LA-U dell'OLIVO
Novembre 24, 2024, 01:25:05 pm *
Benvenuto! Accedi o registrati.

Accesso con nome utente, password e durata della sessione
Notizie:
 
   Home   Guida Ricerca Agenda Accedi Registrati  
Pagine: [1]
  Stampa  
Autore Discussione: A CORRADO AUGIAS dal "Giornale" accuse ridicole  (Letto 2531 volte)
Admin
Utente non iscritto
« inserito:: Ottobre 19, 2009, 04:03:43 pm »

Il Giornale di Feltri attacca Corrado Augias accusandolo di spionaggio a favore dei servizi cecoslovacchi tra il 1963 e il 67.

La replica

Io, spia dell'Est in prima pagina per quattro chiacchiere al bar Rosati

Il "contatto" forse cercava notizie su mio suocero che era un generale

Ma non ebbe mai nulla. Dal "Giornale" accuse ridicole

di CORRADO AUGIAS


Ieri mattina ho dovuto comprare Il Giornale avendo ricevuto alcune telefonate divertite, indignate, sorprese. Così ho scoperto - insieme ad una mia gigantesca foto sulla prima pagina - di essere precocemente stato, dal 1963 al 1967, una spia al soldo dei servizi cecoslovacchi.

Ho scoperto anche di avere avuto un nome in codice "Donat", di non essere stato remunerato, a parte un uovo di Pasqua, dato che la mia attività era svolta per simpatia politica verso quel regime. È un'accusa talmente ridicola che non varrebbe la pena neanche di rispondere: ma questi sono i tempi in cui viviamo, in cui si è costretti a reagire alle calunnie mediatiche. Ho letto il servizio e mi sono chiesto il perché di tutto quel chiasso.

A che cosa si riduceva l'attività spionistica che avrei svolto? Certo, se fossi un responsabile dei servizi segreti licenzierei me stesso e anche il "contatto". Azzardo l'ipotesi che l'interesse dell'agente cecoslovacco fosse soprattutto quello di restare a Roma che certo era molto più allegra di Praga e nonostante tutto lo è ancora.
Che cosa non si scrive per mantenere una sede gradita. "Contatto" modesto, le informazioni sul mio conto riportate sul Giornale sono sbagliate nei fatti e si potrà dimostrare, se sarà necessario, anche in tribunale. Il "rapporto" poi si sarebbe chiuso perché "non soddisfacente", un risvolto finale quasi grottesco.

All'epoca lavoravo ai Programmi per l'Estero della Rai e mi occupavo di teatro sia come critico sia per qualche testo che ho scritto. Ebbi numerosi rapporti con diplomatici stranieri di svariate nazionalità, buone e cattive. Sono andato a Berlino Est a prendere contatti con il Berliner Ensemble di Brecht, sono stato due volte a Praga a preparare un numero speciale della rivista "Sipario" sul teatro cecoslovacco. Sia a Berlino che a Praga ho incontrato molte persone, alcuni li conoscevo, altri no.
Di che cosa si parlava? Dei programmi ovviamente ma poi anche del governo, dei giornali e della Rai. Sono passati quarant'anni, mi rendo conto scrivendo che oggi le cose sono maledettamente le stesse. In Italia, ma anche all'estero, appena uno si siede a tavola tutti cominciano a parlare del governo, dei giornali e della Rai, una specie di destino.

Leggo che incontravo il mio "contatto" a Roma, al bar Rosati di piazza del Popolo. Si può immaginare imprudenza maggiore? Come insegnano i romanzi di Le Carré che abbiamo divorato da giovani, le spie si incontrano in un parco, depositando i documenti nel cavo di un certo albero. Oppure, più romanticamente, si vedono dietro il convento delle Carmelitane Scalze, possibilmente all'alba. Soprattutto mai da Rosati, perché Rosati anche oggi, ma più allora, era uno dei posti più frequentati di Roma, ci andavano tutti anzi a un certo punto si disse: basta Rosati! Più semplice a dirsi che a farsi perché il posto era (è) comodo e gradevole. C'era spesso Giancarlo Fusco a tenere banco.
Una sera ricordo che passò un camioncino che annunciava con l'altoparlante un comizio del Msi. Fusco si mise a corrergli dietro rifacendogli il verso con la mano a trombetta col rischio di farsi pestare di brutto.

La direzione della Rai si trovava in via del Babuino 9 dove c'è adesso l'Hotel de Russie. Rosati è di fronte e l'orario degli incontri era proprio quello che dice il "contatto" cioè verso le 18-19 uscendo dall'ufficio per bere qualcosa e fare quattro chiacchiere prima di rientrare. Ero un giovane funzionario, avevo pochissime informazioni di rilievo e un po' mi dispiaceva.

Infatti leggo che l'interesse nei miei confronti derivava soprattutto dal fatto che il padre di mia moglie era un alto ufficiale dell'Aeronautica militare (come mio padre, del resto) sottocapo di Stato maggiore che aveva ricoperto anche importanti incarichi in ambito Nato. Qui la faccenda diventa seria perché il generale Pasti è morto e già una volta si è tentato di infangarne la memoria. Do un dettaglio per far capire che tipo di uomo e di ufficiale era. Con mia moglie scoprimmo solo anni dopo, leggendolo sui giornali quando scoppiò lo scandalo Lockheed, che il generale Pasti era stato silurato perché contrario all'acquisto dei C-130 Hercules. Aveva subodorato che c'era del losco, come poi si seppe. Gli aerei vennero acquistati ugualmente ma Andreotti non glielo perdonò e venne rimosso. L'uomo era di tale riservatezza che di tutta quella storia da lui non sapemmo mai una parola. E impensabile che mia moglie Daniela abbia dato a chicchessia gli elenchi telefonici interni del ministero dove lavorava il padre.

Nel 1967 sono stato trasferito alla Rai Corporation di New York. Il visto "I" (Information) mi venne rilasciato dopo che avevo assicurato di non essere membro o attivista del Pci. Si sa come funziona negli Stati Uniti: si presuppone la buona fede, uno firma un modulo e finisce lì. Se però poi si scopre che uno ha barato, gli americani si innervosiscono e l'espulsione è immediata. In ogni caso poiché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, all'arrivo a New York (via nave) venni invitato da un signore dei servizi d'informazione che mi intrattenne in un lungo e cordiale colloquio. In realtà era un interrogatorio appena mascherato sotto una formale cortesia.

Nell'accusa lanciata dal Giornale di Feltri s'è subito infilato il presidente emerito Cossiga insinuando il dubbio che il racconto possa essere veritiero.
D'altronde bastano dubbi e sospetti per seminare la calunnia. E infatti dal quotidiano di Feltri non ho ricevuto neanche una telefonata che avrebbe chiarito.

Ma le telefonate non si fanno perché non me direttamente si è cercato di colpire ma, attraverso me, ancora una volta, il giornale su cui scrivo. Ormai è chiara l'azione di pestaggio mediatico, versione aggiornata del vecchio manganello. Si fruga dove si può, si cercano pezzi di vita che possano sporcare qualcuno e poco importa che siano o no veri.

L'importante è sparare un titolo, una foto, la consegna è calunniate calunniate qualcosa resterà. E' toccato ad altri, ieri a me. Basta parlare male del capo, e prima o poi arriva il colpo. Molta voglia di far male, per fortuna sbagliano quasi sempre mira.

© Riproduzione riservata (19 ottobre 2009)
da repubblica.it
Registrato
Pagine: [1]
  Stampa  
 
Vai a:  

Powered by MySQL Powered by PHP Powered by SMF 1.1.21 | SMF © 2015, Simple Machines XHTML 1.0 valido! CSS valido!