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Autore Discussione: Ma quel Lodo non è una vera immunità  (Letto 2447 volte)
Admin
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« inserito:: Ottobre 06, 2009, 11:19:03 am »

Oggi la Consulta

Ma quel Lodo non è una vera immunità


Caro direttore,

quando la Consulta de­ve affrontare questioni non solo di notevole com­plessità giuridica, ma an­che di innegabile delicatez­za politico- istituzionale, credo sia per essa essenzia­le attenersi ai propri prece­denti. Nella materia cui il Lodo Alfano si riferisce, il precedente è del 2004. La Corte chiarì allora che la so­luzione del Lodo Schifani introduceva nell’ordina­mento un caso di sospen­sione processuale, per la durata del mandato, in rela­zione a reati comuni com­messi dalle alte cariche del­lo Stato. Questo fu scritto con chiarezza nella senten­za: non di una immunità si tratta, ma di una sospensione processuale. Tant’è che il Lodo Schifani fu dichiarato incostituzionale, ad esempio, perché non consentiva al titolare del­la carica di rinunciare alla sospensione. Se la Corte avesse ritenuto di trovarsi di fronte a una immunità, quel rilievo non avrebbe avuto sen­so, perché le immunità, in quanto riferite alla funzione, non sono liberamente rinunciabili dal titolare della carica «protetta». L’attuale Lodo Alfano segue la stessa impo­stazione, con le correzioni di cui dirò. E que­sto mi serve a dire che l’argomento fondamen­tale spesso usato dai sostenitori dell’incostitu­zionalità del Lodo — ci vuole la legge costitu­zionale, non basta la legge ordinaria — è in­fondato.

Solo se si trattasse di una vera immu­nità, essi avrebbero ragione. Certo, la Corte po­trà cambiare opinione, ma si tratterebbe di un revirement abbastanza clamoroso. In generale, poi, il legislatore attuale ha tenu­to conto dei rilievi che la Corte fece al preceden­te lodo Schifani. Come ricordavo, la carica isti­tuzionale imputata può ora rinunciare alla pro­tezione in ogni momento. Inoltre, la durata del­lo scudo processuale parrebbe non più indefini­ta, poiché la legge stabilisce che la sospensione opera per la sola durata della carica o funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomi­na nel corso della stessa legislatura, né si appli­ca in caso di successiva investitura in altra delle cariche o funzioni. Ancora, la vittima del reato ha ora agevolazioni procedurali per trasferire la causa in sede civile, onde ottenere comunque in tempi stretti un risarcimento. La prescrizio­ne del reato, a sua volta, non decorre per tutta la durata della sospensione del processo.

Il legislatore ha qui operato un bilanciamen­to non irragionevole fra due esigenze contrap­poste, ma entrambi meritevoli di protezione: quella per cui nessuno può sottrarsi all’eserci­zio della giurisdizione, e quella per cui l’eletto a cariche di vertice deve poter affrontare le pro­prie responsabilità istituzionali senza essere co­stretto a trascurare le esigenze della propria di­fesa in giudizio, ovvero non deve essere costret­to a scegliere fra le une e le altre. Bilanciamento ragionevole in un contesto costituzionale che non conosce più l’immunità parlamentare e in cui non è raro che iniziative giudiziarie possa­no essere utilizzate come arma contro avversari politici. So bene che la soggezione di chiunque alla giurisdizione è un principio essenziale del costituzionalismo. Ma vorrei ricordare che ha un peso non indifferente anche l’esigenza di ga­rantire che chi ha avuto il consenso democrati­co possa esercitare le proprie funzioni in piena legittimazione morale e politica.

Aggiungo, infine, che la scelta del legislato­re è stata esplicitamente non disprezzata dal Capo dello Stato, che in più occasioni ha ri­chiamato proprio l’adeguamento della nuova legge alle prescrizioni contenute nella senten­za del 2004. Vero che la pervasività del con­trollo di costituzionalità operato dalla Corte non è paragonabile a quello che il Capo dello Stato può svolgere, ad esempio in sede di pro­mulgazione delle leggi. Ma sono convinto che il dato non sia senza peso.

Nicolò Zanon
Costituzionalista

06 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA
da corriere.it
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