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« inserito:: Ottobre 31, 2009, 11:02:51 am » |
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31/10/2009
L'influenza A uccide meno delle altre EUGENIA TOGNOTTI
Novant’anni fa, negli ultimi giorni di un ottobre come questo, in piena escalation del numero dei morti di Spagnola, il prefetto di Milano proibì il suono delle campane a morto.
Deprimeva lo «spirito pubblico» - dicevano le circolari - quel lugubre rintocco che risuonava di continuo, ossessivamente, durante le frettolose cerimonie degli addii, in chiese e cimiteri senza gente, per decisione delle autorità sanitarie. Provocava ansia. Diffondeva paura e angoscia. Alimentava una psicosi collettiva che contaminava le menti, e facilitava l’attacco ai corpi degli uomini.
In un mondo tanto diverso, e con una pandemia così poco aggressiva - da non autorizzare nessun possibile e fondato accostamento a quella del 1918, che fu capace di raddoppiare le vittime della sanguinosa guerra appena conclusa - c’è, ora, un altro genere di campana a morto, capace di risvegliare un’emotività che innesca incertezza e ansia: la notizia strillata di «un altro morto di influenza», che dà visibilità a ogni singola vittima, nei titoli di apertura dei telegiornali, nelle prime pagine dei giornali, e persino nelle trasmissioni pomeridiane di gossip e chiacchiere in libertà. Una campana di ben diversa potenza sonora e diffusiva, che amplifica e moltiplica i numeri, massimizza il contenuto ansiogeno, e fa passare in secondo piano - pur non sottacendolo - il fatto che in tutti, ma proprio tutti gli undici (undici!) morti era presente una multipatologia che l’influenza ha solo contribuito ad aggravare. Un evento che nella classica influenza stagionale si verifica, malauguratamente, migliaia di volte, senza che giornali e telegiornali si occupino di quelle morti che non fanno notizia, nascoste nelle tavole della mortalità «ordinaria».
Del resto, per fare giustizia di ogni allarmismo, basta mettere in fila numeri, dati e fatti, che danno credito alle voci autorevoli di chi afferma, sulla base delle conoscenze scientifiche, che la minaccia del nuovo ceppo del virus influenzale H1N1 è destinata a restare una bomba inesplosa: il tasso di mortalità - che non potrà comunque essere calcolato fino a quando non si sarà superato il picco epidemico - è, al momento - sembrerebbe - più basso di quello della normale influenza stagionale (anche se occorrerebbe conoscere con precisione il numero dei colpiti). Rispetto alle precedenti pandemie, l’Influenza A mostra una minore aggressività: pur in grado di trasmettersi abbastanza efficacemente da persona a persona, sembra sostanzialmente incapace di causare una malattia severa.
Al momento, quello che preoccupa davvero è la confusione che regna sotto il cielo delle vaccinazioni: le dosi di vaccino stanno arrivando alle Regioni, ma in quantità limitate. E solo in pochissime realtà si è, di fatto, messa in moto la farraginosa macchina organizzativa per realizzare la prima campagna di vaccinazione di massa contro l’influenza, che ha un solo precedente, negli Stati Uniti: una débâcle, in verità. Nel 1976, in seguito ad una piccola epidemia di «suina» a Fort Dix, base militare nel New Jersey, furono avviate le vaccinazioni che raggiunsero 40 milioni circa di americani e nelle quali fu impegnata una montagna di dollari: 137 milioni. La malattia non si diffuse, ma tra i vaccinati si registrarono numerosi casi della cosiddetta sindrome di Guillain-Barré (una neuropatia acuta che si manifesta con paralisi progressiva agli arti): che ci fosse un legame causale certo non fu mai stabilito, ma la campagna fu interrotta e le autorità sanitarie dovettero fare i conti con un’ondata di sfiducia e di sospetto. Il fantasma di quella sindrome ricompare oggi ed è uno dei fattori all’origine della diffusa ritrosia a vaccinarsi anche da parte dei medici, mentre non è ancora chiaro come verranno affrontati e gestiti, a livello locale, i problemi organizzativi e logistici.
Resta il fatto che l’influenza è un serio problema sanitario nei Paesi industrializzati, dove occupa uno dei primi posti come causa di morte per malattie infettive. Senza parlare dei costi diretti e indiretti dell’ospedalizzazione e delle assenze dal lavoro. Pur avendo eretto contro questa malattia un poderoso bastione difensivo, siamo ben lungi dall’avere ragione delle strategie adattative dei virus influenzali: e, di certo, la guerra contro di essi, a colpi di mutazioni da una parte e di potenziamento delle difese immunitarie dall’altra, non è destinata a concludersi tanto presto.
da lastampa.it
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