e innovativi che danno luogo ad opere nuove e al completamento di altre. Altre ancora, del tutto effimere, come i numerosi e spesso interessanti padiglioni delle varie regioni italiane chiamate a concorrere, danno fondamento alla «autorappresentazione della borghesia italiana» di cui l’Esposizione romana e quella industriale torinese (Firenze venne lasciata in ombra) sono lo specchio ambizioso.

Anche i numerosi padiglioni stranieri risultano spesso provvisori e però uno di questi, quello britannico, è destinato a tradursi presto nella grande sede stabile del British Institute, ancor oggi attivissimo, a fianco della fiammante Galleria Nazionale d’Arte Moderna dell’architetto Cesare Bazzani, che costituisce il perno della Valle delle Accademie, o Valle Giulia, nata allora sulla immensa ex Vigna Cartoni.

Quest’ultima, insieme all’ex piazza d’armi di Prati, rappresenta il luogo privilegiato dell’Esposizione che si muove fra riscoperta etnografica del Paese e classicismo carducciano. A congiungere i due poli viene lanciato sul Tevere il nuovissimo Ponte Flaminio, poi Risorgimento. Mentre si completa il Ponte Vittorio Emanuele II sbocco obbligato verso San Pietro dell’omonimo Corso umbertino, frutto di pesanti sventramenti. «La celebrazione cinquantenaria si manifestò in parecchie forme, da quella filatelica a quella letteraria, mobilitò costruttori di monumenti e compositori di poesie e di musiche, ma anche, più seriamente, impegnò l’Accademia dei Lincei nei tre grossi volumi dal titolo “Cinquant’anni di storia italiana”. Le Esposizioni internazionali non furono che la perla più vistosa di una collana di iniziative», pretesto per «affermare progetti e propositi ambiziosi». La cosiddetta «Italietta» ha l’orgoglio di voler essere Nazione e Nazione europea. L’ha scritto lo storico Alberto Caracciolo nel catalogo per la bella mostra «Roma 1911» tenutasi alla GNAM nel 1980, sindaco Luigi Petroselli (altri tempi anche quelli), con contributi di Enzo Forcella, Renato Nicolini, Antonio Parisella, Alberto Racheli e altri. Confrontare lo sforzo politico-culturale debole e mediocre di questa nostra Italia di oggi - condizionata dalla Lega e governata da forze indifferenti, con poche eccezioni, al Risorgimento, che il presidente Napolitano deve di continuo richiamare - con l’Italia del 1911, confrontare la Roma odierna, spenta, incattivita e intollerante, con quella dello stesso 1980 suscita indignazione. Abbiamo vissuto anni migliori e ad essi possiamo, dobbiamo tuttora riferirci.

«Ad un certo punto della sua storia nazionale la borghesia italiana sente il bisogno di offrirsi alla ammirazione delle altre borghesie nazionali e di se stessa», annota con una punta d’aceto Claudio Treves sull’Avanti! nel marzo 1911 a margine dell’Esposizione. In effetti c’è un’altra Roma che cerca spazio e visibilità: quella dei più poveri, quella del gruppo di intellettuali, laici di sinistra (Angelo e Anna Celli, Giovanni Cena e Sibilla Aleramo, Vincenzo Cardarelli, Giacomo Balla, Duilio Cambellotti, ecc.), che, con l’incoraggiamento della giunta Nathan peraltro, hanno promosso le scuole «nei tukùl dell’Agro» malarico, reso frequentabile dal chinino di Stato, fra i pastori nomadi, fra i «guitti» disperati e analfabeti e i loro figli derelitti. Anche questa attività sociale memorabile avrà la sua mostra, fra maggio e ottobre 1911. All’interno dell’Esposizione si svolgono pure convegni nuovi e importanti. Come quello che traccia un primo bilancio del movimento femminile. In quello stesso periodo – come ha documentato il bellissimo libro di Mario Sanfilippo, «San Lorenzo 1870-1945» (Edilazio, 2003) - opera a Roma in quel quartiere di frontiera la grande innovatrice della didattica, Maria Montessori.

Ma torniamo alle altre «grandi opere» del 1911. Intanto viene finalmente portato a compimento l’immenso e infinito cantiere del Vittoriano (che tante polemiche suscita e susciterà) assieme alla sistemazione urbanistica di piazza Venezia. Poco oltre viene completata la grandiosa operazione della Passeggiata Archeologica, partita, con consistenti e coraggiosi espropri, poco più di vent’anni prima. Si accelerano i lavori del nuovo Parlamento di Ernesto Basile, protagonista del liberty, con l’aula centrale e il Transatlantico. Uno dei protagonisti di questo 1911 romano è un torinese, quasi un trait-d’union fra le due capitali, il conte Enrico di San Martino Valperga, presidente dell’Esposizione, per mezzo secolo alla guida dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Egli ha da poco completato sulle fondamenta dell’ex Arena Correa il suo «Augusteo», splendida sala da musica che Mussolini sciaguratamente picconerà di persona nel 1936. Vengono inoltre progettati e quindi costruiti il nuovo Stadio Nazionale al Flaminio e l’Ippodromo dei Parioli

Per le aree dietro il Lungotevere delle Armi, sulla sponda di destra del fiume, viene lanciato il Concorso Nazionale di Architettura che pone a progettisti e costruttori «il problema dell’abitazione, nei suoi molteplici aspetti di arte, igiene, comodità». Un livello siderale rispetto all’odierna edilizia romana dei Caltagirone, dei Bonifacci, degli Scarpellini e C., la più brutta e speculativa della storia recente. Ne nascono villini fra i più aggraziati, case d’affitto e case popolari oggi «da sogno» che ancora caratterizzano quel quartiere semi-centrale. Il sindaco Nathan ha posto con forza il problema del caro-affitti al presidente Luzzatti, lo Icp di Roma è attivissimo.

C’è almeno un’altra operazione, fra le tante di questo 1911, che va ricordata: lo stanziamento sostanzioso per l’acquisto di opere d’arte per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che porta a Roma uno dei più straordinari quadri di Gustav Klimt, protagonista della Secessione viennese, «Le tre età della donna». Purtroppo lampi di guerra già balenano all’orizzonte. L’intervento militare in Libia divide e indebolisce il blocco democratico della Giunta Nathan, coi socialisti massimalisti, già fuori di essa, i quali induriscono l’opposizione al sindaco mazziniano invece favorevole. La sua urbanistica moderna e avanzata, con gli esemplari quartieri di San Saba e Mazzini-Delle Vittorie, col Piano Regolatore Generale redatto da Edmondo Sanjust, con la lotta alla rendita fondiaria, sarà il terreno di scontro elettorale coi clerico-moderati. I quali, sia pure per poco, vincono il confronto dell’8 dicembre 1912. Una storia che conosciamo, purtroppo. Sulla pelle di tutti.

13 ottobre 2009
da unita.it
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