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« Risposta #2 inserito:: Marzo 29, 2010, 09:19:07 am » |
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29/3/2010
Il futuro non è un costo MICHELE BRAMBILLA
Oggi pubblichiamo un’inchiesta che manda un po’ in crisi il mito della scuola pubblica libera e gratuita per tutti. L’ha fatta Flavia Amabile e la trovate alle pagine 8 e 9. La riassumiamo a beneficio soprattutto di chi non ha figli a scuola, e troverà incredibili alcuni dei fatti che riportiamo. Ad esempio. La tassa statale per l’esame di maturità è di 12,03 euro: ma sono sempre di più gli istituti che richiedono un contributo straordinario. Chi 20 euro, chi 30, chi 50. Qualcuno arriva a chiederne 90.
Si tratta naturalmente di contributi volontari, come volontari sono i versamenti che sempre più spesso vengono richiesti all’inizio di ogni anno scolastico. Mi permetto una testimonianza personale. Al liceo classico (statale, s’intende) frequentato da mia figlia, quest’anno si è chiesto un contributo di 120 euro per alcune spese correnti cui non si riusciva a fare fronte: fra quelle indicate, l’acquisto dei cestini per gli assorbenti delle ragazze. Mi si perdoni se entro nei particolari: ma serve per dare l’idea di come sono ridotti i budget delle scuole. D’altra parte potete leggere anche nell’inchiesta della collega Amabile che lo stesso acquisto della carta igienica è a volte un problema. Così come le fotocopie: sono sempre più numerosi gli insegnanti che chiedono agli studenti di provvedere da soli.
Ovviamente non è che presidi e professori siano impazziti. Sono semplicemente costretti a fare i conti con una scuola che è alla canna del gas. Dicono - i responsabili degli istituti che chiedono questi contributi volontari - che negli anni scorsi le singole scuole hanno anticipato complessivamente un miliardo di euro, che il ministero non può restituire. Per questo si richiede un sacrificio alle famiglie. Su come si sia arrivati a questa quasi bancarotta ci sono diverse opinioni. C’è chi sostiene che si è sprecato troppo denaro, moltiplicando insegnanti e corsi (parecchi dei quali inutili). C’è al contrario chi accusa gli ultimi governi di avere più o meno deliberatamente lasciato morire la scuola pubblica.
Quale che sia la verità, ci chiediamo se sia giusto presentare il conto alle famiglie. Le quali già pagano le tasse: e sappiamo che in Italia non sono poche, soprattutto per chi non le può evadere. In più, quando mandano i figli a scuola, hanno già una serie di costi ben superiori alle semplici tasse di iscrizione. Nonostante si sia tanto parlato di un «tetto» per l’acquisto dei libri di testo, ad esempio, la spesa è spesso altissima, insospettabile da chi non ha figli a scuola. Altro esempio personale: sempre per mia figlia che fa il classico, quest’anno 570 euro.
Va detto che alcune spese sono anche conseguenze dei nostri tempi. Oggi ad esempio una classe che va in gita scolastica a Firenze o a Venezia è considerata un club di pezzenti. Si va a Barcellona, a Londra, a Monaco di Baviera, e così via: «viaggi di istruzione» che comportano per le famiglie esborsi di 400-500 euro tra aereo e albergo, più l’argent de poche per i nostri rampolli, ben più fortunati di noi genitori che ricordiamo memorabili escursioni al planetario o al museo della scienza e della tecnica.
Ma se su certe spese si potrebbe vigilare facilmente, non c’è dubbio che sull’ordinaria amministrazione che presidi e insegnanti (per altro una delle categorie peggio pagate d’Italia) sono costretti a fare i salti mortali. Non si può dare colpa alle singole scuole, e probabilmente non si può dare colpa neppure a un ministero anch’esso costretto a tirare la cinghia. E dunque? Forse una pur parziale e provvisoria via d’uscita - in questo Paese dove, chiunque vada al governo, le tasse non calano mai - sarebbe quella di aiutare alla fonte le famiglie, con sgravi fiscali crescenti per numeri di figli. Il famoso «quoziente familiare», che nessuno sembra avere il coraggio di introdurre, e che invece all’estero - in Francia, ad esempio - è spesso una cosa ovvia. Stiamo parlando di un abbattimento delle tasse vero, non delle cosiddette detrazioni per numero di figli attualmente in vigore, le quali non appartengono al mondo degli aiuti ma a quello delle barzellette.
Nei giorni scorsi c’è stata una specie di giornata nazionale dedicata a «Quanto costa un figlio». Credo che parlare di un figlio come di un costo sia terribilmente squallido. Un figlio è un essere umano che viene al mondo, un’apertura al grande mistero della vita, e quando se ne fa uno bisognerebbe avere un po’ più di coraggio e fare un po’ meno calcoli. Però resta incomprensibile che un paese moderno non solo faccia poco per aiutare chi fa figli, ma metta poi le scuole nella penosa condizione di chiedere un obolo per la carta igienica. Negli Stati Uniti e in Cina, fra le misure per la ripresa, hanno deciso finanziamenti per l’istruzione e per la formazione: nella convinzione che il primo passo per uscire dalla crisi è investire sui giovani.
da lastampa.it
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